L'ossessione del Male


1.

Ancora una volta (ed è la quattordicesima) Papa Wojtila ha ritenuto opportuno riaffermare, contro le interpretazioni moderniste, la dottrina della Chiesa sul Diavolo. Tenendo conto di ciò che egli ha detto nel corso degli anni, l'essenziale si può sintetizzare in pochi assiomi:

  1. la credenza cristiana sul Diavolo è una verità di fede: un dogma quindi che non può essere messo in discussione
  2. il Diavolo non è la personificazione mitica del male né la proiezione psicologica di paure e di angosce, bensì un Essere spirituale personale creato buono ma diventato malvagio a causa del peccato di ribellione a Dio
  3. pur sapendo di essere destinato alla sconfitta, il Diavolo continua la sua lotta contro Dio, contro Cristo, contro la Chiesa, contro l'uomo e la continuerà fino alla fine del mondo, che segnerà il trionfo definitivo del Bene
  4. la lotta contro Dio consiste nel far credere all'uomo che Dio non esiste o peggio che Dio è nemico dell'uomo, della sua libertà e della sua felicità
  5. espressione immediata dell'azione del demonio è l'ateismo, nelle sue diverse forme contemporanee - dall'indifferenza religiosa ai culti satanici - che spiega gran parte dei mali di cui l'umanità è affetta.

Quanto abbia pesato e quanto pesi nell'immaginario collettivo la dottrina del Diavolo, proposta come verità di fede, è difficile da stabilire. Se si tiene conto che essa, ancora oggi, fa parte dell'orientamento pedagogico delle suore, cui molti bambini sono affidati in età asilare, dell'insegnamento religioso nelle scuole e del catechismo preparatorio alla prima comunione, si può ritenere che, nella nostra società, tranne rare eccezioni, non v'è soggetto che la ignori. E' vero che, in misura crescente, la secolarizzazione, che investe massicciamente le fasce giovanili, determina dall'adolescenza in poi l'abbandono della fede, della pratica religiosa e del contatto con la Chiesa. E', però, ormai ampiamente noto che le influenze culturali sulla mente infantile non si dissolvono facilmente, e allignano nell'inconscio anche quando la coscienza sembra essersene completamente affrancata. Non è certo per caso che la Chiesa si sia battuta per introdurre l'insegnamento religioso nelle scuole materne, puntando consapevolmente sul fatto che la stragrande maggioranza dei genitori, compresi i miscredenti, non avrebbero optato per l'esenzione. Di fatto, le aspettative ecclesiali sono state corrisposte. Ancora oggi, molti genitori che non credono optano per l'insegnamento religioso convinti che esso non può fare male. Aderiscono, insomma, all'idea che il Cristianesimo abbia un significato sostanzialmente civilizzante e che, spogliato dei contenuti teologici, istilli comunque principi di valore universale.

A scanso di equivoci, il Papa richiama il nocciolo duro della dottrina religiosa, che è per l'appunto la lotta perenne, in ogni singola anima umana e nella storia, tra il Bene e Il Male personificato.

Il richiamo è stato accolto con indifferenza dall'opinione pubblica laica, che ritiene trattarsi di una faccenda interna alla Chiesa, e con sussiego dai maîtres-à-penser liberali che, in virtù delle loro ascendenze illuministiche, hanno in uggia tutto ciò che odora di Medio Evo. La dottrina del Diavolo merita invece una maggiore attenzione sul piano della critica ideologica, poiché la sua incidenza a livello d'immaginario collettivo è maggiore di quanto comunemente si pensi.

A livello psicopatologico, questo è inconfutabile. Il riferimento demoniaco è evidente in alcune forme di "possessione" isterica, in alcune gravi depressioni nel corso delle quali i soggetti si attribuiscono un'infinita malvagità, in alcuni deliri schizofrenici incentrati sulla paura della "possessione" o sulla convinzione che la propria identità abbia subito una trasformazione demoniaca. Al di là di questi casi, c'è una vasta gamma di vissuti psicopatologici che riuscirebbero incomprensibili se non si tenesse conto che, a livello inconscio, esiste un riferimento demoniaco. In non poche sindromi da attacco di panico, incentrate sulla paura di impazzire, la paura fa capo alla possibilità di perdere il controllo e di potere agire senza consapevolezza comportamenti antisociali e malvagi. In alcune sindromi ossessive, la fobia del Diavolo è rappresentata a livello cosciente. Quando essa non è rappresentata, l'ossessivo convive comunque con l'intuizione di una natura profonda parassitata dal male.

A livello psicosociologico e culturale, gli indizi sono più sfumati ma tutt'altro che insignificanti. Gli stessi maîtres-à-penser illuministi risultano influenzati dalla dottrina del Diavolo quando, con sicumera, fanno riferimento alla natura umana intrinsecamente egoista e tendenzialmente asociale. Nella memoria storica collettiva, Hitler e Stalin sono i personaggi demoniaci di un recente passato. Nelle interpretazioni di fatti di cronaca nera agghiacciante, pressoché costante è il riferimento alla mostruosità dei protagonisti. Vero è che la mostruosità viene ricondotta quasi sempre ad una malattia di mente. Ma, nell'accezione comune, cos'è la malattia mentale se non l'espressione di quanto d'oscuro e di malvagio alligna nell'anima umana?

A livello politico, poi, particolarmente negli ultimi anni, la demonizzazione del nemico sta diventando un luogo comune. Bush che avvia la guerra al terrorismo appellandosi a Dio identifica esplicitamente Bin Laden con il demonio. L'Islam radicale, dall'epoca di Khomeini, identifica gli Stati Uniti con il Grande Satana. Nel primo caso è dubbio che si tratti di una metafora, nel secondo il riferimento di certo non è metaforico.

Data l'incidenza della dottrina del Diavolo sull'immaginario collettivo e, più specificamente, a livello psicopatologico, il problema merita qualche riflessione. Occorre:

  1. chiedersi le ragioni per cui la Chiesa, all'apertura del Terzo Millennio, non possa prescindere dal sostenere l'esistenza del Diavolo come una verità di fede
  2. analizzare le contraddizioni intrinseche alla dottrina, che, come vedremo, hanno un grande significato psicologico e culturale
  3. ricostruire la genesi storica della dottrina della Chiesa sul Diavolo per capire come essa rappresenta il tentativo di risolvere ideologicamente problemi altrimenti insolubili
  4. capire quali dinamiche psicopatologiche danno luogo all'affiorare, a livello inconscio o conscio, del fantasma demoniaco.

2.

Papa Wojtila non è di certo un pontefice oscurantista. Il suo indubbio conservatorismo non ha nulla a che vedere con un gretto integralismo. Egli è giunto a riconoscere numerosi errori della Chiesa e dei suoi rappresentanti (per esempio in rapporto al caso Galileo e alla persecuzione degli Ebrei). Dopo avere contribuito alla caduta del regime comunista, ha preso nettamente posizione contro il capitalismo selvaggio fino al punto di diventare, paradossalmente, un punto di riferimento per le forze di sinistra occidentali. Ha criticato la guerra in Afghanistan nonostante essa abbia coinvolto, almeno sul piano dell'alleanza formale con gli Stati Uniti, non pochi paesi occidentali a maggioranza cattolica. Ha manifestato e manifesta una particolare sensibilità nei confronti dei giovani, non pochi dei quali sono stati riconquistati dalla Chiesa. Perché dunque egli ha avvertito la necessità di riaffermare, a più riprese, una verità di fede che ha sempre creato imbarazzo ai teologi e ai credenti più colti?

La spiegazione più semplice fa capo, presumibilmente, ad una necessità storica. L'enorme prestigio conseguito dalla Chiesa, a livello internazionale, nel corso del pontificato di Giovanni Paolo II non ha inciso minimamente nel processo di secolarizzazione delle società occidentali. Per quanto i credenti si siano liberati dall'imbarazzo che li attanagliava nel corso degli anni '70, quando la Chiesa veniva attaccata pesantemente dal laicismo illuministico e dal marxismo, il loro numero diminuisce di continuo. La secolarizzazione comporta fenomeni - dall'edonismo al pullulare delle sette sataniche - che sembrano attestare non solo il rifiuto dei valori fondamentali del Cattolicesimo, ma addirittura un'aperta sfida nei loro confronti. Papa Wojtila intuisce per un verso la necessità di interpretare questo stato di cose e per un altro quella di serrare le fila dei credenti lanciando un messaggio che dia ad essi il ruolo di eroici testimoni di una fede minacciata dalla marea montante dell'incredulità. Riproporre come verità di fede l'esistenza del Principe delle Tenebre può servire, per l'appunto, a rispondere a questa duplice necessità e, nello stesso tempo, a invalidare le apparenze. Se il male, infatti, sembra per alcuni aspetti trionfare nel mondo contemporaneo, il richiamo all'esistenza del Diavolo serve anche a ricordare che il Nemico, per quanto temibile in rapporto alla sua capacità di pervertire gli uomini, è già stato sconfitto da Cristo e lo sarà definitivamente alla fine del mondo.

La dottrina cattolica del Diavolo non è, infatti, manichea. La potenza del Diavolo è enorme in rapporto all'uomo, tanto più se questi cede alle sue lusinghe, ma assolutamente inferiore a quella di Dio. Ciò significa che se il mondo si allontana da Dio, questa è solo un'illusione ottica. Il male non può trionfare. La teologia del Diavolo è la teologia del Nemico sconfitto, i cui colpi di coda possono ingannare, ma non cambiare il corso della storia segnata dalla Provvidenza.

Paradossalmente, dunque, l'insistenza del Papa sul Diavolo, che troppo facilmente può essere scambiata per un rigurgito oscurantista, ha un significato ben preciso in rapporto allo stato di cose esistente. Essa, infatti, fa leva sull'immaginario collettivo, e mira a fare sì che i credenti si sentano, nonostante le apparenze, dalla parte giusta: quella del Vincitore. Per arrivare ad avallare questa convinzione, è necessario che essi sentano l'impegno di lottare contro il Male.

Avendo intuito che una religione la quale si limitasse a proporre solo valori positivi perderebbe ulteriormente terreno nel nostro mondo, se non altro perché quegli stessi valori - la solidarietà, la fratellanza, il rispetto dell'altro - sono recepiti anche da ideologie laiche (liberalesimo e socialismo), Papa Wojtila, riproponendo la dottrina del Diavolo, intende avallare e corroborare una specificità che può essere ricondotta solo ad una lotta contro il Male che durerà sino alla fine dei tempi e si concluderà con la vittoria di Dio e con il regno della giustizia.

 3.

Dei punti dottrinari elencati all'inizio, il più problematico sotto il profilo teologico e filosofico, riguarda la natura malvagia del Diavolo, che, come si è detto, è interpretata dalla Chiesa come conseguenza di una ribellione a Dio. Secondo la tradizione, agli angeli, creati come puri spiriti dotati di libero arbitrio, Dio chiede, in segno di gratitudine, una totale sottomissione della loro volontà alla sua. Alcuni angeli rifiutano di sottomettersi e, in conseguenza di ciò, si trasformano in diavoli.

E' evidente che questo "mito" fa capo ad una concezione della libertà che identifica la sua massima espressione nella sottomissione alla Legge, e squalifica come malvagia qualunque esercizio della stessa che comporti il dissenso, l'opposizione e la ribellione. Sotto il profilo teologico, questa concezione è perfettamente coerente. L'onnipotenza e la bontà di Dio sono attributi tali che la Legge che egli pone non può essere che giusta. Riconoscerla è un atto di umiltà che riconduce le creature - gli angeli non meno che gli uomini - a prendere atto dell'incommesurabilità tra il loro giudizio, fallibile, e la sapienza divina.

Si tratta però di una coerenza solo apparente.

Nel "mito" c'è qualcosa che non quadra. Come può, infatti, un essere spirituale, libero e intelligente, dunque consapevole dei propri limiti, rifiutare di riconoscere la sua subordinazione ad un Essere superiore che lo ha creato ed è onnipotente? Per spiegare quest'aspetto, la teologia fa riferimento alla hubrys, vale a dire ad una miscela di motivazioni psicologiche o caratteriali che sommano tracotanza, orgoglio e invidia. Se queste motivazioni sono però intrinseche alla natura angelica, la colpa risale ad una creazione imperfetta, vale a dire a Dio. I teologi sostengono che quelle motivazioni non sono caratteriali, rappresentando potenzialità implicite nella libertà che può dare luogo ad una scelta tra il bene e il male. Ma il problema non appare risolto. Data l'incommensurabilità tra il Creatore e le creature, la ribellione degli angeli, più che una scelta sbagliata di libertà, implica una sostanziale irrazionalità o, peggio, una stupidità incompatibile con l'intelligenza angelica.

A questo punto, è importante tenere conto di un aspetto sul quale s'insisterà ulteriormente. La trasformazione demoniaca della natura angelica, recepita dalla Chiesa come verità di fede, e che rappresenta, di fatto, l'asse portante della dottrina sul Diavolo, ha scarsissimi riscontri nei testi sacri. Essa è descritta minuziosamente nel Libro di Enoch, un apocrifo che risale ad un periodo che va da tre secoli ad un secolo prima di Cristo. Rifiutato dalla tradizione ebraica, il Libro di Enoch ebbe una larga diffusione nei primi secoli del Cristianesimo e fu a lungo ritenuto ispirato. In esso, la trasformazione malvagia degli angeli è descritta minuziosamente, ma in termini poco compatibili con la tradizione ecclesiale. La colpa, infatti, consiste nel fatto che gli angeli, inviati sulla terra, cedono alle lusinghe delle figlie degli uomini, si accoppiano ad esse e, pervertendosi, contaminano la natura umana. La legge di Dio, che viene ad essere violata, è riconducibile dunque alla legge che vieta l'accoppiamento di esseri spirituali e di esseri carnali. Tale accoppiamento corrompe gli uni e gli altri.

Di questo mito si dà nella Bibbia un fugace riferimento (Genesi 6, 1-4). La dottrina della Chiesa prescinde del tutto dal contenuto mitico. Essa fa semplicemente riferimento ad una generica ribellione alla volontà divina interpretata come hubrys. E' evidente il significato di questa cautela. La religione biblica, e di conseguenza quella cristiana, nasce, come peraltro ogni religione, dal mito, vale a dire da una tradizione popolare elaborata e tramandata nel corso dei secoli. La necessità di assegnare alla religione un carattere rivelato implica la rottura e la depurazione della dottrina rispetto al mito. In virtù di questa rottura, la dottrina assume una configurazione infinitamente più coerente rispetto alla mitologia. Il processo di astrazione, però, se risolve un problema, ne crea un altro.

Se, infatti, la caduta del Diavolo viene ricondotta ad una generica ribellione alla volontà divina, e non alla trasgressione di una Legge specifica, essa si carica di un significato particolare. Mettendo tra parentesi gli antropomorfismi (la tracotanza, l'orgoglio, l'invidia), che sembrano incompatibili con esseri puramente spirituali, e escludendo una stupidità spinta fino al punto di non riuscire a valutare il diverso potere tra Creatore e creatura, rimane una sola possibilità di interpretare la ribellione angelica. Essa, infatti, può essere ricondotta solo ad una rivendicazione di libertà intesa come capacità di consentire o di dissentire rispetto alla Legge e all'autorità che la pone. Da questo punto di vista, la ribellione sarebbe null'altro che la contestazione di una legge ritenuta, a ragione o a torto, ingiusta, e la contestazione di un'autorità ritenuta, in qualche misura, arbitraria.

Da ciò riesce chiaro che la dottrina del Diavolo trasferisce nell'alto dei cieli un dramma che ha segnato la storia umana: un conflitto tra un potere gerarchico che postula la sottomissione di coloro che da esso dipendono, ritenuti esseri inferiori, e i subjecti che rifiutano la sottomissione. Il non serviam diabolico implica un misconoscimento dell'ordinamento gerarchico, e la rivendicazione di una libertà che, per essere tale, deve potersi esprimere anche sul registro del dissenso nei confronti del potere costituito.

Ciò che è in gioco, nella trama profonda della dottrina cattolica, è la valutazione del bisogno di opposizione/individuazione, che viene squalificato in nome della sacralità del potere contro cui si rivolge. Il peso che questa trappola ideologica ha esercitato nella storia umana è fin troppo noto perché su di esso ci si soffermi. Vale la pena però sottolineare che, riproponendo la dottrina del Diavolo, la Chiesa, ancora una volta, si fa apertamente sostenitrice del mito gerarchico. E' comprensibile che essa ritenga del tutto legittimo questo mito se al vertice della gerarchia si ammette l'esistenza di un Dio onnipotente. Ciò che non riesce a considerare è il paradosso per cui la libertà possa essere data da qualcuno (Dio) a qualcun altro (la creatura) e quello ulteriore per cui il "dono" postula un unico esercizio lecito che consiste nel sottomettere totalmente la volontà propria a quella altrui.

4.

L'esistenza di spiriti benigni e di spiriti maligni si può ritenere un'espressione primaria dell'inconscio umano. Gli spiriti benigni tutelano la sopravvivenza umana, la perpetuazione della specie, la fecondità della natura, ecc: Gli spiriti maligni minacciano l'uomo, la sua salute, gli equilibri sociali e naturali. Bene e male originariamente hanno una definizione piuttosto semplice: bene è la vita, la salute, la fecondità; male la malattia, la morte, la sterilità. L'incapacità cognitiva degli uomini di naturalizzare e dare senso agli aspetti negativi dell'esistenza è all'origine della credenza negli spiriti.

Questi, però, originariamente non appaiono riconducibili ad un'opposizione categorica. Essi possono, di volta in volta, agire, nei confronti degli uomini, come benigni o maligni. Ciò dipende in gran parte da come gli uomini si comportano. Su questo fondamento, tutte le culture primitive si organizzano ritualisticamente per ingraziarsi gli spiriti e mantenerli favorevoli nei loro confronti.

Il dualismo che contrappone bene e male, e personifica le due dimensioni attribuendoli ad esseri soprannaturali distinti dall'uomo e distinti tra di loro, è culturalmente piuttosto tardivo. Occorre, infatti, giungere allo Zoroastrismo iraniano per trovarsi di fronte ad una concezione della storia che identifica in essa il conflitto perenne tra Bene e Male, vale a dire tra un Dio buono e uno malvagio. Espressione estrema e tardiva dello Zoroastrismo, che prevede la vittoria finale del Bene sul Male, è il Manicheismo, un movimento ereticale che mette a dura prova la Chiesa dei primi secoli dopo Cristo sostenendo l'equivalenza, in termini di potere, del Dio buono e di quello malvagio.

Un fatto evidente nelle antiche civiltà è che ogni popolo ritiene che i suoi dei siano migliori, più buoni e più potenti, degli dei stranieri. Il conflitto tra bene e male assume, dunque, sostanzialmente la forma di un conflitto tra dei, ciascuno dei quali si impegna a dimostrare la sua potenza sconfiggendo gli altri. In quale modo? Proteggendo il suo popolo e concedendogli la vittoria sui nemici. In conseguenza di ciò, il dio vittorioso è il Bene e quello sconfitto il Male.

Nella Bibbia Jahve è il Dio potente per eccellenza. Egli libera gli Ebrei dall'esilio egiziano, li aiuta a sopravvivere nel deserto, li guida alla conquista della Palestina, promette loro il primato su tutti gli altri popoli della terra. Il suo nemico storico è Baal, un dio siriano al cui culto idolatrico gli Ebrei cedono più volte. La punizione di Dio per questo tradimento è terribile. Israele viene occupata, Gerusalemme distrutta, gli Ebrei condotti in esilio a Babilonia. Al rientro a Gerusalemme l'abominio dell'idolatria trasforma Baal in Belzebù, nel Diavolo. Si tratta di un evento tardivo nella storia di Israele, il quale giustifica il fatto che, eccezion fatta per il Genesi - opera che di certo viene riscritta di sana pianta dopo l'esilio -, nell'Antico Testamento i riferimenti al Diavolo sono pressoché inesistenti.

Nel Nuovo Testamento, invece, Satana è costantemente presentato come il nemico di Dio. Che cosa è accaduto negli ultimi secoli prima della venuta di Cristo per giustificare questo cambiamento ideologico? Esso è il frutto di una profonda crisi teologica. Israele è sopravvissuta, ma andando incontro ad un continuo declino conclusosi con l'occupazione romana. Perché - si chiedono gli Ebrei - Dio ha abbandonato il suo popolo? La risposta è che il popolo è colpevole: esso ha ceduto troppe volte alla tentazione idolatrica e esso non è riuscito a fondare sulla terra il regno di Dio, vale a dire un regno ove viga la giustizia. I giusti soffrono e gli empi si godono la vita: questa è la realtà crudamente rappresentata dai Profeti. Il male sembra costitutivo della natura umana. Ma se ciò è vero, e la natura umana è stata creata da Dio, è Dio che ha creato il male.

La dottrina del Diavolo è funzionale a dissolvere quest'atroce sospetto. Essa serve ideologicamente a discolpare Dio e ad alimentare nell'uomo la speranza della salvezza. La natura umana non è intrinsecamente volta al male: essa è contaminata da Satana. E' Satana colpevole del male, essendosi ribellato a Dio e avendo trascinato l'uomo al male. I conti quadrano.

Il Cristianesimo recepisce questa soluzione, e la radicalizza valorizzando al massimo grado il mito del peccato originale esposto nei primi capitoli del Genesi, al quale gli Ebrei non avevano mai assegnato altro valore che di un monito a rispettare la legge divina. Il peccato originale, nella versione cristiana, diventa il simbolo della ribellione di Dio al Creatore promossa dal serpente diabolico. In conseguenza della caduta nel peccato, l'istinto alla trasgressione e al male contamina definitivamente l'anima umana.

La dottrina del Diavolo ha una precisa funzionalità nell’impianto del Cristianesimo. Essa, infatti, risolve il problema dell’origine del male. Né Dio lo ha prodotto — circostanza incompatibile con la sua bontà — né esso è intrinseco alla natura umana — circostanza che escluderebbe la salvezza. Il Diavolo è il capro espiatorio che pone fine ad un dibattito sull’origine del male che ha posto in crisi la teologia ebraica. E’ per un atto di volontà autonomo che egli si è ribellato: in conseguenza di ciò è irredimibile. L’uomo ha peccato in conseguenza della tentazione diabolica. Può dunque ravvedersi, sfuggire al Diavolo e ricondursi a Dio.

5.

La psicopatologia non può essere utilizzata, come ha fatto Freud, per giungere al fondo della natura umana. Essa, infatti, è l'espressione dell'interazione della natura umana con la cultura. E' solo valorizzando il peso della cultura nell'organizzazione della soggettività che si può, con cautela, pervenire a qualche conclusione sulla natura in sé e per sé.

Considerando il tributo che la psicopatologia paga alla dottrina del Diavolo, quest’aspetto risulta evidente. Quale uomo giungerebbe a sentirsi posseduto dal Diavolo o minacciato da un'oscura e irrazionale pulsione al male se il Principe delle tenebre non facesse parte del suo contesto culturale?

Il problema sta nel capire se l'influenza culturale è deterministica, nel senso che introduce nella soggettività un contenuto altrimenti assente, o se essa è patoplastica, vale a dire serve a dare forma a contenuti propri dell'esperienza psicologica umana. L'analisi dei casi porta a pensare che l'influenza possa essere di entrambi i generi.

I soggetti che, esplicitamente o implicitamente, sentono di essere posseduti, vivono la possessione come una minaccia o percepiscono oscuramente nel proprio essere una tendenza distruttiva, sono accomunati univocamente da una rabbia sociale di estrema intensità. La rabbia in sé e per sé è un'emozione che implica una protesta contro qualcosa o qualcuno, e non ha nulla a che vedere con la distruttività. I motivi per cui essa si accumula a livello soggettivo sono i più vari. Il più comune è dato dall'incapacità del soggetto di viverla, di interpretarla (casomai giungendo alla considerazione che essa è dovuta ad un’interpretazione riduttiva della realtà) e di utilizzarla cerando di correggere le situazioni che l'hanno originata. Questa incapacità è spesso dovuta ad influenze culturali, tra cui quelle religiose, che la rabbia la squalificano, identificandola con la distruttività, e ne inibiscono l'uso in quanto nocivo per gli altri. La rabbia inibita, che è un'espressione del bisogno di opposizione/individuazione criminalizzato, va incontro, come accade ad ogni bisogno represso, ad un processo di intensificazione per cui si infinitizza. La rabbia infinita è il contenuto che attiva la percezione, diversamente vissuta, di una componente demoniaca della personalità.

La dottrina del Diavolo incombe, dunque, nella soggettività umana in due modi: per un verso, squalificando e criminalizzando la rabbia; per un altro, significandola, quando essa si infinitizza, come una dimensione disumana e demoniaca.

Se questo è vero, la critica ideologica della dottrina del Diavolo e la decriminalizzazione della rabbia sono aspetti molto importanti nell'ottica di una prevenzione dei fenomeni di disagio psichico.