La fabbrica dei Santi


1.

Gioca coi fanti e lascia stare i santi implica proverbialmente il monito di rispettare tutto ciò che ha a che vedere con il sacro. Monito ancora oggi minaccioso nei paesi islamici, in Occidente esso ha assunto un carattere retorico in nome del rispetto che si deve alla Chiesa, ritenuta depositaria di valori fondamentali per la civiltà, e alla sensibilità dei credenti. E' evidente che tale monito non può essere accolto da chi ritiene la religione un prodotto culturale straordinariamente indiziario di alcuni aspetti della psicologia individuale e collettiva o, meglio ancora, un'ideologia che rivela, più di ogni altra, i processi di mistificazione conscia e inconscia in virtù dei quali la realtà storica viene trasfigurata simbolicamente.

L'occasione da cui trae spunto questo articolo è solo apparentemente banale e del tutto interna alla Chiesa Cattolica: la canonizzazione di Josemaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell'Opus Dei.

Sarebbe facile ironizzare sul significato politico di questa canonizzazione, avvenuta appena a ventisette anni di distanza dalla scomparsa di Escrivà, figura controversa di sacerdote "aristocratico" fieramente avverso al comunismo, alleato del franchismo, oppositore strenuo dello spirito di apertura al mondo del Concilio Vaticano II e critico implacabile della teologia della liberazione. Tale significato riposa sul sostegno offerto dall'Opus Dei al papa polacco nella sua lotta contro il comunismo e nella sua intransigente difesa dell'ortodossia contro lo spirito conciliare, che ha ricompattato la Chiesa e il mondo dei fedeli.

Sarebbe facile riconoscere nella canonizzazione di Escrivà il riproporsi di un modello di santità remoto, quello dell'Adelheilige che, prima della riforma gregoriana, opponeva all'agiografia popolare, sempre attratta da figure evangeliche, ritirate dal mondo e praticanti la povertà, un'élite colta che non vedeva alcuna contraddizione tra la vita temporale e quella religiosa. Certo, oggi questo modello, che mille anni fa alleò alla Chiesa l'aristocrazia, non è più univoco. Pochi mesi orsono è stato canonizzato Padre Pio da Pietralcina, il monaco anacoreta che ha risvegliato, nell'immaginazione popolare il mito di S. Francesco. E' importante però il fatto che quel modello sia stato riabilitato. Esso infatti oggi serve a sottolineare che la militanza cristiana non impone più una critica del potere e della gerarchia sociale. La cruna dell'ago non ha più rapporto con lo status, bensì con la disposizione dell'anima. Il parterre medio-alto borghese dei partecipanti alla cerimonia ufficiale della canonizzazione di Escrivà ha ufficializzato la riconciliazione della Chiesa con una componente sociale alla quale ormai si riconosce il diritto di appartenere alla categoria dei poveri di spirito.

Sarebbe, infine, agevole ironizzare sulla spettacolarizzazione mediatica dell'evento, che è stato trasmesso in diretta dalla televisione pubblica, e ha visto la partecipazione massiccia dell'establishment politico, imprenditoriale e intellettuale, compreso un numero non insignificante di personaggi dichiaratamente non credenti. L'Opus Dei non è più ritenuta, come in passato, l'equivalente cattolico della Massoneria. Essa però conserva un potere temporale rilevante, con il quale occorre fare i conti. Il presidente dei DS, Massimo D'Alema, che ha presenziato la cerimonia ha dichiarato:"Questa canonizzazione è un grandissimo evento che non può passare inosservato. Ho accettato l'invito per questo motivo e non solo. Sono qui, infatti, anche per il rispetto che si deve alla Chiesa cattolica, alle sue istituzioni, alla sua storia, ai suoi testimoni, ai suoi simboli… La Chiesa cattolica è, indubbiamente, il grande fatto del nostro tempo con cui ci si deve misurare". Lo stato confusionale del pensiero laico non potrebbe essere espresso più chiaramente.

Tutti questi aspetti, non insignificanti sotto il profilo culturale e ideologico, sono però secondari rispetto ad altri più importanti e sottili. La critica della religione, per essere efficace, deve trascendere il piano polemico.

 

2.

Josemaria Escrivà è il 468° santo canonizzato sino ad oggi da Giovanni Paolo II. Anche tenendo conto della lunghezza del pontificato, che dura ormai da quasi un quarto di secolo, si tratta di un fatto del tutto eccezionale.

Fino all'avvento di papa Wojtiva, il numero dei santi riconosciuti dalla Chiesa era di circa 2700. Gran parte di essi risalivano ai primi secoli gloriosi del Cristianesimo e al Medioevo. Dal 1588, anno in cui fu istituita la Congregazione delle cause dei Santi, deputata a vagliare con criteri più obbiettivi le proposte di canonizzazione, i santi proclamati dalla Chiesa sono stati appena 269: in breve, poco meno di 70 ogni secolo. I 468 canonizzati da papa Wojtiva rappresentano una rottura piuttosto netta con la tradizione.

L'esplosione delle canonizzazioni ha coinciso, peraltro, con l'accelerazione delle procedure, che in passato comportavano di solito un lasso di tempo piuttosto lungo tra la scomparsa di un fedele in odore di santità e la sua canonizzazione. Fenomeno singolare anche questo se si tiene conto che le procedure non sono cambiate, anzi dal 1983 sono state assoggettate a norme ancora più rigorose. Ciononostante, i tempi di svolgimento delle cause si sono progressivamente abbreviati. Padre Pio da Pietralcina è stato canonizzato dopo 34 anni dalla scomparsa; Escrivà de Balaguer dopo ventisette; Madre Teresa di Calcutta è stata beatificata appena due anni dopo la morte, violando la regola tradizionale che imponeva un quinquennio. Ed è probabile che essa sarà dichiarata santa a breve termine, battendo ogni record.

Che significa questo mutamento radicale, contrastante con il ben noto conservatorismo dell'istituzione ecclesiale? I numeri lascerebbero pensare ad una rinascita della Chiesa e ad un suo rigoglioso sviluppo, ed è probabile che l'aumento esponenziale delle canonizzazioni corrisponda all'intento di alimentare nei fedeli una convinzione del genere.

La consultazione dell'elenco dei nuovi santi fornisce, però, qualche indizio significativo che porta a tutt'altra conclusione.

Quattrocento nuovi santi sono stati canonizzati in quanto martiri. Scorrendone i nomi e le biografie ci si rende conto che in massima parte non si tratta di personalità di spicco, come Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio o Josemaria Escrivà, bensì di gente comune che, sotto il regime comunista o in altri contesti socioculturali avversi al Cattolicesimo, hanno testimoniato con la vita il loro attaccamento alla fede. In un certo senso si tratta di un ritorno alle origini. Di fatto, la Chiesa, nel corso del XX° secolo, si è trovata ad affrontare, come nei primi secoli dopo Cristo, un potere politico persecutorio, quello comunista. Non c'è da sorprendersi se la fine del comunismo, a cui papa Wojtiva ha contribuito efficacemente, abbia dato luogo alla santificazione dei martiri.

La canonizzazione dei martiri serve a rilanciare la Chiesa come istituzione che, in nome dei principi evangelici, non si assoggetta allo stato di cose esistente nel mondo, non accetta altra autorità che non sia Gesù Cristo, e chiama i fedeli alla lotta eroica contro il Male. Ma qual è il Male dopo la morte del comunismo? Se ne danno almeno due che denotano uno stato di crisi: sul fronte esterno del rapporto con il mondo non cattolico, la spinta missionaria della Chiesa urta contro l'impenetrabilità dell'Islam, che tende addirittura ad espandersi, sia pure lentamente, nei paesi occidentali; sul fronte interno dei paesi cristiani, la minaccia è legata ad una crescente secolarizzazione dei costumi. Questo stato di cose richiede nuovamente l'assunzione da parte della Chiesa di un carattere militante.

Gli altri sessantotto nuovi santi, nonostante una netta prevalenza di Occidentali, sono distribuiti nei vari continenti, quasi a sottolineare che la Chiesa non rinuncia al suo mandato che riguarda tutta la Terra, e dunque anche paesi, come la Cina e l'India, o civiltà come l'Islam che sono risultati sinora refrattari alla penetrazione del Verbo. L'ecumenismo della Chiesa, legato al mandato di Gesù di diffondere la buona novella ai quattro angoli del mondo, urta contro una realtà di fatto. Sul pianeta, non c'è ormai che un numero ridotto di pagani che, tra l'altro, investiti dalla globalizzazione, si aggrappano tenacemente alle loro tradizioni. Il cuore dell'Africa è duramente conteso a livello missionario tra cattolici, protestanti e islamici Non si danno più masse barbariche che premono ai confini dell'impero. Gli immigrati che premono sono o già cristiani o musulmani, induisti, buddisti. Questi ultimi chiedono aiuto alla Chiesa ma solo rarissimamente si convertono, dato il rischio, tra l'altro, di compromettere il rapporto col gruppo di appartenenza.

La canonizzazione di santi appartenenti a contesti storico-culturali nei quali i cristiani rappresentano una sparuta minoranza serve a ribadire, contro l'evidenza, che anche in essi la fiamma della fede nel vero Dio può accendersi, e a giustificare uno spirito missionario che rende inaccettabile la resistenza che tre quarti del mondo oppone alla Verità. Come attestano, peraltro, i frenetici viaggi del Papa, la Chiesa deve seguire l'onda di una globalizzazione che rischia di diffondere urbi et orbi solo i valori laici della civiltà occidentale.

Tra i nuovi santi, infine, ce ne sono alcuni, come Padre Pio e Josemaria Escrivà, canonizzati a furor di popolo. Di popolo basso il primo, di popolo alto il secondo. La Chiesa ha bisogno di proporre ai credenti una varietà di modelli buoni per tutti i gusti. Padre Pio, che rievoca la figura del santo poverello, fa miracoli, Escrivà, che rievoca l'alleanza tra aristocrazia e alto clero, allarga la cruna dell'ago, ammorbidendo gli anatemi del papa contro il capitalismo selvaggio.

Il significato ultimo dell'esplosione delle canonizzazioni sembra risiedere nella necessità della Chiesa di sottolineare il suo carattere militante, universale e interclassista. Sul fronte esterno, la canonizzazione dei martiri attesta che la Chiesa non rinuncerà mai alla sua missione universale; sul fronte interno, la canonizzazione di eroi della virtù ribadisce che essa non accetterà mai compromessi con il laicismo borghese. Il problema è che l'evangelizzazione del mondo non ha nuovi fronti su cui esprimersi e l'avanzata della secolarizzazione nei paesi occidentali è una realtà irreversibile.

Nonché denotare una nuova fase trionfante della Chiesa, volta a ripetere i fasti gloriosi delle sue origini, il numero di nuovi santi è dunque indiziaria di una crisi di grossa portata. La spettacolarizzazione mediatica delle canonizzazioni serve sostanzialmente a rinvigorire le masse dei fedeli, offrendo loro nuovi simboli di culto. Quest'offerta rivela però una contraddizione intrinseca alla storia della Chiesa significativa sotto il profilo antropologico e culturale.

 

3.

Il Cristianesimo è la prima religione che ha promesso all'umanità la salvezza dai mali del mondo sotto forma d'immortalità e di felicità oltremondana. Non è qui importante capire come e perché questo sia accaduto. Importante è capire che il messaggio originario di Gesù, ripreso dalle primitive comunità cristiane, era apocalittico e soteriologico: esso implicava un pessimismo radicale sullo stato di cose esistente nel mondo e identificava la salvezza con la fuoriuscita da esso. Non è un caso che i primi santi siano stati tutti martiri: il disprezzo della vita terrena e del mondo rappresentavano gli indizi della virtù. Il dolore e il martirio, vale a dire l'imitazione di Gesù, erano il viatico della salvezza.

Via via che masse sempre più ampie di pagani si convertivano al Cristianesimo, e che la presa di potere da parte della Chiesa estingueva la necessità del martirio, si è posto un problema inaspettato. Quelle masse, infatti,. trasferivano nel Cristianesimo le esigenze del paganesimo politeista, gran parte dei riti del quale miravano a rendere benevoli gli dei e ad impetrare salute e benessere. Oltre che la salvezza, i convertiti richiedevano alla religione anche una protezione e una difesa contro i mali della vita terrena

Il modello del Cristo crocifisso, vale a dire di un Dio che si fa carico delle colpe umane e le sconta con la sofferenza e la morte, non era compatibile con queste nuove esigenze. Il sacrificio di Cristo, che aveva liberato l'umanità dal peccato originale, aveva aperto la via della felicità oltremondana, ma autorizzava i nuovi fedeli a credere di potere trarre qualche profitto, in nome della loro devozione, anche sul piano della vita terrena. L'accettazione del dolore, inteso come indizio dell'imperscrutabile volontà divina e prova meritoria, postulava degli intermediari tra i credenti e la divinità, il cui culto potesse promuovere la benevolenza di Dio. Questi intermediari furono identificati nei santi e la devozione popolare si rivolse ad essi soprattutto in nome della loro capacità di fare miracoli..

La Chiesa, insomma, fu costretta a cedere alle istanze popolari. Non sul piano dottrinario, ma di fatto, riconoscendo l'aspirazione dei credenti a vivere la fede non già solo come imitazione della Passione di Cristo, ma anche come "assicurazione" contro i mali e "carta di credito" per assicurarsi anche il benessere terreno.

Sul piano dottrinario, nulla è cambiato. Dalle origini sino ad oggi i santi rappresentano modelli di virtù cristiana ai quali i credenti dovrebbero ispirarsi per realizzare l'insegnamento di Gesù:"Siate perfetti come è perfetto il Vostro Padre celeste". Nella pratica, però, solo raramente il culto dei santi viene ispirato da una volontà imitativa. Più spesso esso viene praticato per richiedere grazie a Dio e per utilizzare il poter soprannaturale che la Chiesa riconosce ad essi.

L'apologetica rifiuta di riconoscere nei santi, nonché una riedizione simbolica degli dei pagani, anche una trasposizione degli eroi che, nell'antichità, suggestionavano l'immaginario collettivo e ai quali venivano attribuiti poteri soprannaturali nonostante la piena consapevolezza della loro umanità. Quegli eroi infatti erano ritenuti tali in nome delle prove straordinarie di forza fisica che avevano manifestato in vita o che le tradizioni popolari attribuivano loro. I santi non esibiscono altra forza che la virtù. Nella misura in cui però questa, praticata eroicamente, porta un essere in carne ed ossa, a partecipare dell'onnipotenza divina (la virtù comune - scrive S. Tommaso - perfeziona l'uomo in modo umano; la virtù eroica in modo sovrumano. Quando l'uomo forte teme ciò che è da temersi, vi è la virtù e, se non temesse, sarebbe temerarietà; ma se, appoggiandosi sull'aiuto di Dio, non teme più nulla, la virtù è sovrumana o divina), la santità riconosce come suo attributo una "forza" che non è di ordine fisico, ma sovrannaturale al punto di potere invertire o sospendere le leggi fisiche. Se non si tratta di dei e di eroi in senso antico, si tratta pur sempre di esseri ai quali la canonizzazione stessa attribuisce poteri sovrumani. Esseri mitici, dunque, che come tali, e non come modelli di vita cristiana, sono vissuti da gran parte dei fedeli, i quali si rivolgono a loro per impetrare grazie e miracoli.

C'è una contraddizione intrinseca nella storia della Chiesa cattolica tra il modello di santità che essa propone, la quale postula che l'uomo, accettando il dolore, si elevi verso il Dio della Croce, e le esigenze di gran parte dei fedeli che tentano inconsciamente di "sfruttare" la fede per mobilitare nei loro confronti la benevolenza di Dio e dei suoi santi al fine di scongiurare il dolore.

La religione del Dio crocifisso è scandalosa, ma non lo è meno la religione popolare che, sia pure in termini umanamente comprensibili, vive la fede come panacea dei mali terreni.

L'ampia offerta di modelli intrinseca alle nuove canonizzazione, che comporta uno spettro di modelli che va da oscuri martiri cinesi alla figura ascetica di padre Pio e a quella aristocratica e integrata di Escrivà, non fa altro che sottolineare l'esigenza della Chiesa di tenere fede al suo mandato originario senza insistere troppo sul suo radicalismo. In questa ottica, fabbricare nuovi simboli di culto, che soddisfino le esigenze del popolo per un verso e quelle dei ceti medio-alto borghesi per un altro, riesce pienamente comprensibile.

ottobre 2002

P. S.

La beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, avviata in gran fretta prima dei cinque anni canonici dalla sua scomparsa, si sta imbattendo in una difficoltà imprevista. La guarigione miracolosa di una donna indiana di trent'anni, Monika Besra, affetta da un tumore alle ovaie scomparso dopo che la donna ha poggiato sul ventre un medaglione che aveva toccato il corpo di Madre Teresa subito dopo la morte, già passata al vaglio e approvata a maggioranza dalla commissione vaticana il 2 ottobre, è stata contestata dal Ministro della Sanità indiano. Sulla scorta dei documenti presentati dai medici curanti, il Ministro ha rivendicato la guarigione alle cure effettuate in ospedale. Non voglio mancare di rispetto a Madre Teresa - egli ha detto -ma è dare una visione distorta della realtà parlare di un suo miracolo".

La contestazione non modificherà, presumibilmente, il verdetto della commissione vaticana, che ha esaminato un fascicolo di ben 34000 pagine dense di testimonianze che attestano inequivocabilmente il grado eroico in cui Madre Teresa ha praticato le virtù cristiane. Il problema, come si è detto in precedenza, è che, ai fini della beatificazione e della canonizzazione, questo non basta. Occorre almeno un miracolo. Perché se la santità è attestata da un'intera vita e da infiniti testimoni? Semplicemente perché il giudizio della Chiesa non può ricondursi a quello, ritenuto comunque fallibile, degli uomini. Esso ratifica quello di Dio, comprovato dal miracolo, che attesta la partecipazione del santo alla Sua onnipotenza. E' in virtù di questa partecipazione che i fedeli possono rivolgersi ai santi e impetrare grazie. La necessità di un intermediario, che nella psicologia popolare dei credenti può lambire il confine del paganesimo, viene ad essere per questa via brillantemente risolta sul piano teologico. I miracoli sono opera di Dio e santo è solo colui che è autorizzato da Lui a farli.

La santità da ultimo non discende da una pratica eroica della virtù cristiana, ma da un'investitura divina. I credenti non hanno bisogno di modelli da imitare, ma di "icone" cui rivolgersi nella speranza di alleviare i mali della vita. CVD.

En passant, non è insignificante soffernarsi sulle guarigioni miracolose. Di fatto esse esistono, e sono riconosciute dalla medicina. Si tratta di "miracoli"psicosomatici che, sia pure raramente, avvengono anche del tutto indipendentemente dalla fede e dalla richiesta di grazia del paziente. E' vero che la scienza medica non è in grado di spiegarli. Ciò non significa che essi siano in sé e per sé inspiegabili, ma solo che con gli strumenti interpretativi di cui si dispone attualmente non è possibile spiegarli. Nei casi in cui tali guarigioni seguono all'esplicita richiesta dei pazienti o dei loro parenti rivolta a Dio o a un santo si grida al miracolo. Che su milioni di richieste ne venga soddisfatta una ogni tanto non contrasta con la teologia: la volontà divina è libera e imperscrutabile. Il problema è spiegare le guarigioni miracolose che sopravvengono in pazienti non credenti e che non le hanno impetrate. Su questo terreno la Chiesa è in forte imbarazzo. deus sive natura?