Gerald M. Edelman

Seconda natura

Scienza del cervello e conoscenza umana

Raffaello Cortina, Milano 2006

1.

Nell‘articolo introduttivo alla Sezione delle Neuroscienze ho scritto:

“C'è un difetto di fondo nelle neuroscienze quando esse affrontano il problema delle funzioni psichiche superiori: quello di considerarle espressive dell'attività di un cervello isolato. Si tratta di un difetto sorprendente se si tiene conto del fatto che molti neuroscienziati sono convinti che il salto dall'attività mentale degli animali superiori a quella umana sia dovuta al linguaggio. Certo, ogni uomo è dotato della capacità di apprendere una lingua e di usarla per esprimere i suoi contenuti psichici, casomai anche creativamente. Ma questa potenzialità in tanto si realizza e consente di parlare in quanto il soggetto è immerso in un ambiente sociale…

Sembra una banalità, e invece è un nodo di fondo epistemologico. Un cervello isolato, quello a cui fanno riferimento i neuroscienziati per risolvere il problema delle funzioni psichiche superiori, è un'astrazione: non esiste, e se esistesse sarebbe un cervello dotato di potenzialità inespresse e, forse, atrofizzate. Un cervello strutturalmente umano, ma funzionalmente infraumano.

Il misteri della coscienza, del linguaggio, del pensiero, delle emozioni, della memoria non potranno mai essere risolti prescindendo dall'esperienza sociale e da quella culturale.”

Da allora, se si fa eccezione per la scoperta dei neuroni specchio, che ha posto in luce l’importanza dell’intersoggettività e dell’empatia, non sono stati fatti molti passi in avanti.

Tra i grandi neuroscienziati attualmente attivi - Changeux, Didier Vincent, Edelman, le Doux, Damasio - solo quest’ultimo ha dato un certo spazio alle emozioni sociali, ma in un’ottica strettamente riferita alla funzione di regolazione dei rapporti interpersonali.

C’è un certo affanno, nell’ambito delle neuroscienze, per pervenire alla soluzione dell’antico problema della dicotomia cartesiana tra corpo e mente e fornire una teoria del funzionamento della coscienza di ordine naturalistico. Con Changeux, Edelman è il più anziano promotore di un progetto del genere.

Non è un caso che essi siano pervenuti entrambi di recente a coronare la loro produzione con due saggi (rispettivamente L’uomo di verità, 2002, e, appunto, La seconda natura) che tentano di fornire una teoria naturalistica della conoscenza, dal livello dell’esperienza quotidiana a quello della scienza e della creatività.

Altrove, ho sottolineato che le neuroscienze sempre più apertamente assumono una dimensione filosofica, cercando di colmare lo scarto, inauguratosi con Cartesio e esplicitato, tra gli altri, da Dilthey, tra scienze della natura e scienze dello spirito. Quest’intento è del tutto esplicito in Edelman, che, già nell’Introduzione, scrive:

“Tra la scienza e le discipline umanistiche, tra le cosiddette scienze “dure” come la fisica e le scienze dell'uomo come la sociologia, esiste una separazione...

È da molto tempo che mi arrovello per capire il divario tra le spiegazioni scientifiche e l'esperienza quotidiana, sia considerata in un'ottica individuale sia storicamente contestualizzata. La separazione tra la scienza e le discipline umanistiche è inevitabile? Le scienze dell'uomo si possono mai conciliare con le scienze dure?” (XVI)

Il nodo, come noto, riguarda la possibilità di far rientrare tutti i fenomeni mentali nella cornice di un monismo che elimina la barriera che si dà tra fisico e psichico. E’ proprio questo nodo che Edelman intende affrontare:

“Alcuni non credono che una spiegazione scientifica della coscienza possa avere conseguenze importanti. Le osservazioni che presento qui non sono rivolte in modo specifico agli scettici; comunque, spero che inducano qualcuno almeno a prendere in considerazione il punto di vista contrario. Partirò da un assunto forte, provando a dare per scontato che abbiamo una teoria scientifica soddisfacente della coscienza che si basa sull'attività cerebrale. Che cosa significherebbe?

In primo luogo, una tale teoria scientifica della coscienza chiarirebbe la relazione tra eventi mentali ed eventi fisici, e farebbe luce su alcuni problemi filosofici mai risolti. Non dovremmo più considerare degni di interesse il dualismo, il panpsichismo, il misterianismo e le forze fantomatiche. Si risparmierebbe tempo, quanto meno. Chiarendo questi problemi, inoltre, avremmo una visione più chiara del nostro posto nell'ordine naturale. Potremmo avvalorare l'idea di Darwin che la mente umana è il risultato della selezione naturale e quindi completare il suo programma.

Ne ricaveremmo anche una miglior comprensione delle basi delle illusioni umane, utili o meno. Una delle illusioni che vorrei dissipare è l'idea che il nostro cervello sia un computer e che la coscienza possa emergere da una computazione. Una buona teoria della coscienza potrebbe anche chiarire il posto dei valori in un mondo difatti. In relazione a questi due punti, una teoria basata sul cervello sarebbe molto utile per capire le sindromi e le malattie psichiatriche e neuropsicologiche.

Un altro punto collegato è che una teoria basata sul cervello potrebbe contribuire alla comprensione della creatività. Potrebbe persino gettar luce sul rapporto tra le descrizioni oggettive derivate dalle scienze "dure" e le questioni normative che emergono nell'estetica e nell'etica. Nella stessa misura, potrebbe aiutarci ad annullare la separazione tra scienza e discipline umanistiche.

Realizzare questi obiettivi potrebbe soprattutto contribuire alla formulazione di un'epistemologia fondata sulla biologia - una spiegazione della conoscenza che metta in relazione la verità con l'opinione e la credenza, e il pensiero con l'emozione, inserendo alcuni aspetti della soggettività dovuta al cervello in un'analisi della conoscenza umana.” (pp. 6-7)

Edelman è consapevole che per realizzare appieno il progetto di un’epistemologia fondata sulla biologia occorrerà pervenire ad una conoscenza più profonda del funzionamento cerebrale di quella attualmente raggiunta. Nondimeno, egli ritiene che i dati disponibili siano già sufficienti ad operare un tentativo in tale direzione.

Occorre, dunque, valutare analiticamente le argomentazioni con cui egli lo opera e le conclusioni cui perviene.

2.

Per portare avanti un discorso biologico sulla coscienza, occorre anzitutto definire questa misteriosa dimensione:

“Implicitamente sappiamo tutti che cos'è la coscienza. E’ ciò che perdiamo entrando in un sonno profondo senza sogni e nel caso, meno comune, di anestesia generale o di coma. Ed è quel che riacquistiamo emergendo da tali stati. Nello stato di veglia cosciente facciamo esperienza di una scena unitaria variamente composta da risposte sensoriali ‑ percezioni visive, uditive, olfattive e così via ‑ oltre che da immagini, ricordi, toni affettivi ed emozioni, una sensazione di volontà o agentività, un senso di collocazione nell'ambiente e altri aspetti della consapevolezza. Essere coscienti è un'esperienza unitaria nel senso che in nessun momento possiamo essere completamente coscienti di un'unica cosa con la totale esclusione di altre. Però, possiamo dirigere la nostra attenzione su vari aspetti di una scena meno globale, ma comunque unitaria. In breve tempo, in una qualche misura la scena varierà e, pur continuando a essere integrata, si differenzierà, producendo una nuova scena. Il fatto straordinario è che, a quanto pare, il numero di queste scene di cui facciamo esperienza privatamente è illimitato. Le transizioni sembrano continue e, se le si considera in tutti i dettagli, sono private, sono esperienze soggettive che si fanno in prima persona.

Gli stati coscienti riguardano spesso oggetti ed eventi, e questa proprietà viene detta intenzionalità. Non è però una proprietà che mostrano sempre e inevitabilmente: uno stato cosciente, per esempio, può riguardare uno stato d'animo. Spesso c'è una "frangia" di consapevolezza marginale, come William James ha chiamato certi stati appena percepiti. Gli stati coscienti possono anche comportare la consapevolezza dell'azione o della volontà di agire.

La proprietà più comunemente descritta come particolarmente misteriosa è l'aspetto fenomenico della coscienza, l'esperienza dei qualia. La verdezza del verde e il calore del caldo sono esempi di qualia. Tuttavia, molti studiosi della materia, me compreso, vanno al di là di queste semplici qualità e considerano come qualia tutto l'insieme di scene coscienti o esperienze.

A giudizio di molti, la spiegazione dei qualia è la prova del nove per una teoria della coscienza. Come possiamo spiegare non solo i qualia ma tutte le altre caratteristiche della coscienza? La soluzione che propongo consiste nell'indagare come funziona il cervello, formulando una teoria globale del cervello che si possa ampliare fino a spiegare la coscienza.

Prima di procedere in tal senso, tuttavia, occorre tracciare un'altra distinzione, che si rivelerà utile. Noi esseri umani sappiamo com'è essere coscienti. Inoltre, siamo coscienti di essere coscienti e possiamo riferire la nostra esperienza. Anche se non possiamo fare esperienza della coscienza dei membri di altre specie, supponiamo che animali come i cani siano coscienti. Questa nostra congettura si basa sul loro comportamento e sulla stretta somiglianza tra il loro cervello e il nostro. A questi animali, tuttavia, di solito non attribuiamo la coscienza della coscienza.

Questa è la base per un'utile distinzione. I cani e altri mammiferi, se sono consapevoli, sono dotati di coscienza primaria, ovvero hanno l'esperienza di una scena unitaria in un intervallo di tempo di non più di qualche secondo, che io chiamo il "presente ricordato" ‑ un po' come l'illuminazione di una stanza buia data dal fascio di luce di una torcia elettrica. Anche se sono consapevoli degli eventi in corso, gli animali dotati di coscienza primaria non sono coscienti di essere coscienti e non hanno un concetto di passato o di futuro, e neanche un sé nominabile.

Per concepire tali astrazioni è necessario essere dotati di coscienza di ordine superiore e a tal fine occorre avere capacità semantiche o simboliche. Gli scimpanzé ne sembrano dotati, sebbene solo a un livello rudimentale, mentre negli esseri umani, che hanno una sintassi e un vero linguaggio, sono capacità pienamente sviluppate.” (pp. 12-13)

Come si originano la coscienza primaria, comune a molti animali superiori, e l’autoconsapevolezza, esclusivamente (o quasi) umana? Prima di esporre le sue idee a riguardo, opportunamente Edelman ribadisce la sua avversione ad ogni tentativo di identificare il cervello con una macchina computazionale scrivendo:

“E’ una convinzione sbagliata per diverse ragioni. Anzitutto, il computer funziona utilizzando la logica e l'aritmetica e seguendo cicli rapidissimi scanditi da un orologio. Come vedremo, il cervello non agisce seguendo regole logiche. Per funzionare, inoltre, un computer deve ricevere segnali di ingresso non ambigui. Ma i segnali che giungono ai vari recettori sensitivi del cervello non sono organizzati in questo modo; il mondo (che non è già suddiviso in categorie prestabilite) non è uno spezzone di nastro codificato. In secondo luogo, i dettagli più minuti dell'organizzazione cerebrale […] sono enormemente variabili. Via via che le correnti neurali si sviluppano, le diverse esperienze individuali lasciano impronte tali da far sì che due cervelli non siano mai identici, neanche nel caso di gemelli monozigotici. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che, nel corso dello sviluppo e del formarsi delle strutture anatomiche, i neuroni che scaricano insieme si cablano insieme. Inoltre, nulla indica l'esistenza di un programma composto di procedure efficaci per il controllo degli ingressi, delle uscite e del comportamento del cervello. L'intelligenza artificiale non funziona nei cervelli veri. I segnali inviati dal nostro cervello, per quanto possano sembrare regolari, non sono governati da una logica né da un orologio preciso.

Da ultimo, è opportuno sottolineare che nasciamo con un numero di geni insufficiente per specificare la complessità sinaptica di cervelli superiori come il nostro. Com'è ovvio, il fatto che abbiamo un cervello umano e non un cervello di scimpanzé dipende invece dalle nostre reti genetiche. Ma queste, come le reti cerebrali, sono enormemente variabili poiché le loro diverse forme di espressione dipendono dal contesto ambientale e dall'esperienza personale.

Se il cervello dei mammiferi non è un computer, che cos'è? Come funziona?” (pp.17-18)

La risposta di Edelman, che coincide con le conclusioni di un lungo lavoro teorico e sperimentale, è il selezionismo, vale a dire l’applicazione all’organizzazione neuronale del principio darwiniano per cui “la variazione in una popolazione non è solo rumore, ma di fatto fornisce il substrato per la selezione e la possibile sopravvivenza.” (p. 22) Secondo Edelman tale principio può essere applicato anche alla popolazione dei neuroni, dando luogo alla teoria del “darwinismo neuronale”:

“La teoria si fonda su tre principi. Il primo è che lo sviluppo dei circuiti neuronali nel cervello produce un'enorme variazione anatomica microscopica che è la conseguenza di un processo di selezione continua. Una delle forze principali che guidano questa selezione nello sviluppo è data dal fatto che, persino nel feto, i neuroni che scaricano insieme si cablano insieme. Per esempio, due neuroni distanti tra loro creeranno connessioni sinaptiche se le loro configurazioni di scarica sono correlate nel tempo.

Il secondo principio è che quando il repertorio di circuiti anatomici che si formano riceve segnali provocati dal comportamento o dall'esperienza dell'animale ha luogo anche un altro insieme di eventi selettivi. Questa selezione esperienziale si realizza mediante cambiamenti della forza delle sinapsi già esistenti nell'anatomia cerebrale: alcune sinapsi si rafforzano e altre si indeboliscono. E’ come se in alcune sinapsi il passaggio dei segnali dall'assone ai dendriti venisse agevolato e in altre ostacolato. Le risultanti combinazioni di vie di segnalazione utilizzabili sono molto numerose, come i gruppi neuronali che costituiscono gli elementi selezionati.

II risultato finale della selezione nello sviluppo e della selezione esperienziale è che alcuni circuiti neuronali sono favoriti rispetto ad altri. Avendo però abbandonato il computer con la sua logica e il suo orologio, come si fa a ottenere un comportamento coerente dal sistema? E che cosa influenza il sistema in modo che produca risposte adattative? Il primo problema viene risolto dal terzo principio della teoria, che propone un processo chiamato rientro. Il rientro è la segnalazione incessante da una certa regione cerebrale (o mappa) a un'altra e poi di nuovo alla prima lungo fibre massicciamente parallele (assoni) che sappiamo essere onnipresenti nei cervelli superiori. Le vie di segnalazione rientranti cambiano costantemente di pari passo con il pensiero .

L'effetto finale di questo traffico rientrante è la scarica sincronizzata di gruppi neuronali in particolari circuiti. E’ così che si ottiene la coordinazione nel tempo e nello spazio che altrimenti dovrebbe essere garantita da qualche forma di computazione. Per capire come funziona il rientro, consideriamo un ipotetico quartetto d'archi composto da musicisti indisciplinati, ognuno dei quali suona la propria parte con un ritmo diverso. Ora colleghiamo i corpi dei suonatori con fili molto sottili (un gran numero di fili per ogni parte del corpo). Ogni suonatore, mentre si muove, segnalerà inconsapevolmente agli altri i propri movimenti. In breve tempo, il ritmo e in una certa misura le melodie diventeranno più coerenti. II processo continuerà, producendo nuovi risultati coerenti. Qualcosa del genere avviene anche nelle improvvisazioni jazz, ovviamente senza fili!

Per risolvere il problema dei comportamenti adattativi, la teoria della selezione dei gruppi neuronali (TSGN), o darwinismo neurale, pone un'ulteriore condizione: affinché l'adattamento possa avere successo, deve esistere una qualche propensione che regola il risultato della selezione nello sviluppo e della selezione esperienziale coordinate dal rientro. Anzi, in ogni specie questa propensione viene ereditata in forma di sistemi di valore presenti nel cervello per effetto della selezione naturale. Ciascuno di questi sistemi di valore in certe particolari circostanze rilascia un tipo di neurotrasmettitore o di neuromodulatore...

La combinazione delle attività dei sistemi di valore, insieme ai cambiamenti sinaptici selettivi in reti specifiche di gruppi neuronali, governa il comportamento. La selezione nell'ambito di queste reti determina le categorie del comportamento di un singolo animale; i sistemi di valore forniscono le propensioni e le ricompense.

Dunque, il cervello ha un generatore di diversità (GOD), riceve segnali provenienti da un mondo sconosciuto attraverso i suoi repertori di gruppi neuronali e facilita l'amplificazione differenziale delle connessioni di quei gruppi di neuroni che sono adattativi. Se ne conclude che il nostro cervello è un chiaro esempio di sistema selettivo. Si osservi che, dati i principi del darwinismo neurale, ogni cervello è necessariamente unico quanto a struttura anatomica e a dinamica. Neanche due gemelli monozigotici hanno lo stesso identico cervello...

Vi è un ultimo concetto necessario per dar conto di questo richiamo associativo: i circuiti cerebrali sottoposti a selezione devono essere degenerati. La degenerazione indica situazioni in cui strutture diverse possono produrre lo stesso risultato o conseguenza...

La degenerazione si osserva in molti livelli dell'organizzazione biologica, dalle proprietà delle cellule fino a quelle del linguaggio. Senza questa caratteristica essenziale, molto probabilmente i sistemi selettivi non funzionerebbero. Si può quindi immaginare che, nella percezione e nella memoria, molti circuiti diversi di gruppi neuronali possano produrre e in effetti producano un risultato simile. Se un certo circuito smette di funzionare, è probabile che se ne attivi un altro. L'importanza di questa osservazione va al di là delle proprietà che garantiscono il buon funzionamento dei circuiti degenerati: la degenerazione dei circuiti cerebrali porta quasi inevitabilmente all'associazione, una proprietà fondamentale necessaria per la memoria e l'apprendimento. Questa proprietà associativa si realizza a causa dell'esistenza di una parte comune tra i circuiti degenerati diversi che producono un risultato simile. Se il segnale di ingresso cambia, l'esistenza di quella parte comune può avere come conseguenza anche l'associazione con circuiti diversi che producono risultati differenti.

Una teoria selezionistica come il darwinismo neurale presuppone necessariamente repertori di gruppi neuronali di enorme varietà. Una tale teoria spiega come le combinazioni di tali gruppi si possano collegare dando origine a insiemi integrati in funzione dei vari segnali di ingresso provenienti dal corpo, dal mondo e dal cervello stesso.” (pp. 24-28 passim)

Sulla base di questi principi, Edelman ritiene possibile “fornire una descrizione plausibile del modo in cui la coscienza è emersa nell’evoluzione:

“I dati indicano che la coscienza è implicata dall'attività rientrante tra aree corticali e talamo e dall'interazione della corteccia con se stessa e con le strutture subcorticali. Secondo quanto propone la teoria, al momento della comparsa della coscienza primaria nell'evoluzione, il sistema talamocorticale aveva subito un notevole sviluppo, accompagnato dalla crescita del numero di nuclei talamici specifici e dall'aumento delle dimensioni della corteccia cerebrale...

Gli animali che avevano sviluppato un insieme di circuiti rientranti degenerati che collegava molte regioni corticali potevano operare un numero enorme di discriminazioni e distinzioni. Per esempio, potevano congiungere parecchi segnali sensoriali e creare molte categorizzazioni percettive, collegandole in varie combinazioni alla memoria. In questa concezione, la coscienza primaria emerge dall'attività rientrante che collega la categorizzazione percettiva alla memoria categoria-valore. La configurazione di attività integrativa in questa rete neuronale talamocortjcale rientrante, detta "nucleo dinamico", crea una scena nel presente ricordato della coscienza primaria, una scena che permette all'animale di elaborare piani d'azione. Chiaramente, nella misura in cui può farlo, un tale animale cosciente avrebbe un vantaggio adattativo rispetto ad animali privi di capacità discriminatorie altrettanto estese. Il sistema di memoria in un tale animale cosciente è influenzato dai sistemi di valore e dai cambiamenti sinaptici selezionati in base alle precedenti esperienze categoriali. E’ probabile che un sistema di memoria di questo genere sia mediato da regioni corticali anteriori, come la corteccia frontale e quella parietale, e che invece l'incessante processo di percezione sia consentito da regioni corticali posteriori.

La coscienza è un processo che consiste in un'enorme varietà di qualia, le discriminazioni implicate dall'attività straordinariamente distribuita e dinamica del nucleo talamocorticale. In questa attività, il cervello parla soprattutto a se stesso. Va sottolineato che il punto fondamentale è l'interazione dei vari sistemi nel nucleo. Pertanto, è necessario fare molta attenzione a non attribuire la coscienza a una regione specifica.

Una volta compreso che a produrre la coscienza fenomenica è l'attività rientrante selettiva di gruppi di neuroni nel nucleo, viene meno la necessità di ricorrere al dualismo. Anche se è un processo di per sé privo di poteri causali, la coscienza è implicata in modo preciso e attendibile dalle complesse attività e dai poteri causali dei gruppi neuronali che compongono il nucleo rientrante. Inoltre, sin dalle prime fasi di sviluppo, i segnali dal corpo al cervello e dal cervello a se stesso preparano il terreno per l'emergere di un sé. Anche questo sé, come la coscienza, è un processo; per fare riferimento ai propri ricordi dipende dall'esperienza cosciente e questa arricchisce la comunicazione con altri individui della stessa specie.

Nel caso della coscienza primaria, ovviamente, la consapevolezza e la pianificazione cosciente sono limitate al presente ricordato. Un animale dotato di coscienza primaria non ha un concetto di passato in forma di narrazione esplicita, non può pianificare in maniera approfondita uno scenario per un futuro distante e non ha un sé sociale nominabile.

Affinché possano comparire questi tratti deve aver luogo un altro evento evolutivo, che ancora una volta coinvolge connessioni rientranti. A un certo punto dell'evoluzione dei primati superiori, si è sviluppato un nuovo insieme di vie reciproche, che ha realizzato connessioni rientranti fra mappe concettuali del cervello e aree capaci di riferimento simbolico o semantico. E’ noto che gli scimpanzé si possono addestrare a riconoscere e usare simboli, quindi gli scimpanzé dotati di qualche capacità semantica potrebbero possedere un barlume di coscienza di ordine superiore. Per raggiungere il suo pieno sviluppo, tuttavia, la coscienza di ordine superiore ha dovuto attendere il momento dell'evoluzione umana in cui è comparso il linguaggio vero e proprio. Ne è emersa la possibilità di essere coscienti della coscienza. E’ diventato possibile fare riferimento a un lessico, i cui elementi potevano essere collegati attraverso una sintassi, e ne sono sorti ricchi concetti del passato, del futuro e di un sé sociale. La coscienza non era più limitata al presente ricordato: era possibile la coscienza della coscienza.

Secondo il darwinismo neurale, il rientro nel nucleo dinamico, che è una rete enormemente complessa distribuita fino al talamo e in tutta la corteccia, è stato il principale evento integrativo che ha portato all'emergere dell'esperienza cosciente. Questa rifletteva le enormi capacità di discriminazione rese possibili da differenti stati complessi del nucleo. Tali stati comportavano necessariamente l'integrazione di numerosi aspetti di una scena unitaria. Nel corso del tempo, per effetto di miriadi di segnali dal cervello stesso, dal corpo e dal mondo, si differenziano e si sviluppano nuovi stati del nucleo e nuove scene unitarie.

Mentre consideriamo tale quadro, non dobbiamo dimenticare che gran parte del comportamento è determinata da interazioni inconsce tra parti subcorticali del cervello e la corteccia. Molte delle risposte inconsce che stanno alla base delle abitudini e del comportamento appreso, tuttavia, devono già essersi instaurate grazie a distinzioni coscienti mediate dal nucleo. Le interazioni tra sistemi del nucleo, sistemi di memoria inconscia e segnali provenienti dai sistemi di valore rendono conto congiuntamente della ricchezza del comportamento umano...

Gli stati coscienti sono unitari, ma cambiano periodicamente nel corso del tempo. Hanno una vasta gamma di contenuti e un ampio accesso. Sono soggetti alla modulazione dell'attenzione e, anche se per lo più manifestano intenzionalità, ovvero riguardano oggetti o eventi, non esauriscono tutti gli aspetti dei domini a cui si riferiscono. Soprattutto, implicano sensazioni soggettive o qualia. La mia tesi è che l'evoluzione di un sistema talamocorticale rientrante capace di dare origine al nucleo dinamico avrebbe consentito l'integrazione di complessi di segnali sensoriali e motori molto più ampi. Gli animali dotati di un tale nucleo, quindi, erano capaci di sottili discriminazioni. I qualia non sono altro che queste discriminazioni, ciascuna delle quali è implicata da un diverso stato del nucleo. In breve, gli stati consci riflettono l'integrazione di stati neurali nel nucleo... (pp. 33-37 passim)

3.

Secondo Edelman, il selezionismo “offre un fondamento per la costruzione di un’epistemologia basata sul cervello” (p. 48):

“Un'epistemologia siffatta dev'essere fondata sull'evoluzione ‑ cioè sulla selezione naturale. E’ un punto fondamentale, che però non va confuso con gli assunti di base dell'epistemologia evoluzionistica, di cui si è appena parlato: indica semplicemente il fatto che tutti i meccanismi cerebrali che abbiamo discusso sono emersi nel corso dell'evoluzione di Homo sapiens. Può sembrare ovvio, se non banale; tuttavia, ha alcune conseguenze importanti. Una è che il cervello, come struttura fondamentale per l'elaborazione della conoscenza, non è stato progettato per la conoscenza. L'evoluzione è potente e opportunistica, ma non è intelligente né istruzionistica...

Come ho già suggerito, il cervello umano è un sistema basato sulla selezione e non su istruzioni. Nel corso dell'evoluzione, il cervello di Homo sapiens ha raggiunto molto rapidamente le sue attuali dimensioni: dai tempi degli australopitechi, all'incirca tre milioni e mezzo di anni fa, a oggi il suo volume è triplicato. Il contributo più cospicuo a questo accrescimento è stato dato dallo sviluppo della corteccia prefrontale, la parte del cervello che è essenziale per il giudizio e la pianificazione. L'evoluzione di connessioni rientranti ha dotato i vertebrati, i mammiferi e infine gli esseri umani, del principio organizzativo più importante per l'acquisizione della conoscenza. Poiché gran parte dello sviluppo cerebrale è stocastico ed epigenetico ‑ ossia è fortemente influenzato dal fatto che i neuroni che scaricano insieme si cablano insieme ‑ non esistono due cervelli identici, neanche nel caso di gemelli monozigotici. Pertanto, quando si analizzano la struttura e il funzionamento del cervello umano, occorre tenere conto della storia dettagliata, anzitutto nel corso dell'evoluzione e poi nello sviluppo cerebrale del singolo individuo.

I cambiamenti epigenetici e storici nella formazione delle mappe cerebrali sono fortemente influenzati dai segnali provenienti dal corpo e dall'ambiente. Questo è vero tanto nello sviluppo del feto quanto in quello postnatale. Per esempio, il sistema propriocettivo di un feto maturo è in grado di distinguere i movimenti autogenerati da quelli imposti dall'esterno. Dopo la nascita e durante lo sviluppo infantile, nelle popolazioni sinaptiche del sistema nervoso centrale avvengono enormi cambiamenti dovuti a eventi selettivi. Questi cambiamenti raggiungono momenti culminanti nei periodi critici dello sviluppo...

Anche dopo che si sono costituiti gli elementi principali della neuroanatomia dell'adulto, i confini delle mappe corticali possono cambiare radicalmente, a seconda dei segnali provenienti dal corpo e dall'ambiente. Un esempio classico è dato dalle mappe somatosensoriali della corteccia cerebrale che mediano il tatto. Un aumento del numero dei segnali provenienti dai recettori di specifiche dita non porterà solo all'espansione delle aree corticali somatosensoriali che rispondono ai segnali provenienti da queste dita, ma produrrà una modifica dei confini anche per l'intera mano. E’ in questo modo, per esempio, che nei violinisti le mappe corticali che rispondono ai segnali della mano sinistra si espandono in misura notevole.

Questa visione dinamica e ciò nondimeno storica dello sviluppo del cervello è in accordo con la teoria della selezione dei gruppi neuronali…

Non solo la struttura fine di ogni cervello è unica, è anche vero che i principi del darwinismo neurale portano direttamente al concetto di degenerazione: strutture cerebrali diverse possono svolgere la stessa funzione o portare allo stesso risultato.

Che cosa implicano queste osservazioni in relazione all'epistemologia? Anzitutto, le caratteristiche storiche, epigenetiche e degenerate del complesso cervello dell'uomo dipendono dai segnali provenienti dal corpo e dall'ambiente e, soprattutto, dall'azione… La teoria afferma che i sistemi sensoriali e motori sono entrambi necessari per lo sviluppo di categorie percettive.

In secondo luogo, l'idea che il rientro sia essenziale per lo sviluppo e il funzionamento del cervello pone l'accento non solo sull'azione, ma anche sull'interazione delle aree cerebrali. In un cervello selettivo la memoria, la capacità di creare immagini mentali e il pensiero stesso dipendono tutti dal fatto che il cervello "parla a se stesso" mediante il rientro.

In terzo luogo, applicando i princìpi del darwinismo neurale potremmo chiarire le mistificazioni sulla coscienza e ampliare in tal modo le ragioni a favore di un'epistemologia naturalizzata. La coscienza è comparsa nell'evoluzione dei vertebrati quando sono emerse le connessioni rientranti del sistema talamocorticale che collega i sistemi di memoria anteriori che trattano i valori ai sistemi corticali posteriori dedicati alla percezione. La conseguenza è stata un enorme aumento delle capacità discriminatorie per effetto di miriadi di integrazioni tra i circuiti rientranti che costituiscono il nucleo dinamico. I qualia, implicati da queste interazioni neuronali, sono queste varie discriminazioni. Gli animali dotati di tali strutture cerebrali dinamiche discriminative avevano un evidente vantaggio, in particolare nella pianificazione di risposte adattative nell'ambito della raccolta del cibo, dell'accoppiamento e della difesa.

Il quarto e ultimo punto è che il cervello, essendo un sistema selettivo, funziona prima facie in base non alla logica, ma piuttosto al riconoscimento di configurazioni. Non è ,un processo preciso, come nella logica e nella matematica. E’ invece un processo che può rinunciare alla specificità e all'esattezza, se necessario, in cambio di un ampliamento della varietà. E’ probabile, per fare un esempio, che il pensiero dei primi esseri umani procedesse per metafora, la quale, anche dopo l'acquisizione di strumenti precisi quali la logica e il pensiero matematico, continua a essere una fonte importante per l'immaginazione e la creatività nella vita adulta. La capacità metaforica di collegare entità disparate deriva dalle proprietà associative di un sistema degenerativo rientrante. Le metafore hanno una forza allusiva di notevole ricchezza; tuttavia, a differenza di altri tropi quali la similitudine, non si possono dimostrare né confutare. Ciò nonostante, sono un potente punto di partenza per pensieri da perfezionare con altri mezzi, come la logica. Le loro proprietà sono senz'altro coerenti con il funzionamento di un cervello selettivo che forma configurazioni.

E’ vero non solo che un tale cervello è unico, ma anche che lo stimolo sensoriale offerto dall'ambiente e la risposta motoria dell'animale non sono mai identici da una volta all'altra. Questo esclude i modelli del cervello e della mente considerati come macchine, rendendo invece necessario che la memoria sia una proprietà dinamica di sistema basata sulla ricategorizzazione, non un archivio fisso di tutte le varianti di una scena, per esempio di una stanza familiare in cui ci si è trovati in molte occasioni.

Una questione più essenziale deriva dal fatto che il cervello selettivo deve necessariamente funzionare in presenza di vincoli imposti dai sistemi di valore, vale a dire quelle strutture cerebrali ereditate per via evolutiva che determinano l'importanza, la punizione e la ricompensa. Come si è già discusso, i sistemi di valore consistono soprattutto di reti neurali ascendenti diffuse che modulano le risposte sinaptiche con il rilascio diffuso di specifici neuromodulatori o neurotrasmettitori...

I sistemi di valore di questo genere, pur essendo essenziali, vincolano soltanto le azioni e la categorizzazione percettiva. Il valore non è una categoria; la categorizzazione si deve realizzare attraverso il comportamento del singolo individuo. II collegamento tra questi concetti e i problemi legati all'emozione e ai suoi effetti sulla conoscenza è più o meno diretto. E’ raro che l'epistemologia tradizionale si occupi direttamente di problemi quali l'emozione, tranne forse, in modo indiretto, quando affronta gli aspetti normativi della giustificazione. Di contro, nell'epistemologia basata sul cervello il meccanismo proposto dalla teoria della selezione dei gruppi neuronali per la coscienza è universale: si applica a tutte le risposte discriminative, che coinvolgano la percezione, la rappresentazione per immagini, la memoria, la sensazione o l'emozione, o persino il calcolo matematico. In molti casi, c'è un'interazione tra questi processi. L'attività cerebrale non si può considerare, quanto meno al suo inizio, come un processo di calcolo simile a quello delle macchine, distaccato, senza alcuna emozione.

Se questo quadro dei principi per un'epistemologia basata sul cervello è corretto, allora le prime formulazioni del pensiero sono per loro natura ricche dal punto di vista associativo, ma relativamente imprecise. Come riusciamo, allora, a formare i concetti più precisi che sono necessari per la ricerca scientifica? E che dire della logica e della matematica, che richiedono entrambe precisione, essenziale per ampliare la nostra conoscenza e la nostra comprensione del mondo e di noi stessi?

Se si vuole cercare di rispondere a questi interrogativi, è necessario affrontare la questione del linguaggio, e questo è certamente vero nel caso dell'epistemologia tradizionale, che si occupa soprattutto di enunciati o di proposizioni. E' una questione inevitabile anche quando si considera l'effettivo sviluppo della conoscenza e dei concetti nel corso della storia umana...

La capacità di sviluppare un concetto di passato e di futuro e di acquisire un sé sociale dipende fortemente dall'acquisizione del linguaggio...

Come che sia, il fatto di possedere un linguaggio, con i suoi effetti sulla trasmissione culturale, ha portato ovviamente a un'enorme espansione del potere concettuale. Anche se l'espansione linguistica e le capacità associative della metafora possono condurre alla poesia e all'immaginazione, il linguaggio rende possibile anche lo sviluppo della logica. Può darsi che la logica abbia avuto origine in eventi cerebrali legati alla persistenza e alla scomparsa di oggetti, allo sviluppo del condizionamento operante e alle conseguenze apprese degli atti motori...

Il caso della matematica e della sua relazione con il linguaggio è ancora più interessante del caso della logica. Il linguaggio è necessario per lo sviluppo dell'aritmetica?

I risultati a disposizione suggeriscono che il linguaggio, benché forse non essenziale per gli inizi dell'aritmetica, ha un ruolo nel successivo emergere dei conteggi precisi e dell'aritmetica durante lo sviluppo del bambino...

Nell'ipotesi che un'epistemologia basata sul cervello sembri un modo ragionevole di procedere, che cosa riconosce e quale può essere la portata delle sue affermazioni? L'epistemologia basata sul cervello tiene conto delle fonti eterogenee della conoscenza. Riconosce la supremazia della selezione naturale, ma non cerca di spiegare il comportamento esclusivamente in termini di evoluzione. Piuttosto, dà rilievo alle origini epigenetiche della struttura e della dinamica cerebrali. In questa concezione, lo sviluppo del cervello dipende dall'azione sul mondo e, di conseguenza, ogni cervello è unico. L'attività di riconoscimento di configurazioni da parte del cervello precede la logica e, agli inizi, il pensiero è creativo nella sua formazione di configurazioni mediante processi simili alla metafora. Questi processi non sono scevri di sensazioni. Anzi, i vincoli dei sistemi di valore essenziali per l'evoluzione di comportamenti adattativi fa dell'esperienza emotiva un necessario accompagnamento dell'acquisizione di conoscenza anche dopo lo sviluppo delle capacità logiche e di analisi formale in stadi successivi.” (pp. 51-60 passim)

4.

Secondo Edelman, il darwinismo neuronale, consentendo di definire un’epistemologia basata sul cervello, consente di sormontare la frattura tra la scienza e le discipline umanistiche.

A tal fine, occorre partire dal presupposto che il cervello ha un repertorio altamente variato di circuiti e che esso seleziona sottoinsiemi di questi circuiti che si accoppiano a segnali provenienti dal mondo complesso:

“Il cervello non è un computer e il mondo non è uno spezzone di nastro codificato. Il cervello deve, in mancanza di segnali non ambigui, determinare regolarità di comportamento che soddisfino i vincoli dei sistemi di valore ereditati e dei particolari eventi relativi alla percezione e alla memoria. Negli esseri umani tali sistemi ed eventi implicano necessariamente emozioni e propensioni.

Il cervello selettivo stesso mostra gli effetti della contingenza e dell'irreversibilità storica e l'azione di processi non lineari. Le reti straordinariamente complesse e degenerate di cui è composto sono incarnate in un modo che varia da individuo a individuo. Il cervello umano, inoltre, funziona in base non alla logica, ma piuttosto al riconoscimento di configurazioni. E altamente costruttivo nell'interpretare le configurazioni date e allo stesso tempo è sempre soggetto a errori. Questo fenomeno è manifesto nelle illusioni percettive, come pure nelle credenze di ordine elevato. Tuttavia, di solito, come mostra l'analisi dell'apprendimento, vi può essere una correzione degli errori in risposta a ricompense o a punizioni adeguate.

Nelle modalità di pensiero dei cervelli selettivi vi è un insieme di relazioni tra riconoscimento di configurazioni e logica che è allo stesso tempo contrastivo e di rinforzo. Una prima e fondamentale modalità di pensiero che dipende in larga misura dal riconoscimento di configurazioni è legata alla metafora. La metafora è un riflesso della varietà e dell'associatività di reti cerebrali degenerate di enorme complessità. Una considerazione pertinente è che i prodotti del pensiero metaforico possono essere comprensibili, ma non sono dimostrabili come le similitudini o le proposizioni logiche. Per esempio, l'affermazione "Sono al tramonto della vita" è comprensibile, ma non è dimostrabile.

Il linguaggio stesso riflette l'aspetto costruttivo e tuttavia intrinsecamente ambiguo e indeterminato di questa modalità di pensiero. Queste caratteristiche sono il risultato del compromesso tra specificità e varietà in sistemi selettivi che presentano necessariamente degenerazione, un argomento che tratterò nel decimo capitolo. I vari repertori di questi sistemi non corrispondono mai in modo perfetto ai contenuti dei domini che devono riconoscere. Tuttavia, una volta avvenuta la selezione su una gamma di varianti, può aver luogo un perfezionamento sempre più specifico, come accade nelle situazioni in cui si possono applicare la logica o la matematica. La conclusione è che il prezzo da pagare nella fase iniziale per il riconoscimento di configurazioni nel pensiero creativo è composto da degenerazione, ambiguità e complessità. Nelle situazioni scientifiche, tuttavia, il successivo utilizzo delle osservazioni, della logica e della matematica può produrre leggi o quanto meno forti regolarità. Nel caso dell'analisi storica, in generale il massimo che si possa raggiungere è dato da interpretazioni e giudizi qualitativi.

Considerando la questione dal lato del cervello e della mente, le regole epigenetiche non possono trattare in modo soddisfacente la ricca complessità e la storia individuale delle reti cerebrali degenerate. Le stesse esperienze coscienti sono discriminazioni di enorme complessità in uno spazio dei qualia di ordine elevato, come abbiamo fatto osservare, e la storia e l'insieme di eventi cerebrali di ogni singolo individuo sono unici. Esistono senza dubbio regolarità di comportamento e di intenzionalità, però sono variabili, straordinariamente ricche e dipendono dalla cultura e dal linguaggio. La soggettività è irriducibile.” (p. 81)

E’ possibile dunque giungere ad una conclusione univoca, che Edelman ribadisce due volte:

“L'evoluzione di cervelli e di menti coscienti è avvenuta per selezione naturale nell'ambito della struttura data dalle leggi fisiche. La sequenza è quindi chiara: in seguito all'evoluzione di Homo sapiens, l'emergere del linguaggio e della coscienza di ordine superiore ha consentito lo sviluppo della scienza empirica al servizio della verità verificabile. L'applicazione della logica in relazione al linguaggio e all'osservazione del mondo, e della matematica come studio di oggetti mentali stabili, ha profondamente arricchito questi sviluppi. Ciò nondimeno, essi hanno avuto luogo nell'ambito di uno specifico contesto storico che non è riducibile a questi stessi sviluppi o mediante questi sviluppi. In più, non vi è contraddizione nel fatto che cervelli selettivi capaci di coscienza di ordine superiore e di riconoscimento di configurazioni possano creare sistemi artistici, estetici o etici in particolari condizioni storiche e culturali. Possiamo concludere che tra scienza e discipline umanistiche non vi è una separazione logicamente necessaria, ma solo un rapporto di tensione in cui la scienza è riconosciuta come una base fondamentale, ma non esaustiva né unica, della conoscenza...

E’ opportuno ricordare che, sebbene tutta la nostra conoscenza dipenda dai nostri stati coscienti, tali stati sono necessari, ma non sufficienti per l'apprendimento. Gli stati coscienti mostrano essi stessi di avere molte caratteristiche degli eventi irreversibili, contingenti e fugaci. Sono unitari, ma cambiano continuamente succedendosi l'un l'altro a brevi intervalli di tempo. Hanno contenuti di vasta portata e accesso alla memoria e alla conoscenza. Sono modulati dall'attenzione. Soprattutto, riflettono sensazioni soggettive e l'esperienza dei qualia. Il vantaggio evolutivo offerto dall'emergere del nucleo dinamico rientrante ha fornito all'individuo grandi quantità di discriminazioni motosensoriali. I qualia sono proprio le discriminazioni implicate da diversi stati del nucleo. Possono riflettere verità fattuali come anche illusioni e sono, in tutti i casi, soggetti ai vincoli dei sistemi di valore neurali.

Dato questo quadro, che è coerente con il darwinismo neurale, non sorprende che l'esperienza privata e gli eventi storici esterni condividano proprietà sia contingenti sia necessarie. La complessità dei processi storici di base impedisce di ricondurre semplicemente tutta l'esperienza a una descrizione scientifica. L'evento straordinario è comunque che nell'ambito di questo sistema il pensiero ha condotto alla rivoluzione scientifica e alla generalità delle leggi scientifiche. E sufficiente per mostrare come il nostro quadro del cervello possa comprendere sia la scienza sia la storia. Il divorzio non è all'orizzonte: i processi che danno origine alla nostra comprensione includono tanto le scienze quanto le discipline umanistiche.” (pp. 82-84)

“Il cervello funziona accoppiando in modo selettivo i suoi repertori non lineari con eventi a volte nuovi e non lineari, forniti dai segnali provenienti dal mondo e dal sé. Con l'avvento del linguaggio vero e proprio e della coscienza di ordine superiore, si può fare esperienza di un numero enorme di discriminazioni. La degenerazione e l'associatività di queste discriminazioni sono accompagnate da un insieme ancora più immenso di combinazioni e ricombinazioni di stati integrati dal nucleo dinamico. Questi stati non sono necessariamente veridici e, per di più, spesso sono frutto di costruzioni, sono contingenti e dipendono dal contesto.

La modalità di pensiero che deriva da queste operazioni inizialmente ha a che fare con il riconoscimento di configurazioni e non con la logica. Poiché in questo sistema neurale la selezione è vincolata dall'attività dei sistemi di valore ereditari e della memoria basata sulla percezione, il sistema implica intenzionalità, credenze, desideri e stati emotivi. Un sistema siffatto è esposto a eventi contingenti che hanno luogo al suo interno esattamente come è esposto alle contingenze esterne. Può presentare stati singolari come pure regolarità, e alcuni di questi stati vengono vissuti come caratteristiche private, irriducibili, della soggettività.

Tutte queste proprietà sono espresse in qualche misura nel pensiero e nel linguaggio. Nelle prime fasi del pensiero può dominare la metafora, e il linguaggio, anche dopo l'applicazione della logica, è ricco di espressioni metaforiche. Inoltre, come ha fatto notare Quine, il linguaggio stesso mostra indeterminatezza nel riferimento e nella traduzione? L'ambiguità intrinseca del linguaggio, tuttavia, non è un difetto critico. Al contrario, è la base del grande potere combinatorio che riconosciamo nelle costruzioni dell'immaginazione. Tali proprietà sono proprio quelle che ci aspetteremmo come risultato dell'attività di un cervello selettivo.

L'intuizione scientifica nasce quando questo potere viene vincolato dalla logica, dalla matematica e dalle osservazioni controllate. Ma non tutti i giudizi e i pensieri si possono ricondurre a una descrizione scientifica. Un esempio fondamentale è l'area del giudizio normativo nel campo dell'etica e dell'estetica. L'argomento di Hume è ancora valido: il "dover essere" non deriva in un modo diretto dall' "essere".

Tali limitazioni alla riduzione scientifica non significano che l'attività cosciente, il linguaggio e i problemi del significato derivino da un fantomatico regno della res cogitans. Se spieghiamo le basi neurali del pensiero cosciente, in effetti possiamo accordare la comparsa di tutte le ricche proprietà del pensiero con la fisica e la biologia. Il risultato è proprio una forma di conciliazione; il divorzio non è necessario.” (pp. 88-89)

E’ in nome di questa conciliazione che Edelman ritiene che il selezionismo cerebrale possa essere esteso a tutti i fenomeni mentali umani, dalla creatività alla psicopatologia.

Per quanto riguarda la creatività, il discorso verte sul rapporto tra varietà e specificità degli stati neuronali:

“Quando si genera un ampio repertorio, può emergere solo un certo grado di riconoscimento specifico se, nella costruzione del sistema, non sono fornite informazioni su ciò che dev'essere riconosciuto. Quindi, se l'informazione è esclusa e tuttavia è richiesto il riconoscimento di una gran varietà di stati, il prezzo che si paga è una certa perdita di specificità. Tale perdita, che nel linguaggio, per esempio, viene vista come ambiguità o vaghezza, è il prezzo che va pagato se la varietà dei segnali a cui si deve rispondere è molto ampia. Sappiamo, di fatto, che dall'econicchia in cui gli animali devono sopravvivere proviene un numero enorme di segnali ai quali l'individuo si deve adattare. Per la sopravvivenza dei singoli individui e delle specie, è indispensabile un compromesso tra specificità e varietà.

In maniera analoga, dopo che è stata utilizzata la varietà dei repertori del cervello o del sistema immunitario, devono esistere meccanismi per andare al di là dei passi selettivi iniziali. L'amplificazione differenziale di elementi del repertorio selezionati inizialmente dev'essere poi perfezionata. Nel sistema immunitario questa fase si realizza mediante la mutazione e la nuova selezione di cellule già selezionate che producono anticorpi con un'energia di legame più elevata con l'antigene estraneo. Nel cervello, com'è ovvio, i mezzi per aumentare la specificità sono completamente diversi.

Il cervello può contare su un certo insieme di meccanismi che accrescono la specificità delle sue risposte. Un meccanismo comporta la selezione esperienziale mediante cambiamenti della forza sinaptica, vincolata dall'attività dei sistemi di valore. II contrasto fra specificità e varietà emerge chiaramente durante l'apprendimento nel passaggio dalle prime risposte esplorative alle successive risposte condizionate. Un'altra fonte di specificità si basa sui meccanismi dell'attenzione, che limitano particolari configurazioni di risposte neurali mentre ne ignorano altre.

Il numero delle possibili combinazioni di configurazioni di risposte corticotalamiche è astronomico. I meccanismi citati poc'anzi si possono combinare con quelli della memoria di lavoro a breve termine (dei numeri di telefono, per esempio) o della memoria episodica a lungo termine di eventi personali del passato, producendo risultati che derivano dall'interazione dei repertori esclusivamente nel cervello.

II punto importante è che questo sistema selettivo concede un'enorme libertà combinatoria per il pensiero e l'immaginazione, e anche per la logica e il calcolo matematico. Una sequenza di pensieri può essere presentazionale, come quando si collegano diverse immagini visive, oppure discorsiva, come nel pensiero basato sul linguaggio, in cui non è necessariamente coinvolta la capacità di creare immagini. In questa spiegazione, il pensiero riflette l'attività dei circuiti motosensoriali del cervello in cui gli elementi motori sono fondamentali, ma non portano all'azione.' Le sequenze e i collegamenti che si hanno nel pensiero comportano l'attività delle regioni motorie della corteccia; tuttavia, la corteccia motoria stessa non invia segnali ai motoneuroni del midollo spinale o dei muscoli.

Sono convinto, come ho già detto, che esistano due modalità di pensiero, il riconoscimento di configurazioni e la logica, e ritengo che la modalità originaria, che offre un enorme raggio d'azione quando l'individuo affronta le novità, sia il riconoscimento di configurazioni. Lo si vede all'origine nelle risposte in cui diversi stimoli sono percepiti come un tutto integrato, nell'ordinamento delle parole e in vari atti di classificazione. Pur essendo una modalità straordinariamente potente, avendo bisogno di un'ampia varietà porta con sé una perdita di specificità. In certi casi, si può utilizzare la logica per eliminare l'ambiguità. Com'è ovvio, l'uso di osservazioni scientifiche controllate fa crescere in misura enorme la specificità e la generalità di queste interazioni. Si può dire che questo movimento dalla varietà alla specificità rispecchi la relazione generativa tra l'epistemologia basata sul cervello e l'epistemologia tradizionale.

Possiamo infine tornare alla questione della creatività, considerata come un riflesso dei sistemi neurali selettivi. Negli esseri umani dotati di coscienza di ordine superiore vi è un'enorme libertà di ricombinazione tra gli stati del nucleo. La creatività di ogni genere dev'essere anzitutto permessa nell'ambito della smisurata varietà di qualia discriminativi. I vincoli che vengono applicati per esperienza e per convenzione fanno emergere vari "esperimenti interni", che hanno a che fare con l'ordine e il disordine, la tensione e il rilassamento e il gioco tra il nucleo e le parti non coscienti del cervello. Come è ovvio, il risultato che ne consegue è soggetto a ulteriori vincoli che derivano dalle esperienze nell'ambito di una certa cultura. Queste esperienze determinano la scelta e la risposta alle configurazioni, modificando le aspettative e suggerendo astrazioni dal flusso dell'esperienza.” (pp. 99-101)

Per quanto riguarda i fenomeni psicopatologici, le considerazioni, ben poco condivisibili, di Edelman sono le seguenti:

“Le psicosi sono malattie in cui si ha una grave menomazione della capacità di svolgere i compiti normali della vita quotidiana e di rimanere in contatto con la realtà. Riuscire a comprendere l'eziologia e la patogenesi di queste malattie è particolarmente difficile poiché, nonostante alcune evidenze della presenza di alterazioni neurali e chimiche, di solito non vi sono indizi chiari di un danno cerebrale. Le eccezioni sono costituite da alcuni casi di psicosi tossica (per esempio, la psicosi di Korsakoff nelle forme estreme di alcolismo), dalle malattie come la sifilide terziaria e dalle demenze come il morbo di Alzheimer.

Spesso, però, è difficile individuare una lesione specifica. Nella malattia psicotica più polimorfa, la schizofrenia, per esempio, abbiamo prove indiscutibili di un'origine poligenica mutazionale e, d'altra parte, abbiamo anche indizi di complessi contributi ambientali, i cui dettagli sono difficili da districare. I pazienti schizofrenici manifestano una gran varietà di sintomi positivi, tra i quali allucinazioni uditive (voci di altre persone), deliri di riferimento e di influenzamento, idee ossessive di essere controllati da forze esterne. Tali sintomi sono spesso accompagnati da un ottundimento affettivo e da scarse relazioni interpersonali.

Per quanto riguarda il disturbo bipolare, un grave disturbo dell'umore, molti dati suggeriscono uno squilibrio biochimico che avrebbe come conseguenza il considerevole rallentamento delle risposte comportamentali e la depressione consapevole che si osservano nei casi conclamati. Anche se si considera tutta la storia, però, è difficile attribuire le origini dei sintomi solo a cause esterne. Come nei disturbi neurofisiologici, il sospetto è che non siano richieste teorie della personalità per rendere conto di questi stati anormali. E necessario, invece, individuare le alterazioni dei meccanismi cerebrali e metterle in relazione con ipotesi scientifiche sull'attività cerebrale. Per esempio, è possibile che le allucinazioni e i deliri della schizofrenia derivino da alterazioni della sincronizzazione del rientro tra aree di ordine superiore del nucleo e regioni non coscienti del cervello? Se, per effetto di problemi fisiologici o microanatomici, sono emersi certi ritardi temporali nei collegamenti delle risposte del nucleo, è plausibile che un paziente possa scambiare i propri pensieri per voci di altre persone o per commenti malevoli provenienti dall'esterno? Comunque, le spiegazioni patogenetiche degli strani sintomi della psicosi non paiono richiedere una teoria elaborata o globale della personalità umana.

E una teoria siffatta è davvero necessaria? Questa domanda ci porta all'insieme più problematico di sindromi, che vengono raggruppate a torto o a ragione nella categoria delle "nevrosi". E soprattutto alla comprensione di questo dominio che si rivolse il lavoro di Freud...

Le teorie di Freud, verificabili o meno, toccano questioni di notevole portata per un'epistemologia basata sui cervello. In primo luogo, danno molto rilievo alla simbolizzazione. I meccanismi di difesa dell'Io forniscono una ricca disamina interpretativa dei modi in cui un individuo può evitare di affrontare ciò che minaccia il suo concetto di sé. L'osservazione che la conoscenza e l'esperienza possono venire rimosse, inoltre, ha fatto pensare che la conoscenza di cui abbiamo consapevolezza e le credenze siano solo una piccola parte dell'architettura cognitiva di un individuo. Tutto ciò, insieme all'uso accorto di metafore evocative, costituisce una delle ragioni della fortuna delle idee di Freud.

Anche se scartiamo alcune idee di Freud in quanto non scientifiche e la terapia psicoanalitica perché scarsamente efficace, c'è una caratteristica che spicca: la psicoanalisi, più di ogni altra pratica psicologica, si occupa primariamente della storia del singolo soggetto, della narrazione che egli stesso ne dà, delle sue credenze e del suo stile di pensiero.

Per quanto lodevole, questa impresa stimola nuovamente la domanda considerata in precedenza esaminando le sindromi neuropsicologiche e le psicosi. Oltre a una teoria complessiva globale del cervello, è possibile o addirittura necessaria una teoria degli stati anormali, in questo caso una teoria delle nevrosi? Non potrebbe darsi che quella che occorre sia un'analisi approfondita a livello della funzione cerebrale dei meccanismi neurali legati alla coscienza, all'attenzione e agli automatismi nelle aree non coscienti del cervello, e del funzionamento dei sistemi di valore?” (pp. 113-117)

5.

Le conclusioni di ordine generale cui Edelman giunge sono affidate all’ultimo capitolo:

“Un esame delle sue basi biologiche rivela che la coscienza si fonda su un sistema selettivo e ciò consente di comprendere la complessità, l'irreversibiità e la contingenza storica della nostra esperienza fenomenica. Queste proprietà, che influiscono sui modi in cui perveniamo alla conoscenza, fanno escludere la possibilità generale di ricondurre a una descrizione scientifica certi prodotti della nostra vita mentale quali l'arte e l'etica. Ma ciò non significa che per spiegare l'origine dei qualia coscienti sia necessario invocare strani stati fisici, il dualismo o il panpsichismo. Tutta la nostra vita mentale, riducibile o irriducibile, si basa sulla struttura e sulla dinamica del cervello…

La concezione presentata in queste pagine, anche se si tiene conto dell'irriducibilità di certe esperienze coscienti soggettive, consente di capire come la nostra seconda natura derivi da fondamenti che si possono descrivere in termini scientifici. Pur essendo vero che una descrizione scientifica del mondo si conforma strettamente alla struttura del mondo più che alle nostre impressioni quotidiane, la nostra spiegazione di come funziona il cervello suggerisce che le ipotesi scientifiche stesse emergano da proprietà ambigue (e a volte irriducibili) che danno origine al riconoscimento di configurazioni. Le strutture e la dinamica del cervello che portano a tali proprietà sono descrivibili scientificamente, anche se le proprietà stesse non sono completamente riducibili. Analoghe considerazioni valgono per gli scambi culturali che danno origine all'arte e all'etica, campi in cui le relazioni non sono soggette a una riduzione scientifica completa e rigorosa. Questa concezione non implica limitazioni del nostro potenziale. L'abbinamento creativo di esperienze sociali, gli sviluppi dell'arte e l'espansione della conoscenza in ogni sfera non hanno limiti evidenti...

E' vero che l'approccio che ho scelto non conserva il netto confine tra psicologia ed epistemologia mantenuto da alcuni. Secondo me, però, è un vantaggio: con questo approccio, possiamo proficuamente considerare le origini della logica nel linguaggio, il contributo del riconoscimento immaginativo di configurazioni alla matematica, le origini storiche e ideative dell'empirismo scientifico e ogni sorta di questione artistica e normativa. Com'è ovvio, è necessario specificare i confini che separano tutti questi domini. Ma non penseremo più che le origini della credenza vera giustificata stiano solo nel linguaggio, per quanto fondamentale sia il linguaggio per la coscienza di ordine superiore. In sostanza, accettare l'epistemologia basata sul cervello equivale ad accettare che i dati empirici delle neuroscienze e della psicologia rafforzino le nostre concezioni dell'origine e della natura della conoscenza umana.

Questa accettazione non implica che l'epistemologia basata sul cervello sia esaustiva o che escluda funzioni normative scientificamente fondate connesse a questioni epistemologiche. Il punto di forza principale dell'approccio basato sul cervello è che offre basi scientifiche per una visione pluralistica della verità. Allo stesso tempo, pone alcuni vincoli utili al nostro modo di acquisire la conoscenza. Includendo anche una visione scientifica della coscienza, respinge la tesi che il naturalismo indebolisca l'autorità della prima persona, l'illusione del libero arbitrio. Dato il suo modo di considerare le origini del linguaggio e gli effetti della cultura, la visione basata sul cervello non ha alcun problema con i giudizi normativi che vanno al di là della giustificazione postulata dall'epistemologia tradizionale. E del tutto compatibile, per esempio, con le varie versioni dell'idea che uno degli obiettivi primari dell'epistemologia sia stabilire norme che garantiscono l'eccellenza nel ragionamento.

La verità, benché eterogenea nelle sue origini, è essa stessa normativa e quindi meritevole di interesse! Stabilire la verità richiede molti strumenti differenti e molte metodologie diverse, che non si possono far risalire direttamente all'evoluzione o alla fisiologia del cervello. Uno dei messaggi principali di questo libro è che, anche se dobbiamo riconoscere che l'evoluzione e la selezione dei gruppi neuronali forniscono le basi e i vincoli per l'acquisizione della conoscenza, sono fattori storici, socioculturali e linguistici a stabilire criteri normativi per la verità. Un punto fondamentale è che tali criteri, con questi mezzi, si possono stabilire in un modo naturalizzato...

Quando la coscienza di ordine superiore e il linguaggio, agendo ricorsivamente, collegano il pensiero, l'emozione, la memoria e l'esperienza, il numero delle possibili combinazioni di discriminazioni cresce senza limiti. Ci muoviamo in meandri della mente che vanno dalle certezze dell'intuizione matematica alle fantasie del Sogno di una notte di mezz'estate. Le parti della nostra seconda natura che sembrano allontanarsi maggiormente dalla verità spesso sono proprio quelle necessarie per stabilire nuove verità. Ma, ovviamente, non sono sufficienti. Per stabilire ciascun tipo di verità si devono applicare vari criteri. Il punto principale è che la verità non è un dato di fatto, è un valore per cui dobbiamo lavorare nelle nostre interazioni private e interpersonali. La ricchezza di tali interazioni non stupisce se si considerano l'associatività e la degenerazione delle interazioni rientranti nel cervello...

L'epistemologia basata sul cervello accetta la fisica e la biologia evoluzionistica come piattaforme essenziali su cui basare le sue tesi, e perciò respinge le visioni idealistiche, il dualismo, il panpsichismo e qualsiasi concetto di rappresentazione mentale che non sia fondato sulla struttura cerebrale. L'epistemologia basata sul cervello sostiene che la nostra conoscenza non è né una copia diretta della nostra esperienza né un trasferimento diretto dai nostri stati di memoria. Ciò nondimeno, è interamente compatibile con la costruzione di sistemi logici sulla base del linguaggio e dell'esperienza, così come della matematica come studio di oggetti mentali stabili...

Non ereditiamo un linguaggio del pensiero. Quel che accade, invece, è che i concetti si sviluppano dalla creazione delle proprie mappe percettive da parte del cervello. In definitiva, quindi, inizialmente i concetti riguardano il mondo. Il pensiero stesso si basa su eventi cerebrali che derivano dall'attività di regioni motorie, attività che non viene trasmessa per produrre azione. Una delle premesse dell'epistemologia basata sul cervello è che strutture subcorticali quali i gangli della base sono fondamentali per assicurare la sequenza di questi eventi cerebrali, generando una sorta di presintassi. Quindi, può esistere pensiero senza linguaggio. Nella sua forma iniziale, il pensiero dipende da modalità metaforiche e da quelli che il linguista George Lakoff e il filosofo Mark Johnson hanno chiamato schemi di immagine.` Questa attività metaforica è intensamente rafforzata dal potere associativo dei circuiti cerebrali degenerati. Ovviamente, con l'acquisizione del linguaggio queste capacità si sviluppano enormemente. In ogni caso, con le sue capacità di riconoscimento di configurazioni, di chiusura e di riempimento, il nostro cervello, come disse Jerome Bruner, va ben oltre l'informazione data.

Secondo l'epistemologia basata sul cervello, la conquista della logica, e in qualche misura della matematica, è dipesa dalla coscienza di ordine superiore, che a sua volta per raggiungere il pieno sviluppo è dipesa dall'acquisizione di un vero linguaggio. La concezione dell'epistemologia basata sul cervello è che, dopo l'acquisizione della stazione eretta e l'evoluzione del tratto sopralaringeo, della presintassi per il movimento nei gangli della base e di una corteccia cerebrale più grande, il linguaggio è emerso come invenzione. La teoria respinge l'idea di un meccanismo di acquisizione del linguaggio basato sul cervello ed ereditato per via genetica, e afferma invece che l'acquisizione del linguaggio è epigenetica. L'acquisizione del linguaggio e la sua diffusione da una comunità all'altra sarebbero state ovviamente vantaggiose, anche se un'eredità diretta di una grammatica universale non è in discussione. Com'è ovvio, usando il linguaggio gli ominidi potevano essere ulteriormente favoriti dalla selezione naturale che agiva su quei sistemi di apprendimento che favoriscono le capacità linguistiche.

Che cosa si può dire del "mondo" di quegli individui dotati di capacità linguistiche? Che cosa è soggettivo e che cosa è oggettivo? L'epistemologia basata sul cervello, respingendo l'idealismo, accetta una posizione di realismo condizionato. Il suo realismo è condizionato dal riconoscimento dei nostri limiti fenotipici. I vincoli sui tipi di corpi umani che si sono evoluti, e il nostro cervello in quanto sistema selettivo, chiaramente consentono solo una campionatura limitata degli eventi del mondo, la cui densità è enorme. Abbiamo già considerato il fatto che la variazione in un cervello selettivo in una certa misura è indipendente dagli eventi selettivi reali che modificano la forza sinaptica di particolari gruppi neuronali. Non esistono stati mentali infallibili o incorreggibili nel funzionamento di un cervello normale. Possiamo persino essere in errore riguardo a uno stato fenomenico ‑un'allucinazione può avere un contenuto, ma non un oggetto. Abbiamo già discusso, inoltre, la tendenza dell'attività cerebrale a ricercare la chiusura, a produrre un riempimento e a confabulare se necessario.

In aggiunta, siamo influenzati da certe illusioni necessarie. Un esempio è quella che ho chiamato illusione eraclitea, l'illusione che il tempo percepito sia un movimento di un periodo o di un punto che procede dal passato attraverso il presente verso il futuro. Ma in realtà il passato e il futuro sono concetti; solo il presente ricordato si può collegare immediatamente a eventi reali nello spazio.tempo einsteiniano.

Alla base di tutte queste proprietà vi è l'attività causale del sistema talamocorticale rientrante, il nucleo dinamico, le cui complesse configurazioni neurali integrative implicano la coscienza. Insieme all'attività dei sistemi non coscienti, queste configurazioni danno luogo all'apprendimento, alla memoria e al comportamento. Il comportamentismo, filosofico o meno, viene respinto dall'epistemologia basata sul cervello, che considera che gli atti mentali sono coscienti. Questo non implica che i sistemi cerebrali non coscienti non abbiano strutture e dinamiche che interagiscono con il nucleo dinamico e lo influenzano. Sotto questo profilo, le concezioni di Freud delle origini non coscienti del comportamento sono state premonitrici. Di fatto, le ricche interazioni dei sistemi subcorticali con i sistemi di memoria nella corteccia producono eventi locali che ovviamente non si sarebbero mai verificati se nel corso dell'evoluzione non fossero emersi organismi coscienti come gli esseri umani.

Da questo substrato neurale della coscienza di ordine superiore sono emersi i domini della creazione artistica, i sistemi etici e una visione scientifica del mondo che ci inserisce nell'ordine delle cose. Questa concezione fornisce una fonte di verità verificabile che ci consente di studiare il cervello come l'organo necessario per comprendere ogni forma di verità.” (pp. 139-150 passim)

6.

La teoria di Edelman, maturata nel corso di un trentennio di ricerche rigorose e impegnative, è indubbiamente suggestiva, ma inficiata dall’individualismo metodologico e dal solipsismo. Essa implica che la coscienza umana si origina sulla base di una sorta di dialogo del cervello con se stesso (il sistema talamocorticale rientrante) che pone in gioco configurazioni neurali integrative. Certo, queste configurazioni sono funzionali a favorire l’adattamento dell’individuo rispetto all’ambiente, ma l’ambiente in questione è una sorta di noumeno caotico e senza etichette, sicché l’adattamento avviene, sulla base dell’attività del sistema di valori filogenetico, sulla base di indefinite configurazioni che mappano l’ambiente.

in conseguenza di questo, ogni individuo ha un suo mondo e lo esperisce a modo suo.

Edelman sostiene che il selezionismo è incompatibile con qualsivoglia idealismo. Di fatto, però, il materialismo estremo cui fa riferimento esita in un inquietante idealismo neurobiologico, tale per cui, in fin dei conti, è il soggetto che “crea” l’oggetto.

In questa ottica, il problema dell’intersoggettività sembra ridursi al problema del linguaggio, che viene riferito ad una misteriosa capacità semantica e simbolica, che non si capisce come e perché possa essere stata selezionata.

Edelman sottolinea il fatto che il riferimento al sistema dei valori che, attraverso la produzione di neuromodulatori, regola il rapporto del cervello con l’ambiente, permette di inserire nella cornice teorica del selezionismo le memorie filogenetiche e le emozioni. E’ evidente, però, anche se egli non ne fa cenno, che le emozioni questione sono quelle di base.

Il solipsismo di Edelman sembra mettere tra parentesi il fatto che, nell’evoluzione di ogni essere umano, il rapporto empatico con l’Altro sembra un fattore fondamentale nella nascita di un io consapevole, autoconsapevole e capace di comunicare emotivamente e linguisticamente con l’altro.

In un certo qual senso, come dicevo all’inizio, il solipsismo è il vizio di base delle neuroscienze, che riconosce come unica eccezione, ma ancora molto carente, l’orientamento neuropsicoanalitico. Non ci vuole molto a capire che tale vizio è riconducibile all’individualismo che caratterizza la civiltà nel cui contesto le neuroscienze sono nate, né che esso è fortemente favorito dall’individualità biologica del cervello, che è un dato di fatto.

Il problema è che questo stesso organo, la cui “vocazione” verso l’individuazione funzionale Edelman sottolinea efficacemente, è connotato da un’empatia tale per cui l’infante, che è immerso in un mondo di stimoli interni ed esterni caotici, è immediatamente attratto tropicamente verso l’altro, il simile, ed esprime, attraverso questo tropismo, un bisogno radicale, la cui soddisfazione decide se e come egli giungerà all’uso del linguaggio e all’autoconsapevolezza.

Nessun neuroscienziato dubita del fatto che il prodigioso cervello di un neonato , se abbandonato a se stesso, non sarebbe in grado di produrre un Io dotato di consapevolezza e di capacità linguistica. Questo dato, però, sembra che venga ritenuto secondario.

Edelman, in particolare, muove dal fatto che l’uomo è dotato di una coscienza di ordine superiore e cerca di capire come essa si genera neurobiologicamente. E’ una teoria adultomorfa, ex post, alla quale sfugge l’essenziale: la coscienza è figlia dell’intersoggettività.

Se questo è vero, l’obiettivo di Edelman si può ritenere non raggiunto. La coscienza di ordine superiore si configura come un quid inspiegabile che si sovrappone all’attività mappante e integrativa del cervello.

Per risolvere questo problema occorrerà partire dall’empatia e dall’intersoggettività, vale a dire dal bisogno radicale che il cervello umano ha dell’umano per umanizzarsi, per giungere all’autoconsapevolezza, all’uso del linguaggio, alla cultura, alla scienza e alla creatività.

Al di là del solipsismo, che inficia il raggiungimento dell’obiettivo che Edelman si propone, comunque, il suo lavoro porta un contributo essenziale alla costruzione di un modello panantropologico dell’esperienza psichica umana. Esso, infatti, pone in luce e sottolinea la “vocazione” verso l’individuazione iscritta nella struttura cerebrale: una vocazione che, data la natura sociale dell’uomo, deve necessariamente fare i conti con l’appartenenza ad un determinato contesto storico-culturale, ma comporta anche la possibilità di andare al di là del senso comune in virtù di una sollecitazione intrinseca verso il “nuovo”.

Tale sollecitazione, che alcuni esseri umani sperimentano sotto forma di passione per la conoscenza, potrebbe essere ricondotta all’interazione tra un sistema di valori filogenetico riconducibile alla ricerca del piacere e un nucleo dinamico capace di configurare mappe particolarmente complesse e differenziate rispetto a quelle che governano l’adattamento e la vita quotidiana.

Se questo è vero, c’è da pensare che alcuni cervelli, sulla base di un’attività integrativa universale, siano in qualche misura exattati, predisposti cioè a provare piacere secondo modalità del tutto diverse da quelle che caratterizzano il senso comune e l’individualismo.