L'INTUIZIONE FREUDIANA (ABORTITA) DELL'IO ANTITETICO

La controvolontà


La teoria psicopatologica struttural-dialettica si incentra, per molti aspetti, sul conflitto inconscio tra volontà altrui e volontà propria, vale a dire tra doveri sociali e diritti (e bisogni) individuali. Nella misura in cui tale conflitto non è riconosciuto a livello cosciente, o perché l'io identifica la sua volontà con quella altrui, imponendosela, o perché assume come propria una volontà estremizzata per effetto del conflitto, la quale trascende di gran lunga, mortifica o addirittura perverte i suoi bisogni, esso non può agire che sotto forma sintomatica.

Come è noto, a livello inconscio la volontà altrui è rappresentata dalla funzione superegoica, la volontà propria dall'Io oppositivo e antitetico.

Ho rilevato più volte, nei saggi, che il concetto di un io antitetico inconscio, che si edifica su un bisogno di opposizione/individuazione geneticamente determinato, rappresenta forse il concetto più innovativo della teoria psicopatologica struttural-dialettica. Ho anche riconosciuto, particolarmente negli ultimi lavori (dalla Miseria della neopsichiatria a SMT), che esso rappresenta lo sviluppo di un'intuizione junghiana, quella riferita al principio d'individuazione. Per quanto concerne Freud, ho sempre ritenuto che la sua concezione pulsionale gli abbia impedito di prendere seriamente in considerazione un concetto del genere. Tanto più che la sua polemica con Jung, e il suo rifiuto di riconoscere una tensione progettuale soggettiva, incompatibile con un rigido determinismo psichico del passato sul presente, lo ha portato nel corso degli anni a radicalizzare la teoria pulsionale.

Non ho motivo di cambiare opinione. Per onestà intellettuale, devo però riconoscere che in Freud non mancano indizi di un'intuizione il cui sviluppo avrebbe potuto indurlo a teorizzare un Io antitetico, che egli ha lasciato cadere. Non faccio tanto riferimento agli Studi sull'isteria, nei quali la dissociazione determinata dal conflitto lascia affiorare due personalità, una integrata con la normalità e un'altra tendenzialemnte malvagia anarchica. A posteriori, la seconda personalità può essere facilemente interpretata come espressiva di un Io antitetico. La fenomenologia delle sue manifestazioni è però tale che non c'è da sorprendersi che Freud l'abbia assunta piuttosto come una prova a favore della teoria pulsionale.

Faccio piuttosto riferimento ad un termine - controvolontà - che Freud ha utilizzato in uno dei suoi primi lavori (Un caso di guarigione ipnotica, Opere, vol. 1, pp. 128-133), ha ripreso più volte nella Psicopatologia della vita quotidiana (Opere, vol. 4, p. 188 sg., p. 192 sg.) e che cita infine un'ultima volta nella quarta lezione dell'Introduzione allo studio della psicoanalisi (vol. 8, pp. 251-253).

In Un caso di guarigione ipnotica Freud riferisce la vicenda di una giovane madre che, nonostante un vivo desiderio di allattare i figli, sviluppa tre volte consecutivamente (in rapporto a tre bambini nati nel giro di cinque anni) una difficoltà di realizzare quel desiderio per via di sintomi (latte scarso, suzione dolorosa, ripugnanza nei confronti dei cibi, vomito, nervosismo, insonnia) che glielo impediscono. Analizzando il meccanismo psichico dei disturbi, Freud parte dal presupposto che in ogni soggetto cosciente si diano rappresentazioni che esprimono i suoi propositi e le sue aspettative volontarie. Tali rappresentazioni sono sottese da uno stato affettivo riferito all'importanza dei fatti cui si rivolgono i propositi e le aspettative, e al grado di sicurezza soggettivo di potere fare fronte ad esse. Laddove il grado di sicurezza è basso è facile che si produca "una somma di rappresentazioni che possiamo designare come "penose rappresentazioni di contrasto"" (p. 126). Nell'isteria "la rappresentazione di contrasto si erige per così dire come "controvolontà", mentre il malato è cosciente, con stupore, di una volontà decisa ma priva di forza" (p. 128). Questo meccanismo, secondo Freud, può spiegare non solo isolati attacchi isterici ma una considerevole parte del quadro sintomatico dell'isteria: "Se riteniamo stabilito che proprio le moleste rappresentazioni di contrasto, represse e inibite dalla coscienza normale, hanno prevalso nel momento della disposizione isterica, trovando la strada dell'innervazione corporea, allora possediamo anche la chiave per la peculiaritò degli attacchi isterici deliranti. Non a caso i deliri isterici delle monache nelle epidemie medioevali consistevano in gravi bestemmie er erotismo sfrenato, così come non è per caso che ragazzi a modo, beneducati - come rileva Charcot - presentano attacchi isterici in cui ogni monelleria, ogni birbonata e sgrabatezza viene attuata con estrema facilità. Sono le serie di rappresentazionirepresse, e a stento represse, che, in conseguenza di una specie di controvolontà, vengono convertite in azione" (pp. 130-131).

Freud intuisce che questo meccanismo non è esclusivo dell'isteria, ma, a prova di ciò, cita solo il tic convulsivo nel quale le smorfie, la coprolalia, l'ecolalia, i pensieri coatti oggettivano le rappresentazioni di contrasto. In realtà fenomeni del genere si ritrovano quasi costantemente nel corso delle esperienze ossessive, sotto forma di pensieri e di fantasie coatte che spingono ad agire comportamenti assolutamente rifiutati dalla coscienza.

Il problema viene ripreso nella Psicopatologia della vita quotidiana, soprattutto in riferimento alle dimenticanze e alle omissioni: "Io ho raccolto i casi osservati su me stesso di omissione per dimenticanza, e ho cercato di spiegarli, e ho trovato che quasi tutti potevano farsi risalire all'interferenza di motivi ignoti o non confessati oppure, come si può anche dire, a una controvolontà. In parecchi di questi casi mi trovavo in una situazione simile a un rapporto di servitù, sotto una costrizione contro la quale non avevo del tutto cessato di essere riluttante, cosicché protestavo contro di essa con la dimenticanza" (pp. 188-189). Analizzando i motivi delle dimenticanze, Freud giunge alla conclusione che esse fanno capo a situazioni sociali che impongono di manifestare formalmente, e in maniera esagerata, sentimenti non provati autenticamente, e commenta: "Da quando ho riconosciuto di avere spesso scambiato in altri per simpatia sincera quel che era soltanto finzione, mi trovo in uno stato di ribellione contro queste dimostrazioni convenzionali, pur riconoscendone l'utilità sociale… là dove la mia attività sentimentale non ha più nulla a che fare con i doveri sociali, la sua espressione non è mai inibita dalla dimenticanza" (p.189).

Nella stessa opera, a p. 259, Freud riferisce del piacere chiestogli dal fratello di prestargli delle illustrazioni scientifiche, che evidentemente non è gradito. Egli si impone di rispondere comunque alla richiesta, ma incorre in una serie di atti mancati, che attestano che sta forzando la sua volontà personale in nome del dovere parentale.

Nella lezione quarta dell'Introduzione allo studio della psicoanalisi, dedicata agli atti mancati, Freud, in riferimento alla dimenticanza di propositi, non fa altro che ribadire la coclusione cui è in precedenza pervenuto: "la tendenza che perturba il proposito è ogni volta una controintenzione, un non volere, di cui ci resta solo da sapere perché non si manifesti diversamente e in modo non dissimulato. La presenza di questa controvolontà è comunque indubbia" (p. 251).

E' difficile minimizzare questi riferimenti. Se, analizzando i fenomeni isterici, Freud si ritrova di fronte ad una controvolontà che, per il modo in cui si esprime, può fare pensare ad un'interferenza meramente negativa, espressiva di un fondo pulsionale irrazionale, analizzando i suoi atti mancati (e, a dire il vero, anche quelli di altri riportati nel libro) si trova invece di fronte ad una volontà oppositiva che boicotta quella cosciente in nome non già di pulsioni, bensì di bisogni di libertà personale rispetto a doveri sociali coercitivi o a convenzioni comportamentali non sentite come autentiche. Se fosse stato in grado di cogliere in pieno il significato della controvolontà, Freud sarebbe pervenuto senz'altro ad intuire, se non a teorizzare, l'esistenza di un bisogno che fa riferimento ai diritti individuali e di una funzione - l'Io antitetico appunto - che li rappresenta a livello inconscio e, laddove essi risultano frustati, non cessa, a modo suo, di rivendicarli.

Ciò però non è accaduto. A partire dal 1901 il tema della controvolontà viene abbandonato. Il cenno che risulta nella quarta lezione dell'Introduzione alla psicoanalisi, del 1915-17, è semplicemnte una ripetizione di quanto già scritto nella Psicopatologia della vita quotidiana.

Spiegare questa "rimozione", il cui peso a livello di teoria e di pratica psicoanalitica è stato ed è assolutamente rilevante, non è difficile. Attestatosi sin dall'epoca degli Studi sull'isteria sulla teoria pulsionale, Freud ha sistematicamente minimizzato i dati psicopatologici in contrasto con essa. Egli ha costantemente elaborato i dati di cui disponeva con una metodologia epistemologica non popperiana, orientata piuttosto a cercare delle conferme della teoria pulsionale che a tenere conto e a valorizzare aspetti che la falsificavano. Le critiche di Jung e di Adler, vissute come autentici attentati all'edificio analitico, sono state non solo respinte, ma hanno avuto l'effetto di radicalizzare l'orientamento pulsionale freudiano, spingendolo infine nel vicolo cieco dell'istinto di morte.

Paradossalmente, almeno per un aspetto, il principio d'individuazione junghiano e la protesta virile adleriana riecheggiavano il tema della controvolontà. Nessuno dei due autori è stato comunque in grado di pervenire ad una teoria strutturale dell'inconscio adeguata a spiegare i fenomeni psicopatologici.