INTRODUZIONE A SCHOPENHAUER

La filosofia di Schopenhauer ha interesse anzitutto perché essa appare come una delle testimonianze più immediate della dipendenza di ogni visione del mondo (da quella dell'uomo comune a quella del filosofo) dalla costituzione del soggetto e dall'interazione reciproca tra questa e il contesto storico-sociale.

La vita di Schopenhauer, ritirata dal mondo e ripiegata su se stessa fino al limite della misantropia, attesta, come poche altre, un orientamento introverso divenuto, in una certa fase della sua vita, quasi patologico. In virtù di cosa? Probabilmente del contatto con un mondo borghese, quello dei primi decenni del diciannovesimo secolo, di cui il padre mercante e imprenditore era un rappresentante, caratterizzato dallo sprigionarsi degli "spiriti animali" che avrebbero trasformato il mondo al prezzo dell'alienazione. Gli "spiriti animali" borghesi muovono dal presupposto che l'uomo è un essere bisognoso e infinitamente desiderante e, attraverso la produzione delle merci, gli offrono un mondo di oggetti ritenuti capaci di appagarlo. Il prezzo da pagare per la realizzazione di questo sogno è però la trasformazione dell'uomo in homo oeconomicus, che persegue ciecamente i suoi fini utilitaristici, e, in conseguenza di questo, la mercificazione dei rapporti umani.

Dopo un timido tentativo di calarsi nel mondo mercantile attraverso un praticantato commerciale, Schopenhauer, in seguito alla morte del padre, che lo lascia erede di un patrimonio il qualebgli consentirà di campare di rendita, se ne ritira, si raccoglie in se stesso e si dedica alla filosofia.

Il suo mondo interiore è però già "contaminato" da due diverse emozioni: per un verso, da un'avversione assoluta nei confronti della borghesia mercantile, di una classe, cioè, affannata perpetuamente dall'ossessione dell'agire strumentale e della rispettabilità formale; per un altro, da un disprezzo radicale nei confronti della "plebaglia" che si agita scompostamente contro le condizioni di vita oggettive cui è costretta dall'industrializzazione e, nei suoi modi rozzi e volgari, rivela, secondo il filosofo, la natura profonda dell'uomo.

Queste due emozioni conducono naturalmente Schopenhauer sulla via dell'elitarismo accademico. Ma qui egli s'imbatte in orientamenti idealistici che mascherano la realtà storica e la trasformano in un mito: il mito del progresso verso l'affermazione dello Spirito Assoluto, vale a dire della Ragione (identificata tra l'altro sia da Fichte che da Hegel con la Nazione). Avverso a questo mito in nome di una visione della vita priva di senso razionale, Schoepanuer si trova estraniato dalla realtà sociale e dalla cultura del suo tempo, e emarginato a livello accademico. La reazione è un ulteriore ritiro dal mondo, sotteso dal disprezzo e dal rancore.

L'incontro, quasi casuale, con la filosofia orientale e lo studio approfondito di essa fonda la possibilità di riversare la sua personale visione del mondo in una forma filosofica. Il mondo come volontà e rappresentazione è l'opera che eleva la vicenda privata al livello di un'interpretazione della realtà e della storia che non è meno totalizzante rispetto a quella dell'idealismo, seppure di segno opposto.

La realtà in tutti i suoi aspetti non è che l'espressione di un istinto cieco e irrazionale, che, negli esseri viventi e soprattutto nell'uomo, appare sotto forma di volontà di potenza. Il tendere verso un obbiettivo inesistente, la pienezza dell'essere, è la fonte di ogni dolore, violenza, sopraffazione. L'unica salvezza dal dolore è il ritiro e il distacco dal mondo, che può avvenire progressivamente attraverso l'arte, la compassione e l'ascesi.

Non c'è nulla di originale nel pensiero di Schopenhauer, tranne il tentativo di riversare alcuni concetti propri della filosofia orientale in una forma tributaria della tradizione filosofica occidentale, che viene radicalmente contestata soprattutto per quanto riguarda il razionalismo e l'idealismo. La trasformazione però impone un prezzo da pagare: questo prezzo è un'antropologia filosofica radicalmente pessimistica rispetto alla tradizione orientale. In questa l'uomo è vittima di una fatale illusione, che assegna realtà al mondo delle apparenze e, in conseguenza di questo, attiva i desideri umani che si rivolgono verso di esso alla ricerca dell'appagamento. In Schopenhauer, l'uomo è sì vittima di quella stessa illusione, ma è animato anche da "spiriti animali" che sono intrinsecamente irrazionali e malvagi.

L'antropologia pessimistica di Schopenhauer non ha dunque una grande corrispondenza con la filosofia orientale. Essa è calata nella tradizione filosofica occidentale, e ha come punto di riferimento Hobbes, che ha provveduto per primo a "naturalizzare" ideologicamente lo statuto proprio del nascente individuo borghese. Non c'è da sorprendersi pertanto che quell'antropologia sia stata ripresa quasi alla lettera da Freud, che, per avallare la sua teoria pulsionale, sia in riferimento all'Eros che a Thanatos, assume per l'appunto Schopenhauer come il grande demistificatore che ha dissolto i miti che l'umanità costruisce su se stessa.

Rispetto a Schopenhauer, l'antropologia freudiana è però ancora più pericolosa, non fosse altro che per il fatto che le opere del primo sono lette da un numaro molto minore di persone rispetto a quelle di Freud, che si ritrovano costantemente anche nelle edicole.

Chi vuole capire appieno l'ideologia freudiana, che ha inciso così profondamente nel mortificare una serie di intuizioni di grande portata, non può prescindere dal leggere Schopenhauer. Il cui pensiero, tra l'altro, è del massimo interesse perché, come ho accennato, si danno pochi casi nella storia della filosofia che permettono di capire come un'esperienza personale d'interazione negativa con il mondo sociale può trasformarsi in una visione totalizzante dell'uomo e della realtà, oggettivandosi sotto forma di "Verità".

Dicembre 2005