La problematica sessualità contemporanea

Le rivoluzioni - è ormai un luogo comune - finiscono col dare luogo a imprevedibili e sorprendenti restaurazioni. Qualcosa del genere sta avvenendo nell’ambito della sessualità contemporanea. La liberazione degli anni ‘70, stando a quanto affermano le statistiche e come è comprovato dalla proliferazione sul mercato di specialisti (psicologi, sessuologi, andrologi, ecc.), sembra avere prodotto degli effetti paradossali. Secondo recenti statistiche, nei paesi occidentali, i disturbi della sessualità investono una quota rilevante della popolazione.

Il 20-30% degli uomini soffrono di disturbi della potenza, il 30-45% delle donne di anorgasmia. L'anoressia sessuale, la perdita completa del desiderio, riguarda il 5-7% degli uomini e il 5-10% delle donne. La bulimia sessuale, l'incoercibile compulsione ad avere rapporti, affligge il 5% degli uomini e il 3% delle donne. Le perversioni, dalla pedofilia ai giochi incentrati sullo scambio di coppia e al sado-masochismo, sono in costante aumento. Il fenomeno non è quantificabile, ma è comprovato dai siti Internet, dalle chats, dal proliferare dei sexy-shop, dalla presenza sempre più massiccia sul mercato dei transessuali, dal pullulare dei clubs privati aperti ad esperienze di sesso estremo. Sulla rete si va anche diffondendo la pratica del cyber-sex, del sesso virtuale che si avvale di una tecnologia raffinata per quanto costosa e quindi ristretta a pochi privilegiati. Anche l'omosessualità, sia maschile sia femminile, è in aumento costante da anni. Last but nont least, un numero crescente di persone rivendicano la bisessualità come condizione suprema di normalità.

Gli specialisti - sessuologi, psicologi, psichiatri - gongolano. La domanda di cura lievita. Meno però delle loro aspettative perché parecchi degli interessati non inclinano a consultarli.

Gli omosessuali, in particolare, ottenuta negli Stati Uniti l’abolizione dello stigma per cui, sino a qualche anno fa, la loro condizione era inserita nella classificazione ufficiale delle patologie psichiatriche (il DSM), la rivendicano come una condizione da rispettare in quanto naturale, dovuta cioè a fattori prevalentemente genetici, o espressione di una libera scelta di vita. La rivendicazione va bene, le interpretazione no. La prima perché si basa sul rilievo, da parte di psicoterapeuti omossessuali, di tratti di carattere particolari presenti sin dalla prima infanzia (una spiccata sensibilità, una ricca emozionalità, una carenza di aggressività, una predilezione per le bambine e per i giochi femminili, ecc.) che possono essere valutati come indiziari di una predisposizione genetica solo adottando un modello pregiudizialmente maschilista. La seconda perché, pur considerando il diritto degli omosessuali di vivere la propria condizione senza dovere pagare prezzi sociali dovuti ai pregiudizi ancora diffusi, il carattere libero della loro scelta è contestato da molteplici circostanze.

Lo stereotipo del gay serenamente realizzato nella sua condizione - stereotipo che i movimenti omosessuali tendono a propagandare - è lontano dalla verità. Nella stragrande maggioranza delle esperienze (soprattutto maschili), infatti, l’omosessualità è caratterizzata da una ricerca affannosa e febbrile di nuove conquiste, da un’incessante elaborazione e realizzazione di strategie seduttive, da un bisogno prepotente di dominio (presente anche in coloro che si sottomettono) rispetto al partner, da una tendenza a vivere e ad esaurire le esperienze interpersonali sul registro della sessualità, al di sotto della quale si cela una vera e propria fobia dei legami affettivi, dal culto perfezionistico dell’immagine estetica, sottesa dall’angoscia dell’invecchiamento e della perdita del potere attrattivo, dall’ossessione infine (più frequente di quanto si pensi) di conquistare e sottomettere un eterosessuale. Sono dati dai quali, se è illecito ricavare un giudizio di patologia psichiatrica, è ingenuo ricavare uno stato interiore affrancato da conflitti.

Anche alcune persone che praticano le perversioni difendono le loro preferenze attribuendole al bisogno di nuovi stimoli, al gusto spiccato per la trasgressione e per il rischio. Si sentono insomma come esploratori di un nuovo territorio del piacere precluso, fino ad oggi, dai tabù e dai conformismi. Ma, nella realtà, la loro ricerca non è meno angosciosa rispetto a quella degli omosessuali, poiché il piacere infinito verso cui tendono sembra, nell’orizzonte della loro esperienza soggettiva, configurarsi come un miraggio che si sposta via via che procedono. Di fatto i piaceri che sperimentano sembrano più legati all’aspettativa che non alla pratica reale della sessualità. E non è un caso che, affascinati dal miraggio, molti di essi debbano imporsi costantemente di sormontare i confini raggiunti. La frontiera della pedofilia, in particolare, getta una luce sinistra su questa ricerca infinita di nuovi stimoli. Non meno importante è l'orientamento verso il sesso estremo, che sembra associare il piacere unicamente a situazioni di grave rischio personale e medico. Sono noti incidenti mortali legati alle pratiche sado-masochistiche. Quasi tutti gli omosessuali che vengono uccisi subiscono la rappresaglia di partner eterosessuali cui hanno imposto il rapporto.

Per capire questi fenomeni, occorre sgombrare preliminarmente il campo dalle razionalizzazioni che producono i diretti interessati. Occorre nondimeno guardarsi dalle intepretazioni di maniera, riconducibili a forme diverse di conservatorismo ideologico. Secondo il conservatorismo religioso, la liberazione sessuale non avrebbe fatto altro che aumentare il potere del Male, se non addirittura del Maligno, producendo, per un verso, la perdita del mistero dell’amore psicofisico, che si rifletterebbe nei disturbi della potenza maschile e femminile, e per un altro una corruzione dilagante che avrebbe già prodotto, con l’AIDS, il suo (giusto!) flagello. Per il conservatorismo di destra, tutti i mali della sessualità contemporanea sarebbero da ricondurre ad un’eccessiva libertà che avrebbe, per un verso, in conseguenza di una pratica troppo precoce, estenuato sia gli uomini che le donne, e per un altro spinto alcuni verso i paradisi artificiali delle perversioni.

Non è neppure importante sottolineare che queste valutazioni fanno riferimento ad un mitico buon tempo antico, caratterizzato da costumi ligi e severi, che gli storici hanno smascherato come pervaso di nevrosi e di incubi sessuali di ogni genere. Ricavare da questo, come fanno alcuni psicoanalisti, che non è avvenuto di fatto alcun cambiamento a livello psicologico e che, semplicemente, avvalendosi di un clima più permissivo, l'uomo darebbe realizzazione alle pulsioni inconsce che fanno parte della sua natura, è ridicolo. Non esiste un homo psicologicus universale. Esiste di certo una natura umana. Ma le manifestazioni comportamentali degli esseri umani richiedono sempre e comunque di tenere conto del contesto storico-culturale entro cui si realizzano.

Per azzardare qualche interpretazione di quanto sta accadendo, occorre valutare meglio i dati in questione, disaggregandoli. In un numero non indifferente di casi i disturbi della sessualità sono, senza dubbio, epifenomeni di una condizione di disagio psichico. Non occorre una particolare competenza psichiatrica per capire in quale misura gli attacchi di panico e le depressioni, che si vanno diffondendo a macchia d’olio nei paesi occidentali, mal s'accordano con l'esercizio della sessualità. Anche scorporando questa quota, però, le statistiche non risultano meno inquietanti. Per non cadere nella banalità dello psicologismo spicciolo che assume quei disturbi univocamente come sintomi di un disagio strettamente individuale, occorre ricondursi a qualche circostanza psicosociologica che ne rappresenta l’humus.

Il problema viene risolto, dai mass-media e talora anche dagli specialisti, facendo riferimento allo stress cui sarebbero soggetti tutti coloro che partecipano della società del benessere la cui vita è scandita da ritmi, impegni, doveri implacabili. Ma il termine stress, nella sua genericità, suggerisce solo che un dispendio energetico fisico e nervoso, legato alle esigenze quotidiane, possa indurre, particolarmente la sera, una stanchezza e una demotivazione poco compatibile con la sessualità. C’è da considerare anche la possibilità che non sia la stanchezza in sé e per sé, ma la paura di un ulteriore dispendio energetico, percepito come poco compatibile con le scarse riserve, ad inibire il desiderio e la prestazione. Paradossalmente, secondo alcuni lo stress sarebbe in gioco in alcune perversioni che, complice o meno la cocaina, si realizzerebbero come un’espressione di protesta nei confronti del tran-tran quotidiano e di rivendicazione di una vita stimolante e inquietante. Tale interpretazione trova sostegno nel fatto che un numero crescente di persone vivono ormai una sorta di sdoppiamento tra un'esperienza quotidiana integrata e insospettabile e un'altra vita, prevalentemente diurna per le donne e notturna per gli uomini, fondata sulla pratica di una sessualità trasgressiva e perversa.

Al di là dello stress, un fattore importante di ordine psicosociologico è identificabile nel conflitto tra i sessi, subentrato in seguito al femminismo che ha posto in crisi l’egemonia maschile. Tale conflitto, conscio o inconscio che sia, ha trasformato i rapporti tra uomo e donna in una sorta di sottile guerra di potere rivolta ad assicurarsi il dominio sull’altro e a scongiurare la paura di trovarsi in uno stato di subordinazione o di debolezza. Il conflitto tra i sessi influenza la sessualità in modi molteplici e per alcuni aspetti paradossali. Esso induce in alcuni uomini, che attribuiscono univocamente alle donne delle esigenze sessuali elevate e difficili da soddisfare, un senso di inadeguatezza che determina facilmente delle defaillances. Ma è pur vero che, talora, le defaillances intervengono così costantemente non appena la donna si eccita da lasciare pensare che esse mirino inconsciamente a frustrarla. Per quanto concerne le donne, l’anorgasmia, un tempo imposta culturalmente come prova della loro onestà, oggi più spesso sembra funzionale a mettere l’uomo in condizione di sperimentare la sua inadeguatezza, ad attestare insomma una sorta di inaccessibilità che esaspera l’uomo ma inconsciamente soddisfa il bisogno femminile di sentirsi superiore in quanto immunizzata dal perdere il controllo su di sè. Non è raro infatti che le donne anorgasmiche, per quanto talora afflitte dal disturbo, confessano che, nel momento in cui l’uomo si abbandona al piacere, contorcendosi e emettendo dei guaiti, lo osservano freddamente giudicandolo un "animale" privo di controllo e patetico.

Il tema del conflitto, della prova di forza è presente anche in molte perversioni. Alcuni omosessuali, come si è accennato, nutrono ossessivamente il desiderio di assoggettare un eterosessuale, un "macho" e, se riescono ad indurlo a sottoporsi al rapporto, godono anche rendendosi conto che l’altro non partecipa e che nel suo intimo li disprezza. La pratica dello scambio di coppia spesso è sottesa dal desiderio di mettersi reciprocamente alla prova e di vedere chi è tra i due che crolla prima per effetto della gelosia o della frustrazione. Per quanto riguarda il sado-masochismo la logica di potere è del tutto evidente, ma non così semplice come si potrebbe pensare. Il masochista infatti, se prova piacere nel soffrire e nell’essere maltrattato, talora ne ricava uno ulteriore dall’opporre all’altro una resistenza nel provare dolore che lo esaspera. E’ superfluo aggiungere che, in casi del genere, facilmente il rapporto può avere degli esiti traumatici o fatali.

Questo excursus non sarebbe completo se non si tenesse conto però di un’altra circostanza, finora rimasta nell’ombra, e che appare destinata ad incidere nel tempo. Per quanto possa sembrare un paradosso, c’è da cominciare a pensare che la liberazione sessuale stia producendo degli effetti disfunzionali poiché essa ha finito con il produrre un nuovo codice normativo, coercitivo quanto qualunque altro codice normativo, e per giunta organizzatosi paradossalmente sotto l’egida della libertà che lo rende meno riconoscibile. Numerosi dati sembrano non solo corroborare tale ipotesi ma obbligare una rilettura a posteriori della rivoluzione sessuale. Occorre risalire alle origini, agli anni ‘70, allorchè il verbo della liberazione funzionò effettivamente anche come una terribile coercizione. Chi ha memoria storica ricorda che in quegli anni la disinibizione sessuale rappresentò la prova dell’affrancamento dalle tradizioni repressive dei padri, e che molti adolescenti e giovani, soprattutto tra le donne, per sfuggire all’onta di essere giudicati inibiti, dovevano dare prova di essere più o meno sempre disponibili. In nome della liberazione sessuale molti si costrinsero ad avere rapporti anche non desiderati per potersi accreditare come non repressi. In questa gara ad apparire affrancati dalla repressione precedente molte giovani donne, che partivano da una situazione svantaggiata, finirono con il violentarsi e con lo sviluppare nevrosi di ogni genere.

Ciò non significa che quella rivoluzione fu inutile. La rigida morale presistente era veramente intollerabile. Poter parlare liberamente di sessualità, proporsi di iniziare ad essa i bambini istruendoli anzichè coltivare la loro morbosa innocenza, consentire agli adolescenti di affrancarsi dall’incubo del peccato e di considerare il sesso un diritto individuale, rivendicare la capacità orgasmica come uno dei piaceri più intensi concessi dalla natura agli esseri umani si possono ritenere autentiche conquiste. Ma tali conquiste hanno avuto un prezzo: da tabù qual’era la sessualità si è trasformata, nonché in piacere, in obbligo. Da allora l’esibire una disponibilità e una vitalità sessuale perenni, il vivere il desiderio come una funzione continua (mentre esso è bioritmico: s’incrementa e si affievolisce periodicamente secondo ritmi strettamente individuali), il considerare all’interno della coppia l’intensità del desiderio come unico segno certo dell’amore sono divenuti un codice normativo. Sarebbe lungo elencare tutti i dati che depongono a favore di questa paradossale verità, che risulta peraltro perfettamente integrata con l’ideologia di una società che si ritiene libera e che in realtà codifica l’esercizio della libertà in molteplici modi. Il dato in assoluto più importante è che, pur essendo la sessualità una dimensione strettamente privata, la corporeità e l’immagine, che ne rappresentano il presupposto, sono divenuti un budget. Non si spiegherebbe altrimenti l’orgia degli stilisti che si affannano a valorizzare il corpo in tutte le salse per renderlo seduttivo, l’aumento esponenziale delle spese per cosmetici, il ricorso sempre più frequente ai chirurghi estetici, le ossessive frequentazioni delle palestre, ecc.

Altri dati, più sottili, confermano la trasformazione della liberazione sessuale in un codice normativo.

Le donne in genere non sopportano il fatto che gli uomini, dopo aver loro offerto una cena, regolarmente stendono le mani, ma se capita che ne frequentino uno che, dopo due o tre volte che ci esce insieme, non ci prova, dubitano della sua virilità. E gli uomini, per conto loro, nelle stesse circostanze, anche se i loro intenti sono — per così dire — seri, si sentono obbligati a stendere le mani per scampare all’onta di essere giudicati omosessuali.

Alcune donne non hanno ancora alcun interesse esplicito per la sessualità, ma, cionostante, pretendono che il partner faccia con loro l’amore almeno una volta la settimana per sentirsi normali. Gli uomini ovviamente, avvertendo dall’altra parte uno scarso desiderio, vivono quell’aspettativa come un obbligo.

La normalità sessuale, questa contraddizione in termini che ignora essere la sessualità uno spettro ampio di desideri personali e reciproci, viene vissuta in riferimento ad un modello massimale. Non pochi uomini e un po’ meno donne hanno già bisogno oggi di avere rapporti quotidiani per non cadere in una crisi di identità sessuale. Ma se quel modello trova rari riscontri nella pratica, esso si impone sempre più spesso a livello soggettivo inducendo le persone a misurare di continuo l’intensità del loro desiderio e a preoccuparsi di qualunque flessione. All’interno della coppia coniugale poi l’affievolirsi del desiderio dell’uno viene vissuto drammaticamente come espressione di un disamore se non addirittura di un tradimento in atto.

Il dover nutrire continuativamente desiderio e il dover fare l’amore rappresentano gli esiti paradossali della rivoluzione sessuale: una gabbia normativa terribilmente coercitiva che, in nome della libertà, produce la ritualizzazione del desiderio e della prestazione, e, di conseguenza, l’affiorare inconscio di un opposizionismo che si traduce nell’impotenza.

Se alle coercizioni della vita quotidiana e alla guerra tra i sessi si aggiunge l’obbligo, soggettivo e sociale, di essere sempre desideranti e di far l’amore i dati statistici, che attestano l’esprimersi della ribellione laddove è possibile, sotto le coperte, non riescono affatto sorprendenti.

Per quanto riguarda le perversioni, c’è solo da pensare che tale obbligo sia solo recepito più profondamente di quanto accada nei ‘normali’ e eseguito secondo modalità che simulano l’anarchia.

Ma ciò significa infine che la rivoluzione sessuale ha prodotto una nuova e più insidiosa forma di schiavitù? La cosa può sorprendere solo coloro che credono che una società come la nostra possa produrre, ad un qualunque livello, un’autentica libertà.