SAGGIO SU L'UOMO DEI TOPI


3° SEMINARIO



1. Introduzione

2. Il paziente

3. La malattia e l'ottica psicoanalitica

4. Lo spazio sociale

   4.1 La classe sociale

   4.2 Padroni e servi

   4.3 La famiglia

5. Il conflitto nucleare

6. Desideri e bisogni

7. La sorte di un traditore

8 . La guarigione


1. Introduzione

Scritto nel 1909, il caso clinico dell’Uomo dei topi, corredato dagli appunti stesi da Freud nel corso stesso del trattamento, offre motivi di grande interesse per un approccio critico ai procedimenti epistemologici ed ideologici in virtù dei quali si edificano teoria e tecnica analitica.

La critica è necessaria di fronte ad un sistema di pensiero la cui capacità di persuasione retorica è enorme, e per di più, amplificata da un crescente bisogno di credere: ma, al tempo stesso, una critica distruttiva non avrebbe senso ai fini dell'edificazione di una nuova scienza del disagio psichico. Occorre dare a Freud quel che è di Freud: ma né più né meno.

Il merito di Freud - si è già accennato - consiste nell'aver opposto alla biografia della psichiatria descrittiva, volta solo a rilevare la cesura tra normalità premorbosa e malattia, avallata, tutt’al più, nel suo significato medico, dall'ereditarietà familiare, una metodologia di ricostruzione che salda il presente al passato in virtù di memorie che persistono in falde profonde della personalità, anche se la coscienza le ignora.

Alla cesura tra normalità e malattia, Freud sostituisce un continuum inconscio tale che, colta nella trasversalità di un qualunque momento, l'esperienza soggettiva, normale o patologica si configura come ricapitolazione e rievocazione del passato, nonché significazione del presente in virtù di quello. Questa concezione della vita psichica, è, sul piano genetico, deterministica e, su quello sincronico, sistemica: ora, mentre il punto di vista sistemico, che postula la comprensibilità di ciò che appare alla coscienza soggettiva e intersoggettiva in virtù di ciò che non appare, si può ritenere un'acquisizione epistemologica di assoluto valore - salvo poi il problema di definire ciò che non appare e perché non appare -, il determinismo genetico pone due problemi estremamente delicati e complessi, vale a dire il problema delle cause prime e della inesorabilità degli effetti che da esse derivano.

Riguardo a questi problemi, Freud non ha mai dimostrato esitazione e cautela, identificando le cause prime in una fissazione dello sviluppo psichico ad uno stadio arcaico, dovuta ad un rifiuto di accettare la frustrazione veicolata dal principio di realtà, e ricevendo poi, da quella fissazione, rimossa, e quindi sottratta ad ogni evoluzione, ma, nondimeno cristallizzata dall'atemporalità della memoria inconscia, tutto il sistema psicopatologico adulto.

Si tratta, come vedremo, di uno schema etiologico che Freud pretende di aver ricevuto dall'esperienza analitica, ma che di fatto viene ad essa imposto. Ciò non invalida il principio di continuità, che, tenacemente perseguito con i sogni e le libere associazioni, produce un materiale biografico straordinariamente abbondante e suggestivo: ma le interpretazioni freudiane, via via che si avvicinano al nucleo etiologico della malattia, diventano sempre più arbitrarie. Questo scarto tra una tecnica che produce un materiale sperimentale di enorme significato, e una teoria che lo mortifica entro schemi predeterminati è la contraddizione costitutiva dell'analisi.

Nessun caso clinico come quello dell'Uomo dei topi ne fa fede. Nel periodo della grande maturità , cui esso appartiene, secondo Jones, la psicoanalisi che, dall'interpretazione dei sogni è già un sistema chiuso e autosufficiente, giunge alla lungamente agognata metapsicologia. Date le ancora ampie diffidenze della cultura, delle accademie scientifiche e dell'opinione pubblica, il problema di Freud è meno di rendere coerente intrinsecamente il corpus teorico della psicoanalisi che di dimostrarne l'efficacia terapeutica. Tale preoccupazione traspare nella precipitazione con cui Freud esalta il successo riportato dopo appena un anno di cura, parlando di una "totale reintegrazione della personalità del paziente", che, a posteriori, appare problematica agli stessi seguaci.

Questo affanno ha però il merito di restituirci un setting più movimentato e autentico rispetto ai resoconti asettici consegnati successivamente alla sterminata e pallida letteratura clinica psicoanalitica.

Ciecamente fiducioso nei paradigmi teorici, Freud sembra ignorare il peso e l'incidenza della personalità dell'analista nel rapporto terapeutico: questa ingenuità permette di apprezzarlo pienamente sul piano ideologico, senza l'impaccio dell'alibi controtrasferale. Esso ci introduce in un set che, non ancora neutralizzato dal ruolo di schermo bianco assunto dall'analista, si configura come uno spazio di contesa dialettica all'interno del quale Freud investe tutte le sue capacità per superare le resistenze del paziente e catturarne il consenso. Ciò lo induce ad azzardare interpretazioni che, a posteriori, appaiono costruite con gli strumenti propri del pensiero ideologico: la selezione, all'interno di un materiale ricco ed eterogeneo, di dati che lo confermano, con l'esclusione capziosa di quelli che potrebbero metterlo in questione. Sono questi, ovviamente, che ci interessano: il ritorno del rimosso, principio fondamentale epistemologico della psicoanalisi, non potrà portarci al di là della sua stessa ideologia?

2. Il paziente

Sappiamo, da Ernest Jones, che "era un avvocato di trent'anni" la cui analisi cominciò nell'ottobre del 1907 e durò solo undici mesi. Il risultato - ci ragguaglia Freud - fu brillante, tanto che il paziente fece in seguito un'ottima riuscita sia nella vita che nel lavoro. Non poté peraltro godere a lungo dei frutti dell'analisi, che "disgraziatamente perse la vita nella prima guerra".

A posteriori, che la psiconevrosi sia esplosa in occasione di "manovre militari alle quali (egli) aveva partecipato in qualità di ufficiale della riserva" assume un significato premonitore assolutamente causale, ma sinistro. Non sappiamo, né sapremo mai, se egli fu uno dei pazienti che si rivolsero a Freud per chiedere l'esenzione dal servizio militare per motivi psichici, e ai quali egli si limitò a rilasciare certificati con la diagnosi esortandoli ad affrontare la prova delle armi, certo che l’esperienza bellica li avrebbe rinvigoriti.

E' comunque improbabile, che, se è vero che egli, dall'epoca di uno scontro con il padre che Freud riferisce dettagliatamente, "fu un vigliacco, per paura della violenza del proprio furore", è pur vero che tale qualità di carattere gli risultava "particolarmente orribile". Non sorprende, pertanto, che egli, anziché ammalare nuovamente o rifugiarsi nella trascorsa malattia, abbia piegato le sue paure agli interessi superiori dell'onore familiare e della Patria, gli stessi in dispregio ai quali era ammalato.

 

3. La malattia e l’ottica psicoanalitica

 "Dottor Lorenz, ventinove anni e mezzo, soffre di rappresentazioni ossessive particolarmente intense dal 1903, risalgono però all'infanzia. Contenuto essenziale: timori che accada qualcosa a due persone che gli sono molto care, il padre e una signora di cui è ammiratore. Inoltre impulsi ossessivi, ad esempio di tagliarsi la gola con un rasoio, e divieti che si riferiscono anche a cose insignificanti. Egli ha perduto anni durante i suoi studi a lottare contro le sue idee, ed è divenuto perciò solo ora praticante procuratore. Nella sua attività professionale questi pensieri si presentano solo quando si tratta di diritto penale".

E', ancora una volta, un uomo condannato dal tribunale della mente per la sua delinquenza a rivolgersi a Freud, il quale, però, ha già pronto un verdetto assolutorio di ufficio. Scrive, infatti, negli appunti della settima seduta:

"Nel corso delle conversazioni gli faccio notare che egli deve logicamente ritenersi del tutto irresponsabile, perché tutti questi impulsi riprovevoli hanno origine nella sua vita infantile, corrispondono a derivati della stessa, rimasti vivi nell'inconscio, ed egli sa che non si può parlare di una responsabilità del bambino. Dalla somma delle disposizioni del bambino nasce l’uomo moralmente responsabile solo nel corso del suo sviluppo. Egli mette però in dubbio questa origine di tutti i suoi cattivi pensieri, e io gli premetto che la cura glie lo dimostrerà".

La contesa tra la verità contenuta nella malattia e l'ottica psicoanalitica è, così, aperta. La malattia del dottor Lorenz risale all'infanzia, ma si è acutizzata in età adulta in rapporto a due circostanze affatto particolari.

La prima è un matrimonio combinato dalla madre con la figlia di una ricca cugina, nonostante ella sappia che il figlio è sentimentalmente legato da anni ad una signora di condizioni economiche non agiate. Questa combinazione suscita nel dottor Lorenz il conflitto tra il rimanere fedele alla donna che ama e lo sposare la cugina, la cui famiglia ha molti beni e utili aderenze che potrebbero procurargli un sicuro avvenire. Anziché affrontare il conflitto, il paziente ammala sviluppando "un'ostinata incapacità di lavorare, che gli permetta di rimandare il completamento degli studi", condizione, questa, posta dalla parente come pregiudiziale per concludere il matrimonio.

L’altra circostanza, più recente, che induce il dottor Lorenz a ricorrere a Freud, è maturata nel corso di manovre militari alle quali egli ha preso parte come ufficiale della riserva. Un capitano boemo, "palesemente amante della crudeltà", dopo avere più volte sostenuto la necessità della "adozione delle punizioni corporali" al fine di mantenere la disciplina militare, riferisce di una "punizione particolarmente atroce adottata in Oriente", consistente nel porre dei topi a contatto con l'ano del colpevole.

Al dottor Lorenz balena in mente l'idea che il supplizio possa essere applicato a suo padre - che, sorprendentemente secondo Freud, è morto - e alla donna amata. La sera stessa, consegnandogli un pacchetto giunto per posta con degli occhi nuovi, il capitano gli ingiunge di rifondere la somma all'ufficiale che l’ha versata. Il paziente sviluppa una nuova idea ossessiva: non deve restituire il denaro, altrimenti le sue paure si avvereranno. Se non vuole essere responsabile di un crimine nei confronti di persone care, deve dunque rimanere in debito, e comportarsi da ladro.

Ambedue gli episodi scatenanti hanno una struttura individuale comune, che pone in contrasto la libertà individuale - di amare o di tenere alla vita - con un bene sovraindividuale - gli interessi familiari nel primo caso, la patria nel secondo. Sorprendentemente, l'episodio degli occhiali determina un'elaborazione ossessiva che contrappone irriducibilmente gli affetti familiari e i doveri sociali: se il dottor Lorenz non vuole far del male al padre e all'amata, egli deve comportarsi da ladro.

Questa splendida nevrosi pone immediatamente, nella sua struttura, problemi di grande portata: il conflitto tra libertà individuali e esigenze sociali, e, sul piano della socialità, il conflitto tra gli effetti familiari e i doveri sociali.

Freud sembra abbastanza indifferente a questi livelli strutturali del conflitto. L'anamnesi accurata che egli stende è orientata a provare che "gli elementi formativi di una psiconevrosi si trovano nella vita sessuale infantile del paziente". Nonché oggettivo, il procedimento appare tendenzioso: gli elementi offerti dalla vicenda umana del dottor Lorenz vengono interpretati, infatti, univocamente; quelli mancanti vengono presunti in rapporto alla coerenza interna delle teorie psicoanalitiche.

Seguiamo nei dettagli questo procedimento arbitrario. In tenera età il paziente prova "un'ardente e tormentosa curiosità di vedere il corpo femminile" e soddisfa questa, e il desiderio di toccare, grazie alla disponibilità e alla connivenza di due governanti giovani e di bell'aspetto. In seguito a tali esperienze, e all'intensità dei suoi desideri, sviluppa "una sensazione inquietante, come se dovesse succedere qualche cosa in conseguenza di questi pensieri", che il padre, per esempio, venisse a morte.

Leggendo in questa associazione l'espressione di un conflitto tra la sessualità del paziente e l’autorità paterna, Freud giunge ad una conclusione univoca: "la fonte cui l'ostilità verso il padre attingeva la sua indistruttibilità aveva evidentemente la natura dei desideri sessuali, e, sotto questo aspetto, egli doveva aver sentito il padre in qualche modo come un intralcio". La prova di ciò, secondo Freud, è fornita da un episodio infantile rievocato dal paziente: "quando era piccolissimo ... aveva compiuto una cattiva azione per cui il padre l’aveva picchiato.

Il bambino era stato preso da un tremendo furore e scagliava ingiurie contro il padre persino mentre era sotto le percosse ... Il padre, scosso da una tale esplosione di furia primitiva, aveva smesso di picchiare e aveva dichiarato: "questo bambino diventerà o un grande uomo o un grande delinquente".

Secondo la testimonianza della madre, il misfatto consisteva nell'aver morsicato la governante: nel resoconto del paziente non vi era alcun accenno che esso "avesse natura sessuale". Secondo Freud, questo oblio "ha lo scopo di falsificare il quadro dell'attività sessuale infantile". "L'affermazione della madre lascia adito a diverse possibilità. Il fatto che ella non abbia dichiarato il carattere sessuale del misfatto... può essere dovuto alle di lei censure". Non si esclude peraltro che la colpa non fosse di ordine sessuale: cionondimeno , "è tipico del complesso nucleare dell'infanzia che al padre del bambino sia attribuita la parte di antagonista sessuale e di interferenza con le attività sessuali autoerotiche". Sicché, ammesso "uno sviluppo precoce e una repressione prematura degli istinti sessuali di guardare e di conoscere", il cerchio interpretativo si chiude repentinamente: "possiamo considerare la repressione del suo odio infantile per il padre come l'evento che fece sì che la sua vita da allora in poi, si svolgesse sotto il segno della nevrosi".

Chiuso il cerchio, è agevole interpretare il presente alla luce di un passato presunto. L’interferenza reale del padre nella vita sentimentale del paziente, esercitatasi nel consiglio di tenersi lontano dalla donna amata "per non esporsi al ridicolo", è riconducibile ad "un conflitto di scelta tra suo padre e l’oggetto sessuale". Conflitto che pone il paziente in una condizione di ambivalenza nei confronti dell'uno e dell'altro: "L’odio per la sua donna era inevitabilmente accoppiato al suo attaccamento per il padre. Inversamente, l’odio per il padre era legato all'attaccamento alla donna... Il primo di questi due contrasti corrisponde alla normale oscillazione tra maschio e femmina che caratterizza la scelta dell’oggetto dell'amore di chiunque ... L'altro conflitto (attesta che) l'amore non è riuscito ad estinguere l'odio ma solo a respingerlo nell'inconscio; e l’odio nell'inconscio, a riparo dal pericolo di essere distrutto dalla coscienza, riesce non solo a persistere ma addirittura ad accrescersi".

La trama analitica si sovrappone dunque alla vicenda umana del paziente, utilizzandola in parte e in parte violentandola e mistificandola. Ciò che a Freud interessa non è la verità, ma la conferma della teoria: se il soggetto è ammalato, ciò è accaduto perché egli non è riuscito a liberarsi dall'anarchia dei desideri erotici infantili e ha interagito negativamente con l'autorità paterna, che veicola il principio di realtà. "Quando giungemmo alla soluzione - afferma Freud - il delirio del paziente, incentrato sui topi, scompare". Non è un problema di poco conto che si possa guarire meno per effetto di verità che di ideologia....

 

4. Lo sfondo sociale

Riconosceremo questo partito preso di voler giungere alla verità attraverso l'analisi di ruoli e di dinamiche astratte, e già totalmente codificata in una teoria, nell'impegno con cui Freud si affanna a ricostruire la trama dell'inconscio trascurando l'ordito su cui essa si organizza: l'ordito delle strutture sociali e della mentalità che le pervade.

 

4.1 La classe sociale

Il dottor Lorenz, che si presenta a Freud lamentando di aver perduto "molto terreno nella vita" a causa della malattia, appartiene al ceto medio-alto borghese viennese. Il terreno perduto misura la delusione delle sue personali aspirazioni al successo (‘più della maggioranza delle persone’) e delle aspettative familiari. La ricchezza familiare è dovuta a circostanze fortuite ("la madre era stata allevata da una famiglia facoltosa con la quale era lontanamente imparentata, e che aveva un largo giro di affari. Suo padre, dopo il matrimonio, era entrato in questi affari per cui, grazie al matrimonio, si era fatto una posizione molto agiata"), e all'accortezza del padre di assoggettare i sentimenti all'interesse ("prima di conoscere sua madre, aveva fatto la corte a una ragazza carina ma senza un soldo, e di umile origine").

Questa ragionevolezza borghese, che subordina gli affetti alla sicurezza economica, è - come noto - una delle chiavi della nevrosi, che, latente dall'infanzia, si acutizza nel momento in cui la madre comunica al dottor Lorenz di avergli combinato un matrimonio di interesse.

Da un punto di vista sociologico, non c’è motivo di inorridire per questa che ai nostri occhi appare una grave violazione della libertà individuale. All'epoca, le pratiche del matrimonio combinato, specie a livello di classi agiate, rientra ancora nell'ambito delle consuetudini, vale a dire di schemi comportamentali non codificati a livello giuridico, ma la cui forza impositiva si fonda su d'una mentalità condivisa, e così su costrizioni mentali prima ancora che reali. E' possibile ricostruirle?

In breve - per quanto l'argomento postuli ulteriori approfondimenti - si può dire questo: la pratica del matrimonio combinato si fonda sull'attribuzione ai giovani di uno scarso controllo razionale sui sentimenti - e quindi di una certa sconsideratezza - e ai sentimenti stessi, amorosi in particolare, la caratteristica specifica e innaturale, di accecare l'individuo riguardo ai suoi vari interessi, che, in quanto membro di una famiglia, non possono che identificarsi con gli interessi familiari.

Ciò giustifica l’affidamento delle decisioni matrimoniali ai parenti, tanto più quando, a certi livelli sociali, essendo in gioco, sotto forma di dote, di eredità o di imparentamento, il patrimonio familiare, l’individuo non può pretendere di agire liberamente, ché il limite della sua libertà è segnato da interessi che non sono solo suoi. Ovvero, può pretendere e farlo, seguendo le leggi del cuore e rifiut ando il consiglio lungimirante degli adulti, ma a patto di rinunciare ai suoi diritti patrimoniali e ai privilegi che gli derivano dall'appartenere al gruppo familiare.

Come tutte le consuetudini, la pratica del matrimonio combinato è prescrittiva ma non proscrittiva: essa, cioè, si configura come norma ragionevole fondata sull'esperienza, non come legge. Ma ciò che più importa è che tale consuetudine, con la mentalità che la sottende, è la spia di un'organizzazione sociale - e mentale - che mortifica e vuole mortificare la libertà individuale, imponendo costantemente all'individuo di dar prova, anche al prezzo dei suoi sentimenti, di subordinazione e di fedeltà ai valori del gruppo familiare e della classe sociale cui appartiene.

Un'organizzazione, dunque non media, ma conflittualizza il rapporto tra individuo e istituzione sociale, per verificare se quegli è degno o no di questa. E' suggestiva l'ipotesi se siffatta organizzazione mirasse a far meritare l'onore, puramente causale, di una nascita fortunata. Ma, per quante considerazioni si possono fare a riguardo, risulta chiaro che l'interpretazione freudiana che vede nel riacutizzarsi della nevrosi del dottor Lorenz, in rapporto all'iniziativa materna, la riattivazione del conflitto edipico "tra il suo amore e la persistente influenza dei desideri paterni", appare di un riduzionismo psicologista affatto contestabile.

Il conflitto evidentemente non oppone istinto e legge, principio del piacere e principio della realtà, bensì libertà sentimentale del soggetto e consuetudini. Il problema è che, a gli occhi di Freud, come nell'inconscio del dottor Lorenz, più questa - ed è la sua forza - appare naturale, più quella si configura come innaturale e anarchica.

 

4.2 Padroni e servi

Freud riferisce le precoci esperienze del paziente con le governanti al fine di provare l’intensità delle sue pulsioni sessuali, o meglio, la sua natura di piccolo libertino . A distanza di tempo, questa esperienza, e altre della vita adulta del paziente, che hanno come oggetto delle serve risultano più dense di significato di quanto Freud potesse pensare.

Esse, infatti, con il loro crudo realismo, ci introducono nell'atmosfera di una casa che vede i padroni affrancati dalla fatica dei lavori manuali - comprese le cure fisiche da prestare ai bambini - e i servi obbligati per necessità a convivere in una condizione di totale subordinazione e a comportarsi in maniera moralmente ineccepibile, pena il licenziamento. Il conciliabolo riferito dal paziente tra le domestiche desiderose e timorose al tempo stesso di smaliziarlo per soddisfarsi, ci restituisce al vivo un clima di frustrazione e di perversione che tende a scaricarsi vendicativamente sul bambino, rappresentante innocente degli odiati padroni.

E' quasi d'obbligo un rimando ai Precetti ai domestici di Swift, che Freud sicuramente non ha letto.

L'affidamento del bambino alle governanti è esso stesso, non meno che la pratica dei matrimoni combinati, una consuetudine di classe che ha le sue radici nel sociale non meno che nel mentale. Esso infatti muove da un'ideologia del bambino che scinde la sua realtà in due livelli: il livello dell’essere corporeo, bisognoso di cure fisiche, di lavoro manuale - pulizia, vestizione, nutrizione, attività ludica - e il livello dell'essere spirituale, bisognoso di un'educazione intesa come cura dell'anima. Assegnando il corpo alle umili cure delle governanti, lo spirito alla capacità dei genitori di infondere in esso i valori del buon vivere civile, questa scissione, che riflette la logica borghese del doppio ordine sociale del braccio e della mente, implica una sorta di negazione o di rifiuto della corporeità del bambino, i cui bisogni, per essere vili e volgari, non possono essere soddisfatti che dalle governanti, rappresentanti esse stesse di una classe volgare, alla quale, cionondimeno, si richiede una moralità inappuntabile.

Nel rivolgersi dunque della curiosità sessuale del paziente alle governanti e nella disponibilità di queste a soddisfarle, ricevendone una squallida soddisfazione, si esprime dunque un dramma sociale: la negazione della corporeità del bambino e delle governanti, la cui moralità non può prescindere da una penosa astinenza, e il ritorno di questa corporeità in una dimensione sociale perversa.

Nella sua precocità, il bambino manifesta la logica del padroncino che non pensa si debbano avere molti riguardi per le serve: le scruta infatti, s'intrufola nel loro letto, le palpa, le fruga. Né cesserà di comportarsi in tal modo da adulto. Conniventi, le serve si ribellano alle regole rigide dell'astinenza, e, violando l'innocenza del bambino, smascherano, nel contempo, le voglie volgari dei padroni, accortamente occultate dall'ipocrito rigorismo morale.

 

4.3 La famiglia

Il nucleo familiare del paziente impallidisce su uno sfondo dominato dalla figura del padre, di cui Freud fornisce un profilo caratterologico denso di significato. "Secondo tutte le informazioni, il padre del nostro paziente era un uomo eccellente. Prima del matrimonio era stato sottufficiale e, quale residuo di questo periodo della sua vita, aveva mantenuto un atteggiamento nettamente soldatesco e un linguaggio schietto. A prescindere da queste virtù, celebrate in ogni epitaffio, egli si distingueva per un sincero senso dell'umorismo e un amabile bonomia verso i dipendenti. Il fatto che potesse essere impetuoso e violento non era certo incongruente con le sue altre qualità, anzi era un complemento necessario di questo. Però, a volte, infliggeva i più severi castighi ai figli, quando, da piccoli, erano stati cattivi. Più tardi, tuttavia, cresciuti che furono, egli si differenzia dagli altri padri non cercando di esaltare se stesso come una sacrosanta autorità, ma dividendo con i figli le piccole pecche e sfortune della sua vita con bonomia e candore. Il figlio non esagerava quando dichiarava che erano "vissuti assieme come migliori amici". Ciononostante, "ricordava che suo padre aveva avuto un carattere passionale e, talvolta, non trovava limiti alle sue violenze".

Al di là degli elementi esornativi - l'umorismo, la bonomia - il ritratto, abbastanza agghiacciante, è quello di una personalità contraddittoria e letteralmente squilibrata: dotata sì di buone capacità di rapporto affettivo, ma, al tempo stesso, militaresca, autoritaria, passionale e talora preda di una rabbia incontrollabile. Una sorta - se ci si passa il paragone - di dottor Jekill e di Mister Hyde. Viene da chiedersi perché mai Freud si affanni tanto a ricostruire la genesi dell'ambivalenza del figlio nei confronti del padre quando questa, con un’evidenza assoluta, riflette i due livelli di esperienza, di amore e di terrore, vissuti dal figlio in rapporto ad un padre squilibrato.

Freud adotta un criterio personologico nell'economia complessiva della sua personalità e del rapporto con i figli: il padre del paziente è senz'altro un uomo pregevole, ma, oltre che essere pateticamente giustificatorio, il criterio personologico tradisce la complessità dei modi di porsi di un soggetto in situazioni specifiche: e, dal punto di vista interpersonale, le situazioni non si equivalgono. Il padre del paziente è buono con il figlio quando questi si comporta come si deve: allora la sua concreta umanità affiora e si manifesta. Ma quando il figlio si comporta da cattivo e, più in particolare, quando osa sfidare la sua autorità, egli si trasforma, in virtù del ruolo che sente minacciato, in un mostro terrificante e sadico che giustifica, con la logica del castigo, una perdita di controllo pulsionale che viene vissuta dal figlio quale essa è: furore bestiale mascherato da apprensione educativa.

In quanto persona il padre del paziente è dunque un uomo amabile, ma, quando si cala nel ruolo di autorità minacciata, la sua umanità viene ad essere mascherata da un ruolo che gli impone, a fin di bene, di non tollerare disordini, sedizioni e ribellioni, e giustifica, riguardo al figlio, ogni violenza. Nel rapporto complessivo tra padre e figlio, il ruolo patriarcale viene così ad avere la meglio sul ruolo paterno: ed è esso ad incidere tremendamente nella personalità del figlio. Che, se il fine educativo cui tende quel ruolo, è di forgiare uomini di carattere, ma, al tempo stesso, disciplinati e subordinati all'autorità, uno dei possibili risultati di una impresa che per quanto la natura umana sia plastica, è sempre rischiosa, Freud ce l'ha sotto gli occhi: un vigliacco, incapace di esercitare la sua rabbia in quanto essa ha di umano per paura di perdere il controllo, e spinto, dall'urgenza di quella, a sentirsi però un delinquente, e a vivere nel perpetuo timore di una dura lezione. Un uomo ridicolo, dunque, in rapporto al modello che gli è stato proposto: la scuola di dolore cui Freud lo sottopone per renderlo consapevole della sua infantile cattiveria non potrebbe, con esiti forse più credibili, applicarsi al modello?

 

5. Il conflitto nucleare

Lo scarso interesse che Freud dimostra per lo sfondo sociale, e soprattutto per la mentalità che ne sottende l'organizzazione, non comporta, ipso facto, I'invalidazione dell’interpretazione che egli fornisce del caso dell'Uomo dei topi.. Quello sfondo, proprio perché sotteso da consuetudini, valori e credenze collettive, risulta, di fatto, se non ai nostri occhi, normale: lo scarto dell’esperienza psicopatologica, non potendo essere ricavato meccanicisticamente da esso, va interpretato.

La struttura conflittuale dell'esperienza ha dunque un'importanza autonoma: solo dopo averla compresa nei suoi nessi interni, è lecito chiedersi se essa sia spiegabile o meno a livello psicologico. A questo riguardo, Freud, coerentemente con una teoria che attribuisce alle dinamiche intrapsichiche la genesi del disagio psichico, non ha alcun dubbio. Individuato il conflitto nucleare dell'esperienza del dottor Lorenz nell'ambivalenza affettiva nei confronti del padre, riconducibile all'interferenza dell'autorità paterna sui suoi desideri sessuali infantili, tale conflitto, la cui genesi è immediata, poiché esprime una delle possibili interazioni della natura pulsionale umana con la cultura - la possibilità del rifiuto del principio di realtà - permette di comprendere e di spiegare tutti "gli enigmatici processi della malattia". Nonostante la soddisfazione di Freud per la capacità della teoria psicoanalitica di ricondurre l'eterogeneità e l'apparente incomprensibilità del vissuto psicopatologico ad un solo fattore nucleare, semplice ed evidente, egli non è immune dal dubbio che questa semplicità mascheri qualcosa di misterioso. Scrive infatti: "La cronica coesistenza di amore e di odio, entrambi rivolti verso la stessa persona, ed entrambi aventi il massimo grado di intensità, non può mancare di stupirci". Lo stupore è risolto dalle caratteristiche proprie dell'inconscio, la cui struttura è adialettica e atemporale, ma la quadratura del cerchio interpretativo è conseguita in virtù di un azzardo epistemologico di enorme portata, e cioè postulando una dimensione psichica sottratta non solo - e sarebbe il meno - alle leggi della ragione, ma alla dinamica dello sviluppo: una dimensione, per sua natura, destorificata, immobile nel tempo e non evolutiva. Se è necessario accettare, quale contributo della psicoanalisi alla scienza dell'uomo, l'esistenza di contraddizioni inconsce che si esprimono in una forma conflittuale in sé e per sé non evolutiva, non è altrettanto necessario attribuire alle caratteristiche dell'inconscio questa forma, che essa potrebbe essere ricavata dalle condizioni reali - psicologiche e culturali - che l'hanno prodotta.

Per storicizzare l’inconscio, e cioè per verificare un'ipotesi che dà alla psicoanalisi un significato radicalmente diverso rispetto a quello originario, occorre dunque provare che nella realtà - intesa in tutto il suo spessore - esistono livelli adialettici e atemporali, che non evolvono, cioè, perché i termini in cui si pongono non sono investiti dalla storia, intesa sia come coscienza storica che come cambiamenti reali.

Cimentiamo queste ipotesi sui fatti. All'epoca del trattamento analitico, quattro anni dopo l'insorgenza della malattia, il padre, che il paziente teme che possa essere sottoposto alla tortura dei topi, è morto da nove anni. Freud, che pure rimane sorpreso nell'apprendere ciò, trascura questo dato, evidentemente perché pensa che la paura abbia riferimento con l'immagine introiettata del padre. Questo dato è, invece, essenziale, nel senso che se l'introiezione dell'immagine paterna è il Super-Io, il conflitto nucleare, che si fonda sul desiderio e sulla paura ch'esso venga attaccato, assume un significato diverso rispetto a quello attribuitogli da Freud: il desiderio attesta infatti l'intollerabilità, alimentata dalla rabbia, nei confronti di un Super-Io cattivo e sadico, mentre la paura esprime un bisogno di controllo, e, dunque, un bisogno di moralità.

Il conflitto sarebbe dunque alimentato da un desiderio di vincolare la propria istintualità a dei valori morali, che, paradossalmente, il Super-Io, con la sua ferocia, mortifica e vanifica, trasformandolo in rabbia incontrollabile. Anziché moralizzare e civilizzare, il Super-Io, rappresentante intrapsichico del padre, finirebbe con l'incattivire e con il fare imbestialire una natura che non rifiuta, in sé e per sé, la moralità, bensì la forma intollerante e sadica con cui essa vuole imporsi.

Sorprendentemente, la personalità reale del padre e il tipo di rapporto che egli intrattiene con il figlio conforta questa ipotesi: in quanto persona, nella sua concreta umanità, egli è un padre affettuoso, gioviale, comprensivo e capace di vivere senza drammi la debolezza umana, ma, nel momento in cui si sente investito del ruolo di autorità che deve opporsi all'indisciplina e alla ribellione, egli diventa una sorta di Dio biblico il cui furore non ha più limiti. Il padre che ama il figlio e il patriarca che lo punisce sadicamente risultano radicalmente scissi nella stessa persona, fino al punto da far pensare a due livelli di rapporto con il figlio: un livello interpersonale e uno metapersonale. Al primo livello, l'umanità del padre si confronta con l'umanità del figlio; al secondo livello prevalgono ruoli e valori, in una dimensione di terrificante contraddizione: è un’autorità incontrollabile che si rivolge infatti contro una minaccia incontrollabile di ribellione, e dunque, di evasione.

Se ci poniamo all'esterno dell’esperienza, questi due livelli di rapporto - e ciò che essi significano - appare evidente, come è evidente, in termini storici, la genesi delle contraddizioni che essi esprimono. Ma - questo è il problema - chiuso nel microuniverso familiare, e difettoso di strumenti culturali adeguati, può un bambino intuire questi due livelli? Può egli non vedere la stessa persona nel padre affettuoso e amabile e nel mostro sadico che lo punisce? Può non amarlo per la sua umanità e, al tempo stesso, non odiarlo per la sua ingiusta cattiveria? e, infine, può non introiettarne visto che ha bisogno di moralizzarsi, l'immagine sadica sotto forma di Super-Io, e non andare incontro poi ad un processo di incattivimento e di imbestialimento, che, alimentando la paura della sua incontrollabilità, lo chiude in un circolo vizioso perverso, la cui dinamica inconscia conferma di continuo che egli è il criminale che il padre ha tentato di scongiurare che divenisse?

Siamo ricondotti così a intuire le radici di un'interazione drammatica, e conflittuale, tra padre e figlio che, pur realizzandosi a livello interpersonale, è dovuta, nella sua genesi non meno che negli effetti, al misconoscimento di quanto in essa vi è di metapersonale: misconoscimento che, per quanto riguarda il bambino, è riconducibile a limiti costitutivi della sua percezione del mondo, e, per quanto riguarda il padre, al suo consenso irriflessivo ad una ideologia educativa e sociale che connota ogni atteggiamento di ribellione in termini di anarchia e investe l'autorità, qualora essa giunga a sentirsi minacciata, di funzioni repressive il cui fine - il mantenimento dell’ordine, giustifica ogni mezzo.

L'irrisolubilità del conflitto nucleare è, dunque, dovuta al fatto che l'amore del paziente si rivolge al padre come persona ricca di qualità umane, mentre l'odio, alimentato da un inestinguibile senso di giustizia, è decentrato rispetto alla persona del padre, e rivolto contro l’autorità ingiusta e cattiva della quale quegli si è talora investito. Se il conflitto assume, nell'inconscio del paziente, dimensioni adialettiche e atemporali, se esso, in breve, appare insolubile e immobile, ciò è dovuto meno alle caratteristiche dell'inconscio, che alla persistente inadeguatezza nel dottor Lorenz di strumenti culturali atti a dare ad esso senso. Strumenti di comprensione dei livelli della realtà, che, purtroppo, difettano anche a Freud, per quanto egli ne abbia un'oscura intuizione, peraltro negata.

Esemplificando un'interpretazione al paziente, egli cita le parole di Bruto: "Poiché Cesare mi amava, io lo piango; poiché ero felice, io gioisco; poiché era valoroso, io lo onoro; ma poiché era avido di potere, io l'ho ucciso".

La stranezza che Freud vi rileva, attribuendole a scarso amore, è ben altro: è la logica dei livelli interpersonali e metapersonali che struttura ogni rapporto significativo. Bruto ama Cesare come padre e come uomo, lo odia come tiranno: è l’ambizione di potere che uccide in lui, contro le leggi del cuore.

 

6. Desideri e bisogni

Freud sostiene, dunque, che il dottor Lorenz è ammalato perché l'intensità dei suoi desideri sessuali infantili è giunta ad urtare conflittualmente l'autorità paterna senza risolversi. Analizzato da un punto di vista che inserisce le relazioni interpersonali in forme metapersonali, in ruoli determinati dalla natura per quanto riguarda il bambino, e la cultura per quanto concerne l’adulto, il conflitto nucleare sembra altresì esprimere bisogni irrinunciabili, che resistono alla repressione educativa e all'autodisciplina, e che, percepiti pericolosamente dal soggetto stesso per la rabbia che li pervade, vengono ad essere criminalizzati intrapsichicamente, dando luogo ad una fatale condanna.

Verificare questa ipotesi, utilizzando il materiale fornito da Freud, è, dunque, essenziale per superare un’ottica meramente psicologista, e intravedere un rapporto tra le due dimensioni che, ancor oggi, appaiono incommensurabili: le viscere della psiche e le viscere del mondo.

Tra le idee ossessive infantili rievocate dal dottor Lorenz, ve ne è una nella quale Freud coglie l'espressione immediata del conflitto nucleare: "Se mi viene il desiderio di vedere nuda una donna, mio padre dovrà morire". L’ "ardente e tormentosa curiosità di vedere il corpo femminile" segue, in effetti, in parallelo a comportamenti indisciplinati duramente repressi dal padre, tutta l’esperienza infantile del paziente. Tra queste due serie di esperienze Freud pone un nesso causale, postulando che la repressione paterna sia in rapporto con la sregolatezza degli istinti sessuali infantili. Ma questo nesso vale solo se si accetta un presupposto implicito, e cioè che la curiosità del bambino per il corpo femminile o la scoperta della sensibilità erotica del suo stesso corpo segnalino l’anarchia dei desideri piuttosto che dei bisogni umani.

E’ probabile che questo sia ciò che pensa il padre del paziente, è certo che questi è giunto a pensarlo, è sorprendente che lo pensi Freud. Non è forse la psicoanalisi la scienza che ha scoperto l'erotismo infantile come bisogno di sapere e di esperire la cui soddisfazione è necessaria ai fini dello sviluppo della personalità e prelude ad ogni ulteriore forma di rapporto con il mondo? Non è forse Freud che imputa al misconoscimento di questo bisogno e alla repressione moralistica, e ipocrita, cui esso è sottoposto, l'origine della inquietudine e del nervosismo crescente della sua epoca?

E' evidente che Freud, attribuendo alla curiosità del bambino per il corpo femminile un significato edipico, procede arbitrariamente, come pure che questo arbitrio è essenziale all’interpretazione del conflitto nucleare in termini edipici. Ma, dato che a distanza di qualche decennio, quella curiosità si configura come un bisogno naturale, e piuttosto ci sorprende che il paziente, per soddisfarlo, abbia dovuto abusare delle sue governanti, subendo le conseguenze di esperienze vissute nell'incubo della colpa, il problema interpretativo si sposta sul riserbo e sul mistero di cui gli adulti avvolgono il loro corpo agli occhi dei bambini. La spiegazione di Freud, che vede in questo atteggiamento un ipocrito moralismo, è, a ben vedere, un severo giudizio morale.

A noi interessa il significato culturale che sottende l’atteggiamento. Tale significato, che concerne l'ideologia del corpo, è ricavabile, per quanto concerne il periodo in questione dal privilegio accordato alla divisa in genere: paludamenti del clero, uniformi militari, abiti cerimoniali e nobiliari. L'abbigliamento femminile serra addirittura la mollezza delle forme in un'armatura di busti, corpetti, guardinfanti. Nonché la sessualità, ciò che va occultato è quel tanto di naturale e fatalmente egualitario, che, vissuto come volgare, contrasta con le esigenze di dignità, di fierezza e di rigore la cui ostentazione è ritenuta necessaria a convalidare il prestigio e l'autorità di alcuni ceti sociali. E' una scissione, insomma, tra nudità indecorosa e physique du ro1e che segna l'ideologia del corpo, e non è incomprensibile che tale scissione investa tutti i rapporti, anche a livello privato, la cui funzione genericamente educativa si fonda sulla proposizione di un modello di decoro.

A certi livelli sociali, i genitori, che rifiutano il contatto con il corpo volgare dei figli, non possono mostrare ad essi la propria nudità, il loro essere di carne ed ossa, poiché la loro autorità si fonda sul prestigio delle apparenze. L'occultamento del corpo rientra dunque in una logica di ruoli il cui esercizio postula il misconoscimento del desiderio epistemologico dei figli: l'inganno sistematico, dunque, anziché la nuda verità.

Ma quest'occultamento, che non può essere recepito dal bambino che sotto forma di divieto, perverte un bisogno naturale in un desiderio morboso, il quale viene ad entrare in conflitto radicale con il padre, perché è questo, in ultima analisi, che rappresenta l'autorità. Anziché un rapporto diretto tra desiderio di vedere una donna nuda e morte del padre, noi intravvediamo un rapporto indiretto, che, opponendo le categorie dei bisogni naturali ad un'autorità che li misconosce e li reprime, induce una distorsione di quelli in desideri perversi, passionali e malvagi, la cui soddisfazione, sottesa non da una cieca pulsionalità bensì dalla irrinunciabilità dei bisogni, postula un crimine.

Se la cultura violenta la natura, come può questa riscattarsi se non in virtù di fantasie vendicative che, infrangendo quella legge, sembrano, anche soggettivamente, muovere dal desiderio cieco di infrangere ogni legge?

 

7. La sorte di un traditore

Precipitando, dunque, in desideri perversi, in conseguenza dell'impatto con un'autorità che, misconoscendoli, li connota come anarchici, i bisogni naturali danno luogo ad una struttura di personalità totalmente rivolta al controllo superegoico di un vero io identificato con un pazzo criminale, con un soggetto infido la cui apparenza inganna, e di cui nessuno deve fidarsi, che egli, da un momento all'altro, può scatenarsi e fare del male: a chi gli vuol bene, per giunta, e nel modo proprio di un vigliacco, colpendo alle spalle, come il più vile dei traditori. Il dottor Lorenz criminalizza se stesso, per salvare il mondo - privato e sociale - in cui gli è dato vivere, e si condanna dunque alla grande paura ossessiva dei topi.

Riesaminiamo le circostanze che attivano la malattia, per capire meglio il senso di questo dramma. Nella prima, il paziente si trova a dover scegliere tra l'amore per una gentildonna cui è legato da anni e gli affetti familiari, che gli impongono un matrimonio combinato. Ma, nonché tra cuore e ragione, il conflitto, manifestamente, oppone le ragioni del suo cuore al calcolo, ben poco sentimentale, degli altri. La gentildonna di cui egli non si stanca di vantare le virtù, non lo ricambia, lo tiene in sospeso, lo blandisce con la segreta speranza di poter elevare la propria condizione sociale, fidando vuoi sulla conclusione degli studi dell'amante, atta ad inaugurare un’agiata carriera professionale, vuoi sull'eredità che gli spetta. Essa, insomma, gioca con lui come il gatto con il topo.

La madre, altresì, combinando un matrimonio d'interesse, manifesta un'attenzione per il prestigio familiare inversamente proporzionale alla considerazione dei sentimenti del figlio.

Alla famiglia della sposa, infine, le qualità personali del paziente interessano meno del titolo di studio, conditio sine qua non per la realizzazione del contratto matrimoniale.

Che senso hanno dunque le ragioni del cuore in un mondo che, manifestamente, afferma il primato degli interessi sui sentimenti? Perdendo la capacità di studiare, il dottor Lorenz esprime la sua ribellione inconscia nei confronti di chi - la gentildonna, la madre, la famiglia della promessa sposa - manifesta interesse solo per la sua posizione sociale e non per la sua persona. Ma, così facendo, egli si comporta da vigliacco: tradisce e colpisce alle spalle chi ha fiducia in lui. E il suo tradimento giunge all'abiezione di realizzare il desiderio degli altri - la ricchezza - per vendicarsi di loro. Già prima della morte del padre, egli l’ha fantasticata come mezzo per entrare in possesso di un’eredità che gli avrebbe permesso di sposare la gentildonna: di affrancare, dunque, la sua libertà sentimentale dai vincoli della dipendenza familiare. Dopo la morte del padre, egli fantastica di diventare ricchissimo e di sposare un'altra donna: di liberarsi, dunque, della gentildonna. In ogni caso, sembra che la sua libertà non possa prescindere dalla vendetta.

Ma lo strumento della vendetta è l'indipendenza economica: impedendosi di studiare, il dottor Lorenz tradisce le aspettative degli altri, condannandosi però a dipendere. Le ragioni del suo cuore umiliato non possono, evidentemente, data la criminalizzazione dei suoi bisogni, non ritorceglisi contro. L'altra circostanza, che lo induce a rivolgersi a Freud, è - se possibile - anche più significativa del suo dramma interiore. Il dottor Lorenz, vigliacco, è pertanto inconsciamente obiettore di coscienza, partecipa come ufficiale di riserva alle manovre dell'esercito in un clima - lo sappiamo dalla storia - già denso del presagio di un inevitabile conflitto.

Egli tributa alla Patria un omaggio formale, sotteso però da una ribellione facile da presumere. In tale circostanza, il racconto del capitano boemo sulla tortura orientale scatena la grande paura ossessiva.

E' sorprendente che Freud, affascinato dal rilievo soggettivo che assume tale episodio nell'esperienza del paziente, trascuri del tutto di chiedersi il significato, peraltro evidente, del racconto. Nei confronti di chi, infatti, può venire adottata una tortura cosi atroce se non ai soldati colpevoli di insubordinazione, di codardia e di diserzione?

Ora, il paziente in questione ha tutte le caratteristiche atte ad indurre una identificazione: egli, infatti, è sì un vigliacco, ma di un genere particolare, la sua vigliaccheria esprimendo una patetica difesa nei confronti del furore che gli si scatena dentro ogni qualvolta egli si sente ingiustamente trattato.

Ma perché mai egli dovrebbe spostare la minaccia della tortura su persone che ama - la gentildonna e il padre - se non attribuisse loro il ruolo di traditori, del suo amore e della sua fiducia, incolpandoli della sua furia? Cosi facendo, però, rivendicando i suoi diritti nel confronto di coloro che hanno giocato con i suoi sentimenti come il gatto con il topo, egli è di nuovo preda di una vendetta ignobile, che deve pagare.

La crisi che sopravviene, e sulla quale Freud si sofferma vacuamente, è gravida di sensi di colpa ai quali il dottor Lorenz oppone una tenace resistenza, nel dubbio angoscioso - riferito, forse non per caso, ad un paio di occhiali - se egli debba pagare o farli pagare a qualcuno.

Disponiamo, ormai di tutti gli elementi atti ad illuminare la grande fantasia dei topi, dando ad essa un significato che conferma la drammatica esperienza umana del dottor Lorenz.

Che il topo, come Freud intuisce, e sì il suo sosia: ma come non riconoscere, in questa tremenda identificazione con una "bestia repellente che vive nelle fogne e si nutre di escrementi", piuttosto che il "piccolo monellaccio disgustoso e sporco, che nella rabbia sapeva mordere chi gli stava vicino", l'esito di un processo che, misconoscendo e pervertendo i bisogni del bambino, lo ha indotto a viverli come desideri animaleschi, degni solo, come i topi, di essere perseguitati e massacrati, e che tuttavia persistono, riaffiorano e si rivolgono, sotto forma di rimorsi, contro coloro che sono oscuramente avvertiti come responsabili dell'imbestialimento?

E’ una soggettività mortificata e repressa, costretta e nutrirsi di rabbia e di sporcizia, che essi simboleggiano: una soggettività che il dottor Lorenz non può sentire che come criminale e snaturata.

Ma se essa, nonostante la severa educazione e la rigida autodisciplina, non si è lasciata debellare, è perché veicola, nonostante la sua apparenza mostruosa, i bisogni irrinunciabili di un Io originario. Freud, la cui ottica è orientata da una concezione radicalmente ideologica della natura umana, non vede che bisogni "sozzi e voraci".

Ma è il paziente stesso, in un sogno, a denunciare che le lenti della teoria analitica sono ricoperte di sterco: capaci sì di vedere quanto vi è di sporco nell'inconscio, ma incapaci di vedere che esso è meno il prodotto della natura umana che dell'essere questa immersa, fin dall'origine, nelle viscere del mondo. L'inconscio individuale protesta, dunque, alludendo ad un referente che non ignoreremo, anche se Freud lo ignora: l'inconscio storico, che, sotto forma di ideologia, piega la sua rivoluzionaria scoperta a esiti scontati, trasformandola in nuovi, e più insidiosi, recinti mentali

 

8. La guarigione

"In seguito all'analisi riferita... la salute psichica del paziente fu restaurata". Paradossalmente, è il risultato conseguito in pochi mesi a gettare ombre sul suo significato.

Freud l’attribuisce, esplicitamente, all'elaborazione del conflitto nucleare, e, in particolare alla presa di coscienza da parte del soggetto della natura passionale e malvagia delle sue pulsioni infantili rivolte contro il padre come rappresentante del principio di realtà. Ma nessun analista in buona fede, tanto più se ortodosso, può credere in una così rapida risoluzione del conflitto che è giunto a strutturare tutta l’esperienza psicologica del soggetto.

Cosa è accaduto dunque? Che l’analisi ha sì restaurato la salute psichica del paziente, ma alla lettera, reintegrando gli equilibri precedenti. Il paziente ammala per il senso di colpa determinato dal raffiorare di pulsioni rabbiose e distruttive rivolte contro persone che ama.

Freud lo cura dimostrandogli che il senso di colpa, che lo induce a sentirsi un delinquente ha una ragione d’essere, che esso si fonda su impulsi riprovevoli che anima le falde profonde della sua vita psichica, ma dai quali egli deve ritenersi del tutto irresponsabile, perché essi hanno origine nella sua vita infantile e corrispondono a derivati della stessa, rimasti vivi nell'inconscio. Freud, dunque, deresponsabilizza e decolpevolizza il paziente in quanto adulto, criminalizzando la sua natura infantile. Offre, così, al suo bisogno di credere, un appiglio ideologico che gli permette di riorganizzare il suo mondo interiore in maniera sintonica con la mentalità corrente.

Mentre i fratelli del dottor Lorenz, come questi rileva, erano tutti divenuti da bambini cattivi persone molto perbene, egli, che era giunto a sentirsi un pazzo criminale, era semplicemente rimasto un bambino cattivo, preda di tutte le pulsioni che connotano la passionalità e la ferocia della natura infantile. Si tratta indubbiamente di una guarigione, ma per difetto: il paziente è costretto ad accettare una cattiveria che, all'apice della repressione infantile, ha rifiutato con una tale intensità rabbiosa da criminalizzare il suo rapporto con un'autorità odiata come ingiusta e incontrollabilmente violenta. Egli accede - è vero - al principio di realtà, ma solo sacrificando il suo Io originario sull’altare di una legge giusta e sacrosanta nei principi, anche se discutibile nella forma in cui è stata proposta. A tanto egli giunge, presumibilmente, facendo leva sull'autenticità che lo lega al padre: ma non è questa una ulteriore prova che la sua natura, anche infantile, non era affatto indisponibile al principio di realtà e che, se lo è divenuta, non può essere stato per colpa sua?

Il dottor Lorenz guarisce, dunque, perché alla condanna della malattia, fondata sull'imputazione di criminalità - e della peggiore, quella che si esprime nel colpire alle spalle chi lo ama - subentra un verdetto che scarica la colpa sull' "altro lato di se", sul residuo di una natura infantile di cui egli non può ritenersi responsabile. Questa interpretazione del disagio psichico è una soluzione obbligata dalla teoria psicanalitica in quanto teoria meramente psicologista.

L'alternativa, cui si è appena accennato e che dovrà essere svolta con maggiore precisione, è che la struttura dell'inconscio individuale e la dinamica delle relazioni intersoggettive che ne rappresentano la matrice genetica non possono essere adeguatamente comprese e spiegate se non in riferimento alla struttura dell'inconscio storico. Il concetto di mentalità si profila all'orizzonte della nostra ricerca.