La riscoperta della Natura


1.

Che il rapporto dell'uomo con la natura - la terra, l'acqua, il verde, l'aria. Il sole - sia importante, sottile e complesso è noto da sempre e fa parte dell'esperienza comune. Il bisogno che l'uomo ha del contatto con la natura è attestato dalla fuga rituale dalla città verso la campagna, il mare, i monti nei week.end e nelle vacanze. Si fugge per liberarsi dallo stress urbano e dall'inquinamento. Ponendo tra parentesi il paradosso per cui questo rito si esaurisce spesso nel viaggio, nel pranzo e nella passeggiata all'aria aperta, scontato con lunghe file sulla via del ritorno e una quota costante di morti per incidenti stradali, si tratta di un fenomeno storicamente e psicosociologicamente significativo.

La fuga dalla città è il movimento inverso rispetto a quello che ha prodotto l'urbanizzazione. La città è un'istituzione antichissima, nata con la divisione del lavoro e con la necessità di accentrare alcune funzioni - politiche, amministrative, commerciali e culturali - in uno spazio ristretto, funzionale a privilegiare fitti scambi di informazioni, di beni e di servizi riducendo l'onere dei trasporti. Abitata per lungo tempo dai ceti dominanti, i servi e gli artigiani indispensabili a provvedere ai loro bisogni, la città ha creato anche uno stile di vita: quello urbano, caratterizzato da un tenore di vita elevato, da un livello culturale alfabetizzato e da comportamenti meno rozzi - più civili appunto - rispetto a quelli delle masse contadine.

Per molti secoli, le città sono rimaste dei puntini isolati sulla mappa di un territorio sul quale viveano, dedicandosi all'agricoltura, all'allevamento e alla pesca, il 90-95% della popolazione. L'inurbamento, come noto, si è avviato con l'industrializzazione. La fuga dalla campagna, laddove, come nelle campagne dell'Inghilterra del primo '800, non è avvenuta coercitivamente in seguito alla recinzione dei fondi, si è realizzata sotto la spinta della miseria, della fame e dell'aspirazione ad un tenore di vita migliore. Ancora oggi questo fenomeno si ripete in pressoché tutti i paesi del Terzo Mondo, dando luogo a megalopoli che sono formicai.

In essi si ripete puntualmente ciò che è accaduto in Europa all'epoca dell'industrializzazione. In conseguenza dell'affollamento, della miseria, della promiscuità i comportamenti si degradano, e le persone giungono a vivere in maniera infraumana. Di certo, questo degrado riconosce cause tangibili e oggettive, tra le quali però occorrerebbe annoverare anche la perdita di contatto con la natura.

Nelle città occidentali, ove fenomeni del genere non si verificano più, anche se le periferie continuano ad essere un focolaio di microcriminalità, si danno tutta una serie di indizi che attestano l'impatto dell'ambiente urbano sulla salute e sulla psicologia dei cittadini. Gli indizi più noti sono legati all'inquinamento, al traffico e all'affollamento. La carenza di spazi verdi è considerata un problema, ma solo in rapporto alla produzione di ossigeno. Forse non è solo questione di ossigeno.

Fa parte dell'esperienza comune che il contatto sensoriale con la natura ha un effetto distensivo e benefico. Non si tratta solo di un effetto antistress. E' probabile che esso aumenti anche la produzione delle endorfine se è vero che, esponendosi al sole, guardando un paesaggio, immergendosi nell'acqua o distendendosi su di un prato, non solo la tensione si dissolve, ma sopravviene spesso un'ondata di benessere intensa e inesprimibile.

Questa esperienza cela significati piuttosto complessi. Essa attesta un legame psicobiologico dell'uomo con l'ambiente naturale che sembra facile da interpretare se si considera che egli è vissuto di fatto per migliaia e migliaia di anni in una condizione di costante interazione con l'ambiente naturale, minimamente modificato dall'attività antropica. Si tratterebbe dunque di un condizionamento che probabilmente sopravvive a livello inconscio sotto forma di memoria ancestrale. Una prova a favore dell'ipotesi del condizionamento è fornita dall'attività onirica che spesso si realizza attraverso la messa in scena di ambienti naturali.

Un'ipotesi alternativa è che il contatto con la natura rappresenti un bisogno sensoriale e emozionale primario, subordinato nella sua intensità al bisogno di contatto interpersonale, ma non meno necessario. Questo bisogno rappresenterebbe l'espressione più immediata dell'origine evoluzionistica del cervello umano, che lo avrebbe ereditato dagli animali.

2.

Alcune ricerche recenti, anche se non permettono di convalidare una delle due ipotesi, depongono comunque a favore di un legame tra la mente e l'ambiente naturale più intimo di quanto l'adattamento all'ambiente urbano faccia pensare.

Due ricerche, in particolare, meritano attenzione.

La prima, che risale a qualche mese fa, riguarda l'apprendimento. E' stato verificato che nelle scuole immerse nel verde e dalle cui finestre si possono vedere prati e alberi aumentano il rendimento scolastico e diminuiscono i fenomeni di stanchezza e di perdita della concentrazione. Il dato, inequivocabile, è singolare perché la divisione del lavoro sociale, che ha dato luogo alla nascita della città, è stato sempre ricondotto alla necessità degli intellettuali di appartarsi in luoghi chiusi. Il lume di candela, la lampada o l'abat-jour che hanno presieduta l'attività intellettuale hanno portato a pensare che la concentrazione fosse agevolata dall'isolamento e dalle pareti. In realtà questo è vero, ma in rapporto non già alle distrazioni dovute agli stimoli naturali, bensì all'inquinamento acustico che, fin dagli esordi, ha rappresentato un aspetto specifico della vita urbana. Che la natura in sé e per sé non distragga ma faciliti la concentrazione è del resto attestato dal fatto che grandi opere sono maturate in contatto assiduo con essa. Per non citare che un autore, Rousseau, nelle Confessioni, più volte accenna al fatto che i suoi pensieri scorrevano più intensamente e si traducevano in progetti e idee solo camminando per la campagna e per i boschi.

L'altra ricerca più recente riguarda il decorso delle malattie. E' stato accertato che l'evoluzione verso la guarigione è agevolata dall'immersione del paziente in un ambiente naturale. In conseguenza di ciò, si stanno allestendo per i bambini ospedali bioclimatici. Iniziativa meritoria per quanto paradossale perché in tali ospedali finiranno anche i bambini che ammalano di asma e di malattie respiratorie in consegeunza dell'inquinamento urbano. Meglio poco che niente, comunque.

E' indubbiamente singolare che per restaurare verità intuite da sempre, e che fanno parte del senso comune, si debbano operare delle ricerche sperimentali. Ma, si sa, la nostra società non crede ormai che a dati positivi, empiricamente provati. Le ricerche citate hanno scoperto l'acqua calda, ma esse inducono ad approfondire un tema che, per troppo lungo tempo, è stato considerato insignificante.

Le capacità adattive della specie umana sono straordinarie, ma ciò non significa che l'adattamento sia sempre positivo e innocuo. L'adattamento allo stile di vita urbano è stressante non solo in conseguenza dell'affollamento, del traffico e dei ritmi di lavoro. Esso probabilmente incide anche perché comporta una separazione dalla natura che mortifica un bisogno primario sensoriale e psicosomatico. L'assuefazione dell'adulto alla vita urbana e domestica rende impercettibile questo bisogno, anche se si può ritenere che alcuni fenomeni comuni, come la stanchezza, l'irrequietezza, l'insonnia, siano, almeno in parte, riconducibili alla sua frustrazione. Non è per caso, forse, che nell'800, quando ancora non esistevano gli psicofarmaci, si prescriveva come cura degli "esaurimenti nervosi" la campagna, la collina e le passeggiate nei boschi.

Se il bisogno di contatto con la natura è un bisogno primario, non è sorprendente che esso possa essere rappresentato in maniera più intensa e immediata nei bambini. La ricerca psicobiologica dovrebbe indirizzarsi in questa direzione sulla scorta di dati indiziari che è difficile minimizzare.

3.

E' noto a tutti i genitori l'effetto terapeutico che esercitano il verde, la terra, il vento, il sole, l'acqua sui bambini. Si scalmanano - è vero - ma, dopo l'immersione nella natura, oltre che stanchi, sembrano recuperare una tranquillità e un equilibrio che, tra le pareti domestiche, spesso viene meno. Talvolta, si realizza l'effetto contrario: dopo un contatto prolungato con la natura, appaiono irrequieti fino al punto di stentare ad addormentarsi. Probabilmente si tratta della conseguenza di un'iperstimolazione del sistema nervoso. Esiste, probabilmente, un optimum di equilibrio del bisogno di contatto con la natura.

A che cosa è dovuto questo bisogno? Di solito si pensa che in un ambiente naturale i bambini si sentano semplicemente più liberi di quanto accade tra le pareti domestiche o nelle aule scolastiche. C'è del vero ma non fino al punto di spiegare il singolare effetto che si realizza.

Un'ipotesi che sinora mi sembra nessuno ha avanzato è che le modalità di rapporto sensoriale dei bambini con il mondo, prima che sopravvenga l'assuefazione culturale, siano diverse rispetto a quelle degli adulti. La loro capacità di godere di stimoli visivi, olfattivi, tattili, ecc. potrebbe essere molto più intensa, partecipe, significativa.

Se non è vero in assoluto che l'ontogenesi, lo sviluppo individuale, ricapitola la filogenesi, lo sviluppo della specie, per questo aspetto potrebbe essere vero. L'uomo non è un animale come gli altri, ma indubbiamente è un animale e, per quanto l'affettività e la socialità abbiano un'importanza essenziale, è probabile che il rapporto vivo, diretto con la natura non abbia, almeno durante l'infanzia, un'importanza minore.

L'ipotesi permetterebbe di capire perché l'allevamento in regime di separazione dalla natura, che è proprio della vita urbana, se anche avviene in un contesto affettivo ottimale, frustra un bisogno primario determinando degli effetti disfunzionali in termini di malessere, irrequietezza, insonnia, ecc.

Se ciò fosse vero, e mi auguro che si possano avviare delle ricerche atte a convalidare o invalidare l'ipotesi, occorrerebbe ripensare le condizioni oggettive in cui avviene oggi l'allevamento, capire che il regime di vita urbana è, per i bambini in maniera più drammatica che per gli adulti, un regime d'internamento e di claustrazione, un regime infine repressivo e nevrotizzante.

Questo fornirebbe la chiave (non l'unica ovviamente) per capire il mistero per cui i bambini di oggi, indubbiamente più curati rispetto al passato, stanno, psicologicamente e psicosomaticamente, in media, peggio di quelli del passato. Forse, per questa via, si potrebbe capire anche che il loro pervicace attaccamento al televisore, ai videogiochi, al computer rappresenta un compenso (negativo) di un bisogno primario frustrato.

Ottobre 2002