Da S. E. Luria S.J. Gould S.Singer

Una visione della vita -Introduzione alla biologia

Zanichelli, Bologna 1984

Parte E

Biologia evoluzionistica

Terza parte

pp. 557-584

 

27 La macroevoluzione

I grandi eventi della storia della vita riflettono l'operato della selezione naturale nell'ambito di milioni di anni. L'immensità di questo tempo e l'imponenza dei cambiamenti evolutivi richiedono spiegazioni di nuovo tipo, che non sono applicabili nel campo limitato di osservazioni degli organismi moderni.

493 Le bottiglie dove i genetisti allevano i moscerini della frutta sono laboratori evoluzionistici. In poche generazioni i genetisti possono modificare in modo notevole qualsiasi caratteristica dei moscerini, dai particolari della morfologia (le setole dell'addome sono un soggetto di scelta) alle sfumature del comportamento, semplicemente imitando la selezione naturale e consentendo la riproduzione di alcuni varianti scelti (i coltivatori e gli allevatori hanno praticato questa selezione per millenni con notevoli risultati).

D'altra parte i biologi ammettono che la modificazione del numero di setole in Drosophila non è ciò che si intende per evoluzione quando ci riferiamo al lungo periodo. Vorremmo saperne di più a proposito dell'origine dei nuovi schemi costruttivi degli organismi (della nascita dei vertebrati dagli invertebrati, degli anfibi dai pesci, delle piante vascolari da quelle non vascolari); vorremmo capire i meccanismi che sono alla base delle tendenze evolutive (ad esempio dell'aumento delle dimensioni del cervello nelle diverse linee dei mammiferi negli ultimi 70 milioni di anni); vorremmo spiegare le grandi fluttuazioni della diversificazione che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia della vita (l'estinzione dei dinosauri e di molti invertebrati marini alla fine del periodo Cretaceo, 65 milioni di anni fa). I biologi indicano questi eventi su larga scala con il termine macroevoluzione, distinguendoli dai cambiamenti delle frequenze geniche, che costituiscono la microevoluzione. La scala della macroevoluzione è troppo vasta per consentire un'osservazione diretta. Per conoscere processi che operano in tempi che si misurano in milioni di anni dobbiamo esaminare i risultati della macroevoluzione, cioè i fossili, e studiare in modo comparato l'anatomia, l'embriologia, la fisiologia e la biochimica degli organismi moderni.

Comunemente si ritiene che i principali eventi macroevolutivi possano essere spiegati con l'estrapolazione diretta dai processi microevolutivi osservati, e soprattutto dalla modificazione delle frequenze geniche nelle popolazioni. Se in un secolo in Biston betularia il gene per la colorazione scura ha sostituito quello per la colorazione bianca maculata, in base agli stessi argomenti l'uomo si è potuto evolvere dalle scimmie in milioni di anni mediante una lenta trasformazione, pezzo dopo pezzo, gene dopo gene. Questo punto di vista convenzionale si fonda su due affermazioni fondamentali: la prima, indicata come gradualismo, sostiene che quando una specie si separa dal ceppo ancestrale o quando una specie si trasforma in un'altra (fig. 27.1), i cambiamenti si accumulano lentamente e la popolazione passa attraverso tutti gli stadi intermedi. Quindi tutti i grandi cambiamenti sono il risultato dell'accumulo impercettibile di modificazioni molto piccole. La seconda affermazione è quella secondo cui la selezione naturale è la forza che guida i principali cambiamenti evolutivi, e le forme intermedie rappresentano adattamenti all'ambiente che cambia.



Spesso si confonde il gradualismo con la selezione naturale - anche Darwin, che sosteneva ambedue, lo ha fatto - mentre invece devono essere considerati separatamente. Si può essere gradualisti e negare la selezione, come facevano i lamarckisti, oppure si può essere selezionisti e negare il gradualismo. La selezione naturale richiede continuità e forme intermedie perché se le specie nuove si originassero all'improvviso la selezione non potrebbe avere alcun ruolo direzionante. La selezione naturale non implica però che l'evoluzione sia lenta e proceda dolcemente e impercettibilmente attraverso tutti gli stadi intermedi. L'evoluzione per selezione naturale può essere rapida, soprattutto se si considerano i tempi geologici (se una nuova specie si origina in 1000 anni e poi rimane inalterata per milioni di anni - cosa che si riscontra comunemente nei fossili - la sua forma zione occupa l'l% della sua vita totale). L'evoluzione da una specie a quella successiva per selezione naturale può avvenire attraverso una serie di tappe discrete anziché attraverso una modificazione continua e impercettibile.

In questo capitolo esamineremo la validità del gradualismo e della selezione naturale quali modelli per la macroevoluzione. La teoria darwiniana spiega, oltre alla microevoluzione, anche la macroevoluzione, oppure abbiamo bisogno di principi speciali che spieghino i grandi eventi della storia della vita? Esiste una teoria evoluzionistica unificata per gli eventi di qualsiasi portata temporale, dalle generazioni alle ere geologiche? Tratteremo questi argomenti alla luce di tre grandi aspetti della macroevoluzione: l'origine di nuovi schemi organizzativi per gli organismi, la successiva storia di questi schemi (le tendenze evolutive) e la storia della diversificazione (la proliferazione e l'estinzione, con particolare riguardo alle grandi estinzioni che si sono verificate di tanto in tanto nella storia della vita).

L'origine dei nuovi schemi organizzativi per gli esseri viventi

494 Nel 1871 ii biologo inglese St. George Mivart, uno dei più validi critici di Darwin, sosteneva l'incapacità del darwinismo nello spiegare "gli stadi incipienti delle strutture utili". Egli prese in considerazione il mimetismo degli insetti; ad esempio molte farfalle che imitano le foglie secche sono così simili a queste che noi, come i loro predatori naturali, le confondiamo con parti della pianta su cui sono poggiate (fig. 27.2). E facile apprezzare il significato adattativo di una forma così perfezionata; come si è potuta evolvere da una farfalla normale, che non ha alcuna somiglianza particolare con la foglia? Cosa ha dato inizio a questo processo? Darwin risposte che fra tutte le farfalle ancestrali alcune, per caso, somigliavano vagamente ad una foglia. La debole protezione conferita da questa somiglianza accidentale già costituiva il punto d'inizio per una somiglianza migliore. In questo modo si originava una pressione di selezione a favore di una maggiore somiglianza ed ogni avanzamento nella direzione di un migliore mimetismo sarebbe stato vantaggioso.



Mivart replicò con argomenti più robusti: nelle farfalle ogni stadio intermedio conferisce una maggiore protezione ed è utile di per sé e quindi l'unico problema è l'avvio di questo processo. Ma cosa pensare di quelle strutture che diventano utili solo quando sono completamente formate? Come possono originarsi gradualmente? Le penne degli uccelli si sono evolute dalle squame dei rettili. Se servono per volare, che vantaggio potevano dare allo stato primitivo? Una scaglia che ha subito il 5% della trasformazione in direzione di una penna non è utile per volare; come si è potuto originare questo "stadio incipiente" per selezione naturale?

Una teoria darwiniana della macroevoluzione necessita di una soluzione valida per questa questione spinosa. Sono state proposte due possibili soluzioni: la nozione del preadattamento, che rappresenta un approccio gradualista, e quella delle transizione rapida, che abbandona le spiegazioni gradualiste ma conserva l'azione creativa della selezione naturale.

Il principio del preadattamento

495 I primissimi pesci non avevano mascelle: da dove provengono i supporti ossei che si trovano al di sopra e al di sotto della bocca? Si sono originati come caratteristiche nuove a causa di una mutazione fortunosa? Questa idea è imbarazzante; come si è potuta originare una cosa così complessa, per caso, da nessuna struttura preesistente? In questo caso la risposta è nota. Le diverse parti delle mascelle sono comparabili con le ossa che, nei pesci primitivi, sostengono ciascuna arcata branchiale (fig. 27.3) e le arcate branchiali sono disposte in una fila che inizia immediatamente dietro alla bocca. Durante l'evoluzione dei pesci un insieme di ossa di un'arcata branchiale si è staccato dalle branchie e si è mosso verso l'avanti fino a circondare la bocca. Nei pesci ancestrali senza mascelle le ossa dell'arcata branchiale funzionavano perfettamente come supporti per le branchie. A suo tempo queste ossa non si erano evolute in vista della trasformazione futura in mascelle - questa “premonizione" del futuro non si concilia con il principio darwiniano dell'adattamento agli ambienti immediatamente circostanti (in realtà è difficile immaginare qualsiasi spiegazione scientifica che giustifichi la direzione degli eventi presenti con le necessità future). Anche se si erano evoluti per sostenere le branchie, queste erano particolarmente adatte, per forma e posizione, a trasformarsi successivamente in mascelle. L'evoluzione può trarre vantaggio da queste "pause fortunose"; essa deve operare con il materiale disponibile, attribuendo funzioni nuove a strutture vecchie.



Un carattere preadattato ha una determinata funzione nel progenitore ma è, per caso e non per una premonizione, molto adatto a trasformarsi per svolgere una funzione differente nei discendenti.

Per fare un altro esempio, si sa che due ossa dell'orecchio (l'incudine e il martello) si sono evolute da ossa della mascella. I rettili hanno un solo osso dell'orecchio, la staffa (la storia della staffa è affascinante; essa si è sviluppata da un osso dell'arcata branchiale posteriore a quella che ha dato origine alle mascelle; nei pesci con mascelle quest'osso è diventato l'iomandibolare, che collega la mascella superiore e il cranio; nei vertebrati terrestri è diventato poi un osso per la trasmissione del suono). I mammiferi ne hanno tre: il martello, l'incudine e la staffa. Se le due ossa in più si fossero dovute sviluppare dal nulla, ci troveremmo nuovamente di all'obiezione di Mivart: che vantaggio dà un osso che ha subito solo ii 5% della trasformazione necessaria a farlo diventare un osso dell'udito? In questo caso, grazie alla embriologia e alla paleontologia, sappiamo che queste future ossa dell'udito nei rettili sono due piccole ossa che formano l'articolazione fra le mascelle. Negli antenati dei mammiferi si osserva una tendenza alla diminuzione delle dimensioni di queste ossa e all'assunzione delle loro funzioni da parte delle ossa della mandibola che si conservano e diventano progressivamente più grandi (fig. 27.4). Infatti, esistono almeno due rettili quasi-mammiferi con una doppia articolazione fra le mascelle; una di tipo rettiliano, formata dal quadrato e dall'articolare (le due ossa che nei mammiferi diventeranno il martello e l'incudine) e l'altra formata dallo squamoso e dal dentale, come nei moderni mammiferi. Il quadrato e l'articolare, pur funzionando ancora come ossa mascellari, si giustapponevano con la staffa, l'osso uditivo dei rettili; possiamo assumere che essi iniziarono a funzionare come trasmettitori del suono durante il processo di perdita della precedente funzione di ossa dell'articolazione mandibolare. Quando si formò l'articolazione squamoso-dentale, il quadrato e l'articolare divennero "disponibili" e adatti, per forma e posizione, alla loro nuova funzione di trasmettitori del suono. Essi erano "preadattati" al loro nuovo ruolo quando ancora funzionavano come ossa mascellari.



Anche l'evoluzione delle penne illustra come il preadattamento consenta una spiegazione gradualista per quelle strutture che non possono svolgere la loro funzione definitiva fino a quando non sono completamente formate. Mivart aveva ragione: una struttura che è penna al 5% non è di alcuna utilità al volo. Tuttavia, le penne possono conferire altri vantaggi e costituire un beneficio anche negli stadi intermedi.

Probabilmente gli uccelli si sono evoluti da un gruppo di piccoli dinosauri: l'Archaeopteryx, il primo uccesso fossile, era molto più piccolo dei più piccoli dinosauri (fig. 27.5). Come già detto nei capitolo 26, gli animali producono calore nelvolume del corpo e lo perdono per irradiazione dalla superficie interna. I piccoli dinosauri, avendo un alto rapporto fra superficie esterna e volume interno, irradiavano il calore più velocemente dei dinosauri più grandi e forse ebbero bisogno di una protezione aggiuntiva per prevenire la perdita di calore. Una soluzione a questo problema è l'isolamento termico che, ad esempio nei mammiferi, viene realizzato dai peli; ma anche le penne sono ottimi isolanti e durante gli stadi intermedi della loro evoluzione possono aver avuto questa funzione. Qualsiasi cambiamento in direzione delle penne avrebbe offerto una certa protezione sotto forma di isolamento termico. Da un'analisi della meccanica del moto alare in Archaeopteryx, il paleontologo John Ostrom ha concluso che esso non poteva volare. Egli ritiene che le penne servissero da isolanti o come prolungamenti dell'arto per catturare le prede; quindi, sebbene dopo essersi formate costituissero un eccellente preadattamento ai volo, le penne si originarono per una diversa ragione.



Riassumendo, il principio del preadattamento secondo cui, negli stadi intermedi della loro formazione, le principali novità evolutive svolgono spesso funzioni diverse da quelle degli stadi finali - ci permette di postulare una transizione graduale per quelle strutture che non possono funzionare fino a quando non sono completamente formate.

Le transizioni rapide

496 Per offrire un'altra soluzione al dilemma di Mivart, si può sostenere che non vi è la necessità che esista una sequenza completa di stadi intermedi, e che le principali novità possono originarsi rapidamente. Con ciò non si vuoi dire che i pesci con mascelle siano nati all'improvviso, completamente formati, o che il primo uccello sia sgusciato da un uovo di rettile. Transizioni complete e improvvise di questo tipo, accompagnate da riorganizzazioni genetiche totali, sarebbero anti-darwiniane (anche se sotto un certo aspetto potrebbe non essere sbagliata, noi respingiamo l'idea che queste transizioni siano potute avvenire perché mancano le evidenze dirette e perché non abbiamo le basi teoriche per spiegarle). Se i nuovi schemi organizzativi si originassero all'improvviso il ruolo della selezione naturale sarebbe puramente negativo; essa eliminerebbe il non adatto (la forma ancestrale) consentendo alla nuova forma di aumentare la propria frequenza. Viceversa l'essenza del darwinismo è nel ruolo creativo della selezione naturale - la selezione deve costruire gli adattamenti accumulando la variazione favorevole nel tempo.

Tuttavia il ruolo creativo della selezione naturale non esige che venga realizzato ogni possibile stadio intermedio. Nell'esempio dell'evoluzione delle mascelle, bisogna veramente pensare che l'insieme delle ossa dell'arcata branchiale frontale sia migrato in avanti di una frazione di millimetro ad ogni generazione, fino a quando ha circondato la bocca e acquisito la sua nuova funzione? Perché non considerare la transizione come una sorta di indirizzamento verso una delle due alternative possibili: (ossa che possono trovarsi posteriormente come supporti alle branchie o anteriormente come supporti alla bocca)?

Una transizione senza stadi intermedi degradanti progressivamente l'uno nell'altro non priva la selezione del suo ruolo creativo nell'evoluzione dei pesci con mascelle. Un pesce con mascelle non è soltanto un pesce agnato con ossa dell'arcata brachiale modificate, bensì è un animale di tipo diverso che si differenzia per molti aspetti complessi e integrati dalla sua forma ancestrale. Ad esempio i primi pesci con mascelle possedevano anche, per la prima volta, pinne pari (alcuni agnati avevano solamente pinne senza supporto osseo in quella stessa posizione); le branchie e la parte anteriore del cervello già erano ingranditi notevolmente (fig. 27.6). L'evoluzione delle mascelle potrebbe essere stata un'innovazione critica, una prima tappa che consentì l'instaurazione di pressioni selettive a favore di moltissimi altri adattamenti correlati a queste strutture. Dopo l'evoluzione delle mascelle la selezione naturale ha dovuto operare ancora a lungo per modellare la forma complessa dei pesci con mascelle.



Per risolvere il problema della conciliazione di questi cambiamenti rapidi e profondi con la necessità darwiniana della continuità del cambiamento genetico, bisogna considerare i rapporti fra queste modificazioni dello schema organizzativo e quelle genetiche che ne sono alla base. I grandi cambiamenti strutturali devono sempre originarsi da grandi cambiamenti genetici? Piccoli cambiamenti genetici possono talvolta tradursi in grandi differenze della forma del corpo? Se è così il problema è risolto, in quanto le piccole variazioni genetiche sono il materiale grezzo su cui agisce la . Quali sono i piccoli cambiamenti che possono avere tali effetti?

Cambiamenti della velocità di sviluppo

In tutto il volume abbiamo voluto sottolineare che la vita si distingue in quanto possiede un programma; questo viene "letto" durante gli stadi embrionali e la crescita successiva, quando il genotipo si traduce nel fenotipo (parte C). Se i programmi vengono letti secondo una successione di tappe e se ciascuna di queste influisce su quelle che la seguono (come avviene nei programmi genetici), i piccoli cambiamenti che avvengono all'inizio dello sviluppo possono avere grandi conseguenze per la forma adulta. I geni formano enzimi e questi controllano la velocità dei processi. Molti piccoli cambiamenti genetici possono portare ad una alterazione della velocità di sviluppo negli stadi precoci della crescita. Se, proseguendo la crescita, questi effetti si accumulano, gli effetti sulla forma adulta possono essere molto profondi. Nella nostra idea di evoluzione quale alterazione dei programmi genetici e dello sviluppo, l'origine rapida di innovazioni fondamentali non è in contraddizione con il concetto darwiniano di evoluzione per accumulo di piccoli cambiamenti genetici. Ad esempio, una piccola modificazione della velocità di sviluppo negli stadi embrionali precoci potrebbe aver fatto muovere il primo gruppo di ossa dell'arcata branchiale in avanti fino a circondare la bocca - forse queste ossa hanno iniziato a differenziarsi prima o sono cresciute più velocemente acquistando dimensioni maggiori e arrivando più vicino alla parte anteriore dell'animale.

La nostra specie rappresenta un caso straordinario in cui grandi cambiamenti morfologici si accompagnano a piccole differenze genetiche (che probabilmente agiscono sulla velocità di sviluppo). Sebbene gli adulti dell'uomo e dello scimpanzé (questo, pur non essendo un nostro diretto antenato è il parente vivente più prossimo che abbiamo) siano molto diversi per aspetto e comportamento, si sa da molto tempo che gli stadi embrionali di queste due specie sono molto simili. In realtà le differenze genetiche fra le due specie sono straordinariamente piccole: geneticamente l'uomo e lo scimpanzé che convenzionalmente vengono attribuiti a generi differenti (v. cap. 28), sono più simili di qualsiasi altra coppia di specie appartenenti ad uno stesso genere. Quindi, che cosa può aver provocato la grande divergenza morfologica fra queste due specie? La risposta risiede probabilmente nel controllo genetico sul percorso e sulla velocità dell'embriogenesi e della crescita.

La nostra conoscenza genetica dello scimpanzé e dell'uomo si limita ai cosiddetti geni strutturali, cioè quelli che codificano per le sequenze aminoacidiche delle proteine (sappiamo come studiare i geni strutturali perché possiamo purificare le proteine ed esaminare le differenze nelle sequenze aminoacidiche).

Geni di altro tipo sono responsabili del coordinamento delle vie e della velocità dell'embriogenesi e della crescita; questi geni esercitano i loro effetti controllando i geni strutturali, attivandoli e disattivandoli. Questi controllori prendono il nome di geni regolatori (non sappiamo ancora come studiarli direttamente in quanto i loro prodotti non codificano per proteine che poi possono essere analizzate). Quindi le nostre conoscenze riguardanti geni confrontabili nell'uomo e nello scimpanzé si limitano ai geni strutturali ed è molto difficile che questi differiscano. Cosa ha provocato la profonda divergenza morfologica fra le due specie? Piccoli cambiamenti nei geni regolatori possono essere alla base e provocare le sostanziali differenze della forma adulta.

Questa ipotesi è sorretta da un'analisi delle velocità di crescita: allo stadio embrionale lo scimpanzé e l'uomo sono molto simili; successivamente la velocità di crescita dell'uomo si abbassa e le proporzioni del cranio non si modificano molto rispetto a quelle degli stadi embrionali tardivi in cui le due specie si somigliano. In realtà, rispetto alla forma embrionale, il cranio dell'uomo e dello scimpanzé si modificano nella stessa direzione - le dimensioni relative del cervello diminuiscono mentre quelle delle mascelle aumentano. Tuttavia, nell'uomo la velocità di questo cambiamento è molto minore ed infatti l'uomo adulto conserva in buona parte la forma embrionale comune anche allo scimpanzé (fig. 27.7). In altre parole l'uomo si è evoluto per un generale abbassamento della velocità di sviluppo. Noi ci differenziamo dagli scimpanzé per molte caratteristiche ma buona parte di queste rappresentano risposte coordinate ad un singolo cambiamento di velocità.



Pedomorfosi

Spesso l'evoluzione avviene per cambiamenti della velocità di sviluppo di caratteristiche già presenti negli antenati. La pedomorfosi è quel fenomeno per cui, come nell'uomo, gli stadi giovanili dei progenitori divengono gli stadi adulti dei discendenti (il termine significa "forma di bambino"). Molti evoluzionisti vedono nella pedomorfosi un meccanismo che, potenzialmente, consente l'origine rapida di nuovi tipi di organismi.

Nel lago Xochimilco gli Aztechi raccoglievano un animale considerato una prelibatezza e chiamato axolotl. Questi anfibio non è altro che il girino di una salamandra ma questa forma acquatica raggiunge la maturità sessuale senza perdere le branchie e senza trasformarsi in un tipico adulto. Gli axoloti rimasero un enigma fino a quando uno studioso francese riuscì ad indurne la trasformazione contaminando l'acqua in cui vivevano; essi si trasformarono in salamandre normali del ben noto genere Ambystoma (fig. 27.8). Avendo perso la capacità di trasformarsi completamente, gli axoloti conservano permanente una forma giovanile anche quando raggiungono la maturità sessuale. Probabilmente il cambiamento genetico è piccolo e semplice e provoca solamente un rallentamento dello sviluppo corporeo rispetto al tempo della maturazione sessuale. Eppure le differenze morfologiche fra il girino e la salamandra adulta tipica sono notevoli. Esistono molte specie di salamandre - le perennibranchie - in cui persiste la forma pedomorfa.



Nelle salamandre la pedomorfosi ha portato all'evoluzione di nuovi generi. Molti evoluzionisti ritengono che lo stesso processo possa essere stato responsabile dei cambiamenti di architettura, ben più rilevanti, che hanno dato origine a molti gruppi superiori. I vertebrati hanno molte caratteristiche in comune con il "girino" dei tunicati; malgrado l'affinità fra i due gruppi, gli adulti dei tunicati assomigliano molto poco ai vertebrati (fig. 27.9). Nell'ipotesi che un girino di tunicato sia divenuto sessualmente maturo mediante un piccolo cambiamento genetico che abbia agito sulla velocità di sviluppo, potrebbe essersi originato un nuovo tipo di animale con molte innovazioni che preludevano alle caratteristiche dei vertebrati, senza passare attraverso una sequenza di forme intermedie. Alcuni scienziati ritengono che il phylum Ctenophora si sia originato da larve pedomorfe di vermi turbellari (phylum Plathelminthes), oche gli insetti si siano sviluppati per pedomorfosi da larve di miriapodi (uno stadio precoce dei millepiedi e dei centopiedi ha sei zampe come gli insetti adulti).



Tendenze e schemi dell'evoluzione

497 Molte persone sono convinte che i reperti fossili illustrino in modo inequivocabile un aumento di complessità, dal primo organismo unicellulare all'Homo sapiens, lungo una scala del progresso che gli organismi risalgono grazie alla selezione naturale che trasforma gli antenati più perfezionati.

Viceversa i fossili non offrono affatto questa immagine idealizzata; è vero che le prime creature erano molto semplici: batteri ed alghe azzurre, cioè cellule procariotiche senza nucleo, mitocondri, cloroplasti ed altre parti differenziate. Ne sono stati ritrovati fossili in rocce vecchie di 3,4 miliardi di anni. Tuttavia, la complessità non si è evoluta gradualmente per accumulo lento e costante di caratteristiche e per differenziamento delle funzioni. Circa 600 milioni di anni fa, all'inizio del periodo Cambriano, apparvero pressoché tutti i principali schemi organizzativi degli animali pluricellulari nell'intervallo di tempo relativamente breve di 10 milioni di anni, come testimoniano i fossili. Da allora in poi l'evoluzione ha avuto l'aspetto di una variazione su questi pochi temi anziché di un progressivo avanzamento. Possiamo considerare un moderno insetto o una moderna aragosta (i membri "più alti" del phylum Arthropoda) "migliori" dei artropodi cioè delle trilobiti dell'inizio del Cambriano? Alcune trilobiti estinte avevano occhi più complessi ed efficienti di quelli di ogni altro artropode vivente (fig. 27.11).



Le tendenze che noi osserviamo all'interno di gruppi minori, come nel caso dell'evoluzione dei cavalli, non indicano un'ascesa verso il progresso bensì rappresentano vie contorte che noi ripercorriamo a posteriori quando ricostruiamo l'albero evolutivo che, in casi come questo, assomiglia più ad un arbusto molto ramificato. Osserviamo ad esempio la via che ha portato dall'Hyracotherium ("eohippus", il cavallo primitivo) al moderno Equus. Il genere Equus è il solo genere di cavalli viventi, ma se anche l'Anchitherium o il Nanippus fossero sopravvissuti diffondendosi, noi avremmo ricostruito una diversa via evolutiva a partire dall'Hyracotherium ed avremmo individuato altre tendenze relative ad altri caratteri.

Cionondimeno le tendenze evolutive esistono e questo fatto ci pone di fronte ad una delle domande più interessanti riguardo alla storia della vita così come ci viene rivelata dai reperti fossili: queste tendenze rappresentano direzioni preferenziali dell'evoluzione? Se è così che significato hanno e quali condizioni impongono per quanto riguarda la formulazione di teorie evoluzionistiche generali?

Modalità dell'evoluzione e natura delle tendenze

498 Nella concezione darwiniana l'evoluzione si può ridurre alla questione dell'origine delle specie. Le nuove specie possono originarsi in due modi: nell'evoluzione filetica un'intera popolazione ancestrale viene modificata in una specie discendente e la linea di demarcazione fra la specie parentale e quella filiale è arbitraria e noi osserviamo l'evoluzione come un flusso continuo. Nella speciazione una specie nuova si separa dal proprio progenitore mediante il processo descritto al capitolo 26.

Dal momento che l'estinzione è un processo evolutivo molto comune, la speciazione deve essere a sua volta importante: se le specie non si potessero separare e moltiplicare per bilanciare l'estinzione, la vita scomparirebbe in breve tempo. Partendo da quelle forme che hanno avuto successo la speciazione produce molte variazioni. Il punto di vista convenzionale contrappone alla speciazione, quale produttrice di variazioni sovrabbondanti su temi prefissati, l'evoluzione filetica quale produttrice di trasformazioni controllate dalla selezione naturale. In altre parole all'avanzamento e al progresso (evoluzione filetica) si contrappone la generazione di nuove diversificazioni ad ogni stadio (speciazione).

Secondo la teoria darwiniana, affinché le modificazioni si realizzino in modo filetico, per lenta trasformazione di intere popolazioni, la selezione naturale dovrebbe agire costantemente per milioni di anni dirigendole sempre verso lo stesso fine. Quindi, per spiegarci queste tendenze, dovremo individuare i vantaggi adattativi offerti da quei caratteri che definiscono la tendenza stessa. In altre parole l'idea di un cambiamento filetico graduale diretto dalla selezione naturale ci porta a pensare che l'evoluzione sia un processo che ottimizza l'architettura dell'organismo mediante un costante miglioramento nel tempo.

Il principale problema è che le prove fossili a favore di questo gradualismo filetico sono estremamente scarse. Sono molto rari i casi in cui possiamo ripercorrere la trasformazione graduale di una specie in un'altra attraverso una serie di forme intermedie degradanti. I reperti fossili indicano che una specie, dopo essere comparsa, non cambia molto durante la sua vita (che normalmente dura milioni di anni); inoltre, quando questa viene rimpiazzata da una specie discendente, usualmente la transizione è improvvisa e non graduale. Coloro che sostengono il gradualismo filetico hanno sempre riconosciuto questa difficoltà, ma hanno sempre attribuito la carenza delle prove a favore del cambiamento graduale alle lacune nei reperti fossili (fig. 27.13). Non accade quasi mai che i sedimenti si depositino in modo continuo per milioni di anni; una sezione geologica registra soltanto una frazione del tempo trascorso fra lo strato più basso e quello più alto. Inoltre, molti organismi morti si rompono e si disintegrano prima di essere inclusi in un sedimento e molti di quelli che vi rimangono inclusi sono poi distrutti dal calore, dalla pressione e da modificazioni chimiche. Se i reperti fossili conservano solo una tappa su mille, quegli eventi che in realtà sono graduali potranno apparire improvvisi. Per usare le di Darwin: "I reperti fossili sono estremamente imperfetti e ciò spiega in buona parte perché noi non troviamo le innumerevoli varietà che collegano, secondo tappe brevissime, tutte le specie, estinte e viventi".



Siamo quindi autorizzati a ritenere che gli andamenti siano prodotti dall'evoluzione filetica graduale durante il processo di miglioramento dell'architettura degli organismi operato dalla selezione naturale - e che questo processo sia osservato così raramente a causa delle lacune nei reperti fossili.

Tuttavia c'è un'alternativa. Forse i reperti fossili ci danno più informazioni di quanto si creda ed il fatto che osserviamo sostituzioni improvvise fra le specie e nessun cambiamento all'interno di esse potrebbe essere un riflesso dell'evoluzione come essa è in realtà. Come già detto nel capitolo 26, le popolazioni grandi e impiantate con successo sono resistenti al cambiamento evolutivo mentre le popolazioni piccole, isolate e marginali possono andare incontro alla speciazione. Il processo di speciazione, che dal punto di vista umano è lento, dal punto di vista geologico è estremamente rapido (impiega centinaia o migliaia di anni). Con le normali velocità di sedimentazione un periodo di mille anni si traduce in un singolo strato di spessore pressoché . Nell'ipotesi che la speciazione fosse il modo di evoluzione prevalente ci attenderemmo di trovare esattamente ciò che osserviamo: una specie che rimane inalterata nei diversi strati potrebbe rappresentare una popolazione ben impiantata mentre una che viene sostituita improvvisamente potrebbe corrispondere alla migrazione, in quell'area, di una specie discendente originatasi in modo rapido da una piccola popolazione ai limiti dell'areale della specie parentale. Quindi è possibile che l'evoluzione avvenga prevalentemente per speciazione e che l'importanza dell'evoluzione filetica sia relativamente scarsa.



Se l'evoluzione filetica è così rara, cosa è che produce le tendenze evolutive? In che modo la speciazione ha potuto produrre la progressione delle dimensioni del cervello nell'uomo e delle dimensioni del corpo del cavallo? Questi andamenti possono essersi prodotti nel modo seguente: gli eventi di speciazione avvengono in tutte le direzioni ma alcune specie vivono più a lungo o danno origine ad un maggior numero di specie discendenti. Questa conservazione o proliferazione differenziale delle specie produce una tendenza evolutiva (fig. 27.14). Per spiegare la tendenza ad un corpo di dimensioni maggiori nel cavallo, non c'è bisogno di postulare una selezione naturale persistente all'interno di questa linea evolutiva. Supponiamo che le nuove specie di cavalli con dimensioni minori e maggiori di quelle dei loro antenati si siano originate con uguale frequenza, e che le ultime siano sopravvissute più a lungo o siano andate incontro a speciazione più frequentemente delle prime. Come risultato della sopravvivenza differenziale delle specie più grandi si ha una tendenza all'ingrandimento del corpo. Nel caso dell'uomo non vi sono prove di un cambiamento filetico fra le specie di ominidi. La tendenza, molto evidente, all'aumento delle dimensioni del cervello è il risultato della sostituzione delle specie dotate di cervello più piccolo con specie dotate di cervello più grande.

Vi sono molti argomenti che possono spiegare una tendenza evolutiva prodotta dal ripetersi di eventi di speciazione, e solo una parte di questi si ricollega all'azione diretta della selezione sulla forma dell'organismo. Le specie più grandi di cavalli potrebbero aver avuto successo per il solito motivo: essi erano "studiati meglio". Alternativamente il loro successo potrebbe essere stato causato dal fatto che esse subivano la speciazione più frequentemente rispetto alle specie con corpo più piccolo, per ragioni indipendenti dalla loro eventuale miglior costruzione - ad esempio si frazionavano più facilmente in popolazioni piccole ed isolate. Un'altra spiegazione può risiedere nel fatto che esse tendevano a sopravvivere più a lungo delle specie con corpo piccolo, anche in questo caso indipendentemente dall'avere una miglior costituzione - forse esse vivevano in ambienti più costanti sfuggendo così all'estinzione in mass (Fig. 27.14)



 

Nei fossili si osservano moltissime tendenze evolutive che i paleontologi non sono stati capaci di spiegare in base al miglioramento della forma organica provocato da una selezione naturale costante mediante un processo di evoluzione filetica. Usualmente come scusante si invoca la nostra ignoranza della vita degli animali, la quale ci porterebbe a non apprezzare il miglioramento prodotto da queste progressioni. Viceversa l'ostacolo principale è rappresentato dal fatto che si è postulato che esse si realizzino per evoluzione filetica. Le possibilità di spiegare queste progressioni aumentano, invece, ammettendo che esse si verifichino più spesso per l'accumulo di eventi di speciazione.

 

Aspetti comuni delle tendenze evolutive

499 L'individuazione degli aspetti comuni alle diverse tendenze evolutive ci dovrebbe insegnare qualcosa sui modi d'azione dell'evoluzione. I paleontologi si sono dedicati a questa ricerca ma sono giunti a poche conclusioni di validità generale. Illustreremo sommariamente quelle più significative.

L'irreversibilità e l'inerzia La più importante fra le osservazioni ricorrenti nelle diverse serie evolutive è che l'evoluzione è irreversibile. Ciò non vuol dire, che dopo aver preso il via, una tendenza evolutiva non si possa più esaurire, e non era ciò che intendeva dire il paleontologo belga Louis Dollo quando propose la legge della irreversibilità. Dollo aveva una formazione matematica e tentò di applicare le sue conoscenze di probabilità alla storia della vita. Egli pensò che, data la complessità degli organismi, non si potesse verificare il ritorno ad una forma ancestrale perché ciò avrebbe richiesto il ripetersi, in senso opposto, di migliaia di tappe un evento troppo improbabile. Quindi, anche nei casi in cui si ha un ritorno ad uno stile di vita ancestrale, ciò viene realizzato con adattamenti nuovi. Ad esempio, durante l'era dei dinosauri molti rettili tornarono al mare, ma nessuno di essi diventò nuovamente pesce.

L'Ichtyosaurus (fig. 27.15) aveva un aspetto esterno simile ad un pesce; esso sviluppò addirittura strutture straordinariamente simili alle pinne dorsali e caudali dei pesci, fondamentali dal punto di vista funzionale (quella dorsale per la stabilità e quella caudale per la propulsione), tuttavia non era un pesce. Le sue ossa erano chiaramente di tipo rettiliano, non aveva branchie, e le "pinne" somigliavano alle appendici dei pesci nell'aspetto esterno ma non nella struttura interna.



Il principio dell'irreversibilità esprime la proprietà più fondamentale della vita, il concetto che noi abbiamo scelto come tema conduttore. La vita si fonda sul possesso di un programma complesso e mutevole codificato nel DNA. Un cristallo di quarzo che si forma oggi è simile a quello che si è formato un miliardo di anni fa; possiamo essere sicuri che fra 100 milioni di anni cristalli di quarzo simili si formeranno per le stesse condizioni chimiche. Il quarzo si forma in base a leggi chimiche relativamente semplici e costanti; purché vi siano le condizioni opportune (temperatura, pressione e costituenti chimici) il quarzo cristallizza sempre nello stesso modo. Una specie vivente, invece, porta un programma complesso che si è evoluto per almeno 3,4 miliardi di anni. Ogni specie è unica in virt? del tempo e della complessità. La storia non ha importanza per un cristallo di quarzo mentre è essenziale per un organismo: possiamo capire un organismo solo quando sappiamo da dove proviene e in che modo il suo programma si è modificato nel tempo.

Un'altra osservazione ricorrente è che nelle diverse serie evolutive non si trova traccia di alcun "effetto di inerzia"; le linee evolutive, cioè, non si estinguono perché superano il punto in cui un adattamento è vantaggioso. L'estinzione è il risultato dell'incapacità di adattarsi agli ambienti mutevoli e non dell'acquisizione attiva di caratteri svantaggiosi (l'evoluzione di caratteristiche manifestamente svantaggiose sarebbe non-darwiniana in quanto non potrebbe essere diretta dalla selezione naturale) e infatti accade spesso che alcune tendenze si invertano quando l'ambiente cambia. Ad esempio in molte linee di mammiferi si osserva la tendenza verso dimensioni corporee più grandi in risposta all'abbassamento di temperatura protrattosi per milioni di anni prima delle ere glaciali; altre linee, invece, hanno subito fluttuazioni delle dimensioni in corrispondenza dell'avanzata e della ritirata dei ghiacciai degli ultimi milioni di anni (fig. 26.10); in queste linee si osserva un aumento di dimensioni durante l'avanzata dei ghiacci e una diminuzione durante la ritirata, quando il clima è generalmente più caldo.

Considerati congiuntamente i due principi dell'irreversibilità e della mancanza di inerzia ci offrono importanti insegnamenti circa la natura dell'evoluzione. Non esistono né direzioni definite né un determinismo causale capaci di produrre risultati identici in circostanze simili. II percorso dei cambiamenti evolutivi nel tempo è contorto e senza direzioni preferenziali. Gli organismi seguono questo percorso a volte con successo e a volte senza (estinzione), ma sempre con modalità diverse per qualche aspetto. Il programma genetico di ogni specie è unico proprio in quanto è il prodotto di questa storia complessa.

La convergenza
Non abbiamo intenzione di sostenere che un esame delle tendenze evolutive non riveli alcun aspetto comune: il numero di soluzioni adattative per i diversi modi di vita non è illimitato. Gli organismi che popolano gli oceani sono molti di più delle possibili forme idrodinamiche e quindi in diverse linee indipendenti possono svilupparsi forme del corpo molto simili - ad esempio quelle dell'ittiosauro, del delfino e dello squalo (fig. 27.16).



L'evoluzione indipendente di forme molto simili aventi un valore adattativo è detta convergenza. La convergenza è la miglior prova che noi abbiamo della precisione e dei limiti dell'adattamento: ogni linea segue il proprio percorso indipendente e sviluppa il suo programma, ma è sottoposta a condizioni costruttive vincolanti per quanto riguarda la forma. Se la selezione naturale controlla la direzione dell'evoluzione essa deve produrre organismi ben progettati che non si discostino dai principi della buona funzionalità.

Gli esempi di convergenza più straordinari sono quelli che riguardano organismi con scarsa affinità che normalmente sono molto diversi per forma e funzione. Ad esempio, fra gli invertebrati marini i bivalvi e i brachiopodi sono estremamente diversi dai coralli (sono organismi il cui corpo è racchiuso fra due valve di dimensioni uguali). Eppure nella storia di ciascuno di questi due gruppi si è evoluta una linea che ha acquisito il modo di vita dei coralli ed ha iniziato a costruire "barriere" (fig. 27.17).



In questi organismi una delle due valve si è trasformata in una coppa conica allungata simile a quella dei coralli fossili; l'altra si è trasformata in un coperchio che chiude il cono. Ancora più straordinaria è l'evoluzione indipendente di occhi simili in molti gruppi di organismi: i modi per costruire una buona macchina fotografica sono limitati; nei vertebrati e nei molluschi cefalopodi (calamari e polpi) si è sviluppato indipendentemente un sistema formato da una cornea e un cristallino.

La radiazione adattativa
      Se da una parte vi sono limitazioni imposte dal fatto che il numero di modi per raggiungere un buon piano organizzativo è limitato, dall'altra c'è la possibilità di effettuare un enorme numero di variazioni su un tema fondamentale. Fino ad oggi sono state descritte circa 20 000 specie di pesci teleostei (la maggioranza dei pesci moderni) e più di 250 000 specie di coleotteri. Quando si origina un nuovo schema organizzativo spesso questo innesca una proliferazione di specie soprattutto quando dà agli altri organismi la capacità di vivere in ambienti non sfruttati in precedenza. Queste fasi di grande diversificazione sono dette radiazioni adattative, e si possono verificare ogniqualvolta degli organismi invadono uno spazio ecologico vuoto, o un territorio non occupato, o quando un gruppo raggiunge per la prima volta un'isola, o quando acquisisce un nuovo modo di vita come nel caso degli insetti che, 300 milioni di anni fa, furono le prime creature volanti.

Uno studio delle radiazioni adattative dimostra che la convergenza e la divergenza rappresentano due facce della stessa medaglia: l'adattamento diretto dalla selezione naturale e limitato dai principi della funzionalità costruttiva. L'Australia è stato un continente insulare per circa 50 milioni di anni; i mammiferi che inizialmente la abitavano erano soprattutto marsupiali e subirono una vasta radiazione adattativa. Fatte poche eccezioni i mammiferi placentati non arrivarono in Australia prima che vi fossero portati dall'Homo sapiens. Sugli altri continenti, eccettuata l'America del Sud, la totalità dei mammiferi è costituita da placentati. Fino a pochi milioni di anni fa, prima della formazione dell'istmo di Panama, anche l'America del Sud era un continente insulare, e tutti i suoi carnivori erano marsupiali; l'unico marsupiale degli Stati Uniti, l'opossum "Virginia", è immigrato dall'America del Sud dopo la formazione dell'istmo. Vi sono casi di animali australiani e animali di altre parti del mondo che, pur essendo molto diversi fra loro, ricoprono ruoli ecologici simili. I grandi erbivori sono diversi come possono esserlo una mucca e un canguro ed alcuni marsupiali, quali il koala, non hanno analogie fra i placentati degli altri continenti, ma in altri casi la convergenza nelle forme fra marsupiali e placentati evolutisi indipendentemente è straordinaria (fig. 25.6). Il "lupo" di Tasmania, un marsupiale carnivoro, può essere facilmente confuso con i suoi omonimi americani ed euroasiatici. La "talpa" marsupiale è una copia di quella placentata in tutti i dettagli, dal fatto di essere cieca al possedere unghioni ricurvi per scavare. L'evoluzione ha creato un'enorme diversità, ma nel fare ciò si è mantenuta nell'ambito dei canali imposti dalla necessità di ottenere un buon piano costruttivo in un numero limitato di ambienti.

L'evoluzione è progressiva?

500 Nella teoria darwinista non è implicita l'idea di progresso intrinseco, in quanto afferma solamente che gli organismi si evolvono per adattarsi in modo migliore al loro ambiente. Quando gli ambienti cambiano anche gli organismi possono cambiare; il risultato non riflette alcun perfezionamento costruttivo generale, bensì solamente un miglioramento locale relativo a quel particolare ambiente. Il mammuth, possedendo una pelliccia, non era un elefante migliore in assoluto, ma solamente più adatto ai climi glaciali in cui si era evoluto. In modo simile, quando si svilupparono predatori capaci di rompere il guscio (soprattutto granchi) molte chiocciole svilupparono adattamenti per aumentare la resistenza dei propri gusci (un maggiore spessore e escrescenze spinose); malgrado ciò non possiamo affermare che queste chiocciole moderne siano migliori di quelle con guscio sottile di 300 milioni di anni fa; esse vivono solamente in un ambiente diverso e vi si sono adattate. Le chiocciole con sottile vivevano nel loro ambiente privo di predatori così come quelle più protette vivono nell'ambiente odierno, più insidioso.

Malgrado questo, si può dire che c'è stato un generale aumento di complessità e organizzazione nel tempo? Evidentemente il mondo dei batteri e delle alghe azzurre di 3 miliardi di anni fa, senza vita sulla terra e nell'aria e senza organismi pluricellulari, era più semplice ed uniforme di quello odierno. C'è la sensazione che in questo aumento di organizzazione vi sia qualcosa di più dell'adattamento ad ambienti locali. Inoltre, il ripresentarsi di alcune tendenze in un ampio spettro di ambienti ci porta a pensare che esse debbano condurre ad un organismo "migliore", almeno nel senso di un organismo generalmente adattato ad un ampio campionario di circostanze anziché estremamente specializzato per un ambiente particolare. Ad esempio nella storia dei mammiferi c'è stato un aumento delle dimensioni relative del cervello in quasi tutte le linee, dai roditori, ai primati, ai carnivori, ai cavalli e agli elefanti (in altre linee questo aumento non c'è stato ma in nessuna c'è stata una diminuzione). Questi mammiferi coprono un ampio intervallo di ambienti ed hanno dimensioni molto variabili; dobbiamo quindi concludere che il possedere un cervello più grande rappresenta, per i mammiferi, un vantaggio generalizzato.

Darwin affrontò questo problema, mettendo in risalto il fatto che l'associare all'evoluzione il significato di "progresso" è soprattutto un pregiudizio che nasce dalla nostra tendenza a scegliere quei casi che concordano con le nostre aspettative. Nel caso dell'evoluzione dei vertebrati possiamo parlare di un miglioramento, nell'efficienza della locomozione, nella regolazione della temperatura, e nell'intelligenza. Ma, come osservò Darwin, per ogni aumento di complessità nei vertebrati si può probabilmente trovare una regressione dell'organizzazione in altre linee di organismi - ad esempio la degenerazione morfologica dei parassiti. Come si può dire che una balena che nuota maestosamente negli oceani è un animale migliore del verme parassita alloggiato al suo interno? La bontà dell'adattamento al proprio ambiente è uguale per entrambe. In un famoso aforisma Darwin scrisse: "Non dire mai "superiore" o "inferiore"”. La selezione naturale può portare ad un miglioramento generalizzato solo come risultato collaterale nel processo di adattamento degli organismi agli ambienti locali.

La storia episodica della diversificazione organica

501 In figura 27.18 è mostrata la storia geologica della diversificazione fra gli invertebrati marini di acque basse: in questo caso la diversità è definita come numero di famiglie viventi in un dato istante. La famiglia rappresenta un livello intermedio della gerarchia di classificazione; esempi di famiglie sono i Canidae (lupi e cani) e i Felidae (leoni, tigri, gatti domestici ed altri felini). Nella figura vengono utilizzati gli invertebrati marini di acque basse in quanto costituiscono la maggioranza dei reperti fossili.



La figura 27.18 mostra due caratteristiche molto particolari della diversificazione; la prima fa parte delle conoscenze correnti: la diversificazione aumenta nel tempo. La vita è iniziata da uno o pochi tipi di organismi semplici; oggi sono state descritte più di un milione di specie animali e 250 000 vegetali e probabilmente ne rimangono altrettante da scoprire. La seconda caratteristica sorprese molti di coloro che la scoprirono: la storia della diversificazione non procede gradatamente e regolarmente verso un aumento dei tipi di organismi bensì è costellata da episodi di proliferazione ed estinzione in massa, spesso intercalati da periodi di stasi. Gli episodi di spicco sono: l'esplosione cambriana di 600 milioni di anni fa, con cui si originarono tutti i principali gruppi di invertebrati in un intervallo di pochi milioni di anni; l'estinzione permiana, di 225 milioni di anni fa, durante la quale morì la metà delle famiglie di invertebrati marini in un periodo molto breve; l'estinzione cretacea, di 65 milioni di anni fa, in cui scomparì un quarto delle famiglie di invertebrati marini insieme a molti altri tipi di organismi fra cui i dinosauri.

L'aumento di diversificazione nel tempo

502 Prendiamo in considerazione quella parte della figura 27.18 che mostra l'aumento sistematico di diversificazione registratosi dalla fine dell'estinzione permiana ad oggi. Questo aumento può essere attribuito a tre ragioni di cui, però, non sappiamo valutare l'importanza relativa; probabilmente sono vere in parte tutte e tre. Una spiegazione è che questo aumento di diversificazione è un artefatto dovuto alle carenze dei reperti fossili; più ci si avvicina al presente più sono i sedimenti conservati e più piccola è la probabilità che il calore, la pressione e gli agenti chimici abbiano distrutto i fossili che all'inizio vi erano rimasti inclusi. Quindi il graduale aumento della diversificazione rifletterebbe il miglioramento dei ritrovamenti e non l'aumento del numero di organismi. La seconda spiegazione è che l'aumento è reale e riflette il cambiamento nella geografia dei continenti. Al tempo dell'estinzione permiana tutti i continenti erano riuniti in un singolo supercontinente detto Pangea (fig. 27.19), il quale iniziò a frazionarsi nel periodo Triassico e da allora i continenti hanno continuato a separarsi.



Questa deriva dei continenti ha tre effetti che tendono ad aumentare la diversità della vita: innanzitutto molti continenti piccoli hanno una maggior superficie di mari con acque basse rispetto ad un unico continente più grande (fig. 27.20), e una superficie maggiore può accogliere più specie (si rammenti che fra i reperti predominano le specie di acque basse). In secondo luogo la separazione dei continenti creò, fra i mari ad acque basse, barriere rappresentate dagli oceani profondi; ciascuna area poté così sviluppare i propri organismi. Organismi che altrimenti sarebbero entrati in competizione escludendosi vicendevolmente rimasero così separati. Infine su un pianeta con un solo continente il clima era più severo, più legato alle stagioni e più imprevedibile: un clima meno drastico può sostenere un maggior numero di organismi.



La terza spiegazione è che l'aumento di diversificazione riflette un qualche tipo di "miglioramento" nel senso di maggior adattamento alla vita. Quando gli organismi si adattano ad ambienti precedentemente spopolati, il numero totale di specie può subire un drastico aumento. Ad esempio, prima dell'estinzione permiana nessun vertebrato aveva sviluppato la capacità di volare; successivamente si originarono tre gruppi di vertebrati volanti: gli pterosauri o rettili volanti (estinti alla fine del periodo Cretaceo), gli uccelli e i pipistrelli. Questi ultimi due gruppi riuniscono 10 000 specie viventi.

Gli episodi fondamentali della storia della vita

503 Come già detto, durante la storia della vita le velocità di formazione ed estinzione delle specie sono tutt'altro che uniformi; questi fenomeni si concentrano in episodi di estinzione in massa e di esplosione numerica. Per più di 150 anni la ricerca delle cause di ciò ha attratto l'attenzione dei paleontologi; sono state chiamate in causa le ragioni più diverse, dalle radiazioni cosmiche delle supernove, alle ere glaciali ad epidemie catastrofiche fino ad eventi meno drammatici quali la fluttuazione della salinità e del livello dei mari e la variazione di temperatura. La nostra discussione tratterà i due episodi più importanti: una proliferazione (l'esplosione cambriana) e una estinzione in massa (quella permiana). La nostra speranza è di offrire, oltre ad ipotesi affascinanti, un'idea del tipo di argomenti utilizzati dai paleontologi e del carattere delle prove fossili.

L'esplosione cambriana
      Le rocce più antiche della terra, che si trovano in Groenlandia, hanno 3,8 miliardi di anni. Non ci aspettiamo di trovare niente di più antico in quanto solo poco prima la terra era ancora fusa. Il calore e la pressione hanno modificato queste rocce in modo tale che gli eventuali fossili non si sarebbero potuti conservare. Le più antiche rocce non modificate sono di 3,4 miliardi di anni fa; esse provengono dall'Africa del Sud e contengono alcuni batteri fossili.

Quindi la vita procariotica si originò molto presto durante la storia della terra, quasi immediatamente dopo che le condizioni divennero adatte al suo sviluppo e da allora la vita non si è diversificata ad un ritmo costante. In breve tempo raggiunse il suo primo e più lungo plateau: per almeno 2 miliardi di anni la vita fu rappresentata solamente da cellule procariotiche. Le prime testimonianze di animali pluricellulari semplici risalgono alla fine del periodo Precambriano (fig. 27.21).



Il campione più ampio di fauna precambriana, proveniente da Ediacara in Australia, contiene cnidari (meduse e coralli molli), vermi semplici più alcuni oggetti non identificati che non assomigliano ad alcun essere vivente odierno. Sebbene le cellule eucariotiche e le piante pluricellulari si debbano essere evolute prima della fauna di Ediacara, non ci sono tracce fossili chiare di questi eventi. La diversificazione era limitata e tutti gli del Precambriano avevano corpo molle. Poi, in un intervallo di 10 milioni di anni all'inizio del periodo Cambriano, comparvero tutti i principali gruppi di invertebrati con scheletro, dando luogo alla più grande esplosione di diversificazione registratasi sul nostro pianeta. Da allora gli invertebrati marini si sono evoluti riprendendo temi precedenti e portandovi varie aggiunte.

Le spiegazioni dell'esplosione cambriana hanno fatto leva sugli stessi argomenti utilizzati per spiegare l'aumento di diversificazione più recente quale artefatto o quale fenomeno evolutivo effettivamente verificatosi.

Alcuni paleontologi, rifacendosi alle lacune nei reperti fossili, hanno sostenuto che le modificazioni subite dalle rocce precambriane a causa del calore e della pressione hanno distrutto i fossili che vi erano inclusi e che, fino all'inizio del periodo Cambriano, nelle zone con acque basse non si formarono depositi rocciosi, ma nessuna di queste ipotesi è stata confermata. Sono state scoperte molte rocce precambriane non modificate, le quali non contengono fossili di organismi complessi; inoltre la datazione radioattiva ha dimostrato che, prima del Cambriano, non vi furono pause nella deposizione dei sedimenti. Oggi si conoscono molte rocce del tardo Precambriano. Quindi, la teoria secondo cui l'esplosione cambriana sarebbe un artefatto non ha avuto seguito e oggi pressoché tutti i paleontologi ammettono che la rapida diversificazione sia stata un fenomeno realmente verificatosi.

Questo secondo punto di vista viene sostenuto con due tipi di argomentazioni. Secondo una delle due scuole sarebbe il risultato dell'evoluzione simultanea di strutture resistenti nei diversi gruppi. E possibile che nel Precambriano vi fossero molti animali, ma in ogni caso questi erano privi di scheletro e quindi non si conservarono. Forse la composizione chimica dell'oceano non era favorevole alla formazione di parti rigide oppure la mancanza di predatori non ne aveva favorito l'evoluzione, ma anche queste argomentazioni non hanno avuto molto seguito. Sono state scoperte le tracce di animali precambriani con corpo molle, ma le caratteristiche della loro distribuzione fanno dubitare che essi abbiano avuto dei predecessori molto antichi e una grande diversificazione. Innanzitutto, sebbene questi animali siano stati ritrovati in tutto il mondo (Africa, Australia, Europa, America del Nord), essi sono presenti soltanto nelle rocce dell'ultimissima fase del Precambriano e le rocce precedenti che potenzialmente li potrebbero contenere ne sono prive. In secondo luogo la fauna precambriana è formata, in tutti i luoghi, da poche specie. In conclusione la fauna precambriana sembrerebbe essere un breve inizio anziché un residuo di una vasta fauna di animali a corpo molle.

La seconda scuola ha ottenuto i favori della maggioranza dei paleontologi e sostiene che l'esplosione cambriana segna effettivamente il momento in cui vi fu l'evoluzione degli schemi fondamentali di tutti gli animali. Nell'ambito di questa scuola si riconoscono due posizioni: secondo l'"atteggiamento fisicalista" l'esplosione cambriana segna la rimozione di alcune barriere fisiche che avevano impedito l'origine della vita complessa e l'ossigeno è il fattore chiamato in causa più comunemente. I geologi ritengono che l'atmosfera terrestre iniziale contenesse pochissimo ossigeno libero, o non ne contenesse affatto, e che i livelli attuali del 20% siano da attribuire all'attività fotosintetica delle piante e degli organismi unicellulari. Il verificarsi dell'esplosione cambriana richiedeva la presenza di un'atmosfera ricca “n ossigeno, non solo per la respirazione degli animali, ma anche perché questo gas, sotto forma di ozono, costituiva uno schermo contro le pericolose radiazioni ultraviolette. E possibile che l'ossigeno abbia raggiunto un livello adeguato a sostenere una vita animale complessa verso la fine del Precambriano, ma sfortunatamente questa ipotesi affascinante urta con le prove disponibili. I batteri iniziarono a fotosintetizzare fin dalla loro origine, 3,4 miliardi di anni fa, ed è difficile immaginare che il raggiungimento dei livelli di ossigeno adeguati abbia richiesto 3 miliardi di anni. Nei fossili la comparsa e l'aumento della frequenza dei sedimenti ossidati risalgono a 2 miliardi di anni fa, molto tempo prima dell'esplosione cambriana.

Secondo l'"atteggiamento biologico" la causa scatenante dell'esplosione cambriana fu un evento evolutivo. Forse l'ostacolo alla diversificazione non era rappresentato da un fattore sfavorevole di origine ambientale bensì da limitazioni biologiche degli organismi ancestrali che rendevano impossibile la diversificazione della vita. Una spiegazione molto diffusa attribuisce l'esplosione cambriana all'evoluzione della riproduzione sessuata.

In che modo l'evoluzione della sessualità avrebbe potuto innescare l'esplosione cambriana? In fondo l'esistenza della fauna di Ediacara dimostra che la sessualità si era sviluppata già nel tardo Preambriano (fig. 27.21). Perché il forte aumento della diversificazione si è verificato vari milioni di anni dopo l'evoluzione della sessualità? Per dare una spiegazione è utile un'analogia con gli esperimenti di crescita batterica. Mettendo poche cellule in una piastra con un terreno nutritizio il loro numero aumenta secondo una curva caratteristica a forma di S, o sigmoide (fig. 27.22a). Ogni cellula si può dividere approssimativamente ogni 20 minuti, ma all'inizio l'aumento del numero totale è lento perché si parte da poche cellule e per raggiungere un livello consistente è necessario un certo tempo; periodo iniziale è detto fase di latenza.



All'aumentare del numero la popolazione entra in un periodo di incremento rapidissimo, la fase logaritmica; questa fase non può continuare indefinitamente altrimenti i batteri invaderebbero la terra. Alla fine il nutrimento si esaurisce; se non viene fornito altro nutrimento la popolazione subisce un collasso altrimenti si stabilizza al livello consentito dall'apporto di nutrimento.

La crescita sigmoide è una proprietà generale dei sistemi aventi le seguenti caratteristiche: una piccola popolazione iniziale e un ambiente relativamente “vuoto" all'inizio, con risorse abbondanti ma non illimitate. Il mondo del Precambriano doveva essere di questo tipo: il serbatoio ecologico era pressoché vuoto, essendosi evolute solamente poche forme asessuate. Le prime creature sessuate si cornportarono come i batteri inoculati in una piastra vergine, essendo le prime creature dotate di una variabilità sufficiente per evolversi verso forme più complesse. Secondo questa analogia la velocità di speciazione di queste prime creature sessuate corrisponderebbe alla velocità di scissione dei batteri. Il lento aumento del Precambriano che produsse la fauna di Ediacara corrisponderebbe alla fase di latenza della diversificazione della vita; l'esplosione cambriana rappresenterebbe invece la fase logaritmica (fig. 27.22b).

In questa ipotesi è implicito che l'esplosione cambriana sarebbe una conseguenza prevedibile di un evento - forse l'origine della riproduzione sessuata - che molti milioni di anni prima diede il via alla fase di latenza della crescita sigmoide. Quindi l'esplosione in sé non richiederebbe una particolare spiegazione e verosimilmente negli ambienti del Cambriano non c'era nulla di atipico. Con il riempimento del serbatoio ecologico la speciazione rallentò il suo ritmo e la vita (almeno quella delle acque basse) raggiunse un plateau di diversificazione.

Sorge il dubbio che molti lettori possano rimanere delusi da questo paragrafo in quanto il fenomeno è certamente affascinante ma le spiegazioni sembrano congetture inconsistenti non consolidate da prove. Vorremmo sottolineare che noi stessi siamo delusi, ma forse questa delusione nasce proprio dalla natura del mondo. La scienza non procede sempre per esperimenti ripetibili. Le scienze storiche hanno l'arduo compito di spiegare eventi complessi, unici ed irripetibili; nessun esperimento può ricostruire il mondo precambriano. Le spiegazioni storiche sono già abbastanza difficili quando si dispone di testimonianze oculari (ad esempio gli storici ancora discutono sui motivi della caduta dell'impero romano) per non parlare dei problemi nascono quando si tratta con creature vecchie di centinaia di milioni di anni e scoperte in reperti geologici in cui sono più abbondanti le lacune delle evidenze. Eppure alcune distinzioni possono essere fatte ed alcune ipotesi possono essere falsificate. Le ipotesi che hanno attribuito l'esplosione cambriana ad un artefatto o all'imperfezione dei ritrovamenti sono state demolite così come quella che attribuiva questo fenomeno al livello di ossigeno, invalidata dalle prove sullo stato di ossidazione dei sedimenti del tardo Precambriano dopo essere stata la teoria più popolare negli anni '60. Non potremo mai dare la "prova" della "correttezza" di una spiegazione, ma possiamo individuare una serie di vincoli che ci aiutino a comprendere questo fenomeno che è uno dei più importanti della storia della vita.

L'estinzione permiana e la tettonica a zolle
     Circa 225 milioni di anni fa una metà delle famiglie di invertebrati marini di acque basse si estinse nell'arco di pochi milioni di anni. Nella scala dei grandi eventi della storia della vita questa "grande morìa" è seconda solamente all'esplosione cambriana. Essa produsse un ricambio quasi completo della fauna del pianeta: le trilobiti, che già erano in declino da qualche tempo, scomparvero completamente, apparvero nuovi gruppi di coralli e di crinoidi e scomparvero quelli vecchi, sopravvisse una sola linea di ammoniti e molti dei grandi gruppi del Paleozoico (soprattutto i briozoi 'e i brachiopodi) furono decimati; altri gruppi, fino ad allora non molto abbondanti, proliferarono diventando dominanti (ad esempio i bivalvi).

Le diverse spiegazioni proposte per l'estinzione permiana possono suddividersi in due categorie. Quelle "esternaliste" la attribuiscono ad un evento extraterrestre catastrofico; fra quelli nominati più frequentemente vi sono gli impatti con comete o asteroidi, l'esplosione di supernove con le radiazioni cosmiche che ne conseguono, una forte variazione della luminosità del sole.

Le spiegazioni "internaliste" fanno appello ad una causa terrestre quale un cambiamento delle condizioni geologiche o un evento biologico scatenante. Fra le spiegazioni geologiche recentemente ha ricevuto credito quella di un forte abbassamento del livello del mare con una forte riduzione della salinità (in realtà la scarsezza dei sedimenti permiani indica una ritirata dei mari e l'abbondanza dei depositi salmi di questo periodo starebbe ad indicare che una buona parte del sale fu estratto dal mare). Fra le spiegazioni biologiche vengono menzionate epidemie su scala planetaria e la disgregazione delle catene alimentari innescata dall'estinzione.

A metà degli anni '60 la geologia è stata rivoluzionata dalla teoria della tettonica a zolle, la quale sostiene che la superficie terrestre è suddivisa in un piccolo numero di placche relativamente rigide. Queste zolle si muovono a causa della fuoriuscita di materiale a livello delle dorsali oceaniche e le loro parti più vecchie sprofondano sotto la superficie a livello delle zone di subduzione (fig. 27.24).



I continenti poggiano sulle zolle e si muovono con esse. La teoria della deriva dei continenti, che prima era denigrata, è divenuta una conseguenza della tettonica a zolle. Il tardo Permiano è un momento unico nella storia dei continenti in quanto rappresenta un breve periodo durante il quale tutti i continenti furono riuniti in un unico supercontinente: Pangea (fig. 27.19). Quindi la più grande estinzione e l'evento più insolito nella storia dei continenti furono fenomeni contemporanei. E possibile che sia stata una coincidenza, ma non possiamo biasimare i geologi se hanno sospettato che possa esservi stata una relazione causale. In effetti la riunione dei continenti potrebbe aver avuto conseguenze che influirono sull'estinzione.

1. Probabilmente il clima della terra divenne meno mite. Le grandi masse terrestri provocarono un tempo più instabile con maggiori variazioni stagionali.

2. Le faune di diverse regioni furono riunite; esse entrarono in competizione eliminandosi reci.

3. Le zone con bassi fondali si ridussero molto a causa della fusione dei continenti, consentendo la sopravvivenza di un numero minore di specie.

4. I continenti sono formati di materiale più leggero di quello dei fondali oceanici; essi galleggiano sulle rocce oceaniche, più dense. Quando due continenti vengono a contatto le zolle su cui poggiano si incastrano in quanto i continenti sono troppo leggeri per essere spinti verso l'interno della terra per subduzione. L'arresto della subduzione induce un arresto della fuoriuscita di nuovo materiale a livello delle dorsali oceaniche. Queste dorsali costituiscono un sistema di rilievi sul fondale oceanico, mantenuto dalla continua fuoriuscita di materiale. Quando questa fuoriuscita si arresta a causa della collisione fra continenti, le dorsali oceaniche si livellano e i mari si ritirano dalle zone con fondali più bassi in quanto il bacino oceanico risulta complessivamente più profondo. Dal momento che i continenti sono circondati da piattaforme ricoperte da acque poco profonde (fig. 27.25), la ritirata dei mari fino alla piattaforma continentale riduce drasticamente lo spazio disponibile per le specie dei bassi fondali.



Non vogliamo sostenere che l'estinzione permiana sia interamente spiegabile in base alla formazione di Pangea, ma la formazione di questo supercontinente sembra fornire il fondamento o almeno un elemento della spiegazione. La decimazione della vita del Permiano e la creazione di nuovo spazio per l'evoluzione di molti gruppi moderni deve essere attribuita ad un insieme di cause, forse diverse da quelle che abbiamo citato qui.

Il calendario geologico

504 Molti studenti sono stati obbligati ad imparare a memoria il calendario geologico (fig. 27.26); ciò ha sollevato molte lamentele circa gli strani nomi attribuiti dai geologi alle divisioni "arbitrarie" di un intervallo temporale che ha una propria continuità. Tuttavia, queste suddivisioni non sono affatto artificiose ed arbitrarie. Il tempo scorre sempre con la stessa velocità, ma la storia della terra è fatta di episodi che spesso si addensano in determinati periodi.



Le suddivisioni del calendario riflettono questo fatto poiché i punti di passaggio da una fase all'altra corrispondono a grandi estinzioni o proliferazioni e i confini fra le ere segnano gli eventi più importanti nella storia della vita complessa. Il passaggio dal Precambriano al Paleozoico segna l'inizio dell'esplosione cambriana, il passaggio dal Paleozoico al Mesozoico l'estinzione permiana e quello fra il Mesozoico e il Cenozoico la seconda grande estinzione (questa estinzione del tardo Cretaceo provocò la morte dei dinosauri, dei rettili volanti, dei rettili marini giganti, delle ammoniti, di molti gruppi di bivalvi e di un quarto delle famiglie di invertebrati marini di acque basse). I confini fra periodi corrispondono ad estinzioni di portata minore, ma non per questo meno importanti (la maggioranza delle trilobiti morì alla fine del Cambriano; l'estinzione del tardo Devoniano fu così generalizzata che un famoso paleontologo ha avanzato l'ipotesi che sia stata causata dall'influsso di un gigantesco meteorite). Quindi imparare il calendario geologico equivale ad imparare la sequenza dei grandi eventi della storia della vita.

 

Epilogo

505 «Natura non facit saltum». Questo aforisma, attribuito usualmente a Linneo, afferma che la natura non procede mediante balzi improvvisi. L'idea che, in natura, il cambiamento tenda ad essere lento, costante e graduale, passando attraverso tutte le tappe intermedie, è un pregiudizio diffuso in molti scienziati. Non è affatto accertato che sia così. Molti cambiamenti biologici sono lenti e graduali ma se la si considera una legge generale questa affermazione è certamente sbagliata. Molti aspetti della storia della vita sembrano essere caratterizzati da cambiamenti improvvisi. Abbiamo visto che l'evoluzione non è la storia di un cambiamento lento e costante che ha portato ad un sempre maggior numero e ad una sempre maggior complessità dei tipi organici. Viceversa la storia della vita è formata da lunghe fasi di stasi costellate da grandi estinzioni e proliferazioni; questi eventi sono stati assunti quali punti di demarcazione fra le diverse fasi del calendario geologico. Le grandi innovazioni strutturali dell'evoluzione - ad esempio l'origine delle mascelle possono essere rapide perché piccoli cambiamenti genetici possono avere grandi effetti alterando la velocità delle fasi precoci dello sviluppo. Le trasformazioni rapide fanno parte di questo mondo così come le transizioni impercettibili.

Sommario

506 1. Si può spiegare la macroevoluzione (cioè i grandi eventi della storia della vita) come una semplice estrapolazione dei cambiamenti delle frequenze geniche all'interno delle popolazioni (microevoluzione)? A questa domanda centrale della teoria evoluzionista i darwinisti tradizionali rispondono «sì». Abbiamo presentato alcuni elementi che fanno dubitare che questa estrapolazione sia sempre valida (in alcuni casi lo è certamente). Quando la macroevoluzione non è spiegabile in base a cambiamenti graduali nelle popolazioni, provocati dalla selezione naturale, le spiegazioni alternative si fondano sempre sui concetti fondamentali di mutazione, selezione, speciazione e così via. In questo senso è possibile immaginare una teoria dell'evoluzione unificata.

2. Come possono originarsi nuovi piani costruttivi in quei casi in cui gli stadi intermedi sembrano non-funzionali? La risposta del darwinismo classico, valida in molti casi, si basa sul principio del preadattamento. La caratteristica ancestrale svolgeva una funzione differente ma era molto adatta a trasformarsi per acquisire nuove forme e nuove funzioni (le odierne ossa della bocca nei pesci ancestrali servivano da sostegno per la prima arcata branchiale). Anche gli stadi intermedi svolgono funzioni diverse e non acquistano quelle definitive fino a quando non hanno superato evolutivamente questa fase (probabilmente le penne inizialmente servivano per isolare termicamente e non per volare).

3. Le nuove caratteristiche possono originarsi in modo rapido come risultato di piccoli cambiamenti genetici che agiscono alterando la velocità degli stadi precoci dello sviluppo embrionale e che quindi hanno grandi effetti sulla forma adulta.

4. La pedomorfosi potrebbe essere un meccanismo importante in queste transizioni rapide. La pedomorfosi comporta il rallentamento dello sviluppo e un'accelerazione della maturazione sessuale; il risultato è che le forme adulte dei discendenti conservano alcune delle caratteristiche giovanili dei progenitori. In molti generi di salamandre la maturità sessuale viene raggiunta allo stadio di girino, e anche nell'uomo si assiste ad uno sviluppo molto rallentato che porta a forti somiglianze con gli stadi fetali e giovanili delle scimmie.

5. Le transizioni evolutive complesse non vengono realizzate con una sola tappa mutazionale. Le grandi innovazioni possono originarsi rapidamente ma poi è necessario un «rimodellamento» dell'animale operato dalla selezione naturale mediante la modificazione di molte parti.

6. Le tendenze evolutive non sono quasi mai il risultato della trasformazione lenta e costante di intere popolazioni parentali. Le nuove specie si separano dai loro antenati con un processo impercettibilmente lento dal punto di vista umano, ma istantaneo dal punto di vista geologico. Dopo essersi originata, una specie cambia molto poco a giudicare dai reperti fossili che coprono intervalli temporali di milioni di anni. Quindi le diverse tendenze evolutive sono l'effetto della sopravvivenza differenziale di alcune specie a partire da un ceppo molto ramificato prodotto dal ripetersi, in rapida successione, di molti eventi di speciazione.

7. Queste tendenze sono irreversibili nel senso che, in quelle sequenze in cui si siano verificate grandi modificazioni strutturali, i discendenti non tornano mai esattamente alla forma ancestrale. Inoltre, non c'è effetto di inerzia cioè, dopo essere partite in una certa direzione, queste tendenze sono capaci di esaurirsi ed invertire il proprio cammino. Alcune linee evolutive separate possono sviluppare forme straordinariamente simili in risposta a necessità adattative stringenti imposte da certi habitat (i pesci, gli ittiosauri e i delfini hanno tutti una forma idrodinamica). Queste specie «convergenti» non sono mai esattamente uguali (principio dell'irreversibilità). I programmi degli organismi sono troppo complessi, e la storia delle diverse linee troppo lunga e singolare perché possa essere ottenuta questa identità.

8. La storia della diversificazione nei reperti fossili non è fatta di un aumento costante del numero dei gruppi, ma di rapide estinzioni in massa e di proliferazioni, intervallate da lunghi intervalli stazionari.

9. L'esplosione cambriana di circa 600 milioni di anni fa segna la comparsa, nei fossili, della maggior parte degli schemi organizzativi degli animali pluricellulari. Essa non è un artefatto dovuto alla lacunosità dei reperti ma un evento realmente verificatosi.

10. L'estinzione permiana di circa 225 milioni di anni fa è un breve periodo in cui si verificò l'estinzione della metà delle famiglie di organismi marini. Essa coincide con il momento in cui tutti i continenti si riunirono a formare il supercontinente Pangea. E verosimile che questa coincidenza non sia accidentale.

11. Il calendario geologico non rappresenta una suddivisione arbitraria di una storia continua. I punti di demarcazione coincidono con i grandi periodi di proliferazione ed estinzione nella storia della vita.