La peste del Capitalismo e il vaccino della Psicologia


1.

Per avviare questa nota, prendo spunto da un articolo pubblicato da la Repubblica a firma di Vera Schiavazzi, che riporto integralmente:

Ricordate i manuali americani su "come diventare più efficienti", "come organizzarsi meglio" o "come imparare a suonare il pianoforte in 6 ore"? Se ne avete in libreria, è giunto - definitivamente - il momento di buttarli nel cassonetto destinato alla carta (da riciclare, naturalmente). Non solo "fare in fretta" è diventato decisamente fuori moda, qualcosa di cui vergognarsi e da nascondere accuratamente, ma stanno nascendo movimenti, specialisti e terapie mirate per insegnare a un'intera generazione di adulti occidentali a disintossicarsi dalla fretta.

La tendenza arriva dall'Europa centrale, ma ha già conquistato la Francia, ha deviato in Italia lungo filoni gastronomici ed ecologisti e ora approda negli Stati Uniti, dove le donne workaholic sono ormai entrate di prepotenza nella fiction televisiva: in una recente puntata di ER, ad esempio, una madre lavoratrice con tre figli finisce al pronto soccorso per colpa delle anfetamine che è costretta a prendere per "tenersi su".

Così, non resta che mettersi a studiare - o a copiare da chi non ha mai smesso di andare piano - per guarire dalla malattia della velocità e ritrovare ritmi più umani. Incidentalmente, ciò potrebbe significare anche minori consumi energetici, più tempo per la ricerca e la formazione, un minor carico per i sistemi sanitari e assistenziali di Europa e Stati Uniti.

Ma limitiamoci alla moda, e alle sue derivazioni culturali. Esci prima dall'ufficio è il manuale che l'americana Laura Stack ha scritto per "rieducare" le sue compagne di genere e di sventura e convincerle che "la vita è altrove". Regole auree? Almeno un'ora di intervallo durante l'orario di lavoro e almeno un'ora da trascorrere con i familiari (non possono essere calcolate quelle durante le quali in casa tutti gli altri dormono). No, rigorosamente, al trasporto ossessivo del proprio pc portatile in ogni spostamento e nei weekend, no all'accumulo del "pending" (le pratiche in sospeso) in una vaschetta debordante. La Stack (Sperling & Kupfer editori) si limita alle donne, perché oggi sono loro (insieme ai lavoratori intellettuali precari o più bassi nelle gerarchie aziendali) le più sfortunate vittime di ritmi troppo elevati.

Ma non ci sono soltanto le istruzioni per l'uso. Un altro modo per decelerare è quello di ridurre l'uso esasperato di strumenti tecnologici. L'editore Ponte alle Grazie manda in questi giorni in libreria Meglio senza di Eric Brende, una ricerca sulle comunità anabattiste che nell'America profonda vivono, da sempre, come nell'Ottocento. Un esempio difficilmente applicabile alla vita della maggior parte delle persone, ma ugualmente utile a Brende (che nella vita è ricercatore del Massachussets Institute of Techmology, dove si occupa di inventare cose davvero utili) e ai suoi lettori per riflettere sull'effetto moltiplicatore degli oggetti: se il forno a microonde è indispensabile lo è anche il dvd, e così via, in una spirale infinita che tende a rendere i prodotti sempre meno durevoli e sempre più inquinanti, mentre le cose che richiedono molto tempo per essere prodotte vedono il proprio prezzo salire alle stelle.

Così, in Austria, Svizzera e Germania è nata l'Associazione per il Rallentamento del Tempo (il sito) che non chiede null'altro ai propri aderenti se non di contattare altri soci potenziali. Con calma, ovviamente. Quelli di Zeitverein vogliono semplicemente far riflettere, chiunque può aderire e trovare sul loro sito dati, letteratura e citazioni che come minimo smetteranno di farlo sentire stupido se impiega otto ore a svolgere un compito che le richiede, anziché le quattro utilizzate dal collega più giovane o più "malato" e nevrotico.

In Francia, le cose hanno preso una piega diversa, inducendo il Nouvel Observateur a dedicare copertina e dossier ai "ribelli del lavoro", ovvero ai seguaci di Corinne Maier, autrice di Buongiorno, pigrizia, best seller a Parigi e a New York. Il fenomeno dei giovani e brillanti laureati disposti a guadagnare fino al 20% in meno per una settimana di vacanze in più viene segnalato in tutta Europa dai cacciatori di teste. Orario ed eventuali straordinari nei weekend sono ormai ai primi tre posti nella graduatoria degli elementi decisivi per chi ha la possibilità di scegliere tra un posto di lavoro ed un altro.

Per chi non vuole, non può o non sa ribellarsi, tuttavia, esiste una via soft alla disintossicazione e al rallentamento. Un esempio chic e a costo zero? Restare in silenzio almeno 15 minuti al giorno. Da leggere, in proposito, Riscoprire il silenzio (in libreria il 19 novembre per Baldini Castoldi Dalai), raccolta di saggi curata da Nicoletta Polla-Mattiot sul significato di questa antica e speciale forma di comunicazione.”

L’articolo riguarda la psicopatologia da stress, che è forse la più diffusa nel nostro mondo, e viene ricondotta ai ritmi di vita frenetici che esso impone. Tali ritmi sono dovuti al modello socioeconomico dominante – il capitalismo liberistico –   e alla cultura dell’efficienza su cui esso si fonda, che comporta l’uso produttivo del tempo come valore fondamentale. I danni che tale modello produce sono a tal punto evidenti che non è sorprendente l’entrata in azione di specialisti e guru di vario genere i quali ritengono che basti un po’ di buona psicologia new-age a porvi rimedio.

La locuzione “stanno nascendo movimenti, specialisti e terapie mirate per insegnare a un'intera generazione di adulti occidentali a...” potrebbe essere utilizzata per una serie di fenomeni che sono diventati tutti, alla pari della fretta, oggetto di tecniche e di terapie riabilitative. Psicologi e esperti di varia umanità offrono i loro servizi, di solito a prezzi salati,  per i più vari fini: percepire il proprio corpo, entrare in contatto con le emozioni, sperimentare l’energia cosmica che pervade l’organismo e la mente, aumentare l’autostima, pensare positivamente, scoprire il vero Sé, riabilitare la capacità di contatto interpersonale, immergersi nella propria interiorità, dissolvere lo stress, ecc.

Al di là dell’aspetto speculativo, gli intenti sembrano lodevoli: alleviare la sofferenza psicosomatica che pervade la nostra società senza fare ricorso a psicofarmaci che intossicano e rendono dipendenti, e senza aspettare che sopravvengano cambiamenti strutturali dell’organizzazione sociale che non sembrano prevedibili a breve e medio termine.

C’è una domanda che muove da una quota della popolazione che di fatto accusa malessere, rifiuta in genere di considerarsi affetta da un disagio psichico, è avversa agli psichiatri e agli psicofarmaci, non può (economicamente) o non vuole sdraiarsi sul lettino psicoanalitico, ma ha bisogno di aiuto. A questa domanda risponde l’offerta di psicologi di varia formazione che si inventano “terapie” rapide, a basso costo, che impegnano le persone senza obbligarle a guadarsi troppo dentro e intorno>  a sé. I week-end di full-immersion, che rappresentano la modalità consueta con la quale si realizzano queste terapie, nonostante>  costino da 100 a 200 euro, sono notevolmente frequentati.

Tale fenomeno richiede qualche riflessione.

2.

La prima verte su di una contraddizione intrinseca alla storia della psicologia e al suo uso sociale. Tale uso si riconduce all’applicazione dei metodi della psicologia sperimentale al perseguimento di fini diversi in tutte le sfere della vita umana individuale e sociale. Nel suo ambito però è facile distinguere (anche se non va più di moda) un orientamento è psico-tecnico e uno in senso lato psicoterapeutico.

La psico-tecnica, fin dai suoi esordi, è stata applicata al lavoro: essa, infatti, è nata nell’industria in un’epoca in cui la contrazione dei mercati rendeva più aspra la concorrenza. La funzione della psicotecnica era quella di meccanizzare la mano d’opera, di sottoporre il lavoro umano a norme scientifiche, di utilizzare al meglio le potenzialità umane. Il taylorismo e il fordismo rappresentano, nei primi decenni del Novecento, le applicazioni più rilevanti di questa disciplina che si è, successivamente, potenziata e affinata. Attualmente, essa investe la selezione e la formazione del personale, la promozione della flessibilità (vale a dire dell’adattamento dei lavoratori ai rapidi cambiamenti della tecnologia), la formazione dei manager al fine di dotarli di strumenti sempre più incisivi di gestione delle risorse umane, ecc.

L’organizzazione del lavoro oggi, è, in massima parte, espressione della psico-tecnica, che si è alleata con le esigenze di razionalità del capitalismo e tenta di fornire ai manager e ai fautori del liberismo la possibilità di realizzarle in maniera mistificata, facendole passare come una valorizzazione del capitale umano. Nella misura in cui il lavoro rappresenta la dimensione temporalmente più importante">  nell’organizzazione della vita individuale, è evidente che la psico-tecnica si può ritenere responsabile dello stress che pervade la civiltà occidentale.

Gli psicologi che si dedicano alla selezione del personale e alla formazione dei manager guadagnano cifre imponenti. Il guadagno è però subordinato all’efficacia del loro lavoro, vale a dire alla capacità che hanno di porre a disposizione delle aziende lavoratori affidabili, capaci cioè di accettare la logica della flessibilità senza resistenza (in pratica di farsi sfruttare) e di permettere ai manager l’apprendimento delle strategie comunicative atte a far sentire i lavoratori partecipi di una causa – la crescita dell’azienda – da cui essi ricavano come precario vantaggio la sicurezza relativa del posto di lavoro.

A rigor di logica, tutte le applicazioni pratiche della psicologia si possono fare rientrare nell’ambito della psico-tecnica. E’ agevole però capire che la psicopedagogia e le psicoterapie, pur mirando a raggiungere dei fini attraverso l’impiego delle risorse mentali, sono, o dovrebbero essere più centrate sull’interesse dei soggetti che non su quello del sistema.

I movimenti, gli specialisti e le terapie orientate ad insegnare a un'intera generazione di adulti occidentali a stare meglio con se stessi e con gli altri rientrano chiaramente in questo ambito. Esse si prefiggono di aiutare le persone ad utilizzare meglio le proprie risorse in rapporto all’ambiente e di adottare strategie che, in qualche misura, diano luogo ad interazioni interpersonali e sociali più positive.

Tenendo conto di questa distinzione tra psico-tecnica e psicoterapia in senso lato, si può sostenere che le “scienze” psicologiche forniscono al capitalismo strumenti essenziali per manipolare gli esseri umani (all’insegna del miglior utilizzo delle risorse umane), e nello stesso tempo si dedicano speculativamente a rimediare ai danni dello stress che, almeno in parte esse stese concorrono a produrre. Come esempio di questo paradosso posso portare la conoscenza personale di alcuni psicologi polivalenti che gestiscono corsi di formazione per manager, sono adibiti, in alcune aziende, a uno sportello per i lavoratori che hanno dei problemi, e, nel tempo libero, si dedicano agli incontri di gruppo mirati ad insegnare alle persone come vivere meglio.

3.

In un libricino (Il mito della psicoterapia) un po’ scombiccherato, ma degno di miglior fortuna, Thomas Szaz, dopo aver contestato che le psicoterapie abbiano un carattere medico, sostenendo che il termine terapia è solo metaforico, trattandosi in senso proprio   di interventi di carattere morale, dedicava l’ultimo, godibilissimo capitolo agli usi e agli abusi della psicoterapia. Vi si trova di tutto: la terapia sessuale, fondata sulle prestazioni fisiche di una terapeuta, quella della danza,   dell’arte creativa,   dell’amicizia, dell’urlo, del cane, del campeggio, della vela, della preghiera, ecc. Il libro di Szaz risale a oltre vent’anni fa. Meriterebbe un aggiornamento data l’esplosione di terapie alternative avvenuta nel frattempo.

I problemi legati a queste tecniche alternative sono però molteplici.

Primo, se gli obiettivi che esse si prefiggono corrispondono ad una domanda reale, la nostra società è un insieme di esseri variamente mutilati nella capacità di percepire e valutare se stessi, di sentire il corpo e le emozioni, di nutrire affetti, entrare in rapporti significativi con gli altri, ecc.   Se questo è vero (e in una certa misura lo è), occorrerebbe chiedersi quali siano le cause di questo disastro antropologico. Le tecniche in questione prescindono dall’analisi delle cause: offrono la soluzione del problema ponendone tra parentesi la genesi. Rivelano, insomma, la loro matrice, che è un’ideologia pragmatica.

Secondo, tali tecniche, per quanto non immuni certo da elementi di suggestione, s’incentrano sulla capacità della coscienza di entrare in un contatto sempre più intimo con il corpo, con il mondo interiore e con l’altro. Danno per scontato, insomma, che la coscienza abbia una capacità di comunicare praticamente senza limiti con il mondo interiore proprio e altrui. Si tratta di una conseguenza dell’egemonia conseguita dal cognitivismo sulla psicoanalisi e sugli orientamenti psicodinamici. Il problema è che le teorie non modificano la realtà: come ha intuito Freud, la coscienza rimane maestra di inganni.

Terzo, le tecniche in questione, recependo in parte le suggestione della teoria della comunicazione, ritengono che il mondo non esiste come una realtà oggettiva univoca: esso, almeno in parte, è determinato da come il soggetto si rapporta ad esso. Si tratta di una verità che ha una certa portata. In determinate circostanze, cambiando un modulo di comunicazione un soggetto può scoprire che   la risposta del mondo nei suoi confronti cambia. Assolutizzare questo principio però è assurdo. Un soggetto che deve vedersela con il traffico urbano per due ore al giorno, può adottare tutte le strategie che vuole. Egli rientra a casa comunque nervoso e stressato, considerando che quelle due ore sono solo la cornice della sua attività lavorativa. Analogo discorso vale per il numero crescente di donne che, tra casa, figli e lavoro, non hanno un attimo di tregua.

Il problema dello stress è reale, ma esso riconosce due componenti. C’è una componente oggettiva, legata all’organizzazione sociale del nostro mondo, che è massimamente nociva a livello di grandi centri urbani. Per ridurre l’impatto con questa componente non c’è psicotecnica che valga. Fortunati sono solo coloro che si sottraggono all’impatto>  minimizzando gli spostamenti, lavorando a casa o volgendo un lavoro appagante che lascia ad essi un notevole grado di libertà e di possibilità di organizzare il proprio tempo.

La componente soggettiva fa riferimento al fatto che, assoggettati allo stress, gli esseri umani tendono spesso a fornire risposte paradossali. Molti ormai sono a tal punto pervasi dalla concezione della vita come una sfida che non concede scampo ai deboli – ideologia costitutiva del capitalismo – che, pur intuendo la sostanziale irrazionalità del modo affannoso in cui vivono, si drogano dell’affanno, moltiplicano i propri impegni, non si danno respiro e sono appagati dal loro volontarismo nonostante il corpo e il cervello lancino messaggi di ogni genere che denunciano il potere arbitrario che essi esercitano su di una macchina di cui sono solo amministratori.

I più a rischio in questo senso sono i manager, i funzionari, i liberi professionisti. E non è un caso che siano proprio questi i maggiori fruitori delle tecniche terapeutiche altenative. Il problema è che le utilizzano non per chiarirsi le idee su stessi e sulla vita, bensì come strategie utili per risparmiare le energie e investirle in maniera sempre più produttiva.

Essi sono gli allievi di Benjamin Franklin, che ha espresso in maniera compiuta lo spirito del capitalismo scrivendo: “Considera che il tempo è denaro; chi potrebbe guadagnare con il suo lavoro dieci scellini al giorno e per mezza giornata va a spasso, o poltrisce nella sua camera, anche se spende solo sei pence per   i suoi piaceri, non deve contare solo questo; inoltre ha speso altri cinque scellini, o meglio li ha buttati via.” Sei pence sono spesi ora per frequentare i gruppi d’incontro che insegnano a vivere meglio, nella speranza che essi siano bene investiti, vale a dire che ne producano venti di lavoro.

Non si sono mai dati, nella storia dell’umanità, tanti maestri di saggezza quanti se ne contano oggi tra le file degli psicologi. Nonostante il loro intento (speculativo più che umanitario), non si à mai dato un mondo meno saggio.

4.

In Star Male di Testa Star Male di Testa ho scritto che conoscere appena un po’ meglio se stessi e riuscire a cambiare quel tanto che basta a sentire di essere partecipi  della vita, e non ruote di un ingranaggio, richiede un prezzo da pagare. L’apprendimento di tecniche e strategie cognitive, comunicative e comportamentali serve a ben poco, perché la condotta dell’essere umano è in parte rilevante determinata da una gerarchia di motivazioni che agisce al di là del livello della coscienza, e fa capo all’intera storia personale nonché alle influenze ideologiche che il soggetto subisce. Scoprire questo nodo di motivazioni, capirne l’origine e il senso, e cambiarle, per quanto possibile, richiede, come prezzo, la sgradevole scoperta che la coscienza, in genere, non fa altro che giustificare i nostri comportamenti, illudendoci di essere padroni di noi stessi. E’ insomma la scoperta dell’alienazione costitutiva del nostro essere, frutto della socializzazione e dell’acculturazione, a rappresentare la premessa della liberazione.

Gli specialisti che pretendono di insegnare alla gente come vivere meglio senza pagare questo prezzo non fanno altro che ingannarla.

Un esempio basta a capire quest’assunto. L’affanno, l’iperimpegno, la tensione verso l’uso pieno delle proprie risorse, il desiderio di migliorarsi di continuo sono espressioni proprie del perfezionismo, vale a dire di una condizione patologica che viene avvertita soggettivamente come funzionale e indispensabile all’autorealizzazione individuale. I perfezionisti rappresentano l’incarnazione del tipo ideale proprio della nostra società. Essi vivono un regime di schiavitù, ma non se ne rendono conto, e si ritengono in genere migliori degli altri. Sono inclini a recepire le suggestioni della psico-tecnica: gli studenti perfezionisti affollano i corsi che insegnano a potenziare la memoria, i manager accettano qualunque consiglio strategico che aumenti l’efficacia del loro lavoro, le donne perfezioniste – in carriera o casalinghe – si rivolgono alla psicoterapia con l’intento però di scongiurare la stanchezza che le opprime e di funzionare meglio. Tutti questi usi però sono impropri perché non vanno alla radice del problema, vale a dire non mettono le persone in grado di coprire la propria schiavitù.

Offrire a questa popolazione disagiata una risposta è necessario. Illuderla però sul fatto che la soluzione dei problemi è a portata di mano è uno dei tanti fenomeni del nostro mondo che ne rivelano la fatuità e la distanza da verità che, nell’ambito delle scienze umane e sociali, dovrebbero essere acquisite.