H. Melville 

Vita e opere


Herman Melville nasce nel 1819 da genitori appartenenti a famiglie emigrate in America fin dal Seicento. Terzo di otto figli, egli subisce profondamente l’influenza del padre calvinista, che muore quando egli ha dodici anni lasciando la famiglia sul lastrico. Anima precocemente irrequieta e problematica, Melville ha un pessimo rapporto con la madre da cui si sente rifiutato.

Dopo vani tentativi di trovare un lavoro stabile, a diciotto anni s’imbarca come mozzo su di un mercantile. Al ritorno, tenta ancora una volta di trovare un inserimento sociale come insegnante, ma l’attrazione della vita marinara prevale. A ventidue anni, s’imbarca di nuovo su di una baleniera. La rigida disciplina di bordo, che Melville sente come crudele, lo spinge alla diserzione. Per alcune settimane, vive tra la popolazione primitiva dei Taipi, dedita al cannibalismo. S’imbarca ancora su di una baleniera e, infine, nel 1843, come marinaio semplice, su di una nave di guerra. L’incompatibilità tra il suo spirito libertario e la gerarchia militare lo spinge a congedarsi nel 1844 per dedicarsi alla scrittura.

Si sistema nel Massachussets e sposa, nel 1847, una ragazza di buona famiglia, dalla quale avrà quattro figli.

La prima stagione creativa di Melville, che dura un decennio, è assolutamente straordinaria, ma contrassegnata da una singolare parabola. Il primo libro pubblicato (Taipi, 1846) lo rende famoso, ma induce il pubblico a identificarlo come narratore di storie esotiche. Il secondo libro (Omoo, 1847), la cui trama è avventurosa, in realtà è una pungente satira dell’influenza disgregatrice della civiltà europea, e soprattutto dei missionari protestanti, sui primitivi. Il successo del libro è temperato dalla reazione indignata dell’America puritana.

Dopo l’esito deludente di Mardi (1849), un complesso e poco equilibrato romanzo satirico-filosofico, Melville torna, con Redburn (1849) e Giacchetta bianca (1850), al tema marinaresco. Entrambi i libri, rievocando l’esperienza personale, sono apertamente critici nei confronti della brutale vita di bordo e dei rigori della gerarchia e della disciplina.

E’ sempre più chiaro al pubblico che Melville è un narratore singolare le cui storie celano sempre significati profondi di ordine morale e filosofico. In conseguenza di questo, l’interesse per l’autore declina al punto che l’uscita, nel 1851, di Moby Dick, il suo capolavoro, cade praticamente nel vuoto.

A 33 anni, Melville è un fallito che riesce a stento a mantenere la famiglia. Continua a scrivere ancora per qualche anno, ma tutti i suoi libri (Pierre o dell’ambiguità del 1852, Israel Potter del 1855, Racconti della veranda del 1856 e L’uomo della fiducia del 1857) sono fiaschi editoriali.

Dal 1846 al 1851 egli ha guadagnato ottantamila dollari di diritti d’autore; dal 1851 in poi ne guadagna ogni anno al massimo un centinaio.

Nel 1866, Melville si arrende all’evidenza dell’anonimato e dell’indigenza e trova impiego presso le dogane di New York, dove rimane sino al 1885. Sono anni di crisi creativa, nel corso dei quali l’esuberante e magmatica invenzione che ha prodotto Moby Dick sembra spenta. Melville riesce comunque a produrre due racconti lunghi (Benito Cereno e Bartleby lo scrivano) di assoluto nitore e, un anno prima di morire, Billy Budd, un romanzo breve che, dopo il Moby Dick, è la sua opera migliore.

Muore nel 1891. Un solo giornale americano riporta la notizia in tre righe di necrologio.

Il tempo ha reso giustizia a Melville. Il centenario della nascita ne ha segnato la riscoperta, e lo ha assegnato al pantheon dei protagonisti della letteratura moderna.