La dipendenza maschile


1.

Il capitolo 19 di Star Male di Testa (Lui), dedicato alla dipendenza femminile, per quanto riconosciuto come rispondente alla realtà, ha evocato in alcune lettrici un moto di protesta. Perché - è stato eccepito - insistere tanto sulla dipendenza (patologica) femminile minimizzando il contributo che la cultura maschilista dà al mantenersi del problema e dedicando appena un cenno alla dipendenza maschile? Il primo rilievo mi sembra impreciso. E' chiaro, infatti, che io riconduco la dipendenza femminile ad un condizionamento storico-culturale d'antica data, vale a dire all'interiorizzazione da parte delle donne di un'immagine prodotta dalla cultura maschilista. Potrei solo aggiungere che, in alcuni casi, il problema è esasperato dal vano tentativo, da parte di alcune donne, di adottare come soluzione il codice maschilista della "forza" che le porta nel vicolo cieco di diventare aggressive e maltrattanti nei confronti del partner.

Il secondo rilievo è, invece, giusto. La scelta che ho operato risponde a due motivi. Primo, la dipendenza femminile ha un'incidenza psicopatologica statistica nettamente superiore: sono molte di più le donne che chiedono un aiuto terapeutico per risolvere il problema relazionale che le tormenta rispetto agli uomini. Secondo, essa, a mio avviso, ha un significato storico e psicosociologico di gran lunga più rilevante, poiché attesta un travaglio culturale, originatosi sull'onda del femminismo, che non è giunto ancora al suo esito finale.

Detto questo, ritengo importante rimediare all'"ingiustizia" con questo articolo.

A differenza di quella femminile, la dipendenza maschile è più mascherata e più drammatica. Il mascheramento è riconducibile, per un verso, ad un condizionamento culturale per cui l'uomo è sollecitato a controllare le emozioni e gli affetti in nome della necessità di apparire forte e padrone di sé, e, per un altro, ad una tradizione e ad una struttura sociale che gli consente di occultare come privilegi i suoi bisogni di dipendenza.

Per quanto concerne il primo aspetto, esso si esprime attraverso tre diversi comportamenti: il dominio, la fobia dei legami, l'anaffettività. Il bisogno di dominare per celare la propria dipendenza orienta spesso alcuni uomini a entrare in rapporto con donne manifestamente dipendenti e a farsene carico. Questo dà luogo a rapporti complementari che possono rimanere in equilibrio anche per lunghi periodi, a patto che la donna accetti di ricoprire il ruolo di essere debole, subordinato e bisognoso. Se essa, spontaneamente o per effetto dell'analisi, comincia a rivendicare una maggiore autonomia o una qualche parità, si trova di fronte ad un atteggiamento che tende a respingerla nella dipendenza. Se insiste nella rivendicazione, c'è il rischio che l'uomo prima s'incattivisca, minacciando l'abbandono, e poi, di fronte ad un processo irreversibile, crolli miseramente aggrappandosi ad essa, e ricattandola in nome della sua dipendenza.

La fobia dei legami è attestata dal fatto che l'uomo non può fare a meno di stare in relazione con una donna, ma non può stare con la stessa donna che per un breve periodo, al di là del quale rivendica monotonamente il suo bisogno di libertà. Quest'atteggiamento è quello che di consueto porta le donne a giudicare uomini del genere "figli di puttana". L'accusa è impropria. Primo, perché in genere gli uomini che hanno la fobia dei legami sono figli di madri iperprotettive e gelose. Secondo, perché la parabola comportamentale non è intenzionale. L'uomo è in buona fede nel momento in cui entra in relazione e sente che quella è la donna giusta. Il problema si pone allorché l'investimento affettivo viene avvertito come un vincolo che potrebbe diventare irreversibile. La fobia ha un effetto repentinamente anestetizzante.

L'anaffettività è propria di quegli uomini che cedono al bisogno di relazione, ma compensano la propria dipendenza con un atteggiamento che non dà spazio alcuno al calore, alla tenerezza, ai gesti affettuosi. Quest'atteggiamento spesso porta all'esasperazione la partner perché è come se l'uomo stesse con lei per farle un piacere, ma manifestamente "scoglionato". In questo caso, l'indizio della dipendenza, pressoché costante, è un bisogno quotidiano e incoercibile di fare l'amore. Un'esigenza "fisiologica", secondo l'uomo, che la donna non riesce a comprendere perché predilige le smancerie. In realtà, la fisiologia c'entra poco. Il problema è che l'anaffettività, nella misura in cui impedisce di agire quei comportamenti che evocano nella partner una conferma, traduce il bisogno perpetuo di conferma in una richiesta di disponibilità totale da parte sua. Il bisogno sessuale, insomma, diventa compulsivo poiché equivale simbolicamente ad una poppata. Tanto è vero che, nei casi in cui la partner non è disponibile sopravviene uno stato d'animo di frustrazione, di nervosismo, d'incupimento e di rabbia del tutto incomprensibile in termini fisiologici.

La categoria degli uomini anaffettivi, che soffocano i loro affetti considerandoli espressione di una debolezza incompatibile con la virilità, comporta un'altra variante piuttosto ricorrente. Questa è caratterizzata dal sommarsi al "distacco" di un atteggiamento rivolto persistentemente a squalificare la partner, a rilevarne i difetti, ad invalidarne la sicurezza. La strategia inconscia che sottende quest'atteggiamento è rivolta a convincere la partner di non avere alcun valore,e, pertanto, di essere fortunata d'avere accanto un uomo il quale, nonostante i suoi difetti, la tollera. Tale strategia è ovviamente funzionale ad evitare l'abbandono. Se essa funziona, di fatto, la donna finisce con lo svalutarsi, e di solito questo comporta l'insorgenza di disturbi di vario genere (dall'aggrappamento ansioso alla depressione)

Diversamente accade quando essa non funziona, e le donne oppongono alla squalifica del partner una serie di contestazioni, più o meno rabbiose, che sottolineano i suoi difetti. In questi casi, il partner s'incattivisce e passa gran parte del tempo a dire che lui è fatto così, se non le va bene può andarsene, tanto lui non ne ha bisogno e non sa che farsene. Intanto, ovviamente, continua a "pretendere" di essere accudito. Più avverte inconsciamente la propria dipendenza, più la cattiveria e le pretese aumentano. Se la donna, alla fine, non ce la fa più e si allontana, i tentativi di ricondurla al suo posto sono incessanti, ma non si associano mai alla confessione dell'affetto e del bisogno. Quando essi riescono vani, e l'uomo non ce la fa ad avviare un altro rapporto con le stesse caratteristiche del precedente o, al limite, a rifugiarsi presso la madre, si danno paurosi crolli dell'identità personale.

2.

L'altro aspetto - quello socio-culturale - merita una particolare attenzione. Se si osserva oggettivamente il comportamento domestico di molti uomini, riesce evidente che essi esprimono un bisogno di affidamento totale alla partner femminile. Si tratta di comportamenti che vanno dal farsi accudire nelle esogenze primarie (cibo, pulizia della casa, lavaggio e stiratura degli abiti, ecc.) a richieste ingiustificabili (farsi allungare un oggetto a portata di mano, chiedere dove stanno le cose, ecc.). Comportamenti del genere vengono interagiti da numerose donne con estremo fastidio perché essi sono letti come impositivi e prepotenti. La prepotenza di fatto è oggettiva. La motivazione soggettiva, spesso misconosciuta, è che l'uomo ha perpetuamente bisogno di sondare la disponibilità della partner nei suoi confronti, e ricava da quella disponibilità di ordine apparentemente pratico la stessa conferma che le donne ricavano dalle attenzioni, dalle tenerezze e dalle espressioni di affetto.

A cosa attribuire questi comportamenti? C'è chi sostiene che, nell'immaginario inconscio maschile, la figura femminile mantiene vita natural durante un significato archetipico, quello della Grande Madre. La natura "mammona" dei maschi italiani in particolare è un luogo comune, al punto che molte crisi coniugali sono dovute o ai vari tentativi delle mogli di staccare il partner dalla madre reale, cui sono morbosamente attaccati, o alle loro proteste di non volere fare da madri agli uomini che hanno accanto. L'ipotesi archetipica è però inverificabile. Molto più concretamente occorre riconoscere che, almeno nel contesto culturale italiano, parecchi figli maschi sono curati, iperprotetti e idolatrati dalla madre. Per eccesso di amore? Può darsi. Fatto si è che l'iperprotezione materna consegue l'effetto di condizionare i figli a dipendere da una figura femminile, soprattutto, ma non solo, per quanto riguarda il "linguaggio" della vita quotidiana: il sapere accudire se stessi e l'ambiente che li circonda, il fare la spesa e il cucinare, il lavare e lo stirare, ecc. Vissuto come un privilegio, che ormai sempre più spesso esaspera le donne, soprattutto se esse lavorano, si tratta di un vero e proprio handicap, che si rende evidente in due circostanze.

La prima si realizza in rapporto ai frequenti malesseri psicosomatici della partner (cefalee, cali di pressione, coliche addominali, ecc.), che esprimono il suo bisogno di sottrarsi ad un ruolo coercitivo di accudimento. In tale circostanza, l'uomo si aggira per la casa come un cane bastonato, scopre, con frustrazione e con rabbia, la sua scarsa dimestichezza coi fornelli, con la lavatrice, col ferro da stiro, ecc. Le donne affette da uno spirito sacrificale masochistico si tirano fuori dal letto per non vedere il partner abbandonato a se stesso. Quelle viceversa inconsciamente (e giustamente) sadiche nel loro intimo gongolano, sia pure al prezzo d'incrementare i loro disturbi.

La seconda circostanza si realizza quando la donna, stanca di fare da madre e da serva all'uomo, decide di separarsene. Le conseguenze di questa decisione sono varie. Alcuni uomini, che non hanno mai manifestato un attaccamento particolare alla partner, crollano repentinamente, si aggrappano a lei, la scongiurano di non lasciarli soli e promettono di cambiare. Altri si appellano ai valori familiari, ai bisogni che i figli hanno di entrambi i genitori, mettono in movimento i parenti e gli amici per indurre un ripensamento nella partner, la colpevolizzano fino al giorno della comparsa di fronte al giudice. Altri ancora reagiscono con indifferenza e con sufficienza, affermano che un'eventuale separazione non fa loro né caldo né freddo, minacciano comunque rappresaglie (solitamente di ordine economico). Quest'atteggiamento dura finché essi sono non colgono nella partner una determinazione irreversibile. Quando avviene questa presa di coscienza, il comportamento indifferente repentinamente si converte in uno dei due descritti in precedenza.

Si danno infine uomini che s'incattiviscono, diventano violenti, ostacolano in ogni modo la separazione. Di fronte al fatto compiuto, reagiscono perseguitando la partner, imponendo la loro presenza, rivendicando i loro diritti, minacciando sfracelli se essa osa ricostruirsi una vita. La guerra permanente è un modo come un altro per esprimere la loro difficoltà di accettare lo scioglimento di un legame nel quale avevano depositato una dipendenza profonda. Nel corso del tempo, questi uomini possono anche giungere a farsi una ragione di ciò che è accaduto. Più spesso però essi rimangono preda di una motivazione vendicativa. Se, come accade per fortuna di rado, la separazione li pone angosciosamente di fronte alla loro incapacità di vivere senza la partner, essi possono giungere alla decisione estrema di toglierle la vita.

3.

Anche riguardo alla dipendenza maschile, vale il discorso fatto per quella femminile. Ogni vicenda maschile ha una sua comprensibilità legata all'evoluzione della personalità, quindi i suoi aspetti psicologici e interattivi con l'ambiente familiare originario. Ridurre il problema però ad una somma di esperienze di disagio è ridicolo. Come nella dipendenza femminile si danno dei vissuti, dei comportamenti, dei moduli interpretativi del disagio relazionale che sembrano fatti con lo stampino, e mortificano la sensibilità, l'intelligenza e la cultura individuale, lo stesso vale per la dipendenza maschile.

Il problema è che gli uomini, non meno delle donne, sono vittime di una tradizione storica che impone loro di ipercontrollare le emozioni e l'affettività e di vergognarsene profondamente. La vergogna, che identifica in quelle dimensioni degli aspetti infantili e/o femminili, è accentuata dal comportamento iperprotettivo delle madri italiane che, nell'intento cosciente di privilegiarli, finiscono, di fatto, con il determinare nei figli un bisogno incoercibile di dipendenza da una figura femminile. La pressione di questo bisogno e la sua negazione permettono di comprendere le varie tipologie comportamentali di cui s'è parlato.

In SMT ho rilevato che la fuoriuscita da questo tunnel, che fa della relazione tra uomo e donna un terreno molto frequente di conflitto e di disagio, passa attraverso la rimozione di un codice culturale che pregiudica le emozioni e l'affettività come dimensioni di debolezza, e impone, nello stesso tempo, alle donne di viverle in termini d'incoercibile bisogno di dipendenza dalla figura maschile, e agli uomini di mascherarle e di soffocarle. La soluzione si direbbe a portata di mano, se non ci fosse di mezzo l'insidioso potere dei codici culturali e delle pratiche formative che da essi discendono.

luglio 2003