Neurobiologia e psicopatologia.

Depressione (1)


1

Jeffrey R. Lacasse, Jonathan Leo*, due docenti universitari americani non ancora compromessi con le case farmaceutiche, hanno pubblicato nel 2005, su PLoS Med 2(12): e392, un articolo (che riporto in appendice) il cui titolo non potrebbe essere più esplicito: Serotonin and Depression: A Disconnect between the Advertisements and the Scientific Literature.

Gli autori muovono dal constatare che, negli Stati Uniti, le campagne pubblicitarie rivolte direttamente ai consumatori si fondano sull'affermazione univoca che gli antidepressivi (almeno i cosiddetti S. S. R. I. ñ inibitori selettivi della ricaptazione della Serotonina ñ come Prozac, Seroxat, Sereupin, Zoloft, Elopram, Seropram, ecc.) correggono uno squilibrio biochimico causato da un difetto di serotonina. Tale campagna pubblicitaria, che fa riferimento alle prove scientifiche sia sperimentali che cliniche prodotte dalla psichiatria, ha determinato un'espansione esponenziale del mercato degli antidepressivi, ormai stabilmente ai primi posti della classifica della vendita di farmaci (con profitti dell'ordine di miliardi di dollari).

Il problema che gli autori affrontano è la fondatezza scientifica delle informazioni pubblicitarie. L'esame della letteratura a riguardo pone di fronte al fatto che non esiste prova alcuna, oggettiva e scientificamente convalidabile, che confermi la genesi biochimica della depressione. Gli psichiatri enfatizzano il criterio ex-juvantibus, vale a dire i miglioramenti che intervengono a seguito di terapie farmacologiche.

Secondo gli autori, la capacità degli antidepressivi di incidere sulla sintomatologia depressiva non è, però, una prova in senso proprio, come la capacità dell'aspirina di far passare il mal di testa non prova che la cefalea è dovuta ad una carenza dell'acido acetilsalicilico.

Anche riguardo all'efficacia terapeutica, poi, l'analisi della letteratura porta a conclusioni diverse rispetto alla propaganda farmaceutica, che fa riferimento ad un 80% di successi. In realtà, se si tiene conto delle ricerche, pur sponsorizzate dalle industrie, che non sono state pubblicate, le differenze tra gli antidepressivi e il placebo diventano minime e statisticamente non significative.

La pubblicità delle industrie farmaceutiche è, dunque, in termini scientifici, letteralmente "falsa e fuorvianteî.

Com'è possibile che una violazione così clamorosa delle regole della FDA statunitense (Federal Drug Administration, l'istituzione che regola e controlla la messa in commercio dei farmaci e la correttezza delle informazioni trasmesse ai medici e al pubblico), non sia andata incontro ad una sanzione? L'unica risposta che gli autori sono riusciti ad ottenere dalla FDA concerne la necessità delle case farmaceutiche di adeguarsi al livello di conoscenze della media dei consumatori. Giustamente, gli autori rilevano che anche un'affermazione tratta da un libro serio di psicofarmacologia (Stahl SM, Essential psychopharmacology: Neuroscientific basis and practical applications. Cambridge University Press. 2000, p. 601), secondo la quale "Finora non vi è nessuna prova chiara e convincente che la carenza di monoamine sia responsabile della depressione; cioè non vi è una "reale" carenza delle monoamine", ha la stessa semplicità delle informazioni false e fuorvianti propagandate dalle industrie. Da ciò è facile arrivare alla conclusione "che la FDA sia più preoccupata nel proteggere l'industria farmaceutica che non della sua missione di proteggere il consumatore statunitense.î

Oltre ad una ricca bibliografia, gli autori riportano una serie di citazioni di esperti (seri) poco confutabili, e alcuni testi delle pubblicità delle industrie statunitensi, che il lettore può consultare in calce al testo originario.

In Italia, laddove la pubblicità dei farmaci è vietata, le informazioni false e fuorvianti si sono diffuse soprattutto attraverso gli psichiatri che, attraverso i giornali, la radio, la televisione, non hanno perso occasione per ripetere lo slogan secondo cui la scienza avrebbe dimostrato che la depressione è dovuta alla mancanza nel cervello di una molecola.

Chi ha letto l'articolo sul potere della psichiatria, pubblicato il bimestre precedente, non ha difficoltà a capire in quale misura l'opinione pubblica ha fatto proprio quello slogan. Non è certo un caso che la spesa per antidepressivi sia costantemente aumentata a partire dalla metà degli anni '90 e abbia registrato ancora nel primo semestre del 2006 un incremento di oltre il 2%.

Ho dedicato alla depressione e agli antidepressivi già numerosi articoli. Con questo cerco di sintetizzare i concetti già esposti e di affrontare il problema in un'ottica globale (neurobiologia, psicodinamica e psicosomatica). Posto infatti che definire tout-court la depressione una malattia come le altre (per esempio il diabete), affermare cha la sua genesi biochimica è stata scientificamente provata, proporre la cura farmacologia in tutti i casi di depressione come intervento primario e privilegiato, enfatizzare i risultati dei trattamenti antidepressivi sono tutte affermazioni false e fuorvianti, c'è da chiedersi: primo, come si sia definita tale ideologia (di questo si tratta); secondo, perché l'opinione pubblica, con rare eccezioni, l'abbia avallata.

L'articolo di Lacasse e Leo è prestigioso nell'ottica di una demistificazione dell'ideologia psichiatrica. Esso però non tiene conto di due circostanze. La prima, analizzata nell'articolo sul potere della psichiatria, è che l'opinione pubblica ha bisogno di credere nella medicina e ancor più nella psichiatria. Se non interviene un salto di qualità culturale sulla via di un diverso modo di rapportarsi al problema della salute e della malattia mentale, porla di fronte al fatto che gli psicofarmaci hanno un valore meramente sintomatico o addirittura funzionano poco più di un placebo, significherebbe precipitarla in uno smarrimento angoscioso.

La seconda circostanza è che, attualmente, le discipline psicodinamiche, pur insistendo sul fatto che i farmaci antidepressivi alleviano i sintomi, ma non rimuovono le cause della depressione, non sono in grado di formulare un paradigma psicosomatico che interpreti e spieghi tali cause e sia più efficace dei farmaci. E' indubbio che alcune depressioni guariscono in virtù di un trattamento psicoterapeutico, ma si tratta di eccezioni. Il numero degli insuccessi rivela le carenze del paradigma.

Per non ricadere nelle trappole dell'antipsichiatria degli anni '70, che si limitava a stigmatizzare l'ignoranza (in alcuni casi) e la mala fede (in altri) degli psichiatri, tenterò di affrontare il problema in termini scientifici: Valuterò senza pregiudizi i dati neurobiologici che la psichiatria organicistica utilizza in maniera strumentale, e cercherò di inserirli, nella misura in cui sono significativi, nella cornice di un'ipotesi psicosomatica.

Esaurito il capitolo della depressione, affronterò, nella stessa ottica, il problema dei disturbi di ansia e della schizofrenia.

Cercherò di limitare il più possibile i riferimenti specialistici, anche se il linguaggio tecnico della neurobiologia non può essere tradotto in termini divulgativi. Quanto prima, scriverò un'introduzione alla neurobiologia che dovrebbe fornire le informazioni di base necessarie per orientarsi nel campo di questa disciplina di frontiera.

2.

Per capire qualcosa sull'ideologia psichiatrica inerente la depressione, occorre partire da lontano. Rimasta ferma per quasi un secolo alla nosografia kraepeliniana ñ edificio imponente ma dai piedi di argilla, in quanto incentrato su presunte ma mai dimostrate cause organiche - verso la metà del Novecento la psichiatria è in notevole affanno. Per un verso, infatti, la psicoanalisi, con la sua capacità di interpretare i fenomeni psicopatologici, ha fatto breccia inducendo il dubbio, anche riferito alle malattie mentali gravi, che i sintomi, densi dei significati scoperti attraverso la pratica psicoanalitica, siano solo espressione di una malattia del cervello. Per un altro verso, le condizioni estremamente regredite dei pazienti nei manicomi pone di fronte al fallimento di un progetto terapeutico meramente segregativo.

La necessità di un rinnovamento nosografico viene avvertita più negli Stati Uniti che in Europa: colà, infatti, la psichiatria dinamica e interpersonale è molto attiva e ha conquistato l'egemonia a livello accademico. Emblematica della vitalità della psichiatria statunitense è la pubblicazione, nel 1952, del DSM-1 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) che, distinguendo psiconevrosi e psicosi, appare chiaramente influenzato dal pensiero analitico, anche se il problema della causalità delle psicosi è lasciato in sospeso.

Accadono, poi, in rapida successione, due eventi che rianimano le ambizioni mediche della psichiatria. L'uso dell'elettroschok dimostra che stimoli fisici possono fare regredire i sintomi di depressioni gravi. La scoperta del primo neurolettico (Largactil) rivela la capacità di indurre l'attenuazione o la scomparsa di allucinazioni e deliri. Se agenti fisici e chimici possono indurre una regressione sintomatologia, non è questa la prova che i disturbi psichici sono di natura biologica? In termini epistemologici non lo è, perché nulla vieta di pensare che essi riconoscano una genesi psico-somatica. Ma il vaso di Pandora della rivoluzione farmacologia è ormai aperto. Si scoprono nuovi neurolettici, i primi antidepressivi e, infine, gli ansiolitici. La psichiatria, nel giro di un decennio, passa dall'impotenza alla disponibilità di un armamentario farmacologico che le consente di dare una risposta alle tre fenomenologie psicopatologiche più rilevanti: il delirio, la depressione, l'ansia.

Gli esiti delle cure farmacologiche non sono eccellenti. Oltre agli effetti collaterali, talora più imponenti dei sintomi, una percentuale di pazienti risponde in maniera minimale o non risponde affatto alle cure. I miglioramenti, anche quando sono consistenti, raramente danno luogo ad una guarigione, associandosi quasi sempre ad una sintomatologia residua più o meno soggettivamente penosa. Tutti i farmaci, inoltre, inducono dipendenza, per cui una loro brusca sospensione determina spesso una riaccensione sintomatologica.

Tutti questi dati dovrebbero indurre una riflessione profonda sui nessi reciproci tra funzionamento cerebrale e esperienza soggettiva. La psichiatria, infatuata dall'essersi affrancata dall'assoluta impotenza che ha caratterizzato i suoi primi due secoli di storia, ha banalizzato riduzionisticamente i dati. Il fatto che (sia pure entro certi limiti) è possibile incidere con sostanze chimiche sul funzionamento cerebrale è divenuto la prova che qualunque squilibrio psichico si fonda su di una disfunzione biologica.

Su questa base, si è avviata una nuova sistematizzazione nosografica, che non tiene in alcun conto le critiche massicce avanzate dall'antipsichiatria negli anni '70, eccezion fatta per il rilievo dell'arbitrarietà dei criteri diagnostici adottati in psichiatria, documentata dalla grande eterogeneità delle statistiche nazionali sulle malattie mentali.

L'influenza crescente della psichiatria biologica è testimoniata dalle successive edizioni del DSM: la seconda esce nel 1968, la terza nel 1980, una revisione della terza nel 1987 e, infine, la quarta nel 1994. Con il DSM-III viene ripreso il modello kraepeliniano di una sistematica descrittiva in cui l'identificazione delle sindromi è fondata sulla fenomenologia clinica e sul decorso. Si tratta di un'impostazione intenzionalmente ateoretica, che apparentemente prescinde da ipotesi sulle cause delle malattie mentali.

Con il DSM-IV il revisionismo psichiatrico è completo. Esso comprende sedici raggruppamenti principali, i più importanti tra i quali sono i Disturbi Somatoformi, i Disturbi di ansia, i Disturbi dell'Umore, i Disturbi dissociativi, la Schizofrenia e Altri Disturbi Psicotici, i Disturbi della Personalità, i Disturbi Sessuali e della Identità di genere, i Disturbi dell'Adattamento.

L'apparente ateoreticità di questa classificazione è resa evidente dal fatto che in essa non compare il termine psiconevrosi. Tutta la sintomatologia psicopatologica è raccolta sotto la categoria dei Disturbi. In pratica, eliminando il confine tra psiconevrosi e psicosi, la psicopatologia viene ad essere totalmente psichiatrizzata.

In sé e per sé, il Disturbo non è una malattia, ma una categoria sindromica. Ma cosa significa l'appartenenza di diverse sintomatologie alla stessa categoria se non che esse hanno una matrice comune? Certo, in linea di principio tale matrice potrebbe essere anche di ordine psicodinamico o psicosomatico. Di fatto, però, il DSM-IV implica che essa sia di natura biologica.

Benché le categorie diagnostiche non comportino alcun riferimento alla causalità, il loro definirsi in termini di esperienze soggettive che non hanno fondamento reale implica che c'è qualcosa nel cervello, in quanto elaboratore di informazioni, che non va.

Se poi le esperienze psicopatologiche risentono favorevolmente dei trattamenti farmacologici, ciò giunge a rappresentare la prova di un sospetto: le categorie sono malattie del cervello, malattie come le altre che attestano una predisposizione di ordine genetico ai normali stress dell'esistenza.

Definita l'ideologia, si tratta ñ e ciò avviene a partire dagli inizi degli anni '90 - di accreditarla agli occhi dell'opinione pubblica in maniera tale da indurre una domanda univoca di cure farmacologiche. L'associazione "mafiosa"(termine descrittivo) tra industrie farmacologiche e psichiatri organicisti, che comporta false ricerche cliniche, follow-up inverosimili, informazioni mediatiche false e fuorvianti, a questo serve.

Il problema è come ristabilire una qualche verità, tenendo conto anche dei progressi e delle scoperte della neurobiologia. Il discorso, in questo articolo, si restringe ai disturbi dell'umore. Altre patologie, come accennato, verranno affrontate ulteriormente.

3.

L'umore è lo stato d'animo di fondo che sottende e campisce ogni esperienza soggettiva: un quid di fluido, oscillante e mutevole che, più di ogni altro aspetto della vita soggettiva, appare immediatamente indiziario del funzionamento di un sistema complesso, che sfugge in gran parte al controllo della coscienza. Il sistema complesso in questione è chiaramente l'unità cervello-mente considerata come una medaglia a due facce, l'una delle quali fa riferimento all'attività neuronale, l'altra all'esperienza soggettiva che affiora in conseguenza di tale attività.

La psichiatria considera normali le oscillazioni dell'umore che possono essere giustificate da un soggetto, comprese oggettivamente tenendo conto delle circostanze attuali di vita o rispondenti a criteri statistici. Essa, insomma, si attiene ad un criterio di comprensibilità psicologica in termini di senso comune. Alla luce di questo criterio, sono anormali le oscillazioni dell'umore che non hanno causa apparente o che, pur riconducibili a circostanze di vita negative, persistono, e casomai si aggravano al di là di un periodo di tempo ritenuto statisticamente adeguato a far fronte allo stress.

E' lo scarto tra il livello di coscienza di un soggetto che soffre e il suo stato d'animo di cui egli non sa dare una ragione (o, nel caso in cui la dà, non sembra adeguata a giustificarlo) a evocare nello psichiatra l'idea che si dia un disturbo cerebrale in atto.

E' evidente che questa ipotesi presume: primo, che il soggetto abbia una certa padronanza di sé e della sua vita interiore, sicché, se non riesce a giustificare il suo stato d'animo o la giustificazione che fornisce non appare realistica, ciò non può dipendere che da qualche squilibrio cerebrale; secondo, che la coscienza esaurisca l'esperienza mentale del soggetto, tal che al di sotto di essa si dà solo il funzionamento del cervello: terzo, che ciò che lo psichiatra non riesce a capire alla luce del senso comune non abbia senso.

Nel suo intento di essere oggettivo e descrittivo, il riduzionismo psichiatrico, mette tra parentesi il fatto che, al di là della coscienza, si dà un mondo interiore caratterizzato da memorie, emozioni, pensieri, ecc.

E' fuor di dubbio che, per quanto riconducibile a contenuti psichici che fanno parte dell'esperienza soggettiva non meno di quelli coscienti, il mondo interiore fa capo al funzionamento del cervello: le memorie sono depositate in circuiti neuronali, emozioni e pensieri percorrono canali neuronali, ecc.

L'affiorare di una sintomatologia psicopatologica fa pensare immediatamente ad uno stato di turbolenza del mondo interiore. Nessuno psichiatra, anche il più rozzo, ritiene che esistano disturbi psichici puramente noogeni, vale a dire prodotti dalla coscienza.

Si tratta, dunque, di interpretare e spiegare la turbolenza che si realizza al di sotto di essa. Si danno, evidentemente, solo due possibili ipotetesi: la prima riconduce la turbolenza ad un disordine neuronale e, in particolare, ad un'alterata trasmissione degli impulsi neuronali che coinvolge i neurotrasmettitori (ipotesi organica); la seconda fa capo ad una turbolenza emozionale che incide sul funzionamento neuronale (ipotesi psico-somatica).

La psichiatria organicistica sostiene la prima ipotesi non già sulla base di prove (che non esistono o sono fittizie), bensì del fatto che l'alterazione depressiva dell'umore non è correlabile a circostanze di vita che la giustifichino. Il presupposto implicito è che, se non si dà una comprensibilità immediata dell'esperienza soggettiva in termini di senso comune, c'è qualcosa che non va nel cervello che gli impedisce di elaborare correttamente le informazioni o di adattarsi alle varie circostanze della vita.

Questo qualcosa è stato ricavato dalla scoperta di sostanze chimiche capaci di incidere positivamente sulla sintomatologia depressiva.

Un quadro dei principi attivi e dei farmaci attualmente in commercio in Italia è il seguente:

Gli antidepressivi in commercio in Italia

Categoria

Sostanza attiva

Specialità farmaceutica in Italia

Triciclici

Amitriptilina

Alimit, Adepril, Laroxyl, Triptizol

Amitriptilina

+ tranquillante

Diapatol, Limbitryl, Sedans, Mutabon

Butriptilina

Evadene

Clomipramina

Anafranil

Desipramina

Nortimil

Dotiepina

Protiaden

Imipramina

Tofranil

Maprotilina

Ludiomil

Melitracen

+ tranquillante

Deanxit

Nortriptilina

Noritren, Vividyl

Nortriptilina

+ tranquillante

Dominans

Trimipramina

Surmontil

I.M.A.O.
(inibitori monoaminossidasi)

Tranilcipromina

Parmodalin

Toloxatone

Umoril

R.I.M.A.
(reversibili inibitori monoaminossidasi)

Moclobemide

Aurorix

S.S.R.I.
(inibitori selettivi ricaptazione serotinina)

Citalopram

Elopram, Seropram

Fluoxetina

Fluoxeren, Prozac

Fluvoxamina

Dumirox, Fevarin, Maveral

Paroxetina

Sereupin, Seroxat

Sertralina

Serad, Tatig, Zoloft

S.N.R.I.
(inibitori ricaptazione serotonina e noradrenalina)

Venlafaxina

Efexor

Inibitori selettivi ricaptazione dopamina

Amineptina

Maneon, Survector

Na.S.S.A.
(ad attività specifica noradrenergica e serotoninergica)

Mirtazapina

Remeron

Antidepressivi ad attività noradrenergica

Mianserina

Lantanon

Viloxazina

Vicilan

Antidepressivi ad attività serotoninergica mista

Nefazodone

Reseril

Trazodone

Trittico

N.A.R.I.
(ad inibizione selettiva del reuptake noradrenergico)

Reboxetina

Edronax

Il linguaggio cifrato delle categorie chimiche richiede qualche informazione preliminare per essere compreso.

Il funzionamento del cervello si basa sull'attività di neuroni connessi tra loro che comunicano attraverso molecole definite neurotrasmettitori. La figura che segue rappresenta un singolo neurone cui pervengono le terminazioni di altri:



La connessione tra neuroni avviene attraverso le sinapsi, vale a dire spazi tra il bottone terminale di un neurone e il corpo (o i dendriti) di un altro. Nelle sinapsi i bottoni terminali rilasciano molecole chimiche, dette neurotrasmettitori, che, legandosi a molecole presenti sul corpo del neurone, possono avere un'influenza inibitoria o eccitatoria sulla sua attività.

La figura seguente illustra l'anatomia di una sinapsi:



Nel bottone terminale ci sono vescicole che contengono i neurotrasmettitori. A contatto con la membrana presinaptica le vescicole si aprono e liberano il neurotrasmettitore, che si lega ai recettori presenti sulla membrana postsinaptica.

Sono stati identificati numerosi neurotrasmettitori i più importanti tra i quali sono l'aceticolina, il glutammato, il GABA, la serotonina, l'adrenalina, la noradrenalina e la dopamina. La distribuzione dei neuroni che producono e contengono o neurotrasmettitori consente di parlare di sistemi: colinergico, glutammico, gabaergico, serotoninergico, noradrenergico, dopaminergico, endorfinico, ecc.

Rivolgiamo l'attenzione ad uno di questi sistemi, quello serotoninergico.

La Serotonina (5-idrossitriptamina, 5HT), la cui formula di struttura è riportata sotto, è una molecola (indolalchilamina) sintetizzata nei neuroni serotoninergici del sistema nervoso centrale e in alcune cellule dell'apparato gastrointestinale a partire da un aminoacido ñ il triptofano ñ, definito essenziale in quanto deve essere introdotto nell'organismo attraverso l'alimentazione.


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Il metabolismo della serotonina è illustrato nella figura seguente:



La distribuzione della serotonina nel cervello è rappresentata nella figura seguente, tratta da Enciclopedia Medica Italiana, Aggiornamento I, p. 1461. Il colore più intenso indica una concentrazione maggiore. Le frecce rappresentano le diverse vie nervose e i diversi collegamenti.



Come riesce evidente dalla figura, la Serotonina ha una distribuzione diffusa, analoga a quella della noradrenalina:


I neuroni serotoninergici sono allocati in strutture profonde sottocorticali, soprattutto a livello ipotalamico. Le vie serotoninergiche si irradiano verso il tronco encefalico e il midollo spinale, verso il sistema limbico e verso la corteccia. Il sistema serotoninergico stabilisce, dunque, una connessione tra i centri sottocorticali, ove si dà la regolazione di funzioni vitali (sonno, alimentazione, equilibrio neurovegetativo, attività ormonale, ecc) e della vita emozionale, il sistema nervoso periferico e la corteccia. Data la sua distribuzione, è ovvio che si tratta di un sistema aspecifico, che concorre con altri ad assicurare un certo equilibrio funzionale.

L'azione della serotonina, come quella di ogni neurotrasmettitore, si realizza a livello sinaptico, vale a dire nello spazio che si dà tra il bottone terminale di un neurone serotoninergico e il corpo o i dendriti di un altro neurone. La serotonina, sintetizzata a partire dal triptofano, è accumulata in vescicole la cui apertura nello spazio intersinaptico dà luogo al rilascio del neurotrasmettitore. Questo, poi, si lega con particolari molecole presenti sugli altri neuroni, che si definiscono recettori. Finora ne sono stati individuati sei (5-HT1a, 5-HT1c, 5-HT1 d, 5-HT2, 5HT3, 5-HT4). Di questi, alcuni (5-HT1c, 5-HT2, 5-HT3, 5-HT4) facilitano la trasmissione dell'impulso nervoso, mentre altri (5-HT1a, 5-HT1d) la inibiscono.

Dopo aver agito, la serotonina viene nuovamente rilasciata nello spazio intersinaptico. Qui essa può andare incontro ad una degradazione (in acido idrossi-indolacetico) o può essere ripompata nel bottone del neurone serotoninergico (reuptake) e accumularsi nelle vescicole in attesa di un nuovo rilascio.

Le funzioni del sistema serotoninergico non sono del tutto note. Sicuramente la sua attività si intreccia con la modulazione della percezione dolorifica, con la regolazione dell'assunzione di alimenti, con l'attivazione del sonno, con la liberazione di ormoni ipofisari e con la regolazione delle emozioni.

Tutti i farmaci antidepressivi aumentano la presenza e l'attività dei neurotrasmettitori monoaminici (noradrenalina, dopamina e serotonina) a livello delle sinapsi del sistema nervoso centrale. Il coinvolgimento delle monoamine nella depressione è dunque un dato di fatto.

La storia degli antidepressivi ha riconosciuto più tappe.

La prima è legata a sostanze capaci di inibire l'enzima monoaminossidasi che provoca la degradazione della serotonina rilasciata dai bottoni terminali nello spazio intersinaptico, impedendo la sua azione sui recettori. I farmaci dotati di questo potere sono denominati inibitori della MAO.

La seconda tappa, negli anni Cinquanta, risale alla scoperta di farmaci noti come triciclici (per via dei tre anelli della loro struttura chimica). A differenza degli inibitori della MAO, i triciclici (il cui capostipite è il Laroxyl) bloccano il ripompaggio della serotonina dallo spazio intersinaptico ai bottoni terminali, facendo sì che essa resti disponibile a legarsi con i recettori per un periodo di tempo più lungo.

Sul finire degli anni Ottanta avviene la scoperta di farmaci capaci di inibire selettivamente il riassorbimento della Serotonina: gli SSRI, il cui capostipite è il Prozac.

Nel corso degli anni Novanta, si fa strada la convinzione che la depressione possa dipendere non solo da una carenza di Serotonina, ma anche di Noradrenalina e di Dopamina. Entrano pertanto in commercio farmaci orientati con meccanismi diversi ad aumentare la disponibilità delle monoamine, ovvero capaci di inibire selettivamente la ricaptazione della Serotonina e della Noradrenalina (S.N.R.I.); di aumentare la trasmissione della Serotonina e della Noradrenalina (Na.S.S.A.); di inibire selettivamente la ricaptazione della dopamina; di inibire selettivamente il reuptake della Noradrenalina (N.A.R.I), ecc.

La storia stessa degli antidepressivi pone in luce che l'ipotesi serotoninergica della depressione, secondo la quale questa sarebbe riconducibile ad un eccessivo ripompaggio del neurotrasmettitore nel neurone serotoninergico (o, in alternativa, ad un'iposensibilità dei ricettori) è un po' riduttiva. Vari dati la pongono in dubbio.

Il primo (comune peraltro a tutti gli antidepressivi) riguarda l'intervallo temporale tra la somministrazione del farmaco e gli effetti terapeutici. Gli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina aumentano il livello del neurotrasmettitore in poche ore, ma l'effetto antidepressivo compare (quando compare) solo dopo alcune settimane di trattamento. Ciò significa che, durante il periodo di latenza, avvengono rimaneggiamenti recettoriali che solo in parte coinvolgono i recettori per la 5-HT.

Il secondo dato è che la misurazione dei livelli di serotonina e del suo metabolita (l'acido idrosssi-indolacetico) nei pazienti depressi non ha fornito supporto a favore della teoria. Solo in un numero ridotto di pazienti, infatti, è stato accertato, nel liquor, una concentrazione ridotta del dell'acido idrossindolacetico.

Il terzo dato è l'efficacia terapeutica (sempre relativa) di altri antidepressivi, in particolare di quelli che inibiscono selettivamente solo la ricaptazione della Noradrenalina (NARI).

Da tutto ciò si può ricavare la conclusione che la biochimica della depressione è di sicuro più complessa (e misteriosa) di quanto sostengono gli psichiatri che fanno riferimento solo ad un difetto di Serotonina.

Tutti questi dubbi non tolgono peso, ovviamente, all'ipotesi che la depressione si intrecci con alterazioni biochimiche dei neurotrasmettitori. Il problema, come in ogni ambito della psichiatria, è capire: primo, se tali alterazioni sono primarie (somato-psichiche), secondarie (psico-somatiche) o interattive (psico-somato-psichiche); secondo, di quali alterazioni si tratti.

4.

Per tentare di rispondere al quesito, occorre tenere conto di due dati sperimentali certi.

Il primo è che l'effetto antidepressivo interviene con una latenza di settimane. Dato che la somministrazione del farmaco inibisce immediatamente il reuptake della Serotonina, sembra lecito ipotizzare che esso non si realizzi in conseguenza di tale inibizione, ma attraverso qualche altro meccanismo più complesso. L'ipotesi è confermata dall'efficacia terapeutica degli antidepressivi sull'ansia, che si realizza anch'essa, a differenza degli ansiolitici, con una latenza di settimane.

Il duplice potere, antidepressivo e ansiolitico, degli antidepressivi allude ad un nesso neurobiologico e psicodinamico tra due dimensioni che la psichiatria ha tentato finora di distinguere, riconducendoli a categorie nosografiche diverse.

Il secondo dato fa riferimento al riscontro nel sangue di un numero rilevante di pazienti depressi di un tasso di cortisolo superiore alla norma. Tale dato collega la depressione alla biologia dello stress e consente di avanzare una nuova ipotesi neurobiologica sulla sua origine.

Lo stress implica l'attivazione di strutture cerebrali deputate a segnalare una situazione di pericolo per l'integrità psicofisica. Tra queste strutture la più importante è l'amigdala (vedi figura sotto), sulla quale occorre soffermarsi.


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L'amigdala, che fa parte del cosiddetto sistema limbico, è un gruppo di nuclei posti nella porzione anteriore del lobo temporale, subito davanti all'ippocampo. Essa sembra deputata a decodificare le informazioni che comportano una minaccia e ha connessioni con i sistemi che attivano comportamenti di difesa e altre reazioni corporee associate alla paura. Essa riceve input dal talamo sensoriale e dalla corteccia sensoriale: ciò implica che la sua attivazione può associarsi o no alla percezione cosciente della minaccia.

Lo stress, registrato come una minaccia per l'integrità psicofisica a livello dell'amigdala (e di altre strutture cerebrali), si traduce in una sollecitazione dei neuroni ipotalamici a rilasciare un peptide (CFR, fattore di rilascio della corticotropina) nei loro terminali situati nell'ipofisi, che induce la liberazione dell'ormone ACTH, il quale provoca il rilascio del cortisolo nella ghiandola surrenalica.

A livello cerebrale, il cortisolo si lega ai recettori ippocampali e blocca il rilascio di CFR. In questo modo, l'ippocampo regola la reazione di stress innescata dall'amigdala.

Uno stress prolungato e grave, svuotando i neuroni ippocampali di glucosio, li rende inabili a svolgere la loro funzione nonostante le intense pressioni e può addirittura danneggiarli.

La depressione, dunque, potrebbe emergere da un'incapacità di produrre la risposta adattiva appropriata allo stress.

In questa ottica, l'efficacia dei farmaci antidepressivi potrebbe ricondursi al fatto che la quantità di serotonina disponibile per i recettori serotoninergici attiverebbe una cascata di messaggeri secondari il cui effetto sarebbe quello di stimolare la sintesi proteica, vale a dire la produzione di nuove sinapsi che plasticizzerebbero il cervello, costringendolo, con l'inganno, ad acquisire esperienze, vale a dire nuove memorie, nuovi stati mentali e comportamenti adattivi.

Quest'ipotesi spiegherebbe sia la latenza dell'azione degli antidepressivi sia la loro efficacia relativa (che, adottando le statistiche più benevoli, non va al di là del 50% dei pazienti trattati).

L'interesse di questa ipotesi non può essere minimizzato. Essa fa capo al fatto che: primo, la depressione si attiva in conseguenza di una situazione di stress ñ che, in termini psicodinamici, significa conflitto tra il soggetto e ambiente -; secondo, che essa determina una visione del mondo cristallizzata da vissuti incentrati su una percezione negativa della realtà e sulla fatalità della sofferenza; terzo, che i farmaci promuovono, attraverso nuove sinapsi, l'acquisizione di informazioni che modificano artificialmente la visione del mondo depressiva.

Il risvolto psicodinamico di questa ipotesi è agevole da definire. Posto che si determini una situazione di stress, vale a dire un conflitto psicodinamico, si può determinare una condizione di depressione e di ansia, il cui fattore comune è l'attivazione di centri neurobiologici che determinano un vissuto incombente di minaccia.

Negli articoli sul significato funzionale dei sintomi psicopatologico ho sottolineato un aspetto intrinseco ai vissuti depressivi poco valorizzato, quello per cui il soggetto depresso non soffre tanto e solo per i sintomi in atto, bensì per la previsione che opera a partire da essi di una condizione destinata a durare per sempre. Da questo punto di vista, non è affatto illecito definire la depressione una malattia previsionale.

Per quanto concerne l'ansia l'incombenza di una catastrofe (morte, follia, perdita di controllo) destinata fatalmente a realizzarsi è un dato univoco reperibile in tutte le sue espressioni.

Interpretare e spiegare la depressione e l'ansia significa capire come si genera l'angoscia previsionale e catastrofica. Sembra ovvio ipotizzare che si tratti di una reazione disadattiva ad uno stress. Il problema è che, nell'uomo, la nozione di stress non può essere riferita, come per gli animali, solo ad una minaccia esterna. Il pericolo nell'uomo può prodursi anche all'interno del mondo interiore, in conseguenza dell'attivazione di un conflitto psicodinamico. Tale conflitto può dipendere dall'interazione del soggetto con circostanze di vita attuali, ma più spesso è promosso da situazioni filtrate dal patrimonio di emozioni e memorie depositato a livello inconscio.

5.

Ritenere che l'angoscia previsionale catastrofica, vissuta esplicitamente dai soggetti affetti da un'ansia patologica e, spesso, implicitamente dai soggetti depressi, sia l'espressione di un disordine biochimico riconducibile al difetto di un neurotrasmettitore implica non tanto che il normale tono dell'umore si fonda su di un equilibrio biochimico, ma che i sistemi neurotrasmettitoriali tengono sotto controllo, mascherano o rimuovono temibili e terribili emozioni esistenziali. I neurobiologi più avanzati, come Le Doux, pur opponendo alla banale ipotesi serotoninergica (o adrenergica) il riferimento ad un sistema complesso di circuiti neuronali integrati che correlano le emozioni, le memorie implicite (inconcse) e i livelli cognitivi, il quale, nei disturbi mentali, andrebbe incontro ad una disfunzione globale, cadono in questa trappola quando ammettono che tale disfunzione sensibilizzi alcuni centri nervosi (come l'amigdala) a stimoli che, in condizioni normali, sono filtrati e ammortizzati.

In realtà, il salto dalla normale paura o ansia all'angoscia è un salto qualitativo.

L'ipotesi serotoninergica, come quella che coinvolge anche altri sistemi neurotrasmettitoriali, assume l'equilibrio dello stato dell'umore come un fenomeno essenzialmente biologico, dando per scontato che se i neurotrasmettitori funzionano bene l'umore si mantiene normale, con un range di fluttuazioni minimali, e, se esso viene attentato da circostanze di vita particolari (eventi negativi), tende spontaneamente a reintegrarsi dopo un intervallo di tempo.

Non si può escludere che in questa ipotesi ci sia qualcosa di vero e di profondo che sfugge ai suoi fautori. E' probabile che l'organizzazione del cervello sia avvenuta associando alla consapevolezza esclusivamente umana della vulnerabilità, della precarietà e della finitezza qualche barriera biochimica naturalmente protettiva. Il sistema serotoninergico, come quello GABAergico e endorfinico, potrebbe far parte di questa barriera, deputata a far galleggiare la coscienza al di sopra di verità inquietanti. Se c'è del vero, però, di sicuro quella barriera ha dei limiti.

L'potesi monoaminica trascura che, in un'ottica psicosomatica, che tiene conto della dimensione biologica e di quella esperienziale, lo stato dell'umore non può prescindere dagli assetti interni del mondo interiore, vale a dire dall'organizzazione delle memorie, delle emozioni e dei pensieri soprattutto inconsci.

La neopsichiatria che identifica come inconscio solo il gioco delle molecole chimiche è francamente ridicola, anche se quel gioco appartiene a pieno titolo ai processi inconsci.

Sulla base di queste premesse, è possibile, allo stato attuale delle conoscenze, avanzare un'ipotesi più integrata sulla depressione, che tenga conto della complessità dell'apparato cerebrale e mentale? Io penso di sì, anche se l'impresa non è affatto semplice.

Appendice

Serotonin and Depression: A Disconnect between the Advertisements and the Scientific Literature

Jeffrey R. Lacasse, Jonathan Leo*

Jeffrey R. Lacasse is at Florida State University College of Social Work, Tallahassee, Florida, United States of America. Jonathan Leo is at Lake Erie College of Osteopathic Medicine, Bradenton, Florida, United States of America.

Published: November 8, 2005

Abbreviations: DTCA, direct-to-consumer advertising; FDA, Food and Drug Administration; SSRI, selective serotonin reuptake inhibitor

In the United States, selective serotonin reuptake inhibitor (SSRI) antidepressants are advertised directly to consumers [1]. These highly successful direct-to-consumer advertising (DTCA) campaigns have largely revolved around the claim that SSRIs correct a chemical imbalance caused by a lack of serotonin (see Tables 1 and 2). For instance, sertraline (Zoloft) was the sixth best-selling medication in the US in 2004, with over $3 billion in sales [2] likely due, at least in part, to the widely disseminated advertising campaign starring Zoloft's miserably depressed ovoid creature. Research has demonstrated that class-wide SSRI advertising has expanded the size of the antidepressant market [3], and SSRIs are now among the best-selling drugs in medical practice [2].

Given the multifactorial nature of depression and anxiety, and the ambiguities inherent in psychiatric diagnosis and treatment, some have questioned whether the mass provision of SSRIs is the result of an over-medicalized society. These sentiments were voiced by Lord Warner, United Kingdom Health Minister, at a recent hearing: "ÖI have some concerns that sometimes we do, as a society, wish to put labels on things which are just part and parcel of the human conditionî[4]. He went on to say, "Particularly in the area of depression we did ask the National Institute for Clinical Excellence [an independent health organisation that provides national guidance on treatment and prevention] to look into this particular area and their guideline on depression did advise non-pharmacological treatment for mild depression"[4]. Sentiments such as Lord Warner's, about over-medicalization, are exactly what some pharmaceutical companies have sought to overcome with their advertising campaigns. For example, Pfizer's television advertisement for the antidepressant sertraline (Zoloft) stated that depression is a serious medical condition that may be due to a chemical imbalance, and that "Zoloft works to correct this imbalance"[5]. Other SSRI advertising campaigns have also claimed that depression is linked with an imbalance of the neurotransmitter serotonin, and that SSRIs can correct this imbalance (see Table 2). The pertinent question is: are the claims made in SSRI advertising congruent with the scientific evidence?

The Serotonin Hypothesis

In 1965, Joseph Schildkraut put forth the hypothesis that depression was associated with low levels of norepinephrine [6], and later researchers theorized that serotonin was the neurotransmitter of interest [7]. In subsequent years, there were numerous attempts to identify reproducible neurochemical alterations in the nervous systems of patients diagnosed with depression. For instance, researchers compared levels of serotonin metabolites in the cerebrospinal fluid of clinically depressed suicidal patients to controls, but the primary literature is mixed and plagued with methodological difficulties such as very small sample sizes and uncontrolled confounding variables. In a recent review of these studies, the chairman of the German Medical Board and colleagues stated, "Reported associations of subgroups of suicidal behavior (e.g. violent suicide attempts) with low CSFñ5HIAA [serotonin] concentrations are likely to represent somewhat premature translations of findings from studies that have flaws in methodology"[8]. Attempts were also made to induce depression by depleting serotonin levels, but these experiments reaped no consistent results [9]. Likewise, researchers found that huge increases in brain serotonin, arrived at by administering high-dose L-tryptophan, were ineffective at relieving depression [10].

Contemporary neuroscience research has failed to confirm any serotonergic lesion in any mental disorder, and has in fact provided significant counterevidence to the explanation of a simple neurotransmitter deficiency. Modern neuroscience has instead shown that the brain is vastly complex and poorly understood [11]. While neuroscience is a rapidly advancing field, to propose that researchers can objectively identify a "chemical imbalance"at the molecular level is not compatible with the extant science. In fact, there is no scientifically established ideal "chemical balance"of serotonin, let alone an identifiable pathological imbalance. To equate the impressive recent achievements of neuroscience with support for the serotonin hypothesis is a mistake.

With direct proof of serotonin deficiency in any mental disorder lacking, the claimed efficacy of SSRIs is often cited as indirect support for the serotonin hypothesis. Yet, this ex juvantibus line of reasoning (i.e., reasoning "backwards"to make assumptions about disease causation based on the response of the disease to a treatment) is logically problematicóthe fact that aspirin cures headaches does not prove that headaches are due to low levels of aspirin in the brain. Serotonin researchers from the US National Institute of Mental Health Laboratory of Clinical Science clearly state, "[T]he demonstrated efficacy of selective serotonin reuptake inhibitorsÖcannot be used as primary evidence for serotonergic dysfunction in the pathophysiology of these disorders"[12].

Reasoning backwards, from SSRI efficacy to presumed serotonin deficiency, is thus highly contested. The validity of this reasoning becomes even more unlikely when one considers recent studies that even call into question the very efficacy of the SSRIs. Irving Kirsch and colleagues, using the Freedom of Information Act, gained access to all clinical trials of antidepressants submitted to the Food and Drug Administration (FDA) by the pharmaceutical companies for medication approval. When the published and unpublished trials were pooled, the placebo duplicated about 80% of the antidepressant response [13]; 57% of these pharmaceutical companyñfunded trials failed to show a statistically significant difference between antidepressant and inert placebo [14]. A recent Cochrane review suggests that these results are inflated as compared to trials that use an active placebo [15]. This modest efficacy and extremely high rate of placebo response are not seen in the treatment of well-studied imbalances such as insulin deficiency, and casts doubt on the serotonin hypothesis.

Also problematic for the serotonin hypothesis is the growing body of research comparing SSRIs to interventions that do not target serotonin specifically. For instance, a Cochrane systematic review found no major difference in efficacy between SSRIs and tricyclic antidepressants [16]. In addition, in randomized controlled trials, buproprion [17] and reboxetine [18] were just as effective as the SSRIs in the treatment of depression, yet neither affects serotonin to any significant degree. St. John's Wort [19] and placebo [20] have outperformed SSRIs in recent randomized controlled trials. Exercise was found to be as effective as the SSRI sertraline in a randomized controlled trial [21]. The research and development activities of pharmaceutical companies also illustrate a diminishing role for serotonergic interventionóEli Lilly, the company that produced fluoxetine (Prozac), recently released duloxetine, an antidepressant designed to impact norepinephrine as well as serotonin. The evidence presented above thus seems incompatible with a specific serotonergic lesion in depression.

Although SSRIs are considered "antidepressants,"they are FDA-approved treatments for eight separate psychiatric diagnoses, ranging from social anxiety disorder to obsessive-compulsive disorder to premenstrual dysphoric disorder. Some consumer advertisements (such as the Zoloft and Paxil Web sites) promote the serotonin hypothesis, not just for depression, but also for some of these other diagnostic categories [22,23]. Thus, for the serotonin hypothesis to be correct as currently presented, serotonin regulation would need to be the cause (and remedy) of each of these disorders [24]. This is improbable, and no one has yet proposed a cogent theory explaining how a singular putative neurochemical abnormality could result in so many wildly differing behavioral manifestations.

In short, there exists no rigorous corroboration of the serotonin theory, and a significant body of contradictory evidence. Far from being a radical line of thought, doubts about the serotonin hypothesis are well acknowledged by many researchers, including frank statements from prominent psychiatrists, some of whom are even enthusiastic proponents of SSRI medications (see Table 1).

However, in addition to what these authors say about serotonin, it is also important to look at what is not said in the scientific literature. To our knowledge, there is not a single peer-reviewed article that can be accurately cited to directly support claims of serotonin deficiency in any mental disorder, while there are many articles that present counterevidence. Furthermore, the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), which is published by the American Psychiatric Association and contains the definitions of all psychiatric diagnoses, does not list serotonin as a cause of any mental disorder. The American Psychiatric Press Textbook of Clinical Psychiatry addresses serotonin deficiency as an unconfirmed hypothesis, stating, "Additional experience has not confirmed the monoamine depletion hypothesis"[25].

Contrary to what many people believe, the FDA does not require preapproval of advertisements. Instead, the FDA monitors the advertisements once they are in print or on the air [26]. Misleading content is frequently found in various DTCA campaigns [27]; hence, it is valuable to compare SSRI advertisements to the scientific evidence reviewed above. These SSRI ads are widely promulgated; hundreds of millions of dollars have been spent disseminating these advertisements, and one study found that over 70% of surveyed patients reported exposure to antidepressant DTCA [28].

The Role of the FDA

In the US, the FDA monitors and regulates DTCA. The FDA requires that advertisements "cannot be false or misleading"and "must present information that is not inconsistent with the product label"[27]. Pharmaceutical companies that disseminate advertising incompatible with these requirements can receive warning letters and can be sanctioned. The Irish equivalent of the FDA, the Irish Medical Board, recently banned GlaxoSmithKline from claiming that paroxetine corrects a chemical imbalance even in their patient information leaflets [29]. Should the FDA take similar action against consumer advertisements of SSRIs?

As just one example, the prescribing information for paroxetine, which is typical of the SSRI-class drugs, states, "The efficacy of paroxetine in the treatment of major depressive disorder, social anxiety disorder, obsessive-compulsive disorder (OCD), panic disorder (PD), generalized anxiety disorder (GAD), and post-traumatic stress disorder (PTSD) is presumed to be linked to potentiation of serotonergic activity in the central nervous system resulting from inhibition of neuronal reuptake of serotonin. Studies at clinically relevant doses in humans have demonstrated that paroxetine blocks the uptake of serotonin into human platelets"[30].

In other words, the mechanism of action of paroxetine has not been definitively established, and remains unconfirmed and presumptive (the prescribing information states that the efficacy of the drug "is presumed to be linked to potentiation of serotonergic activity"([30], our italics added). Although there is evidence that paroxetine inhibits the reuptake of serotonin, the significance of this phenomenon in the amelioration of psychiatric symptoms is unknown, and continually debated [12,31]. Most importantly, the prescribing information does not mention a serotonin deficiency in those administered paroxetine, nor does it claim that paroxetine corrects an imbalance of serotonin. In contrast, the consumer advertisements for paroxetine present claims that are not found in this FDA-approved product labeling.

In order to determine whether these advertisements actually comply with FDA regulations, it is useful to consult the Code of Federal Regulations under which DTCA is regulated. The regulations state that an advertisement may be cited as false or misleading if it "[c]ontains claims concerning the mechanism or site of drug action that are not generally regarded as established by scientific evidence by experts qualified by scientific training and experience without disclosing that the claims are not established and the limitations of the supporting evidenceÖ"([32], our emphasis added]).

Stating that depression may be due to a serotonin deficiency is seemingly allowed, but, as stated in the regulations, only if the limitations of the supporting evidence are provided. In our examination of SSRI advertisements, we did not locate a single advertisement that presented any such information. Instead, the serotonin hypothesis is typically presented as a collective scientific belief, as in the Zoloft advertisement, which states that regarding depression, "Scientists believe that it could be linked with an imbalance of a chemical in the brain called serotonin"[33]. Consumers viewing such advertisements remain uninformed regarding the limitations of the serotonin hypothesis (reviewed above).

According to federal regulations, advertisements are also proscribed from including content that "contains favorable information or opinions about a drug previously regarded as valid but which have been rendered invalid by contrary and more credible recent information"[32].

This means that a disconnect between the evolving peer-reviewed literature and advertisements is not permitted. Regarding SSRIs, there is a growing body of medical literature casting doubt on the serotonin hypothesis, and this body is not reflected in the consumer advertisements. In particular, many SSRI advertisements continue to claim that the mechanism of action of SSRIs is that of correcting a chemical imbalance, such as a paroxetine advertisement, which states, "With continued treatment, Paxil can help restore the balance of serotoninÖ"[22]. Yet, as previously mentioned, there is no such thing as a scientifically established correct "balance"of serotonin. The take-home message for consumers viewing SSRI advertisements is probably that SSRIs work by normalizing neurotransmitters that have gone awry. This was a hopeful notion 30 years ago, but is not an accurate reflection of present-day scientific evidence.

The FDA has sent ten warning letters to antidepressant manufacturers since 1997 [34ñ43], but has never cited a pharmaceutical company for the issues covered here. The reasons for their inaction are unclear but seem to result from a deliberate decision at some level of the FDA, rather than an oversight. Since 2002, the first author (JRL) has repeatedly contacted the FDA regarding these issues. The only substantive response was an E-mail received from a regulatory reviewer at the FDA: "Your concern regarding direct-to-consumer advertising raises an interesting issue regarding the validity of reductionistic statements. These statements are used in an attempt to describe the putative mechanisms of neurotransmitter action(s) to the fraction of the public that functions at no higher than a 6th grade reading level"(personal communication, 2002 April 11).

It is curious that these advertisements are rationalized as being appropriate for those with poor reading skills. If the issues surrounding antidepressants are too complex to explain accurately to the general public, one wonders why it is imperative that DTCA of antidepressants be permitted at all. However, contrary to what the FDA seems to be implying, truth and simplicity are not mutually exclusive. Consider the medical textbook, Essential Psychopharmacology, which states, "So far, there is no clear and convincing evidence that monoamine deficiency accounts for depression; that is, there is no ëreal' monoamine deficit"[44]. Like the pharmaceutical company advertisements, this explanation is very easy to understand, yet it paints a very different picture about the serotonin hypothesis.

Conclusion

The impact of the widespread promotion of the serotonin hypothesis should not be underestimated. Antidepressant advertisements are ubiquitous in American media, and there is emerging evidence that these advertisements have the potential to confound the doctorñpatient relationship. A recent study by Kravitz et al. found that pseudopatients (actors who were trained to behave as patients) presenting with symptoms of adjustment disorder (a condition for which antidepressants are not usually prescribed) were frequently prescribed paroxetine (Paxil) by their physicians if they inquired specifically about Paxil [45]; such enquiries from actual patients could be prompted by DTCA [45].

What remains unmeasured, though, is how many patients seek help from their doctor because antidepressant advertisements have convinced them that they are suffering from a serotonin deficiency. These advertisements present a seductive concept, and the fact that patients are now presenting with a self-described "chemical imbalance"[46] shows that the DTCA is having its intended effect: the medical marketplace is being shaped in a way that is advantageous to the pharmaceutical companies. Recently, it has been alleged that the FDA is more responsive to the concerns of the pharmaceutical industry than to their mission of protecting US consumers, and that enforcement efforts are being relaxed [47]. Patients who are convinced they are suffering from a neurotransmitter defect are likely to request a prescription for antidepressants, and may be skeptical of physicians who suggest other interventions, such as cognitive-behavioral therapy [48], evidence-based or not. Like other vulnerable populations, anxious and depressed patients "are probably more susceptible to the controlling influence of advertisements"[49].

In 1998, at the dawn of consumer advertising of SSRIs, Professor Emeritus of Neuroscience Elliot Valenstein summarized the scientific data by concluding, "What physicians and the public are reading about mental illness is by no means a neutral reflection of all the information that is available"[50]. The current state of affairs has only confirmed the veracity of this conclusion. The incongruence between the scientific literature and the claims made in FDA-regulated SSRI advertisements is remarkable, and possibly unparalleled.

Citazioni

"Although it is often stated with great confidence that depressed people have a serotonin or norepinephrine defi ciency, the evidence actually contradicts these claims"[50]. Professor Emeritus of Neuroscience Elliot Valenstein, in Blaming the Brain (1998), which reviews the evidence for the serotonin hypothesis.

"Given the ubiquity of a neurotransmitter such as serotonin and the multiplicity of its functions, it is almost as meaningless to implicate it in depression as it is to implicate blood"[11]. Science writer John Horgan, in his critical examination of modern neuroscience, The Undiscovered Mind (1999).

"A serotonin defi ciency for depression has not been found"[51]. Psychiatrist Joseph Glenmullen, clinical instructor of psychiatry at Harvard Medical School, in Prozac Backlash (2000).

"So far, there is no clear and convincing evidence that monoamine deficiency accounts for depression; that is, there is no "real"monoamine defi cit"[44]. Psychiatrist Stephen M. Stahl, in a textbook used to teach medical students about psychiatric medications, Essential Psychopharmacology (2000).

"Some have argued that depression may be due to a defi ciency of NE [norepinephrine] or 5-HT [serotonin] because the enhancement of noradrenergic or serotonergic neurotransmission improves the symptoms of depression. However, this is akin to saying that because a rash on one's arm improves with the use of a steroid cream, the rash must be due to a steroid defi ciency"[52]. Psychiatrists Pedro Delgado and Francisco Moreno, in "Role of Norepinephrine in Depression,"published in the Journal of Clinical Psychiatry in 2000.

"...I wrote that Prozac was no more, and perhaps less, effective in treating major depression than prior medications.... I argued that the theories of brain functioning that led to the development of Prozac must be wrong or incomplete"[53]. Brown University psychiatrist Peter Kramer, author of Listening to Prozac, which is often credited with popularizing SSRIs, in a clarifying letter to the New York Times in 2002.

"I spent the first several years of my career doing full-time research on brain serotonin metabolism, but I never saw any convincing evidence that any psychiatric disorder, including depression, results from a defi ciency of brain serotonin. In fact, we cannot measure brain serotonin levels in living human beings so there is no way to test this theory. Some neuroscientists would question whether the theory is even viable, since the brain does not function in this way, as a hydraulic system"[54]. Stanford psychiatrist David Burns, winner of the A.E. Bennett Award given by the Society for Biological Psychiatry for his research on serotonin metabolism, when asked about the scientifi c status of the serotonin theory in 2003.

"Indeed, no abnormality of serotonin in depression has ever been demonstrated" [55]. Psychiatrist David Healy, former secretary of the British Association for Psychopharmacology and historian of the SSRIs, in Let Them Eat Prozac (2004).

"We have hunted for big simple neurochemical explanations for psychiatric disorders and have not found them"[56]. Psychiatrist Kenneth Kendler the coeditor-in-chief of Psychological Medicine, in a 2005 review article.

Testi contenuti nelle pubblicità rivolte al consumatore

Citalopram

"Celexa help to restore the brain's chemical balance by increasing the supply of a chemical messanger in the brain called serotin. Although the brain chemistry of depression is not fully understood, there does exist a growing body of evidence to support thr view that people with depression have an imbalace of the brain's neurotransmitters.î

Escitalopram

"LEXAPRO appears to work by increasing the available supply of sertonin. Here's how:

The naturally occurring chemical serotinin is sent from one nerve cell to the next.

The nerve cell picks up the serotonin and send some of it back to the first nerve cell, similar to a conversation between two people.

In people with depression and anxiety, there is an imbalance of serotonin - too much serotonin is reabsorbed by the first nerve cell, so the next cell does not have enough; as in a conversation, one person might do all the talking and the other person does not get to comment, leading to a communication imbalance.

LEXAPRO blocks the serotonin from going back into the first nerve cell. This increase the amount of serotonin avaible for the next nerve cell, like a conversation moderator.

The blocking action helps balance the supply of serotonin, and communication returns to normal. In this way, LEXAPRO improves symptoms of depression.î

Fluoxetine

"When you're clinically depressed, one thing that happened is the level of serotonin (a chemical in your body) may drop. So you may have trouble sleeping. Feed unusually sad or irritate. Find it hard to concentrate. Lose your apetite. Or you have trouble feeling pleasure...to help bring serotonin levels closer to normal the medicine doctor now prescrive most often is Prozac.

Quando sei clinicamente depresso, una delle cose che è successo è che il livello della serotonina (un componente chimico del tuo corpo) può essersi abbasso. Pertanto puoi avere problemi a dormire. Ti senti stranamente triste o irritato. Trovi che hai problemi a concentrarti. Perdi il tuo appetito. O hai problemi a provare piacere ... per aiutare a portare i livelli di serotonina più vicini al normale il farmaco che attualmente il medico prescrive maggiormente è il Prozac.î

Paroxetine

"Chronic anxiety can be overwhelming. But it can also be overcome. ... Paxil, the most prescribed medication of its kind for the generalized anxiety, works to correct the chemical imbalance belived to cause the disorder.î

Sertraline

"While the cause is unknown, depression may be related to an imbalance of natural chemicals between nerve cells in the brain. Prescription Zoloft works to correct this imbalance. You just shouldn't have to feel this way anymore.î

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