LA DIPENDENZA COMPULSIVA DA NON SOSTANZE

1.

C'è, nel nostro mondo, un numero crescente di persone, giovani e meno giovani, che rischiano di rovinarsi dedicandosi compulsivamente alla navigazione Internet e alle chat, allo shopping e al gioco d'azzardo. La rovina non è solo di ordine economico. Il comportamento compulsivo a lungo andare diventa pressoché l'unica ragione di vita, inducendo l'abbandono dei doveri quotidiani (studio, lavoro, ecc.), un progressivo isolamento sociale, conflitti familiari e non di rado la necessità di agire comportamenti antisociali (per esempio il furto) finalizzati alla necessità di perpetuare le attività, ecc. In alcuni casi, peraltro rari, la navigazione Internet diventa autistica e dà luogo all'affiorare di sintomi psicotici; lo shopping diventa una "mania" che spinge le persone ad affastellare la casa di oggetti inutili; il gioco d'azzardo, giunto al limite di un indebitamento irrimediabile, promuove addirittura tentativi di suicidio.

Eccezion fatta per la navigazione Internet e i video-poker, che utilizzano tecnologie recenti, non si tratta di comportamenti nuovi in assoluto. La compulsione del gioco d'azzardo è stata descritta, ne Il giocatore, superbamente da Dostojewski, che l'ha sperimentata in prima persona. La rovina economica di molte famiglie nobiliari dell'800 si è realizzata ai tavoli del Casino. Lo shopping compulsivo è stato da sempre riconosciuto come un comportamento sintomatico in corso di episodi di eccitamento maniacale, e come un rituale incoecibile nel corso di alcune nevrosi ossessivo-compulsive.

Ciò che sorprende, oggi, è l'estensione sociale crescente di questi fenomeni che non sembrano immediatamente correlati ad un quadro psicopatologico definito, e che tra l'altro si definiscono sullo sfondo di comportamenti sociali collettivi piuttosto frequenti. La navigazione Internet, lo shopping e il gioco (Lotto, Enalotto, Bingo, ecc.) sono ormai attività estremamente diffuse tra la popolazione, che spesso assumono un carattere, se non compulsivo, sicuramente rituale e sintomatico di un'insoddisfazione di fondo, che promuove la ricerca di nuovi orizzonti, l'identificazione nei beni di consumo di oggetti primari di piacere, la suggestione di un cambiamento radicale di vita, ecc.

Il buon senso porterebbe a pensare che i fenomeni compulsivi rappresentano nulla più che la punta di un iceberg di una società sostanzialmente infelice. La psichiatria, che tende sempre più a marcare il confine tra normalità e patologia, inserisce invece i fenomeni citati in una nuova categoria diagnostica: la dipendenza compulsiva da non sostanze. La definizione, linguisticamente orribile, serve ovviamente a differenziare questa categoria dalle tossicodipendenze. Il termine dipendenza definisce uno stato di bisogno e di appetizione riferito alle attività in questione affine a quello che si realizza con le droghe. Il carattere compulsivo è attestato dal fatto che i soggetti sono spinti a reiterare i comportamenti da motivazioni che sfuggono del tutto al loro controllo, anche se possono essere razionalizzate e/o criticate.

Nell'ottica psichiatrica, la dipendenza compulsiva da non sostanze non definisce una nuova patologia, bensì solo un insieme di varianti comportamentali che fanno capo a disturbi noti: disturbi d'ansia, disturbi dell'umore, disturbi della personalità. I disturbi di base, una volta accertati, vanno trattati con psicofarmaci adeguati. Il carattere variante dei comportamenti richiede anche un approccio psicoterapeutico di tipo cognitivo e una riabilitazione sociale.

La neopsichiatria ha ormai rinunciato a riflettere sui fenomeni psicopatologici, sul loro significato indiziario che va al di là di vicissitudini meramente personali. Essa si pone sempre più come una disciplina pragmatica, che cerca di dare risposte concrete ad un disagio psicosociale crescente che si esprime secondo modalità inconsuete. Andare al di là della psichiatria, significa utilizzare un nuovo paradigma interpretativo dei comportamenti umani.

2.

Un primo punto su cui riflettere è il carattere arbitrariamente restrittivo della categoria della dipendenza compulsiva da non sostanze. Ciò dipende dal fatto di avere isolato, nell'ambito dei comportamenti compulsivi che danno luogo a dipendenza, quei fenomeni la cui incidenza psicosociale è più evidente e che speeo portano il soggetto a rovinare se stesso e a coinvolgere nella rovina la famiglia.

L'ambito della dipendenza compulsiva da non sostanze è in realtà molto più vasto. Rientrano in essa, infatti, anzitutto un buon numero di comportamenti sessuali. Ovviamente non faccio riferimento solo all'abuso di chat erotiche, che è già compreso nella categoria in virtù dei "patiti" d'Internet, bensì alla "mania" che spinge un numero sempre più rilevante di persone a frequentare compulsivamente locali nei quali sono possibili incontri sessuali di ogni genere, a telefonare ai numeri esibiti sui canali televisivi che promettono esperienze particolari, ecc. E' perlomeno ingenuo scambiare tali comportamenti come espressivi di un normale dediderio sessuale, visto che essi assumono spesso un carattere compulsivo, diventano l'unica ragione di vita di alcuni soggetti, e possono indurre conseguenze gravi (economiche e mediche) a carico del soggetto e del gruppo familiare.

Come non considerare poi l'appartenenza a pieno titolo a questo ambito delle compulsioni riferite al cibo, soprattutto di natura bulimica che danneggiano l'individuo e, al limite, possono anche creare problemi di bilancio familiare?

Nella stessa categoria si potrebbero fare rientrare addirittura le dipendenze femminili da un partner, che assumono spesso un carattere compulsivo sia per quanto riguarda la ricerca ossessiva di un partner, che diviene l'unica ragione di vita, e provoca spesso ricorrenti depressioni, sia per quanto riguarda il bisogno esasperato di conferme che viene investito in una relazione in atto e che, non di rado, la rovina.

D'accordo: quest fenomeni, per quanto non inseriti nella categoria della dipendenza compulsiva da non sostanze, sono già riconosciuti come patologici.

Il problema è che, utilizzando gli stessi elementi che definiscono quella categoria, ci si imbatte in un fenomeno che nessuno ha mai definito come patologico, ma che io ritengo particolarmente grave: la dipendenza compulsiva dal lavoro. C'è nel nostro mondo un numero crescente di persone che identificano di fatto nel lavoro l'unica ragione della loro vita, si dedicano ad esso compulsivamente fino al punto di stare male nei giorni di festa e nei periodi di vacanza, trascurano spesso, per il lavoro, i doveri familiari, creando non pochi problemi al partner e ai figli, coinvolgono spesso i dipendenti in un tour de force estenuante, che li stressa e provoca problemi psicosomatici di ogni genere. E' vero: la compulsione lavorativa produce spesso un reddito elevato, di cui qualcuno beneficia. Ma a che prezzo? E poi non è vero che i dipendenti compulsivi dal lavoro sono, se non artefici, complici di un orientamento produttivistico del sistema che inesorabilmente pone le basi delle ricorrenti crisi cicliche del sistema stesso? Non sono stati i managers statunitensi, dipendenti compulsivi dal lavoro, la causa principale della crisi borsistica che ha rovinato decine di migliaia di piccoli investitori?

3.

Non appena si sormonta l'ottica neopsichiatrica, che è miope e strabica, si capisce immediatamente con chiarezza che i fenomeni che essa identifica e etichetta sono indiziari di un disagio che va al di là delle singole esprienze personali. Ciò non significa volere necessariamente dare ad una nuova scienza del disagio psichico un'impronta politica, quanto piuttosto ritenere insensato e fuorviante un approccio ai fenomeni psicopatologici che non tenga in alcun conto lo sfondo storico-sociale e culturale su cui essi si definiscono e che si sforza, anzi, di occultare tale nesso.

Che poi la valutazione di questo nesso non debba prescindere dal tenere conto del carattere unico e irripetibile delle singole vicende è ovvio. Ho conosciuto non pochi soggetti affetti dalle varie forme di dipendenza compulsiva da non sostanze, e nel complesso mi sembra che le esperienze siano riconducibili a due motivazioni fondamentali, intimamente correlate tra di loro: la rivendicazione di una libertà trasgressiva e il bisogno, ad essa conseguente, di punirsi. La rivendicazione di libertà fa spesso capo ad una frustrazione di cui il soggetto non è consapevole, e che coincide però con l'intuizione di un "torto" subito. Questa intuizione promuove comportamenti trasgressivi il cui obbiettivo primario è di esprimere la rabbia verso qualcuno. La colpevolizzazione di tali comportamenti produce poi il bisogno di punizione, che inesorabilmente si realizza.

I fenomeni di dipendenza compulsiva da non sostanze, come peraltro tutte le forme di disagio psichico. Aumentano semplicemente perché nel nostro mondo un numero crescente di persone si ritrova dentro una rabbia infinita, di cui non è sempre cosciente e di cui non sa darsi una ragione. Sfogarla attraverso comportamenti che illudono il soggetto di provare piacere e che poi lo rovinano, coinvolgendo nella rovina i familiari, è solo uno dei modi in cui questa rabbia si esprime.

Non pare proprio insomma che il nostro sia il migliore dei mondi possibili. Se lo è, è ancora lontano dall'essere fatto a misura d'uomo.