GUSTAVE FLAUBERT

MADAME BOVARY


Le citazioni sono tratte dai Grandi Classici della Letteratura Straniera, edizione digitale, Gruppo editoriale L'Espresso

1.

Pochi personaggi femminili hanno raggiunto, nella storia della letteratura, la fama universale di Emma Bovary, simbolo tragico del rifiuto di accettare un'esistenza mediocre, senza orizzonti, mortificata nell'adempimento dei doveri quotidiani iscritti nel ruolo di donna. Il significato culturalmente eversivo di una vicenda apparentemente privata e minuscola fu prontamente recepito dai contemporanei. Trascinato in tribunale con l'accusa di "oltraggio alla morale pubblica e religiosa e ai costumi", l'autore fu assolto, ma la sentenza non placò le polemiche. Lo scandalo, che coinvolse anche l'opinione pubblica, valse a fare assurgere la signora Bovary al ruolo di borghesuccia adultera e meschina di cui è rimasta quasi un prototipo, e a mettere in ombra il suo essere l'incarnazione triste e dolorosa dell'insoddisfazione femminile e dell'irresistibile bisogno d'evasione dalla mediocrità provinciale e borghese.

Nel corso del tempo, in conseguenza dei cambiamenti socioculturali, quest'ultimo significato è divenuto sempre più evidente. Emma Bovary è divenuta il simbolo della donna che, in nome dei diritti dell'amore, si affranca dal giogo di un matrimonio infelice e sfida le convenzioni borghesi.

Quest'interpretazione è di sicuro più vicina all'intenzione dell'autore, che non cela in alcun modo la sua commossa, per quanto ambivalente, simpatia per Emma, fino al punto di essere giunto ad affermare: "Emma Bovary sono io". L'identificazione spiega la capacità di Flaubert di descrivere con finezza alcuni aspetti propri dell'anima femminile, inesorabilmente contraddittori. Egli scrive:

"Un uomo, almeno, è libero; può passare attraverso le passioni e i paesi, superare gli ostacoli, gustare le più remote felicità. Ma una donna è continuamente frustrata. Inerte e flessibile insieme, ha contro di sè le debolezze della carne come le schiavitù del codice. La sua volontà, come il velo del suo cappello trattenuto da un cordoncino, palpita a ogni vento; c'è sempre qualche desiderio che la trascina, c'è sempre qualche convenienza che la trattiene."

Tra una natura passionale, che subordina la sessualità al sentimento, e una cultura che le impone l'esercizio della virtù, la condizione femminile è, di fatto, esposta, più di quella maschile, al rischio dell'infelicità. Forse non si tratta di una fatalità, ma le statistiche sul disagio psichico femminile, che attestano la sua diffusione in un periodo, come il nostro, caratterizzato dalla liberalizzazione dei costumi, non lasciano dubbi sulla difficoltà per ogni soggetto femminile di trovare un equilibrio tra natura e cultura.

Una rilettura attuale de La signora Bovary non può aggiungere quasi nulla ad un lavoro critico che si è esercitato quasi ininterrottamente sul romanzo, giungendo ad inserirlo tra i capolavori di tutti i tempi. Come ogni capolavoro, il testo però fornisce, ad ogni lettura, spunti ulteriori di riflessione.

La storia prende spunto da un banale episodio di cronaca (il suicidio della moglie infedele di un medico), che viene trasfigurato dall'invenzione letteraria.

Carlo Bovary, uomo semplice e mediocre, medico di campagna, sposa Emma, una graziosa e giovane figlia di un agricoltore agiato, educata da signorina in convento, ove ha sperimentato prima la suggestione del misticismo religioso e poi quella della letteratura romantica. Emma tenta di calarsi nel ruolo di moglie innamorata, ma la mediocrità del marito e la vita di provincia senza orizzonti producono rapidamente una grave insoddisfazione, che neppure la nascita d'una bambina riesce a rimediare. Un notaio tirocinante, Leone, con i quale si dà una qualche affinità emotiva e culturale, attira il suo interesse, ma Emma oppone resistenza alla tentazione del tradimento. Incapace di prendere l'iniziativa, turbato e deluso il giovane se ne va ed Emma cade in uno stato di prostrazione totale. Essa incontra poi Rodolfo, uomo affascinante e navigato, che vive di rendita. Il rapporto è intenso e passionale. Emma, sentendo di avere finalmente sperimentato l'amore vero, perde ogni ritegno, rivendica il diritto alla felicità, pensa di fuggire con l'amante. Questi, però, cinicamente all'ultimo l'abbandona. Essa quasi ne muore, poi si riprende, tenta di accostarsi nuovamente alla religione e di rivitalizzare i suoi ruoli di moglie e di madre. Benché l'ami ciecamente, Carlo però non è in grado di capire la psicologia complessa di Emma e le sue esigenze. Nel corso di una rara evasione mondana, incontra di nuovo Leone, e gli si abbandona quasi subito. Il rapporto passionale la inebria. Emma non ha più remore nel tradire e nel mentire. I lussi che si concede sono pagati al prezzo di debiti che si accumulano. Un mercante usuraio, infine, che le ha concesso credito, vuole essere pagato, fa sequestrare i mobili di casa e le presenta un conto spaventoso. Invano Emma chiede aiuto a Leone prima e a Rodolfo poi. Si rivolge infine al giudice che sarebbe disposto a venirle incontro se essa gli concedesse i suoi favori. Emma sdegnosamente rifiuta e, non avendo scampo, si uccide con il veleno. Carlo, sconvolto dalla perdita, muore poco dopo.

2.

C'è un filo sottile, sotterraneo nel romanzo. La storia dell'anima di Emma s'inaugura e si conclude sul registro religioso. Inviata in convento per ricevere una buona educazione, essa scopre colà la suggestione mistica dell'abbandono allo sposo celeste:

"I primi giorni di convento, lei non s'annoiò minimamente, le piaceva talmente la compagnia delle suore che, per divertirla, la conducevano nella cappella, cui si accedeva dal refettorio attraverso un lungo corridoio. Durante le ricreazioni giocava poco, invece era pronta a capire il catechismo, ed era sempre lei a rispondere al signor vicario, quando costui formulava delle domande difficili. Vivendo dunque, senza uscirne mai, nella tiepida atmosfera di quelle classi, tra quelle pallide donne che portavano rosari dalla croce di rame, finì per assopirsi dolcemente al mistico languore che esala dai profumi dell'altare, dalla frescura delle acquasantiere, dal raggiare dei ceri. Invece di seguire la messa, s'incantava a guardare nel suo libro le pie immagini orlate d'azzurro, s'innamorava della pecora malata, del Sacro Cuore trafitto da aguzze frecce, del povero Gesù soccombente, in cammino, sotto la croce. Provò, per mortificazione, a restare un'intera giornata senza toccare cibo. Si scervellava per trovare qualche voto da imporsi. Quando andava a confessarsi, inventava qualche peccatuccio veniale per poter restare più tempo possibile lì, nell'ombra, in ginocchio, la faccia premuta contro la grata nel bisbigliare del prete. Le similitudini di fidanzato celeste, di sposo celeste, d'amante celeste e di sposalizio eterno ricorrenti spesso nelle prediche le suscitavano in fondo al cuore inattese dolcezze."

La suggestione religiosa viene meno via via che Emma, coltivando la letteratura romantica, intuisce che la sua natura non può sopportare i dogmi e una disciplina mortificante:

"Le buone suore che avevano fatto tanto assegnamento sulla sua vocazione, s'accorsero con grande stupore che la signorina Rouault pareva sottrarsi alle loro sollecitudini. D'altra parte, loro le avevano prodigato un tal numero di uffizi, ritiri, novene, prediche, le avevano talmente predicato il rispetto dovuto ai santi e ai martiri, le avevano talmente consigliato come assicurarsi la modestia del corpo e la salute dell'anima, che Emma si comportò come i cavalli troppo imbrigliati: si fermò d'improvviso e il morso le uscì dai denti. La sua mente, positiva nel vortice degli entusiasmi, che aveva amato la chiesa per i fiori, la musica per le parole delle romanze e la letteratura per gli eccitamenti passionali, recalcitrava davanti ai misteri della fede, almeno quanto si ribellava ai rigori della disciplina contraria alla sua natura. Così, quando suo padre si decise a toglierla dal convento, nessuno rimpianse quella partenza; anzi, la superiora era del parere che negli ultimi tempi l'allieva aveva troppo mancato di rispetto alla comunità."

La morale religiosa e il richiamo mistico, però, rimangono vivi dentro di lei. La prima permette di comprendere le resistenze che Emma, dopo aver scoperto l'infelicità coniugale, oppone alle fantasie di tradimento che si realizzano in seguito all'incontro con Leone ("quanto più si accorgeva del suo amore, tanto più lo respingeva, per tenerlo celato, per diminuirlo. Avrebbe voluto che Léon intuisse, immaginava casi, catastrofi che potessero facilitarlo. A trattenerla era senza dubbio la pigrizia, oppure la paura, magari il pudore. Pensava di averlo ormai respinto troppo lontano, era passato il gran momento, tutto era perduto. E poi l'orgoglio, la gioia di dirsi: "Sono virtuosa." Si guardava allo specchio, assumendo le pose della rassegnazione, e si sentiva un poco consolata del sacrificio che credeva di compiere"), la patetica difesa dei buoni principi che essa oppone alla contestazione di Rodolfo (""Ah! sempre la stessa musica!" disse Rodolphe. "Sempre i doveri: ecco una parola che mi toglie il fiato. Un mucchio di vecchi stupidi in panciotto di flanella e di bigotte con lo scaldino e il rosario che continuano a cantarci negli orecchi: "Il dovere! Il dovere!" Eh, maledizione, il dovere è sentire quello che è veramente grande, il dovere è amare quello che è veramente bello, il dovere è non accettare tutte le convenienze sociali, con il cumulo di ignominie che ci impongono." "Eppure..." obiettava la signora Bovary, "eppure..." "Eh no! Perchè declamare tanto contro le passioni? Non son forse l'unica cosa bella che esista sulla faccia della terra, la gran sorgente dell'eroismo, dell'entusiasmo, della poesia, della musica, delle arti, di tutto, insomma?" "Ma occorre pure," disse Emma, "seguire un poco la pubblica opinione, rispettare la sua morale.") e i rimorsi ricorrenti che sopravvengono in seguito alle "cadute" ("Emma assaporò il pentimento!").

Il richiamo mistico si traduce in un'acuta nostalgia della fede, che, una prima volta, si presenta, in seguito al suono di una campana, per distogliere Emma dall'amore per Leone: "A quel rintoccare insistente, i pensieri della giovane donna si perdevano nei vecchi ricordi dell'infanzia, del convento. Le tornarono in mente i grandi candelabri che sovrastavano sull'altare i vasi pieni di fiori e il tabernacolo a colonnette. Avrebbe voluto, come una volta, confondersi nella lunga fila dei veli bianchi appena interrotta qua e là dai rigidi cappucci delle suore chine sui loro inginocchiatoi, la domenica, a messa, quando rialzava la testa a riconoscere i dolci lineamenti della Vergine tra gli azzurrastri turbini dell'incenso. Allora s'intenerì: si sentì tutta molle e abbandonata come una piuma d'uccello volteggiante nella tempesta; senza averne coscienza, si avviò verso la chiesa disposta a qualsiasi devozione pur di assorbirvi l'anima, pur di annullarvi dentro l'intera esistenza."

Una seconda volta, in seguito all'abbandono di Rodolfo, è il ritorno alla fede che risolve un'interminabile depressione: "Un giorno che, al culmine della malattia, s'era creduta in agonia, aveva voluto far la comunione; e, via via che nella camera venivan compiuti i preparativi per la cerimonia, veniva trasformato in altare il canterano ingombro di sciroppi e venivan sparsi per terra da Félicité dalie e altri fiori, lei s'era sentita passare addosso qualcosa di forte capace di liberarla d'ogni dolore, d'ogni sensazione, d'ogni sentimento. La sua carne alleggerita non aveva più peso nè pensiero, per lei cominciava un'altra vita: le parve, che salendo verso Dio, il suo essere andasse ad annullarsi in quell'amore, come, ardendo, l'incenso si dissolve in fumo. Le coltri furono asperse d'acqua benedetta, il prete estrasse dal sacro ciborio l'ostia candida; fu venendo meno d'una gioia celestiale che lei protese le labbra per ricevere l'offerta del corpo del Salvatore. Le tende dell'alcova le si gonfiavano mollemente intorno come nuvole, i due ceri accesi sul canterano le splendevan negli occhi come glorie, accecanti. Allora lasciò ricadere la testa, udiva gli spazi risuonar di arpe serafiche, scorgeva in un cielo azzurro, assiso in un trono d'oro, circondato dai santi tutti con la loro bella palma verde in mano, Dio Padre folgorante di maestà, che con un cenno faceva scendere in terra angeli dalle ali di fiamma, per portarsela su tra le braccia.

Questa splendida visione restò nella sua memoria come la più bella cosa che fosse possibile sognare; e continuava, adesso, a cercar di riaffermarne l'intera sensazione, la ritrovava, sì, ma in una maniera meno esclusiva, anche se con una dolcezza altrettanto stordente. La sua anima, stremata dall'orgoglio, riposava finalmente nell'umiltà cristiana: Emma assaporava il piacere d'essere debole, contemplava in se stessa la distruzione della volontà, sempre più arresa all'assalto della grazia. Esistevan dunque gioie più grandi della felicità terrena, un amore capace di superare ogni passione umana, un amore senza soluzione di continuità, senza possibilità di conclusione, in eterno aumento! E lei intravide, tra le illusioni della speranza, uno stato di purezza, alto sulla terra, fondentesi con il cielo, aspirò a esservi ammessa. Volle diventare una santa."

Dopo quest'estremo tentativo, Emma, incontrando di nuovo Leone, dopo aver opposto una debole resistenza alla passione ("un fruscio di seta sul pavimento, l'ala d'un cappello, una mantiglia nera... Era lei! Léon balzò in piedi, le corse incontro. Emma era pallida. Veniva avanti in fretta. "Leggete!" disse, tendendogli un foglio. "Oh! no!..." E bruscamente tirò indietro la mano, entrò nella cappella della Vergine, s'inginocchiò contro una sedia, parve sprofondare nella preghiera. Il giovane uomo s'irritò per quella fantasia di bigotta; poi, però, assaporò un certo piacere nel vederla, in quel loro convegno, smarrirsi nelle orazioni come una marchesa andalusa; comunque, non tardò ad annoiarsi, quella non la finiva più. Emma pregava, o piuttosto si sforzava di pregare, sperando che le scendesse dal cielo un'improvvisa ispirazione; e, per propiziarsi l'aiuto divino, si riempiva gli occhi dello scintillio del tabernacolo, aspirava sentori delle viole bianche spampanate nei grandi vasi, tendeva gli orecchi al silenzio della chiesa che non faceva che accrescere il tumulto del suo cuore."), precipita nell'abisso della perdizione, esprimendo una volontà luciferina di violare le convenzioni morali e sociali.

Cionondimeno, la morte di Emma avviene all'insegna del misticismo:

"Con lentezza, lei girò la faccia, e parve invasa da una gran gioia nel vedere la stola viola: certo, ritrovava in una pace improvvisa la perduta voluttà dei suoi primi slanci mistici e, insieme, incipienti visioni di beatitudine eterna.

Il prete si rialzò per prendere il crocifisso; allora lei protese il collo, come qualcuno che ha sete, e, incollando le labbra sul corpo dell'Uomo Dio, vi depositò con tutta la sua forza fuggente il più profondo bacio d'amore che avesse mai dato."

L'influenza della religione su tutte le anime sensibili, che ne rimangono impregnate nel corso della fase evolutiva, è fatale. Quando viene meno la fede, l'impregnazione continua ad agire a livello inconscio. Se questo è vero per tutti, gli effetti a livello di soggettività femminile sono incisivi. Per un verso, infatti, essi si traducono nel concepire l'amore umano in termini religiosi. Nell'amante, Emma di fatto cerca un sostituto di Dio al quale abbandonarsi totalmente e con il quale creare un legame fusionale, mistico. Per un altro verso, la persistenza a livello inconscio dei valori religiosi e della mortificazione degli istinti che essi promuovono, comporta una strenua lotta contro i desideri che, alla fine, possono realizzarsi solo in una dimensione di totale abbandono al piacere.

Questo viraggio risulta chiaro confrontando due episodi. Dopo avere opposto resistenza alla passione nei confronti di Leone, che induce questi ad allontanarsi, Emma cede per la prima volta a Rodolfo. Si tratta però di un cedimento tormentato, che avviene in virtù della superiore potenza dell'amore rispetto a i principi morali, che sono evidentemente ancora vivacissimi:

"Lui l'afferrò per il polso. Lei si fermò. Lo guardò per qualche attimo con occhi umidi d'amore, poi, disse, vivacemente: "Lasciamo perdere, non ne parliamo più... Dove sono i cavalli? Meglio tornare." Lui ebbe un gesto di collera e di fastidio. Lei insistè: "Dove sono i cavalli? Dove sono i cavalli?"…

"È tutto uno sbaglio, è tutto uno sbaglio," diceva lei. "Sono pazza a starvi a sentire." "Perchè mai?... Emma! Emma!" "Oh! Rodolphe!..." bisbigliò lentamente la giovane donna e gli reclinò il capo su una spalla. Il panno del suo vestito aderiva al velluto della giacca. Lei rovesciò il collo bianco dilatato da un sospiro e, stremata, tutta in lacrime, celando la faccia in un lungo fremito, si abbandonò."

Allorché, dopo l'abbandono di Rodolfo, Emma incontra di nuovo Leone, il cedimento, dopo una debole resistenza, avviene senza ritegno. Essi fanno l'amore su di una carrozza pubblica:

"E sul porto, in mezzo ai carri e alle botti, nelle strade, alle cantonate, i borghesi aprivano tanto d'occhi sbalorditi da un avvenimento talmente straordinario in provincia: una carrozza con le tendine abbassate che andava e veniva senza posa, chiusa come una bara, sballottata come una scialuppa.

A un certo punto, a metà giorno, in piena campagna, quando il sole dardeggiava più forte contro i vecchi fanali argentati, una mano nuda sbucò da sotto le tendine gialle e buttò via dei pezzetti di carta che si dispersero all'aria, e andarono a posarsi lontano, come candide farfalle, su un campo fiorito di trifoglio rosso."

Il foglio strappato è la lettera in cui Emma comunica a Leone la sua volontà di resistere alla passione, e per scrivere la quale ancora una volta essa si è rivolta a Dio in chiesa. Gettare fuori dalla carrozza i pezzettini di carta rappresenta una sorta di spoliazione dall'abito della virtù. Ma non è un caso che a tale spoliazione faccia seguito una sorta di anarchia morale:

"Da quel momento in poi, la sua esistenza fu un unico ammasso di menzogne. vi avvolgeva l'amore come in veli, per nasconderlo…

Era un bisogno, una mania, un piacere al punto che, se diceva d'esser passata ieri per il lato destro d'una via, si poteva star certi che aveva preso il sinistro…

Quante pazzie, il giovedì seguente, all'albergo, nella loro camera, con Léon! Lei rise, pianse, cantò, ballò, si fece portar su dei sorbetti, volle fumar delle sigarette, lui la trovò bizzarra, ma adorabile, magnifica…

Non sapeva quale reazione di tutto il suo essere la spingesse a precipitarsi ancor più nei piaceri della vita. Diventava irritabile, golosa e sensuale; andava a spasso con lui a testa alta, senza la minima paura, lo proclamava, di compromettersi."

L'anarchia morale, che spesso coincide con un'esperienza maniacale, non è l'espressione della potenza degli istinti affrancati dal controllo morale, bensì di una difesa soggettiva contro i valori mortificanti interiorizzati e i sensi di colpa che essi producono. Per negare di sentirsi in colpa, e non precipitare nella depressione, il soggetto non può fare altro che commetterne altre sempre maggiori. L'anarchia morale però può durare però solo in virtù di un'anestesia della coscienza rispetto ai sensi di colpa che, a livello inconscio, continuano a prodursi. Per questa via, la caduta del soggetto in una depressione grave sottesa da un bisogno di punizione è inevitabile. Per quest'aspetto, la conclusione della carriera di Emma con il suicidio e il pentimento mistico è estremamente significativa.

3.

All'oscillazione di Emma tra la virtù e la passione amorosa, che implica in ogni caso una tensione verso una vita piena e ricca di ideali, fa riscontro la mediocrità dei personaggi maschili. Flaubert è ferocemente critico nei confronti dell'universo maschile.

Nella sua banalità piccolo-borghese, giustificata peraltro dall'avere interagito con un padre narcisista, gaudente e irresponsabile e con una madre ambiziosa e invasiva, Carlo è il personaggio più autentico.

Emma tenta invano di aprire la sua anima verso orizzonti più vasti, di renderlo un po' più affine a sé:
"E intanto, secondo teorie della cui bontà era convinta, Emma cercava di arrivare al vero amore. In giardino, al chiar di luna, recitava al marito tutti i versi appassionati che sapeva a memoria, e gli cantava, sospirando, qualche aria malinconica; ma poi si ritrovava malauguratamente più calma di prima e, quanto a Charles, non le appariva nè più innamorato nè, comunque, più turbato. Quando ebbe battuto così per un poco l'acciarino sul proprio cuore senza farne sprizzare una sola scintilla, incapace, del resto, di comprendere quanto non provava come di credere a quanto non si manifestava in forme convenzionali, si persuase facilmente che nella passione di Charles per lei non vi era nulla di eccessivo. Le espansioni del marito eran diventate regolari, la baciava a ore fisse. Un'abitudine come un'altra, quasi un dolce, previsto per tempo, dopo la monotonia del pranzo."

La sua totale assenza d'immaginazione, d'intuizione psicologica, di fantasia, di interessi culturali definiscono una mediocrità irrimediabile, una normalità che rasenta l'imbecillità:

"Non insegnava nulla, Charles, non sapeva nulla Charles, non immaginava nulla Charles: credeva che lei fosse felice, ma lei gliene voleva per tutta quella tranquillità imperturbabile, per tutta quella pacifica pesantezza, per tutta quella stessa sazietà di cui era l'origine."

Ciononostante, egli ama autenticamente Emma, anche se non è in grado di capirne le esigenze e lo spessore della sua anima; si ritiene fortunato di avere accanto una donna che sente come straordinaria; incapace di soddisfarla, non pone alcun limite alla sua libertà e alla sua autorealizzazione, non interferendo nella coltivazione di rapporti amicali nei quali non vede alcuna malizia, assecondando il suo gusto per il lusso, spingendola a dedicarsi alla musica, ecc. Certo, egli non è in grado d'intuire il dramma interiore di una donna che non può vivere senza passione e senza un orizzonte esistenziale significativo. E' insomma terribilmente limitato nella sua angusta ottica piccolo-borghese. Ma è, nel complesso, un brav'uomo, la cui mediocrità è riscattata dal fatto che, preso atto delle colpe di Emma, riesce a perdonarla e a serbarle amore nel suo intimo, fino alla morte per crepacuore.

Leone è un personaggio contraddittorio. Egli condivide con Emma una sensibilità piuttosto fine, partecipa del suo bisogno di grandi orizzonti ("Oh! Lo adoro, il mare, io," disse Léon. "E poi non vi pare," insistè la signora Bovary, "che lo spirito spazi più liberamente su quella distesa sconfinata, la cui contemplazione eleva l'anima e prodiga idee d'infinito, d'ideale?"), la ama autenticamente, prima sul piano platonico poi su quello ferotico. Ciononostante, anch'egli ad un certo punto, è incapace di tollerare l'intensità passionale dell'amore di Emma, e giunge a disamorarsene:

"Come s'annoiava, adesso, quando Emma attaccava di colpo a singhiozzargli sul petto; il suo cuore, come capita a chi non può sopportare più d'una certa dose di musica, s'assopiva d'indifferenza nel trambusto di un amore di cui non distingueva più le delicatezze."

Quando poi Emma, disperata per i debiti, gli chiede aiuto, egli si comporta da vigliacco. Non glielo nega, ma non fa nulla per aiutarla.

Rodolfo è il personaggio più sgradevole. Uomo di mondo, egli intuisce la fragilità di Emma e ne approfitta, celando sotto enfatiche dichiarazioni d'amore un calcolo da cinico seduttore:

"Passarono sei settimane, Rodolphe non si faceva vedere. Una sera, finalmente, ricomparve. Il giorno dopo i comizi s'era detto: "Non torniamo subito, sarebbe un errore." E al termine della settimana era partito per la caccia. Dopo la caccia, aveva pensato che ormai era troppo tardi, poi fece questa riflessione: "Ma, se mi ha amato dal primo giorno, adesso, per l'impazienza di rivedermi, deve amarmi di più. Insistiamo, dunque!" Si rese conto che il suo calcolo era esatto, quando, al suo ingresso nella sala, vide Emma sbiancare."

La conquista, alimentata dalla passione divorante di Emma, per qualche tempo lo esalta, introducendo un elemento di novità nel triste orizzonte della provincia. Egli l'ama narcisisticamente per qualche tempo, perché si sente amato, anche se nel suo intimo non la stima. Sopravviene poi la noia e l'indifferenza

"Eppure lei gli piaceva sempre! Ne aveva avute ben poche lui d'un simile candore! Quell'amore senza libertinaggio era un'autentica novità per lui: lo sottraeva alle sue abitudini ormai facili, blandiva il suo orgoglio e la sua sensualità insieme. L'esaltazione di Emma, che il suo buon senso borghese non poteva fare a meno di disprezzare, gli appariva in fondo deliziosa perchè s'appuntava sulla sua persona. Certo di essere amato, finì per non aver più troppi riguardi, a poco a poco i suoi modi mutarono.

Non le rivolgeva più come una volta quelle paroline dolci che avevano la capacità di scioglierla in lacrime, non le elargiva più come una volta quelle veementi carezze che avevano il potere di farla impazzire; così il grande amore in cui viveva immersa parve impoverirlesi sotto, al pari dell'acqua d'un fiume assorbito dal suo letto, e alla fine lei scorse il fango del fondo. Non voleva crederci; esagerò in tenerezza; Rodolphe riuscì sempre meno a nascondere la propria indifferenza."

Emma, soggiogata da lui, insiste ad esprimere il suo amore e a sottomettersi alla sua volontà. Ma è proprio questo atteggiamento a rivolgersi contro di lei, perché la psicologia di Rodolfo, essendo quella di un seduttore, non tollera l'eterno linguaggio della passione e neppure l'assoggettamento:

"Emma era tale e quale a tutte le altre sue amanti; e l'incanto della novità, cadendo a poco a poco come una veste, metteva a nudo l'eterna monotonia della passione che non cambia mai forma, non cambia mai linguaggio. Non sapeva distinguere, lui uomo essenzialmente pratico, la diversità dei sentimenti sotto l'identità delle espressioni. Dato che labbra libertine o venali gli avevan bisbigliato frasi simili, lui prestava solo debole ascolto alla verità di quelle di Emma; meglio far sempre la tara, pensava, i discorsi esaltati stan lì a ricoprire gli affetti mediocri; come se la ricchezza dell'anima non traboccasse a volte nelle metafore più vuote, come se a questo mondo fosse effettivamente possibile esprimere esattamente i propri desideri, le proprie idee, i propri dolori, come se la parola umana non fosse un vaso di rame incrinato su cui battiamo cadenze capaci al massimo di far ballonzolare gli orsi, mentre aspireremmo a intenerir le stelle.

Ma, con quella facile superiorità di critica propria a chi, in qualsiasi impresa, si tiene indietro senza compromettersi, Rodolphe intravide in quell'amore altri godimenti da assaporare. Giudicò fuori luogo ogni pudore. Trattò l'amante senza il minimo riguardo. La ridusse alla più assoluta docilità, alla più convinta corruzione. Emma aveva per lui un attaccamento idiota, ribollente d'ammirazione, ne ricavava una gran voluttà, una beatitudine paralizzante: la sua anima si sprofondava in quell'ebbrezza, vi s'annegava, vi si annullava."

Il cinismo di Rodolfo giunge al punto di mostrare complicità in rapporto al progetto di Emma di fuggire insieme. La bellezza di Emma lo attrae ancora, ma non fino al punto di promuovere la decisione di assumersi un impegno relazionale vincolante:

""Ma che imbecille sono!" disse, e bestemmiava orribilmente. "Però, era una magnifica amante!" E di colpo gli insorse contro la bellezza di Emma, con tutti i piaceri di quella relazione. Dapprima s'intenerì, poi se la prese con lei. "Non posso mica andare in esilio," esclamava, gesticolando, "e addossarmi anche un figlio non mio." Si ripeteva queste cose per rafforzarsi nella decisione presa. "E poi i pasticci, le spese... Ah! no, no, mille volte no! Via, sarebbe stata una bestialità troppo grossa!""

L'abbandono e il tradimento della fiducia di Emma è dunque inevitabile, e avviene all'insegna di un disprezzo totale nei suoi confronti :

""Povera donnicciola!" pensò con una certa tenerezza. "Mi crederà più insensibile d'una pietra, ci sarebbe voluta qualche lacrimuccia qui sopra, ma io non so proprio piangere, io, non è mica colpa mia, sono fatto così, io.""

Emma è ingenua nel coltivare il sogno di un amore eterno, ma la sua autenticità passionale risalta come un tratto di nobiltà a confronto degli amanti che, nonostante la sua idealizzazione, sono inesorabilmente mediocri.

4.

Emma insegue perpetuamente la felicità come un miraggio. In alcuni momenti, come per esempio dopo il primo tradimento, ha la certezza esaltante di averla raggiunta:

"Ebbe subito come una vertigine: rivedeva gli alberi, i sentieri, i fossati, Rodolphe, soprattutto, sentiva ancora la stretta delle sue braccia mentre le foglie frusciavano e i giunchi sibilavano. Ma, vedendosi nello specchio, si stupì della propria faccia. Non aveva mai avuto occhi così grandi, così neri, così profondi. Qualcosa di sottile era diffuso sul suo corpo, la trasfigurava. Si ripeteva: "Ho un amante! Un amante!" appassionandosi a un simile pensiero come all'idea di una nuova pubertà. Dunque avrebbe posseduto le famose gioie dell'amore, la febbre di felicità di cui aveva disperato. S'inoltrava in un'era meravigliosa in cui tutto sarebbe stato tempesta dei sensi, estasi, delirio; un'immensità celeste la circondava, le cime del sentimento scintillavano nella sua mente, l'esistenza normale le appariva ormai così lontana, in basso, nell'ombra, tra i vuoti di quelle altezze. Allora ricordò le eroine di tutti i libri che aveva divorato, e la lirica legione di quelle adultere cominciò a cantare nella sua memoria, le loro voci eran voci di sorelle, la incantavano. Diventava lei stessa una parte vera di tutte quelle invenzioni, traduceva in realtà il lungo fantasticare giovanile, riconoscendosi in quel personaggio di donna amante cui tanto aveva aspirato. E, d'altronde, Emma assaporava il gusto della vendetta. Quanto non aveva patito! Adesso, invece, trionfava e l'amore, per tanto tempo raffrenato, sgorgava libero, con allegra effervescenza. Lo apprezzava senza rimorsi, senza inquietudini, senza turbamenti."

Di fatto l'amore si rivela insufficiente a colmare il vuoto dell'anima, come riesce chiaro in seguito alla relazione con Leone: "Anche se lo amava non era felice, non era mai stata felice. Di dove le veniva, dunque, quell'insufficienza della vita, quella putrefazione istantanea di tutte le cose su cui s'appoggiava?..."

La storia di Emma è quella di un'insoddisfazione cronica, spesso coincidente con una depressione, che viene temporaneamente risolta da alcuni momenti di esaltazione.

I neopsichiatri non avrebbero difficoltà ad etichettare questo dramma riconducendolo ad un disturbo dell'umore bipolare. E' quanto, del resto, fanno in rapporto a soggetti femminili la cui esperienza è tessuta dagli stessi vissuti di Emma (insoddisfazione cronica, accensioni passionali, delusioni) e sottesa dalle stesse dinamiche. Si tratta al solito di una tendenza ad etichettare le vicende umane che implica un'incomprensione totale del loro significato. Per illuminare questo significato, occorre imboccare un tragitto interpretativo più complesso che eviti le secche nosografiche e, nello stesso tempo, vada al di là dell'ideologia femminista.

Flaubert in più momenti rileva gli effetti deleteri della letteratura romantica sulla personalità di Emma. Ma il romanticismo, con il suo culto delle emozioni che sormontano la banalità del quotidiano, con il suo misticismo che sembra assegnare alla soggettività la capacità di fondersi con l'infinito, anche senza la mediazione della religione, è orientato a risolvere un problema di fondo della mente umana: l'intuizione dello scarto tra la finitezza individuale e l'infinito. Universale, vale a dire presente in qualunque esperienza soggettiva, tale scarto è più o meno acutamente avvertito a seconda della ricchezza emozionale individuale. E' probabile che le donne, dotate mediamente di una più viva sensibilità rispetto agli uomini , avvertano quello scarto in maniera più acuta.

Questo non il solo, ma è uno dei fattori che spiegano perché esse siano più esposte alla suggestione religiosa, che si mantiene spesso anche in età adulta. Nella misura in cui la religione appaga la tensione verso l'infinito, essa però condiziona la soggettività femminile a ritenere quello scarto intollerabile. In conseguenza di questo le donne, rispetto agli uomini, sia che continuino a credere o perdano la fede, sono esposte al rischio di investire la vita di un significato improprio, riconducibile all'azzeramento di tale scarto.

Per ciò la loro esperienza tende a collocarsi spesso su di un registro eccessivo, sia esso quello della virtù - la dedizione perfezionistica alla casa e ai figli - o quello della trasgressione morale, spesso giustificata dall'intensità della passione amorosa.

Sarebbe ingenuo non considerare che questo rischio trova un humus fertile in tutte le esperienze caratterizzate da una frustrazione reale del bisogno di felicità. E però, come in Emma, l'insoddisfazione non basta a spiegare l'estenuazione nei lavori domestici e le accensioni passionali cui spesso le donne vanno incontro. In entrambi i casi, è come se esse fossero condizionate a ritenere che la vita ha senso se e solo se si mantiene su di un registro di estrema tensione.

C'è insomma un condizionamento culturale che grava sull'universo femminile, già predisposto per la sua sensibilità a cadere nel ricatto dell'infinito. Tale condizionamento, la cui prima matrice è l'educazione religiosa, orienta naturalmente le personalità verso l'eccesso nella virtù o l'eccesso nella passione amorosa, verso insomma forme d'esperienza atte a soddisfare lo scarto tra finito e infinito.

L'ideologia e l'organizzazione sociale borghese ha sfruttato la predisposizione femminile per far gravare sulle donne l'obbligo delle virtù domestiche e morali, per asservirle ai bisogni maschili e per addossare ad esse la responsabilità del mantenimento dell'ordine morale. Questo modello interiorizzato, per il suo carattere squilibrato, produce spesso compensi inconsci che portano non poche donne a fantasticare una vita di segno opposto. L'opposto del perfezionismo morale non è però la libertà, bensì il perfezionismo trasgressivo. Non è un caso che le fantasie inconsce si esprimano spesso sotto forma d'incoercibile desiderio di abbandonare la casa, il marito e i figli. Spesso esse, colpevolizzate, non producono altro che attacchi di panico e depressioni invalidanti. Nei casi, relativamente rari, in cui si realizzano, la fuga non può avvenire che all'insegna dell'assoggettamento alla passione amorosa, vale a dire all'uomo, e le conseguenze, sia sul piano della delusione che dei sensi di colpa, sono solitamente serie.

Per quest'aspetto, la vicenda di Emma è straordinariamente limpida e ha un valore universale.

Flaubert, insomma, fornisce la chiave profonda di qualunque esperienza femminile bipolare. Basterebbe tenerne conto per sormontare le etichette neopsichiatriche e affrontare il problema di una congiuntura tra natura e cultura che, talora, ha effetti fatali.

Settembre 2004