ENZO PACE - RENZO GUOLO

I FONDAMENTALISMI
Laterza, Bari 2002

1.

Libro prezioso nella sua semplicità espositiva, I fondamentalismi affronta un problema che sta diventando centrale nella nostra epoca: la rinascita e il progressivo rafforzamento di movimenti religiosi che oppongono alla modernità modelli di organizzazione della società, stili di vita, valori fondati su di una legge rivelata e dunque atemporale.

I principi distintivi dei fondamentalismi sono quattro:

"a) principio dell'inerranza, relativo al contenuto del Libro sacro, assunto nella sua interezza, come una totalità di senso e di significati che non possono essere scomposti e, soprattutto, che non possono essere interpretati liberamente dalla ragione umana, pena lo stravolgimento della verità che il Libro racchiude;

b) principio dell'astoricità della verità e del Libro che la conserva; l'astoricità significa che è preclusa alla ragione umana la possibilità di collocare il messaggio religioso in una prospettiva storica o di adattarla alle mutate condizioni della società umana;

c) principio della superiorità della Legge divina su quella terrena, secondo cui dalle parole scritte nel Libro sacro scaturisce un modello integrale di società perfetta, superiore a qualsiasi forma di società inventata e configurata dagli esseri umani;

d) primato del mito di fondazione: un vero e proprio mito delle origini che ha la funzione di segnalare l'assolutezza del sistema di credenza cui ogni fedele è chiamato a aderire e il senso di coesione che stringe tutti coloro che ad essa fanno riferimento (etica della fraternità)." (pp. 5-6)

Alla luce di questi principi, è possibile analizzare storicamente e culturalmente i movimenti fondamentalisti presenti nel nostro mondo. Il plurale è quanto mai opportuno per sormontare il luogo comune che attribuisce solo all'Islam una vocazione fondamentalista. Tutte le grandi religioni comportano una predisposizione al fondamentalismo, che si può esprimere in tempi e modi diversi a seconda delle circostanze storiche. Un aspetto specifico e inquietante del nostro tempo è la crescita di tutti i fondamentalismi.

Le origini storiche del fondamentalismo sono da ricondurre alla nascita, alla fine dell'Ottocento, di una corrente teologica protestante negli Stati Uniti che si oppone alla teologia liberale europea: "mentre i teologi liberali pensavano che fosse necessario utilizzare tutti gli strumenti critici delle moderne scienze umane (dalla storia alla sociologia, dalla linguistica alla filologia) per ripulire il Testo sacro dalle incrostazioni mitologiche e dai condizionamenti storici che la rivelazione della Parola di Dio aveva subito, i teologi conservatori si mostravano al contrario molto preoccupati che la''porto della scienza moderna finisse per alterare l'integrità della verità depositata nel Libro sacro." (p. 11)

Rapidamente la disputa teologica assume una valenza politica. Già nei primi decenni del XX° secolo, in conseguenza d eventi come la prima guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica, i predicatori fondamentalisti contrappongono nei loro discorsi "alle manovre di satana nel mondo la forza di resistenza di una nazione chiamata da Dio a far trionfare il Bene e la libertà. Questa nazione veniva identificata con gli Stati Uniti, Nuova Gerusalemme in terra." (p. 15)

Tra il 1925 e il 1975 i movimenti fondamentalisti conoscono negli Stati Uniti una crescita imponente, sempre più visibile nella sfera pubblica: "apertura di scuole confessionali, creazione di una rete di radio e di televisioni, organizzazione di campagne contro l'aborto, la pornografia, l'omosessualità e in generale contro le nuove correnti culturali che si erano venute affermando durante e dopo il '68. " (p. 16) Si definisce, in conseguenza di questo, una Nuova Destra cristiana, che si fa carico della "guerra in difesa dell'anima americana" (p. 17) e stringe un legame sempre più esplicito con il Partito repubblicano. L'idea che anima i militanti fondamentalisti "è che la modernità, in quanto non riconosce più cittadinanza alla fede religiosa nella sfera pubblica e politica, ha rivelato ormai tutti i suoi guasti, arrivando a minacciare le basi stesse della coscienza collettiva degli americani." (p. 18) Si tratta dunque di rifondare la società su basi religiose, restituendola ai valori originari contenuti nella Bibbia. L'impegno massimo dei fondamentalisti riguarda la scuola "concepita come il luogo dove ricostruire dal basso la trama di valori strappata dai movimenti di sinistra e in generale dalla cultura secolarista moderna." (p. 20)

Accolte quasi integralmente da Ronald Reagan, che assegna all'America il ruolo di nuova Gerusalemme, andate in crisi sotto la Presidenza di Clinton, le tesi fondamentaliste si sono nuovamente rinvigorite con l'avvento alla Casa Bianca di G. Busch, che, nel lanciare la guerra contro il terrorismo islamico, ha usato toni biblici, identificandolo con il Male da sconfiggere a difesa dei valori propri della civiltà cristiana.

2.

Il fondamentalismo islamico ha anch'esso una matrice antica, essendosi avviato circa due secoli fa in risposta alla crisi sociale e religiosa dell'Impero ottomano e ai tentativi di penetrazione delle potenze occidentali. Posto l'obiettivo comune "di dare forma politica al concetto di umma, la comunità dei credenti" (p. 29), riconducendosi all'esperienza dell'età dell'oro musulmana, quella della Comunità del Profeta, esso si è originariamente espresso secondo due diverse modalità: il riformismo e l'integralismo.

Il primo "dirige il suo sguardo innanzitutto sul problema dell'arretratezza musulmana in campo politico, militare e tecnologico. I suoi esponenti sono animati da una volontà di rinnovamento interno che consenta di ridimensionare la supremazia occidentale attraverso l'acquisizione e il dominio delle tecniche istituzionali, militari e di produzione, che hanno favorito l'assalto al cielo delle potenze europee. Ma l'ottica non è solo modernista. Il riformismo conserva la convinzione […] che sia necessario ridare attualità alla fede degli antichi (salaf), purificando l'Islam dalle deviazioni dell'età della decadenza: dall'indifferenza per la licenziosità dei costumi all'indifferentismo religioso, dalla sua anima superstiziosa all'influenza dell'umanesimo musulmano." (p. 34)

L'islamismo contemporaneo tende viceversa ad essere integralista. In esso l'elemento centrale è la politica che " non è percepita, come nella tradizione, come strumento che consente ai credenti il mero adempimento degli obblighi di fede; è invece pensata come fattore chiave per la costruzione di quello "stato etico" indispensabile per reislamizzare la società. L'islamismo pensa, infatti, l'Islam non solo come religione ma come dottrina che permea la vita sociale a partire da una visione politica della società." (p. 35)

Tre sono i pensatori che hanno contribuito più profondamente a radicalizzare il fondamentalismo islamico. Il primo, Hasan al-Banna, è il fondatore della Fratellanza musulmana, che "pensa la reislamizzazione della società musulmana a partire dal basso, dal sociale." (p. 36) Ma al-Banna non trascura la dimensione politica: egli ritiene che "dopo la conquista dell'egemonia sociale, sia necessario procedere alla riorganizzazione totale dello Stato e della società secondo i principi coranici." (p.36)

Il secondo pensatore è Abul Ala Mawdudi, che "dilata sino al limite estremo le tesi politiche di al-Banna" (p. 37), teorizzando "la divisione bipolare del mondo in jahillyya (regno dell'ignoranza) e Islam (regno della verità e della fede)." (p. 37) Mawdudi pensa "ad unislamizzazione della società dall'alto, attreverso l'sitaurazione di uno Stato etico in cui la sovranità sia esercitata in nome di Allah e che abbia come strumento di regolazione sociale la shari'a." (p. 37)

Il terzo pensatore è Sayyid Qutb, forse il più influente. Per Qutb, "sebbene la trascendena divina obblighi a forme mediate di sovranità umana, la sovranità appartiene esclusivamente a Dio, che la esercita attraverso la legge religiosa." (pp. 38-39) In conseguenza di questo, il partito di Dio deve dichiarare guerra contro ogni potere umano, in qualsiasi forma si presenti e qualunque ordinamento adotti." (p. 39) la guerra è la jiahd, il combattimento sulla via di Dio che deve essere massimalista e offensivo. L'islam, secondo Qutb, è uan "religione che deve sidtruggere qualunque forza che si frapponga tra Dio e gli uomini." (p. 40)

Al pensiero di Qutb si riconducono i primi gruppi jihadisti che compaiono sulla scena politica a partire dagli anni Ottanta, distaccandosi dalla Fratellanza musulmana. La jihad attacca tutti i soggetti-simbolo del potere corrotto: "Cristani, ebrei, tutti coloro che sono accusati d'essere protatori di valori impuri e complici del complotto mondiale contro l'Islam diverranno così bersaglio della violenza del sacro." (p. 45) In quest'ottica radicale di difesa della fede, che giustifica ogni atto anche estremo, matura la tematica dell'essere uccisi sulla via di Dio, vale adire il sacrificio altruistico della vita come martirio.

L'influenza di Qutb è decisiva anche nella fondazione, ad opera di Osama Bin Laden, del Fronte per la jihad contro i crociati e i sionisti (Al Qa'ida): "da Qutb, Bin Laden mutua le pi importanti categorie del suo bagaglio ideologico. In particolare: la concezione bipolare religiosa tra partito di Dio e partito di Satana, tra Islam e jahilyyia, tra regno della fede e quello dell'incredenza e dell'errore; il concetto di jihad come esperienza offensiva e rivolta contro il nemico interno e esterno." (pp. 50-51) Il nemico interno è rappresentato dai capi di stato arabi corrotti, che accettano la subordinazione all'Occidente. I nemici esterni sono gli ebrei e soprattutto gli Stati Uniti, ritenuti responsabili dell'occupazione della terra santa e di numerose violenze nei confronti dei musulmani. Con la dichiarazione di guerra rivolta da Bin Laden agli Stati Uniti nel 1996, la jihad diventa globale.

3.

Il fondamentalismo ebraico ha una storia e delle caratteristiche particolari. Nato originariamente in Europa in virtù degli ultraortodossi (haredim) che "ritengono obbligo assoluto l'osservanza di tutti i comandamenti divini derivanti dalla Torah" (p. 63), esso si oppone acerrimamente per lungo tempo al sionismo, che "in quanto manifestazione di volontà di potenza di natura antropocentrica, si configurava come pura idolatria." (p. 63) Solo dopo la Shoah gli haredim si arrendono a riconoscere come inevitabile l'insediamento ebraico in Palestina. Essi, dal 1948, si organizzano politicamente sotto forma di partito, battendosi "per una riteologizzazione dello Stato, attraverso la negoziazione di istanze religiose che mirano a far deperire il residuo carattere laico delle istituzioni sioniste." (p. 68) Il movimento si dissocia sulla questione della Terra d'Israele. Una corrente sostiene "la necessità di procedere all'annessione dei territori occupati" (p. 68) perché la cessione di questi "ai palestinesi , storicamente ostili, significherebbe mettere in pericolo la vita degli ebrei presenti in quelle aree." (p. 69); un'altra corrente rifuta l'annessionismo in quanto "è l'osservanza della Torah e non la dimesnione georeligiosa di Israele che rimane l'elemento essenziale dell'ebraismo." (p. 70)

La questione della terra assume una dimensione centrale nel sionismo religioso, che tenta di fondere insieme Torah e nazionalismo: "Per questa corrente il ritorno a Sion è elemento decisivo per l'avvento della Redenzione. La rinascita dello Stato d'Israele permette, infatti, di ricomporre il popolo d'Israele sotto la Legge d'Israele nella Terra d'Israele, processo essenziale per l'avvento messianico." (p. 71) In quest'ottica, il sionismo religioso "invoca, oltre che una maggiore aderenza dello stato ai principi della Torah, una politica che miri a ripristinare la piena sovranità sull'intera Terra d'Isarele." (p. 70) Questa posizione politica si regge su presupposti religiosi: "la realizzazione di uno Stato orientato dalla Legge religiosa sarà possibile solo quando gli ebrei saranno insediati nella totalità della Terra d'Israele. E' lo stare nella terra intrisa di santità che rende possibile la teshuvah, nella sua duplice accezione di ritorno a Dio e pentimento di tutto il popolo ebraico e la conseguente osservanza della Legge; non viceversa." (p. 74)

La trasformazione del sionismo religioso in religione sionista, che riconosce la sua punta di diamante nei coloni religiosi, giunge infine a configurare una particolare weltanschaaung: "Lo Stato d'Israele sarebbe il risultato della vendetta di Dio per le sofferenze imposte agli ebrei ad Auschwitz. Esso va dunque difeso accanitamente anche con la violenza, come forma di Kiddush Hashem, Santificazione del Nome di Dio." (p. 77)

4.

Un intero capitolo del libro è dedicato alle interpretazioni del fondamentalismo, ripartite in sei grandi paradigmi: reazione alla modernità, espressione della crisi della modernità, ripresa del mito dello Stato etico, rivincita di Dio, prodotto della globalizzazione, manifestazione dello scontro di civiltà.

Come reazione alla modernità, "il fondamentalismo rappresenta l'emergere di movimenti reazionari nel cuore delle società moderne o in via di modernizzazione e di sviluppo. Questi movimenti […] mirano a ricostituire, con metodi che possono andare dalla violenza simbolica a quella fisica, un assetto sociale e politico storicamente superato, incompatibile con quanto s'intende per società moderna. Se la modernità è il presente, il fondamentalismo interpreta il bisogno di ritorno a un passato - più o meno mitico - nela quale regnava la Legge di Dio in tutte le sfere della vita, individuale e collettiva" (pp. 111-112)

Com'espressione della crisi della modernità, il fondamentalismo è "in realtà frutto della crisi stessa della modernità: un modo tutto moderno di credere, in antitesi ai processi di secolarizzazione che la modernità ha prodotto" (p. 114), per definire il quale si potrebbe parlare paradossalmente di "moderna utopia giacobina anti-moderna" (p. 114): "L'utopia giacobina rivive nei fondamentalismi contemporanei nel senso che in essi si afferma il primato della politica intesa come luogo nel quale s'incarna e si compie un'idea religiosa: la politica e la religione risultano così una totalità inscindibile e l'ordine sociale viene immaginato come la risultante dei due vettori - politica e religione -combinati assieme." (p. 115)

 Come ripresa dell'utopia dello Stato etico, il fondamentalismo è "un tentativo di controllare eticamente la modernizzazione che è in atto in molti paesi in via di sviluppo economico" (p. 119), che viene vissuta come una minaccia all'identità collettiva di un gruppo o di un popolo intero. Dal momento che i processi di modernizzazione "appaiono non solo irreversibili, ma globali, il luogo immaginato dai fondamentalisti come cruciale e strategico è lo Stato. Da qui sia l'ansia di gettarsi nella lotta politica diretta per conquistare il potere, sia l'idea ossessiva secondo la quale il passaggio alla società moderna, se deve avvenire in forme compiute, deve essere guidato dalla religione." (p. 119)

Come rivincita di Dio, il fondamentalismo imputa "all'egemonia delle idee dell'Illuminismo la responsabilità della deriva della secolarizzazione che avrebbe prodotto così profondi guasti nel tessuto sociale e nel profondo della'anima umana. Il ritorno all'osservanza stretta della Legge di Dio per molti movimenti fondamentalisti costituisce […] una strategia per ricollocare nello spazio pubblico e sulla scena politica la religione: tutto ciò è visto come una rivincita contro i grandi miti della secolarizzazione presenti e passati" (p. 121), vale a dire contro la "pretesa della ragione umana di affrancarsi dalla fede in un Dio trascendente." (p. 121)

Come prodotto della globalizzazione, il fondamentalismo è "una formidabile rivendicazione di identità da parte di attori sociali che rifiutano l'idea di un mondo unico." (p. 123) La globalizzazione "attraverso il dispiegarsi di forze economiche, tecnologiche, mediatiche, culturali, uniforma il pianeta sotto la cappa opprimente di una cultura globale omogenea. Ma il globalismo non riesce a creare identità o adesioni collettive. E così spiana la strada a forme di identità collettive regressive." (p. 126)

Come manifestazione dello scontro di civiltà, lo storico antagonismo tra Islam e Occidente ha assunto nuove intensità: "il fondamentalismo islamico, negli ultimi anni, si è fatto naturale interprete del timore diffuso tra i musulmani che l'Occidente, attraverso la globalizzazione economica e culturale e la sua potenza militare, minacci l'esistenza dell'islam. La percezione di un Occidente arrogante, materialista, repressivo, veicolata dai fondamentalisti è diventata così una vera e propria forma di rappresentazione identitaria della civiltà islamica." (p. 127)

 5.

Il testo espositivo e obiettivo volutamente, si astiene da commenti e conclusioni. Esso però suggerisce alcune considerazioni.

La prima riguarda il fatto che i fondamentalismi - sia quello protestante sia quello islamico sia quello ebraico - sono continuamente in crescita nel corso degli ultimi venti anni. A questa deriva storica, la Chiesa cattolica, in seguito al Concilio Vaticano II, che ha dato voce alle esigenze più profonde del modernismo, oppone una resistenza che appare sempre più labile. Tutto il pontificato di Papa Giovanni Paolo II si è svolto all'insegna della necessità di evangelizzare un mondo che si sta allontanando dalla retta via. Alcuni alti esponenti del clero hanno manifestato negli ultimi anni una viva preoccupazione riferita al pericolo di una penetrazione e di una diffusione dell'Islam in Occidente.

Sia pure dunque con intensità e caratteristiche diverse, la deriva fondamentalista si può ritenere universale. Quest'universalità depone immediatamente a favore dell'ipotesi di uno stretto legame tra i fondamentalismi e i processi di globalizzazione che coinvolgono l'intero pianeta. A questo però occorre aggiungere anche un effetto retroattivo tra le varie società, culture e religioni, ciascuna delle quali, trovandosi faccia a faccia con le altre, si sente da esse minacciata.

Da questo punto di vista, i fondamentalismi possono essere interpretati come una reazione difensiva nei confronti di tale minaccia, il cui carattere regressivo attesta solo che le varie società hanno storicamente raggiunto la loro identità culturale attraverso la religione. Ciò è storicamente vero e comprovabile per quanto riguarda sia il popolo ebraico sia la civiltà cristiana sia l'arcipelago musulmano.

Se le cose stanno così, la minaccia che determina la crescita dei fondamentalismi è epocale: è la morte di Dio preconizzata da Nietzsche, prodotta dai processi di secolarizzazione, che l'umanità, in Occidente come in Oriente, rifiuta in maniera viscerale. Tale rifiuto attesterebbe che la secolarizzazione non è riuscita ancora a produrre un quadro di valori universale atto ad integrare, ad un più alto livello, le istanze umanitaristiche, comunitaristiche e ugualitaristiche che rappresentano le matrici originarie delle grandi religioni. Il nemico comune di tutti i fondamentalismi sono i valori liberali, elevati sulla carta, ma che nella pratica alimentano l'atomizzazione della società, la competitività economica, la disuguaglianza, la selezione culturale, ecc.

Da questo punto di vista, ci si può solo rammaricare del fatto che i valori socialisti, prodottisi in Occidente ma, in sé e per sé, universali e comunitaristici, abbiano progressivamente perduto la loro carica propulsiva internazionalista e umanitaristica nel tentativo di arginare l'egemonia di quelli liberali.

Una seconda considerazione verte sul fatto che i diversi fondamentalismi, accomunati dall'esigenza di assicurare il primato della religione sulla politica, non hanno tutti lo stesso significato. Il fondamentalismo protestante è sostanzialmente razzista, nella misura in cui elegge la civiltà bianca a portatrice di valori supremi; il fondamentalismo ebreo è etnico e territoriale; quello musulmano, nonostante il suo nucleo profondo privilegi la tradizione araba, è interetnico e universale. Questo significa che in prospettiva lo scontro tra civiltà, se è destinato a realizzarsi, avverrà tra Islam e Cattolicesimo, che condividono entrambi una vocazione ecumenica.

Una terza considerazione verte sul paradosso per cui i fondamentalismi più virulenti sono quelli che riconoscono una comune matrice biblica. Questo significa che la verità rivelata è nondimeno soggetta ad interpretazioni umane che, pretendendo di essere fedeli al Testo sacro, ne rivelano le contraddizioni, la polisemia, il simbolismo, ecc. In un certo qual senso, paradossale, i fondamentalismi tolgono credito ad una divinità le cui parole possono indurre odi tenaci tra coloro che ad essa credono. Questo rivela la storicità dei fenomeni religiosi, che è proprio l'aspetto che i fondamentalisti tendono a negare.

Un'ultima considerazione è di ordine politico. L'epicentro dello scontro tra i fondamentalismi è il Medio Oriente e in particolare la Palestina, ove si dà un'interazione conflittuale aspra tra Occidente e Islam. Senza la soluzione di questo problema, non si dà alcuna possibilità di risolvere il problema del terrorismo. La soluzione è obbligata. L'Occidente che ha riparato i suoi torti verso il popolo ebreo concedendo ad esso l'insediamento in Palestina, deve riparare i torti commessi nei confronti dei palestinesi. Ciò significa che la comunità internazionale deve prendere posizione nei confronti del fondamentalismo ebraico e della sua volontà ciecamente annessionistica, che, agli occhi dei musulmani, risulta come un'intollerabile provocazione che attesta l'orientamento colonialista e predatorio dell'Occidente. Nello stesso tempo, l'Islam deve recedere dalla pretesa di ripagarsi della prepotenza subita con l'insediamento degli ebrei cancellando lo Stato d'Israele. Questa pretesa mortifica infatti lo spirito di tolleranza che è stato un tratto tipico dell'età dell'oro islamica.

Aprile 2004