Introduzione a Nietzsche

1.

In un'ottica panantropologica, che tende a sormontare la specializzazione dei saperi che riguardano l'uomo, l'approccio a Nietzsche non può prescindere dall'affrontare preliminarmente il problema del rapporto tra l'opera e la malattia mentale.

Come noto, ai primi di gennaio del 1889 Nietzsche, che risiede a Torino, manifesta uno scompenso psicotico in seguito al quale viene ricoverato in una casa di cura. Da tale scompenso egli non si riprenderà mai più. Assistito dalla madre prima e dalla sorella poi, rimarrà immerso sino alla fine (agosto 1900) in una condizione di sfacelo psichico che lo rende estraneo al mondo, incapace di scrivere e di articolare un pensiero sensato, e indifferente al successo tanto agognato dei suoi scritti, che sopravviene tardivamente.

I documenti inerenti la malattia, sia quelli clinici sia quelli legati alla testimonianza della sorella, degli amici e degli ammiratori, non forniscono alcun appiglio ad un'interpretazione psicodinamica. Si sarebbe trattato insomma di uno sfacelo schizofrenico, caratterizzato da un autismo totale, da una regressione dei comportamenti a livelli di estremo primitivismo, da accessi di rabbia inconsulta, da un'insalata di parole, ecc. Ricostruendo la carriera di Nietzsche a posteriori, molti dei suoi comportamenti - la tendenza all'isolamento e al vagabondaggio, la difficoltà di stabilire e mantenere relazioni significative, l'ambivalenza manifestata nei confronti dei familiari e delle persone amiche, ecc. - possono essere assunti come indiziari di un processo schizofrenico avviatosi precocemente, mantenutosi per anni sul registro dello schizoidismo ed esitato infine nella catastrofe psicotica e nel delirio autistico.

Questa versione psichiatrica dell'esperienza di Nietzsche ha indotto alcuni critici astiosi a interpretare il suo pensiero in toto come sintomatico della malattia mentale. Esso, dunque, nonostante il fascino stilistico, sarebbe concettualmente minato e pertanto pericoloso.

I sostenitori, viceversa, hanno sottolineato il nesso tra genio e follia. Da questo punto di vista, la creatività di Nietzsche sarebbe l'altra faccia della malattia mentale, quella che gli ha consentito, prima di precipitare nel buio, di percorrere tragitti di pensiero rivoluzionari, atti a demistificare una serie di convinzioni comunemente accettate dal senso comune, dai filosofi e dai moralisti in nome del loro bisogno di credere, che sarebbe una conseguenza propria, e negativa, della normalità.

Vivacissimo in passato, tale conflitto, da qualche anno a questa parte, si è affievolito in virtù del prevalere di un orientamento che scinde il nesso tra filosofia e follia. Che Nietzsche sia stato affetto da una malattia mentale, per quanto indubitabile, nulla toglie al significato oggettivo della sua impresa intellettuale, che andrebbe valutata in sé e per sé.

Devo affermare onestamente che, se non sono ovviamente d'accordo con i critici, quest'ultima soluzione non mi soddisfa. Posto che nessun prodotto culturale può essere interpretato solo come espressione della biografia interiore del soggetto, nondimeno mi riesce difficile pensare che questa non abbia alcun'incidenza su di esso.Ancora più difficile mi riesce pensare che una biografia interiore possa essere isolata come storia di un'anima prescindendo dal mondo storico-sociale con cui essa interagisce. Ma quale pertinenza hanno questi presupposti, ideologici se si vuole, in rapporto alla vita e all'opera di Nietzsche?

2.

Il discorso è ovviamente complesso e qui può essere solo brevemente accennato. La chiave dell'esperienza, umana e intellettuale di Nietzsche, come peraltro (mutatis mutandis) di Leopardi, è un corredo costituzionale intensamente introverso associato ad una dotazione emozionale e intellettiva straordinaria.

Nietzsche è precocemente consapevole di questa diversità. A 14 anni egli scrive: "Alla mia giovane età avevo già sperimentato molto dolore e tanti affanni, e non ero vivace e sfrenato come sono di solito i ragazzi. I miei compagni solevano canzonarmi per questa mia gravità.Ma ciò non accadde soltanto alla scuola elementare, no, anche in seguito, all'istituto e perfino al liceo. Fin da bambino io ricercavo la solitudine, e mi trovavo meglio là dove potevo abbandonarmi indisturbato a me stesso." Questa consapevolezza si mantiene inalterata nel corso della vita. In età adulta egli scrive: "Odio coloro che mi tolgono la solitudine senza farmi compagnia."

E' noto ormai che l'introversione, quando si traduce in un'esperienza sociale caratterizzata dall'incomprensione e dalla derisione, può animare nell'intimo una quota di emozioni antisociali (rabbia, odio, vendetta), destinate a durare tutta la vita. L'avversione di Nietzsche nei confronti della "normalità" ha questa radice. Tanto più che egli, a differenza di quanto capita a parecchi introversi, che, in conseguenza degli attacchi cui vengono sottoposti e del confronto con gli altri, sviluppano un senso grave d'inadeguatezza, non è stato mai minato nell'intima sicurezza delle sue capacità intuitive e intellettuali. Ha sempre percepito la sua genialità e la capacità d'inoltrarsi su tragitti di pensiero inaccessibili ai più.

Quando l'intuizione del proprio valore e della diversità sopravvive agli attacchi sociali, c'è sempre il rischio che le emozioni sociali negative trasformino l'affermazione di sé in un progetto di riscatto vendicativo. La vendetta, in tale caso, imbocca inesorabilmente la via della legge del taglione e si traduce in un atteggiamento di rifiuto e di critica sprezzante nei confronti degli altri, di squalifica della loro mediocrità, di misconoscimento della loro dignità.L'elitarismo, l'antidemocraticismo, la contestazione della borghesia intellettualmente pigra e della plebe volgare e presuntuosa - i tratti reazionari del pensiero di Nietzsche - sono riconducibili a questa dinamica. Perciò essi, benché innegabili, possono essere considerati non autentici, in quanto determinati da motivazioni interiori - difensive e offensive - rimaste fuori del controllo della coscienza.

Un'altra circostanza decisiva nella strutturazione del mondo interiore di Nietzsche, essa stessa frequente negli introversi, è il bisogno precoce di una visione del mondo elevata e totalizzante. Tale bisogno si traduce quasi sempre in un'adesione intensa e partecipe alla prima ideologia con queste caratteristiche che viene trasmessa dall'educazione: la religione. Come Leopardi, anche Nietzsche ha sperimentato l'abbandono alla fede e una fase mistica.Egli scrive a 14 anni: "Ho vissuto ormai tante esperienze, lieti e tristi, che mi hanno rasserenato e afflitto, ma in ogni cosa Iddio mi ha guidato sicuro, come un padre il suo debole fanciullino. Parecchi dolori Egli mi ha già inflitto, ma ovunque riconosco con venerazione la Sua maestà, che sovranamente manda ogni cosa a effetto. Ho preso nel mio intimo la salda decisione di dedicarmi per sempre al Suo servizio.Il buon Dio mi conceda la forza necessaria al mio proposito e mi protegga lungo il cammino. Io mi affido come un bimbo alla Sua grazia: Egli ci guarderà tutti quanti, perché nessuna sciagura venga a turbarci. Ma sia fatta la Sua volontà! Tutto ciò che mi assegnerà lo accetterò con gioia, fortuna e sventura, ricchezza e povertà, e guarderò arditamente in faccia alla morte, che un giorno ci raccoglierà tutti nella gioia e beatitudine sempiterna. Sì, mio buon Signore, fa che il tuo Volto risplenda sopra di Noi in eterno! Amen."

Un'esperienza infantile e mistica infantile e adolescenziale così intensa permea l'inconscio di un sentimento religioso della vita che non viene mai meno se non al prezzo di un duro tragitto interiore che estirpa il bisogno di un senso oggettivo e totalizzante, e, consentendo di trangugiare l'amaro calice dell'insignificanza del tutto e in particolare dell'esistenza, porta alla pietas e a vivere l'avventura mondana come un'esperienza che necessità di un senso soggettivo.

Di fatto, attraverso la lettura di Schopenauer, Nietzsche s'inoltra in questo tragitto ma non va fino al fondo. L'ostacolo è, per l'appunto, la persistenza inconscia di un senso religioso della vita che lo porta a ricusare l'insignificanza. E' questo sentimento, residuato a livello inconscio, che determina l'adesione entusiastica alla "religione" dionisiaca. Il passaggio dall'apollineo al dionisiaco è fondamentale nell'esperienza di Nietzsche. Esso rappresenta la matrice di una nuova visione del mondo aperta all'irrazionale, al culto degli istinti primordiali e all'affermazione della volontà di potenza individuale. Una visione tragica e esaltante, inesorabilmente conflittuale, che assegna all'individuo il diritto di affrancarsi dalla pietas e dalla morale in nome di un'accettazione radicale della vita, il cui unico senso è la realizzazione delle potenzialità individuali.

Nonostante le apparenze, però, questa nuova religione non affranca del tutto Nietzsche dal suo originario misticismo. La sua ossessione anticristiana, resa paradossale da un'ambivalenza che non verrà mai meno nei confronti di Gesù, è un indizio fin troppo evidente dei sensi di colpa legati al tradimento dell'originario patto con Dio. Nietzsche adotta nei confronti dei sensi di colpa la difesa della negazione. Ma la sua identificazione finale con l'Anticristo e con Cristo (Ecce Homo), che precede di poco lo scompenso psicotico, sono le prove certe del carattere precario di tale difesa.

3.

In un breve appunto autobiografico giovanile (1861), Nietzsche scrive: "Anche se i tratti fondamentali del carattere sono per così dire innati in ogni uomo, sono le circostanze e il tempo che maturano questi primi germi, cui imprimono determinate forme che poi a lungo andare si fanno indelebili e durature." Egli, pur dotato di una capacità intuitiva psicologica straordinaria, non ha tenuto conto di un'altra possibilità: che quelle forme si mantengano indelebili e durature a livello inconscio, potendo essere rimosse totalmente dalla coscienza. La sua vicenda da questo punto di vista è esemplare.

A causa della sua diversità, misconosciuta e derisa dai coetanei, egli sviluppa un sentimento precoce di rabbia, di disprezzo e di vendetta nei confronti dei "normali" che accentua l'orientamento introverso. Si aggrappa alla fede per tenere a freno e trasformare nel contrario questo nodo emozionale. Quando sopravviene l'abbandono della fede, le emozioni negative lo spingono nella direzione di un sentire antitetico ai luoghi comuni, alla mediocrità della vita della borghesia e del volgo, ai valori orali tradizionali e a quelli religiosi. L'atteggiamento antitetico esalta le sua capacità critiche, e fa scorrere la sua creatività, ma l'emozionalità inconscia lo induce a radicalizzare le sue posizioni, a dare corpo ad un'ideologia individualistica e elitaria che, per soffocare ogni residua pietà umana e religiosa, si traduce in una rivendicazione di spietatezza e di crudeltà, nell'esaltazione del Superuomo affrancato da ogni vincolo sociale e morale. Un benefattore dell'umanità ai suoi occhi, nella misura in cui egli guida l'umanità fuori della preistoria, insegnando che Dio è morto e con lui tutti i falsi valori che mortificano la volontà di potenza, l'istinto primordiale all'affermazione di sé ad ogni costo.

E' noto a livello psicoanalitico che un atteggiamento interiore, conscio o inconscio, che implica un conflitto con tutto il mondo e con un Dio originariamente riconosciuto, attiva meccanismi destinati prima o poi ad indurre un crollo dell'identità personale. Il crollo intervenuto nel 1889, per la sua gravità e irreversibilità, lascia pensare a sensi di colpa di particolare intensità. Se è vero l'episodio, intervenuto all'inizio della crisi, dell'abbraccio ad un cavallo percosso dal padrone, esso attesta un rigurgito di pietas universale, che è l'emozione più duratura dell'anima introversa. Nietzsche però, che per anni ha coltivato un'ideologia antitetica, non è stato in grado di riconoscerlo.Lacerato da un Super-Io terribilmente colpevolizzante e un io antitetico pervicacemente alimentato a livello cosciente e ideologico, egli, nonostante la crisi, si è alleato inconsciamente con quest'ultimo.I suoi comportamenti infraumani nel corso degli ultimi anni di vita comprovano questo inequivocabilmente.

La malattia di Nietzsche ha dunque una comprensibilità psicodinamica il cui unico limite è la documentazione carente redatta dagli psichiatri e testimoniata dalla sorella e dagli amici. Essa fa tutt'uno con una carriera di vita sottesa da conflitti psicodinamici, dalla volontà esasperata di affrancarsi da un'originaria sensibilità sociale vivacissima e dalla forma cristiana che l'ha modellata in fase evolutiva.

C'è da chiedersi però quanto sia importante quest'approccio alla comprensione del pensiero di Nietzsche. Esso ovviamente squalifica il giudizio dei critici astiosi, che, iscrivendo in toto quel pensiero nell'ambito della morbosità, non fanno altro che esprimere un pregiudizio psichiatrico. Non depone, però, immediatamente a favore dei sostenitori di Nietzsche, che intendono oggettivare la sua opera e valutarla nella sua qualità filosofica. Quest'orientamento, infatti, impedisce di comprendere l'oscillazione perpetua del pensiero di Nietzsche tra una straordinaria umanità, che si rivela nella comprensione che ha nei confronti delle più sottili vibrazioni dell'anima umana, e una straordinaria disumanità. Quest'ultima a sua volta riconosce due componenti: la prima, di ordine etico, fa capo alla durezza e alla severità che egli impone a se stesso come metodo per sormontare le infinite mistificazioni di cui la coscienza è maestra; la seconda, di ordine ideologico, si traduce nel disprezzo degli esseri inferiori - i deboli, gli inetti, i virtuosi, i preti, gli opportunisti, i mercanti, i conformisti, gli intellettuali illuministi, ecc.

E' inutile tentare di ammorbidire o di stravolgere quanto di reazionario e di "razzista" c'è nel pensiero di Nietzsche. Ritenerlo un profetico messaggero della protesta contro l'alienazione significa negare che egli ritiene di fatto che l'umanità è la somma di due diverse specie: gli esseri inferiori, destinati all'estinzione, e gli esseri superiori, di cui egli si sente un rappresentante, destinati al trionfo. Significa anche negare che la sua viscerale avversione nei confronti della plebe e di ogni forma di socialismo, incentrata sull'uguaglianza, è ancora più intensa e radicale dell'avversione nei confronti della borghesia mercantile.

Per quanto l'ideologia aristocratica di Nietzsche sia psicologicamente riconducibile alla consapevolezza di una superiorità intellettuale e morale esasperata e ulcerata dall'interazione con il mondo sociale, non c'è dubbio che essa si pone in termini tali da essere irrecuperabile nella cornice di un pensiero panantropologico che non può prescindere dall'attribuire pari dignità a tutti gli esseri umani e che ritiene le differenze abissali tra essi dovute più alle circostanze storiche che non al corredo naturale.

4.

Riscattato il pensiero di Nietzsche dall'onta di essere semplicemente il prodotto di una mente malata e riconosciuto che il suo impianto concettuale è inequivocabilmente reazionario, c'è da chiedersi qual uso si possa fare di esso. Io penso che l'uso migliore consista nel mettere tra parentesi le valenze ideologiche - in particolare la teoria della volontà di potenza, del superuomo e dell'eterno ritorno - considerandole come sovrastrutturali, e recuperare ciò che si può ritenere assolutamente autentico e geniale: la finezza critica nei confronti dei recinti mentali, di data antica e recente, che irretivano (e irretiscono ancora oggi) l'umanità e soprattutto l'intuizione psicologica di gran lunga più sottile e profonda rispetto, per esempio, a Freud.

La recensione delle opere è totalmente ispirata da questo principio, che ne definisce il carattere eminentemente antologico.La modalità aforismatica adottata, a partire da una certa epoca, da Nietzsche, facilita l'intento di separare il grano dalle erbacce.Non è certo un metodo filologicamente rispettoso, ma è pur sempre meglio che estenuarsi nella diatriba pro o contro un autore la cui opera è un passaggio obbligato della cultura contemporanea.

Maggio 2003