Joseph leDoux - Il Sé sinaptico

Raffaello Cortina, Milano 2002

1.

Il Sé sinaptico è un libro di particolare importanza. L'autore, infatti, uno dei maggiori neurobiologi contemporanei, oltre ad offrire una rassegna dettagliata e aggiornata delle ricerche sulla struttura e il funzionamento del cervello, tenta di organizzarne il significato sulla base di una tesi originale, enunciata fin dall'inizio, e soprattutto non esita ad esprimere una critica piuttosto radicale nei confronti del cognitivismo, il paradigma prevalente nell'ambito della psicologia, accusato di minimizzare il ruolo dei fattori inconsci e delle emozioni.

La tesi, che giustifica il titolo del libro, è esposta in questi termini:

"Le persone non sono preassemblate, ma tenute insieme dalla vita. E ogni volta che uno di noi viene costruito, si produce un diverso risultato. Una delle ragioni è che noi tutti veniamo al mondo con differenti apparati genici; un'altra è che abbiamo differenti esperienze. Ciò che è interessante di questa affermazione non è che natura e cultura contribuiscono a ciò che siamo, ma che in realtà parlano lo stesso linguaggio. Sostanzialmente entrambe raggiungono i loro effetti mentali e comportamentali incidendo sull'organizzazione sinaptica del cervello. I particolari pattern di connessioni sinaptiche nel cervello di un individuo, e l'informazione codificata da queste connessioni, sono le chiavi di ciò che quella persona è" (pp. 5-6).

Valorizzare il ruolo delle sinapsi significa affrontare il perenne problema natura/cultura in termini dialettici. Tre citazioni confermano questo:

"I geni determinano solo le linee generali del funzionamento mentale, spiegando al massimo il 50% di un dato tratto e, in alcune circostanze, di gran lunga di meno. L'ereditarietà ci può condizionare per certi versi, ma molti altri fattori definiscono in che modo i geni di una persona siano espressi" (p. 8).

"Molti sistemi cerebrali sono plastici, vale a dire modificabili attraverso l'esperienza, il che significa che le sinapsi implicate sono alterate dall'esperienza… La plasticità, in tutti i sistemi cerebrali, è innata. Questo può suonare come una contraddizione natura/cultura, ma non lo è. Una innata capacità delle sinapsi di registrare e conservare l'informazione è ciò che consente ai sistemi di codificare le esperienze… Ogni apprendimento dipende, in altre parole, dall'operare di capacità di apprendimento geneticamente programmate. L'apprendimento implica l'opera di Madre natura" (p. 13).

"I nostri geni possono condizionare la maniera in cui ci comportiamo, ma i sistemi di gran lunga responsabili di ciò che facciamo e di come lo facciamo sono plasmati dall'apprendimento" (p. 14).

Il rilievo accordato alla plasticità sinaptica, e dunque all'apprendimento che concorre a determinare le connessioni sinaptiche, non porta però le Doux, come spesso avviene nell'ambito del cognitivismo, ad enfatizzare il ruolo della coscienza. Se è vero, infatti, che l'apprendimento e la memoria sono due funzioni essenziali nella strutturazione della personalità, è pur vero che essi "concorrono alla personalità in modi che vanno oltre l'esplicita conoscenza di sè. Il cervello, in altri termini, impara e conserva parecchie cose in sistemi che funzionano al di fuori della consapevolezza cosciente" (p. 15): "Quello che una persona è, ciò che pensa, sente e fa non è per nulla influenzato dalla sola coscienza. Molti dei nostri pensieri, sentimenti e azioni hanno luogo in maniera automatica, e solamente dopo che sono accaduti, forse, diventano accessibili alla coscienza. Scoprire il meccanismo della coscienza sarebbe indubbiamente una conquista scientifica importantissima, ma non spiegherebbe il funzionamento del cervello, o come i nostri cervelli fanno di noi ciò che siamo. La comprensione del mistero della personalità dipende in maniera cruciale dalla comprensione delle funzioni inconsce del cervello", vale a dire "le molte cose che il cervello fa, che non sono accessibili alla coscienza" (p.16); "Nella teoria contemporanea della personalità, come in filosofia, la nozione di Sé si riferisce tipicamente al Sé conscio, nel senso che esso possiede autoconoscenza, autorappresentazione e autostima; è consapevole di Sé, autocritico; avverte l'importanza della persona; s'impegna nella realizzazione delle proprie potenzialità… Nonostante questa lunga tradizione di enfasi sul Sé in quanto entità conscia, il Sé di cui siamo consapevoli, o di cui possiamo essere consapevoli, non rappresenta la totalità di ciò cui si riferisce il termine Sé… Le cose che consciamente sappiamo su chi o cosa siamo costituiscono gli aspetti espliciti del Sé. Questi costituiscono il tipo di realtà cui ci riferiamo con il termine autoconsapevole e quanto definiamo autorappresentazione; sono quelli di cui si interessano gli psicologi del Sé. Gli aspetti impliciti del Sé, di contro, sono tutti gli altri aspetti di ciò che siamo e che non sono immediatamente disponibili alla coscienza, o perché sono per loro natura inaccessibili, oppure perché sono accessibili ma non disponibili in un particolare momento" (pp. 38-39).

Su che cosa si fonda questa definizione, che suona strana scritta un neurobiologo? Semplicemente sulla considerazione del ruolo che le memorie svolgono nell'organizzazione della personalità: "Nella misura in cui le esperienze della vita contribuiscono a renderci quello che siamo, il processo di immagazzinamento implicito e quello esplicito della memoria rappresentano i meccanismi principali per mezzo dei quali il Sé è modellato e preservato. Quegli aspetti del Sé che sono appresi e memorizzati nel sistema esplicito rappresentano gli aspetti espliciti del Sé… Al contrario, quegli aspetti che sono appresi e memorizzati nel sistema implicito costituiscono gli elementi impliciti del Sé; utilizziamo quest'informazione su noi stessi continuamente, anche se possiamo non esserne pienamente consapevoli: i modi in cui tipicamente camminiamo e parliamo, e persino i modi in cui pensiamo e sentiamo riflettono tutti l'attività di sistemi che funzionano sulla base dell'esperienza pregressa, ma la loro azione si realizza fuori della consapevolezza" (pp. 40-41).

L'attività di questi sistemi può risultare più o meno integrata con la coscienza: "Il fatto che tutti gli aspetti del Sé non siano generalmente evidenti simultaneamente, e che aspetti differenti possano anche rivelarsi contraddittori, può dare l'impressione di costituire un problema disperatamente complesso. Tuttavia, ciò significa semplicemente che componenti diverse del Sé riflettono il funzionamento di differenti sistemi cerebrali, che possono essere sincronici oppure no. Mentre la memoria esplicita è mediata da un unico sistema, esiste una varietà di differenti sistemi cerebrali che memorizzano l'informazione in modo implicito, consentendo la coesistenza di diversi aspetti del Sé" (pp. 44-45).

E' evidente che l'impostazione di Le Doux permette immediatamente d'intuire una possibilità d'integrazione tra il pensiero neurobiologico e quello psicodinamico molto più avanzata rispetto a quanto è accaduto sinora. Una possibilità che, a posteriore, esalta il significato precorritore di uno splendido testo di venti anni fa: Neuropsicologia di G. Benedetti. Nonostante i neopsichiatri abbiano assunto la neurobiologia come un piedistallo delle rozze teorie che avanzano sul disagio psichico, i dati neurobiologici, vagliati con attenzione, sembrano potere essere più proficuamente utilizzati nella cornice di un paradigma neurodinamico.

Non è un caso che le Doux sia il capofila di un orientamento interdisciplinare nuovo e, tenuto conto dell'egemonia attuale del cognitivismo, sorprendente: la neuropsicoanalisi.

2.

Non è ovviamente possibile né opportuno, in questa sede, procedere ad un'analisi dettagliata del testo. Alcune riflessioni però vanno fatte sui problemi più significativi che esso affronta.

La definizione globalistica del Sé, che è sostanzialmente di ordine psicologico, sul piano neurobiologico va ricondotta all'interazione di tre funzioni che sono perpetuamente attive, a livello conscio e inconscio: cognizione, emozione e motivazione. Colte sul piano sincronico, questa trilogia permette di comprendere come funziona il Sé ma non come si genera e come esso si mantiene più o meno stabile nel corso del tempo.

La genesi del Sé è riconducibile a come il cervello si sviluppa e a come esso continua ad evolvere vita natural durante. A questo livello, ci s'imbatte immediatamente nell'antitesi tra innatismo e empirismo. Le Doux discute a lungo questo problema, ma alla luce di un presupposto che già di per sé orienta verso una soluzione dialettica. Il presupposto consiste nel distinguere "tra neurogenesi - la nascita di nuovi neuroni - e sinapsogenesi - la creazione di nuove sinapsi tra neuroni preesistenti" (p. 93). La neurogenesi, che avviene nel corso delle fasi fetali, è indubbiamente da ricondursi ad un programma geneticamente determinato, specie-specifico. Per quanto riguarda la sinapsogenesi è ancora in discussione "se l'attività, in particolare l'attività innescata dalla stimolazione ambientale, contribuisca a realizzare le connessioni mature oppure si limiti a selezionare dall'insieme iniziali di connessioni stabilite in modo intrinseco quelle che saranno mantenute" (p. 99). Nel primo caso (istruzionismo) l'ambiente svolgerebbe un ruolo fondamentale nella strutturazione del cervello, nel secondo (darwinismo neuronale) esso si limiterebbe a selezionare uno sviluppo determinato geneticamente. A riguardo, Le Doux scrive: "dal momento che l'attività neurale innescata da fattori ambientali è implicata sia nella gestione, sia nella selezione del sistema di connessioni non è tanto una disputa geni/esperienza contestuale, quanto una controversia sul preciso contributo dell'esperienza" (p. 99). La conclusione dell'analisi, sulla base delle ricerche neurobiologiche, è ancora più esplicita: "Apprendimento e sviluppo sono due facce della stessa medaglia. Non possiamo apprendere prima di possedere delle sinapsi.E non appena le sinapsi cominciano a formarsi sulla base di istruzioni intrinseche, sono suscettibili di essere influenzate dalle nostre esperienze del mondo esterno. I geni, l'ambiente, la selezione, l'istruzione, l'apprendimento - tutto contribuisce alla strutturazione del cervello e alla formazione del Sé emergente attraverso la connessione delle sinapsi. Sebbene alla fine l'estesa plasticità presente in età precoce si arresti, le nostre sinapsi non cessano di modificarsi, ma restano impercettibilmente suscettibili di cambiamento per mezzo dell'esperienza" (p. 134).

In ambito psichiatrico, la valorizzazione del ruolo della plasticità sinaptica è importante per due aspetti. Il primo è che essa induce a contestare le rozze ipotesi avanzate dalla neuropsichiatria in rapporto alla schizofrenia, secondo le quali almeno alcune forme sarebbero da ricondurre a difetti neurogenetici precoci determinati geneticamente. Se anche infatti queste ipotesi, per ora solo presuntive, dovessero essere avvalorate da dati sperimentali, esse verrebbero comunque ad urtare contro due possibili contestazioni. La prima, avanzata da tempo, verte sulla impossibilità di spiegare un'evoluzione della personalità che, fino all'avvento della malattia, dall'adolescenza in poi, procede sul piano di un'assoluta normalità per quanto concerne le prestazioni intellettive, emozionali e comportamentali. La seconda, di matrice neurobiologica, consisterebbe nel chiedersi come mai i difetti neurogenetici non sono compensati dalla plasticità sinaptica, che è esuberante nelle fasi precoci dello sviluppo.

Un secondo aspetto, forse ancora più importante, è legato agli effetti della psicoterapia. In molti casi, è assolutamente evidente che la ricostruzione e l'elaborazione delle memorie, l'interpretazione dei vissuti, delle emozioni e delle convinzioni coscienti e inconsce determina dei cambiamenti che danno luogo ad una nuova Weltanschauung. I soggetti, in altri termini, si ritrovano a sentire, pensare ed agire in maniera molto diversa rispetto a prima. Un cambiamento del genere, probabilmente, non sarebbe possibile senza la plasticità sinaptica ed è difficile da interpretare se non nei termini di una riorganizzazione dei circuiti interneuronali. Sentire, pensare ed agire in una maniera che implica il superamento di un conflitto psicodinamico esprime, in ultima analisi, un cambiamento della struttura cerebrale che è causa ed effetto di una migliore integrazione tra coscienza e inconscio, livelli cognitivi e livelli emozionali. L'incidenza di una relazione interpersonale sulla struttura e sulla funzionalità del cervello è forse la prova più rilevante della plasticità sinaptica e del ruolo dell'ambiente.

3.

L'analisi delle ricerche sulle funzioni fondamentali dell'attività cerebrale - cognizione, emozione, motivazione - porta Le Doux a conclusioni di grande interesse. Una prima conclusione è che "una mente non è, come la scienza cognitiva ha tradizionalmente ipotizzato, semplicemente una macchina pensante. E' piuttosto un sistema integrato che include, nei termini più generali possibili, reti sinaptiche, dedite a funzioni cognitive, emozionali e motivazionali. Cosa ancora più importante, implica interazioni tra reti coinvolte in differenti aspetti della vita mentale" (p. 359). E' difficile minimizzare un'affermazione del genere. Essa ripropone il cervello e la mente, che sono due facce della stessa medaglia, come un sistema dinamico, integrato, nella cui attività pensiero, emozione e motivazione s'intrecciano secondo modalità le più complesse.Per quanto non abbia senso definire una gerarchia tra le diverse funzioni, una lettura attenta del capitolo ottavo (sul cervello emotivo) lascia scarsi dubbi riguardo al fatto che le emozioni rappresentino l'aspetto più continuo e pervasivo dell'attività mentale umana, che ne è totalmente influenzata. Questo rivaluta in una certa misura la psicoanalisi che ha sempre rivendicato il primato mentale dell'emozionalità e dell'affettività.

Tale rivalutazione è amplificata da un'ulteriore conclusione: "Molto di ciò che noi umani facciamo è influenzato da processi che esulano dalla consapevolezza. La coscienza è importante, ma lo sono altrettanto i processi sottostanti di tipo cognitivo, emozionale e motivazionale che sono all'opera inconsciamente" (p. 360).

L'inconscio cui fa riferimento Le Doux non è ovviamente quello psicoanalitico. La neurobiologia ovviamente, per le tecniche di ricerca che adotta, non può andare al di là di una definizione descrittiva dell'inconscio, che nulla dice sulla sua struttura e sulle logiche del suo funzionamento. Nella misura però in cui conferma che una parte rilevante dell'attività mentale, decisiva peraltro non con riferimento a ciò che pensiamo ma a ciò che di fatto siamo, si svolge al di fuori della coscienza, la neurobiologia offre alla psicologia (nonché alla psicopatologia) dinamica la possibilità di accreditarsi se essa riesce ad elaborare un paradigma compatibile con i dati neurobiologici.

Questo riesce chiaro anche dal capitolo decimo ove Le Doux affronta il problema delle malattie mentali all'insegna di un titolo significativo: La malattia sinaptica. Il titolo è un'implicita contestazione del dogma di fondo della neopsichiatria, secondo il quale i disturbi mentali sono sostanzialmente riconducibili "a squilibri biochimici all'interno del cervello" (p. 362). Tale dogma viene contestato in questi termini: "Gli stati mentali non sono costituiti da molecole isolate e neppure da una combinazione di molecole. (Essi) sono piuttosto spiegati da complessi pattern di elaborazione dell'informazione in e tra circuiti neurali sinapticamente interconnessi. Sostanze chimiche intervengono nella trasmissione sinaptica e nella regolazione o modulazione della stessa, ma è il pattern di trasmissione all'interno dei circuiti, più che le particolari sostanze chimiche coinvolte, a determinare lo stato mentale… I cambiamenti sinaptici, non le molecole, sono alla base della malattia mentale" (p. 363). Se questo è vero, riesce immediatamente evidente che, così come oggi non ha senso una teoria puramente psicogenetica della malattia mentale, non ha neppure senso una teoria biologica che escluda l'incidenza della storia e dell'esperienza soggettiva, che è un fattore essenziale nell'organizzazione sinaptica del cervello umano.

Occorre dunque procedere necessariamente verso un modello psicosomatico della malattia mentale. Tale modello non deve né può tradursi in una messa al bando degli psicofarmaci. Nella misura però in cui questi possono agire solo sui neurotrasmettitori e sui neuromodulatori, e non incidere sugli assemblaggi sinaptici, è evidente che il loro ruolo è e non può essere che sintomatico. Si può al limite ammettere che essi, in alcuni casi, disconnettendo dei circuiti neuronali o incidendo sul tono dell'umore, possano riabilitare in qualche misura la plasticità sinaptica e rendere il soggetto sensibile a nuove esperienze. Ma se si considera il fatto che gli assemblaggi sinaptici più persistenti sono legati ad esperienze, consce e inconsce, di grande significato emozionale e motivazionale, vale a dire a memorie a carattere interpersonale talora profondamente radicate nella soggettività, riesce evidente che la possibilità di cambiamenti strutturali e radicali, di ordine sinaptico e psicologico ("circuiti cerebrali ed esperienze psicologiche non sono due cose distinte, ma due modi diversi di descrivere la stessa cosa" p. 364), riposa su di un intervento psicoterapeutico. Le Doux non giunge ad una conclusione così radicale. Egli si limita a dire che "il farmaco, il terapeuta e il paziente sono partner nel processo di riorganizzazione sinaptica chiamato terapia, con i farmaci che attaccano il problema dal basso verso l'alto, il terapeuta dall'esterno all'interno e il paziente che, con alti e bassi, conquista il suo sé sinaptico" (p. 418). Ma il suo discorso implica che se lavorare solo dall'esterno può essere in alcuni casi rischioso, lavorare solo dall'alto verso il basso è quasi sempre errato perché le organizzazioni sinaptiche hanno una configurazione "storica" all'interno di ogni esperienza personale. Non è certo per caso che, nell'ultimo capitolo, egli scrive: "la maggior parte delle volte il cervello tiene insieme il Sé in modo abbastanza efficiente. Ma quando cambiano le connessioni, può cambiare anche la personalità. Che il Sé sia un'entità tanto fragile è sconcertante. Allo stesso tempo, se il Sé può essere disgregato da esperienze che inducono un'alterazione delle connessioni, verosimilmente potrà essere riorganizzato da esperienze che stabiliscono, modificano o rafforzano connessioni. Un'importante sfida per il campo delle neuroscienze è rappresentata dalla scoperta di come manipolare il cervello in modo che pazienti con disturbi mentali possano, da soli o con l'aiuto di un terapeuta, cercare di ripristinare la coesione sinaptica del Sé" (p. 427 - 428).

4.

Il libro di Le Doux contesta implicitamente l'affermazione della neopsichiatria secondo la quale le scienze neurobiologiche avrebbero fornito prove inconfutabili sulla natura sostanzialmente biologica della malattia mentale. Esso non è incompatibile con un'impostazione organicistica, a patto però che questa prescinda dalle ipotesi strettamente chimiche e riesca a valutare il ruolo e il peso dell'esperienza individuale. Per molti aspetti, però, Il Sé sinaptico sembra assegnare una maggiore validità ad un paradigma psicosomatico. Mi si consentirà di affermare che il modello psicopatologico struttural-dialettico, in quanto biopsicosociostorico, può porsi, in quest'ottica, come altamente competitivo.

Giugno 2003