NICOLA GHEZZANI

Vicissitudini di R. D. Laing in Italia e altrove

1.

Molte storie si ripetono, e in modo talvolta inquietante. Ciò dipende probabilmente dal fatto che i sistemi sociali e le ideologie che da essi derivano non accolgono mai con favore la novità, perché essa li squilibra. E così fanno ricadere il nuovo, l'innovazione, nel vecchio, creando accostamenti indebiti, allo scopo di squalificarlo. Di un bambino appena nato si dice: "Com'é carino! Somiglia tutto al nonno!" Se il bambino potesse capire, se la legherebbe al dito per tutta la vita una frase del genere: perché il nonno non é affatto carino, e lui, il piccolo, ce l'ha messa tutta per nascere più bello di lui!

Ma i sistemi sociali sono narcisisti e presuntuosi e agiscono così. Appiattiscono il nuovo sul vecchio; negano la forza vitale di ogni nuova idea e di ogni intenso e appassionato fermento creativo. Sono naturalmente conservatori.

In un’intervista a Bob Mullan dell'88, pubblicata per la prima volta nel '95 (a sei anni dalla morte), Ronald Laing dice: "...pensai che non mi avevano fatto certo un buon servizio editoriale favorendo il mio presunto collegamento con l'antipsichiatria. ...Molti giornalisti... non hanno pubblicato quello che avevo veramente detto, perché erano determinati a conservare questa storia dell'antipsichiatria e di un movimento antipsichiatrico che non é mai esistito nel senso che dicevano loro. Consideravano Cooper, oppure Cooper e Laing, i due profeti dell'antipsichiatria. Più e più volte avevo detto a Cooper: "David, é un enorme disastro mettere in giro questa espressione". Ma lui aveva un lato diabolico che lo portava a pensare che se lo meritavano... E questo a me non piaceva".

La storia - nota solo a pochi addetti ai lavori - é questa: il termine anti-psichiatria fu coniato dallo psichiatra sudafricano David Cooper, persona di un estremo radicalismo, che "politicizzò" in un senso molto duro e aggressivo la critica alla psichiatria tradizionale già presente nei testi dello psichiatra di origine scozzese Ronald Laing. In seguito i due nomi quello di Cooper e quello di Laing, vennero sempre più associati, come se le loro idee coincidessero punto per punto. In tal modo le teorie di Laing furono inglobate nella vecchia categoria del "radicalismo politico" - forse adatta al suo meno prudente collega -, e con ciò tacciate di "velleitarismo" psichiatrico e culturale.

Ciò, come é ovvio, rappresentò un notevole danno per Laing, il quale aveva formulato proposte teoriche di alta e sofisticata complessità. Queste non vennero mai realmente discusse perché collegate in modo arbitrario al nome dello scomodo collega. Sicché ancora oggi si parla di Laing come di un antipsichiatra - cosa che egli non fu mai -, non, come si dovrebbe, di uno psichiatra e ricercatore sociale che ha introdotto in psicoterapia il concetto di alienazione sociale e la necessità dello studio dei sistemi storici (non solo interpersonali) per la comprensione del funzionamento psichico e dei suoi disturbi.

Più correttamente, a proposito di Ronald Laing si dovrebbe parlare di Psichiatria Metapersonale (adoperando una locuzione anepetiana), o di Psichiatria Umanistica Esistenziale; o anche - secondo una locuzione da lui stesso coniata negli ultimi anni - di Psicoterapia Integrata.

Nonostante il grande contributo dato alla storia della psichiatria e della psicoterapia Laing non ebbe mai una cattedra universitaria.

 

2.

Una trattazione a parte meriterebbe la vicenda delle "introduzioni" ai libri di Laing in Italia.

Spirito troppo libero per essere accettato dall'establishment psichiatrico anglosassone, dominato dal corporativismo medico e dall'imperialismo farmaceutico, Laing ha avuto la colpa, di fronte all'establishment intellettuale italiano, di non prendere una posizione politica "all'italiana", ossia nelle linee di una professione di fede partitica. Sicché, dopo aver preso botte "da destra" (dalla psichiatria "forte", quella delle università e dei centri di potere anglo-americani) ha preso poi botte anche "da sinistra" (soprattutto in Italia da parte di alcuni esponenti della "psichiatria alternativa", o "antipsichiatria"). Da questa parte egli é stato mal sopportato proprio per la sua ostinata ricerca di azione culturale prima che ideologica. Ne é prova il fatto che, mentre gli italiani non riuscivano a far emergere dalle pur ricche esperienze sociali relative alla famosa legge 180 nessun modello realmente "alternativo" di psichiatria, Laing studiava l'alienazione nei sistemi familiari, microsociali e microstorici molto prima che ciò divenisse una moda corrente anche da noi. E va detto - per inciso - che Laing compiva quest'azione praticamente da solo, non essendo né David Cooper né Aaron Esterson partners di statura intellettuale adeguata all'impresa. Gli italiani ebbero, invece, da un certo punto in poi, un governo nazionale che li sostenne con una legge.

E' Laing stesso a ricordarlo a Bob Mullan nell'intervista Mad to be Normal (in italiano Follia della normalità, RED edizioni, 1998): "Se gli italiani avessero deistituzionalizzato del tutto la cosa, credo che avrebbero fatto meglio. Kingsley Hall era una cosa che avevano messo in moto alcune persone senza nessuna disponibilità finanziaria, soltanto una casa abbandonata a nord di Londra. Basaglia aveva dietro di sé tutto il governo a sostenerlo... e invece niente. Eppure la partita non é finita" (p.202).

La differenza sostanziale fra la psichiatria alternativa italiana di quegli anni e la pratica lainghiana consistette in questo: l'interesse italiano fu, in modo preponderante, di carattere politico, strictu sensu. L'azione psichiatrica venne vissuta come una propaggine dell'ideologia comunista propria dei partiti nazionali di sinistra. Essa doveva pertanto inserirsi nel progetto politico della "lunga marcia verso le istituzioni" o - per chi non trovava il modo o il gusto di inserirsi - della contestazione radicale del "sistema". La ricchezza della vita intellettuale inerente l'analisi delle patologie della mente (ricchezza in senso lato antropologica, culturale) doveva pertanto cedere il passo al proclama politico, pena l'esser tacciata di intellettualismo borghese, cioè di "revisionismo".

Per contro, non solo Laing diede sempre maggior importanza all’elaborazione teorica e alla professione di critica intellettuale, ma la sua pozione politica fu inequivocabile proprio nello stigmatizzare il rischio della colonizzazione da parte della politica.

Dice ancora Laing:

"David Cooper era un comunista rivoluzionario ed era iscritto al South African Communist Party. Fu mandato ad addestrarsi come rivoluzionario professionista in Polonia, in Russia e in Cina. ...Al tempo di Cuba, David fu invitato ad andarvi e credo che conobbe Castro... Mi chiese se volevo andarci e io risposi 'No, grazie!'. ...Io non avevo nessun attaccamento sentimentale per nessuna delle due parti. Allora io non mi sarei sognato di accettare il suo invito, perché tutto era congegnato in modo troppo politico" (ibid. p. 216).

Al contrario, in Italia, molti degli antipsichiatri svolgevano politica attiva, occupando ruoli di rilievo nei partiti, nelle università e nelle case editrici. Tutti o quasi tutti finirono per lavorare nello stato.

Un interessante avvio di questa possibile "Storia delle introduzioni all'opera di Laing in Italia" potrebbe essere l'analisi del testo introduttivo all'edizione einaudiana di The divided Self. Scrive fra l'altro Letizia Jervis Comba (autrice del testo):

"Laing ... non ci dice ancora nulla dei rapporti di potere che sono stati esercitati attraverso i ruoli istituzionali della famiglia. ...La famiglia... non é struttura neutrale. Essa non può essere considerata malata tout court... Anche la famiglia si colloca in una struttura sociale determinata, in un contesto politico non generico...

"E ritroviamo infine, di contro alla scelta di Laing, la possibilità per lo psichiatra di riscattarsi non più (soltanto) sul terreno del rapporto personale bensì nel rapporto istituzionale e, ancor più, politico" (1969, p. 11).

Innanzi tutto, occorre premettere che era impossibile per Einaudi - la maggior casa editrice "di sinistra" dell'epoca - non pubblicare il libro di Laing The divided Self (licenziato poi col titolo, abbastanza fedele, di L'io diviso), e questo per due ragioni. Primo, perché era un testo-base della nuova psichiatria; secondo, perché nei soli paesi di lingua inglese aveva venduto — sino a quel momento, cioè nel 1969 - poco meno di mezzo milione di copie. Chi curava la collana psicologica e psichiatrica einaudiana - credo fosse Giovanni Jervis - non poteva non tenerne conto. Tuttavia, secondo una prassi poi diventata di moda, l'introduzione si trasformò in un processo.

Nel testo, Laing viene accusato di essere in sostanza un piccolo-borghese affetto dal vezzo narcisistico del '"tecnicismo": egli non si occupa di politica - dice la Jervis Comba - bensì di famiglie, e questo é detto col tono saccente di chi mostra di avere nelle mani una scienza di ordine superiore.

E' notizia comune che questa scienza superiore la psichiatria alternativa italiana - soprattutto a quell'epoca - era lontanissima dal produrla, poiché di fatto rimase confinata nell'ambito del "politico" in senso stretto, solo talvolta elevandosi al rango sociologico, senza mai tuttavia toccare in profondità lo specifico psicologico e psicoterapeutico, che avrebbe dovuto rappresentare per essa la preoccupazione principale.

Addirittura esilarante l'esito "politico" (appunto) dei "migliori": alcuni dei più severi critici di Laing non hanno dato mostra, in seguito, di provare alcun imbarazzo nel farsi cogliere mentre, con abile salto in lungo, passavano recisamente "dall'altra parte": Guattari, in Francia, nella cui clinica si autorizzava la pratica dell'elettroshock; lo stesso Giovanni Jervis in Italia che di recente ha pubblicato un libro sulla depressione in cui si dichiara che essa é malattia genetica e va curata - senza futili ubbie umanistiche o, peggio, umanitarie - con gli psicofarmaci (a quando, Professore, la legittimazione dell'ingegneria genetica?)

Alla Jervis Comba non difettò l'aperta mistificazione: non erano forse già stati pubblicati (in lingua inglese) negli stessi anni in cui redasse la sua introduzione i testi "metapsichiatrici" di Laing (Ragione e violenza, 1963, La politica dell'esperienza,1964, La politica della famiglia, 1969 ) nei quali egli rilanciava, ulteriormente arricchita, la possibilità di un'analisi dell'alienazione sociale nella mente individuale?

Cito a caso:

"La nostra é una società pluralistica in molti sensi. Ciascuno potrebbe appartenere ad un certo numero di gruppi, e questi gruppi potrebbero avere non solo tutt'altri appartenenti, ma addirittura diverse forme di unificazione.

"Ogni gruppo richiede una più o meno radicale trasformazione interiore della persona che vi entra a far parte. ...Non conosco alcuna teoria sull'individuo che riconosca pienamente ciò: vi é sempre la tentazione di partire da qualche nozione di una supposta personalità di base.... "La gente si trascina dietro da un contesto all'altro, spesso vistosamente contraddittori, non già un'unica serie di oggetti interiori, ma vari modi sociali di essere interiorizzati" (1964, p. 97-98).

"Siamo stati pure indotti a studiare quelle che si potrebbero definire modificazioni micro-storiche, che si estendono a numerose generazioni, nelle piccole reti sociali, specialmente nelle famiglie. Questo terreno é situato tra la biografia individuale e la storia su più vasta scala. E' un'area curiosamente trascurata da sociologi, antropologi e storici. "...Quanto più si studiano le famiglie nei particolari, tanto più evidente diventa il fatto che gli schemi sono disseminati attraverso le generazioni.

"...La famiglia é anche il co-dominio delle applicazioni introiettive provenienti dai domini esterni ad essa. Queste introiezioni familiari sono infine il dominio dal quale il neonato e il bambino vengono condizionati... Il bambino é il co-dominio finale comune, per così dire, in cui convergono e si trasformano tutte le introiezioni" (1969, pp. 56, 94, 128).

Difficile a quell'epoca essere più chiari e complessi di così. Nessuna ideologia della "famiglia schizofrenogena", ossia che la famiglia generi di per se stessa psicopatologia (l'attribuzione a Laing di questa ideologia é un'altra diffamazione che egli pubblicamente sconfessa proprio nel libro del 69, edizione italiana Einaudi pagina 23). Al contrario: studio dei contesti storici e sociali per campi sempre più estensivi nel tempo e nello spazio.

Non credo che la cultura psichiatrica (o antipsichiatrica) italiana dell'epoca avesse questo tipo di interessi, troppo presa com’era da una teoria del potere di stampo vetero-comunista, nella quale potenti e im-potenti, cattivi e buoni, apparivano divisi da una linea spartitoria chiara e distinta come in un fumetto di Tex Willer. Occorrerà attendere la Microfisica del potere di Michel Foucault (1971), pubblicata in Italia nel 1977 (Einaudi) per comprendere quanto Laing avesse ragione.

(Quanto all'onestà e alla complessità della teorizzazione in psichiatria e psicoterapia in Italia, altro discorso meritano gli anni recenti, che - liberati dall'incubo ideologico degli "anni di piombo" - vanno finalmente esprimendo un potenziale creativo anche nell'area tradizionalmente "alternativa".

La controprova che esistette una vera e propria diffamazione culturale a danno dello psichiatra di Glasgow é la pubblicazione, più tarda, di recensioni di elevato livello culturale e morale, che non nascondono l'apprezzamento e la lode nei confronti di Laing. Si vedano ad esempio la bella recensione di Leo Nahon a Nascita dell'esperienza, 1982, e quella ricca e direi quasi affettuosa di Stefano Mistura all'edizione Einaudi di Conversando con i miei bambini.)

Maggio 2003

Nicola Ghezzani