Anelli psicodinamici riverberanti: il nodo gordiano della psicopatologia


1.

La lenta e laboriosa costruzione del modello psicopatologico struttural-dialettico è testimoniata dai Seminari, da cui sono venuti fuori, nel corso degli anni, i saggi (alcuni dei quali mai pubblicati). Star Male di Testa rappresenta una sintesi divulgativa della teoria struttural-dialettica, con un'esemplificazione tratta dalla clinica che riguarda tutto le spettro della psicopatologia, dai disturbi di ansia al delirio strutturato.

Non sono molte le persone che mi hanno seguito in questa avventura intellettuale, affascinati dalla messa a fuoco di una chiave interpretativa psicodinamica che, nella sua apparente semplicità, sembra capace di spiegare tutti i vissuti, i sintomi e i comportamenti riconducibili all'attività di un conflitto strutturale.

Nell'ambito delle scienze umane e sociali, e in particolare della psicopatologia (che io ritengo una disciplina autonoma rispetto alle altre) è sempre bene guardarsi dagli entusiasmi che sopravvengono in seguito all'elaborazione di nuove ipotesi, perché è noto da tempo che, senza verifiche sperimentali, le conferme delle ipotesi corrispondono alla tendenza di chi le formula a trovare, sul terreno della pratica clinica, ciò che cerca.

A questa trappola ha pagato un tributo rilevante Freud stesso, convinto che la psicoanalisi fornisse prove inconfutabili della teoria pulsionale, che successivamente, soprattutto in rapporto all'istinto di morte, è andata incontro ad una radicale confutazione all'interno del movimento psicoanalitico stesso.

Il superamento della teoria pulsionale è stato un punto nodale per l'elaborazione del modello struttural-dialettico. La teoria è stata contestata a partire da Bowlby, in virtù dell'attribuzione alla natura umana di un bisogno sociale primario, che nel bambino si manifesta sotto forma di aggrappamento. Margareth Mahler ha poi scoperto una pulsione verso la separazione e la differenziazione della personalità, che interviene precocemente. Jung, infine, ha definito un principio di individuazione che sottenderebbe l'esperienza umana al di là della fase evolutiva mantenendo una tensione verso una strutturazione della personalità sempre più diversificata rispetto alle influenze ambientali.

La sintesi che io ho operato attribuendo alla natura umana due bisogni intrinseci - di appartenenza/integrazione sociale e di opposizione/individuazione - non ha, dunque, in sé e per sé, nulla di originale, in quanto nella tradizione analitica c'erano già tutti i presupposti per formularla.

Del tutto originale, invece, è l'assunzione di questi bisogni come programmi geneticamente determinati dello sviluppo della personalità, in breve come organizzatori o "attrattori" dello sviluppo, e l'ipotesi che, a partire da essi, si definiscano, prevalentemente a livello inconscio, due substrutture dell'Io, il Super-Io e l'Io antitetico, che veicolano rispettivamente i doveri sociali prescritti dal gruppo di appartenenza e i diritti individuali espressivi della vocazione ad essere personale.

In virtù di questa ipotesi, l'evoluzione della personalità si configura come un processo dinamico e dialettico il cui obbiettivo è un certo grado di integrazione tra doveri sociali e diritti individuali, che consenta al soggetto di rispettare i vincoli di appartenenza e, al tempo stesso, di procedere verso l'autorealizzazione anche in virtù di scelte non conformi alle aspettative sociali.

In conseguenza della diversa logica che sottende i due bisogni - sistemica per quanto concerne l'appartenenza, autonomizzante per quanto riguarda l'individuazione -, l'evoluzione della personalità avviene necessariamente all'insegna di una tensione. Tale tensione è dovuta alla progressiva strutturazione del Super-Io e dell'Io antitetico, che tendono rispettivamente a corroborare i doveri di appartenenza, vale a dire il rispetto dei valori culturali interiorizzati, e ad alimentare la spinta verso l'individuazione, e cioè la definizione di un sistema di valori culturali riconosciuti dal soggetto come espressivi della sua volontà e della sua vocazione ad essere.

La tensione dinamica tra Super-Io e Io antitetico sottende tutto il periodo evolutivo, riconosce alcune fasi critiche di opposizione e raggiunge il suo acme nel corso dell'adolescenza. Se la crisi adolescenziale raggiunge il suo obbiettivo “naturale”, la tensione si risolve dando luogo alla strutturazione della coscienza morale critica, intesa come funzione dell'Io che comporta la valutazione del proprio comportamento alla luce del sistema di valori scelti liberamente, e quindi anche la possibilità di sviluppare sensi di colpa coscienti e utilizzarli per rimediare, laddove possibile, ad errori commessi o per trarre insegnamento da essi.

Anche laddove la programmazione che sottende lo sviluppo della personalità procede senza troppe interferenze fino al punto di dare luogo ad una strutturazione integrata dell'Io, la tensione tra i bisogni, vale a dire tra Super-Io e Io antitetico, non si estingue mai del tutto a livello inconscio.

L'essere umano, come ho scritto più volte, ha una doppia natura: l'una incentrata sull'appartenenza e sulla subordinazione al gruppo, l'altra sulla rivendicazione di autonomia e di libertà rispetto ad esso. Varie circostanze della vita adulta possono attivare un conflitto tra la logica sistemica e la logica autonomizzante e generare, pertanto, una crisi più o meno seria che, per essere sormontata, richiede un'ulteriore integrazione tra quelle logiche e i bisogni cui fanno riferimento.

Il riferimento alla doppia natura umana implica che l'equilibrio raggiunto da una personalità è sempre e comunque precario. Si tratta, dunque, di un equilibrio dinamico per mantenere il quale occorre che il soggetto alimenti una certa capacità introspettiva e disponga di alcuni strumenti cognitivi sulla condizione esistenziale e sull'organizzazione del mondo interiore.

Lo sforzo implicito nell'umanizzazione, intesa come processo di dispiegamento dialettico dei bisogni intrinseci nell'interazione con l'ambiente culturale, consente di capire la tendenza degli esseri umani ad aderire ai codici normativi offerti dall'ambiente, che consentono di normalizzarsi, e quindi di integrarsi nella società, anche senza individuarsi. Vivere sul registro di una consapevolezza esistenziale aperta alla percezione di quanto vi è di implicitamente “drammatico” nella doppia natura è indubbiamente faticoso.

La normalizzazione senza individuazione (o con un minimo di individuazione) è stata identificata e analizzata da Erich Fromm come tipologia di personalità statisticamente prevalente nell'ambito della civiltà occidentale. Egli ha parlato, giustamente, di una tipologia strutturalmente deficiente, in riferimento al sacrificio di potenzialità di sviluppo operato sull'altare dell'appartenenza.

E' un fatto che, nell'economia del mondo interiore, la pressione esercitata dal bisogno di appartenenza, rappresentato dal Super-Io, mantenga vita natural durante un primato dinamico sul bisogno di individuazione. La specie umana è nata sulla base di tale bisogno che ha promosso sia una solidarietà tra i membri del gruppo sia la condivisione di un sistema di valori culturali ritagliato convenzionalmente all'interno di un universo simbolico che comporta indefiniti modi di essere significativi.

Il progresso storico ha indubbiamente fatto affiorare e potenziato progressivamente il bisogno di individuazione, ma, finora, non è riuscito a superare la soglia al di là della quale l'individuo si fa carico dell'umanizzazione, vale a dire del pieno impiego delle sue potenzialità, come di un dovere nei propri confronti. La tendenza persistente anche all'interno della nostra società è di affrancarsi da tale dovere non appena l'individuo raggiunge un livello di integrazione sociale che gli consente di sentirsi “normale”.

L'individuo poco o punto individuato è l'esemplare tipico di personalità esistente nel nostro mondo.

2.

L'evoluzione della personalità nella direzione della normalizzazione, che rappresenta l'obiettivo implicito di tutte le istituzioni pedagogiche e sottende, dunque, il modo di produzione della nostra società, in linea di massima funziona. L'adesione collettiva ai codici normativi assicura alla società una certa stabilità e coesione. Si tratta, però, nel nostro mondo, di una stabilità precaria: primo, perché tali codici presentano degli aspetti evidentemente disfunzionali, obbligando l'individuo ad una frenetica attività rivolta a mantenere o ad accrescere il suo status; secondo, perché essi, enfatizzando i valori impliciti nel modo di essere borghese, rendono progressivamente più difficile il confronto con un mondo in via di globalizzazione, inducendo una chiusura nel conservatorismo e nell'etnocentrismo.

In alcuni casi, però, quei codici non funzionano. Date determinate variabili congiunturali, che fanno capo al corredo genetico individuale e alle richieste operate dal contesto sociale, può accadere che tra i bisogni e le funzioni substrutturali che si edificano a partire da essi (Super-Io e io antitetico) si realizzi una scissione. In termini dinamici ciò significa, né più né meno, che le substrutture, anziché tendere verso l'integrazione, giungono ad opporsi più o meno irriducibilmente.

Penso che sia opportuno mettere tra parentesi il problema delle variabili congiunturali che producono la scissione. Tali variabili sono indefinite e riconducibili ad uno spettro all'interno del quale il peso dei fattori genetici e delle influenze ambientali riconosce molteplici combinazioni.

Questo articolo verte sulle conseguenze psicodinamiche di un conflitto riconducibile ad una scissione dei bisogni in fase evolutiva. Perché il discorso risulti sufficientemente chiaro, nei limiti in cui ciò oggi è possibile, occorre però approfondire alcuni presupposti teorici.

I bisogni intrinseci, nell'ottica della teoria struttural-dialettica, sono programmi geneticamente determinati: essi rispettivamente aprono il soggetto alle influenze ambientali, favorendo l'integrazione dei valori culturali propri del gruppo di appartenenza nella logica sistemica, e, fasicamente, aprono il soggetto sul suo mondo interiore, promuovendo la differenziazione della personalità sulla base della logica autonomizzante.

In quanto geneticamente determinati, i bisogni intrinseci vanno ricondotti a configurazioni neuronali radicate nel mondo delle emozioni, laddove si dà il sentire l'esigenza di una relazione significativa con il mondo sociale e il sentire l'esigenza di rivendicare una volontà propria e un certo grado di libertà nelle scelte di vita.

Le substrutture - il Super-Io e l'io antitetico - sono invece funzioni psicologiche che, come è attestato dalla psicopatologia, possono funzionare come soggettività dissociate tra loro e rispetto all'io.

Si pone qui il perenne problema tra biologia e psicologia, funzionamento cerebrale e esperienza mentale. Il problema è lungi dall'essere risolto, ma, oggi, non si può ritenere più assolutamente misterioso. Mentre, infatti, la riconduzione dell'Io ad una configurazione neuronale specifica è difficile da sostenere, la riconduzione del Super-io e dell'io antitetico a mappe neuronali non solo è ipotizzabile, ma suggestiva e probabile.

Il termine mappa neuronale è stato coniato da G. Edelman. Essa definisce una configurazione di neuroni che viene selezionata sulla base dell'interazione con l'ambiente e ha un valore funzionale in virtù della sua capacità di rappresentare l'ambiente stesso sulla base di “valori” che fanno riferimento alle esigenze biologiche dell'organismo. Le funzioni psichiche, secondo Edelman, sono riconducibili a diverse mappe tra le quali si dà il rientro, vale a dire una connessione reciproca che le calibra in rapporto alla funzione che esse devono adempiere.

Si può pensare, per esempio, che esistano mappe neuronali che presiedono alla soddisfazione dei bisogni alimentari, vale a dire che coordinano l'appetizione e la consumazione del cibo sulla base di un “valore” riconducibile a segnali che provengono dal centro della fame.

Ricondurre il Super-Io e l'Io antitetico a mappe neuronali che si selezionano sulla base del bisogno di appartenenza e del bisogno di individuazione sulla base del “valore” rispettivamente dell'essere in relazione e del sentirsi dotati di volontà propria, mi sembra estremamente credibile.

Il riferimento alle mappe neuronali ha un'ulteriore utilità. I rientri tra la mappa superegoica e quella antitetica potrebbero, infatti, essere concepiti non solo come correlazioni funzionali tra le diverse logiche dei bisogni intrinseci, ma anche come correlazioni dinamiche che, nel corso dell'evoluzione della personalità, vanno incontro a molteplici ristrutturazioni finché, eventualmente, non si stabilisce tra esse un qualche equilibrio.

In questa ottica, la scissione dinamica potrebbe essere ricondotta ad una disfunzione dei rientri, dovuta alle interazioni ambientali, che impedisce alle mappe di ristrutturasi dinamicamente. Il conflitto strutturale, esplorabile sul piano analitico, avrebbe dunque un suo preciso correlato neurobiologico disfunzionale.

La scissione tra i bisogni equivale ad una scissione tra il Super-Io e l'Io antitetico. E' evidente che la strutturazione di queste due funzioni, che veicolano esigenze proprie dell'apparato mentale umano sulle quali si sovrappongono determinati valori culturali, implica una forte dipendenza dalle influenze ambientali. Per quanto il Super-Io e l'Io antitetico non godano certo della varietà che è tipica dell'Io, che, nel suo complesso, è unico e irripetibile, è fuor di dubbio che la loro configurazione non è identica nelle varie personalità. Il Super-Io di un perfezionista morale e quello di un perfezionista sociale sono di solito, notevolmente differenziati, come peraltro l'Io antitetico di un soggetto ossessivo o quello di un soggetto che va incontro a crisi di eccitamento.

Dobbiamo però mettere da parte la diversità delle configurazioni delle substrutture per focalizzare il discorso sul potenziale evolutivo implicito in una scissione dinamica dei bisogni.

3.

E' noto che la fenomenologia psicopatologica è notevolmente varia, anche se essa, come ho illustrato in alcuni saggi, è riconducibile ad un insieme finito di categorie psicodinamiche.

La varietà fenomenologica, però, rende poco credibile il riferimento ad una matrice strutturale conflittuale univoca. Il problema sta nell'approfondire il concetto di matrice strutturale e nel valutarne il potenziale di sviluppo dinamico.

Per matrice conflittuale strutturale intendo una situazione caratterizzata, a livello inconscio, da una configurazione rigida delle substrutture che ne impedisce un'ulteriore evoluzione. La rigidità dipende molto spesso dalla configurazione del Super-Io che, reprimendo o colpevolizzando il bisogno di individuazione, determina lo strutturarsi di un Io antitetico ridondante, che identifica la libertà nella trasgressione e nell'anarchia. Può anche capitare, e di fatto capita sempre più spesso oggi a livello giovanile, che una strutturazione superegoica ancora modellabile venga investita da un bisogno di individuazione di particolare intensità che tende a sormontarla in tempi e con modi inadeguati.

In entrambi i casi, la conseguenza è che la strutturazione superegoica si rafforza ulteriormente per contenere la minaccia di un disordine “pulsionale”. In conseguenza di questo, il potenziale di individuazione, inibito nel suo dispiegamento, assume una configurazione sempre più ridondante e “minacciosa”.

Una situazione del genere rappresenta un anello psicodinamico riverberante. Il termine anello implica che il potenziale di entrambi i bisogni rimane intrappolato in una situazione che ne impedisce il dispiegamento. Il riverbero, che ovviamente si instaura tra le mappe neuronali del Super-io e dell'Io antitetico, è una conseguenza dell'intrappolamento. Esso è riconducibile al fatto che ciascuna delle sue substrutture si potenzia per effetto dell'interazione conflittuale con l'altra.

Come ho scritto in articoli precedenti, il ruolo dell'Io non è mai passivo. Se esso però non dispone di strumenti atti a decifrare il conflitto strutturale, qualunque strategia conscia o inconscia adotti, alleandosi con l'una o l'altra substruttura o producendo, a partire da esse, un Ideale dell'Io (superegoico o antitetico), è destinata a fallire e ad incrementare il conflitto stesso.

Sulla base dell'ipotesi dell'anello psicodinamico riverberante, la fenomenologia psicopatologica diventa comprensibile nei suoi molteplici aspetti.

Prima di approfondire questi aspetti riporto integralmente da Miseria della neopsichiatria un'esperienza clinica esemplare:

“R., figlio unico di una coppia d'alto lignaggio sposatasi quando i genitori sono già avanti negli anni, vive fin da bambino inchiodato alla scrivania sotto l'amorevole controllo di una madre che si dedica totalmente a lui. Ha avuto una prima infanzia felice, avvolto nell'agiatezza e nell'affetto genitoriale, manifestando un carattere vivace e una precoce intelligenza. I problemi iniziano con la scolarizzazione, allorché R. sente incombere su di sé, in quanto essere privilegiato, il dovere di pagare il debito nei confronti della sorte e degli avi eccellendo negli studi. Egli è ben disposto a pagare tale debito, ma a patto di essere lasciato libero di dedicarsi anche ai suoi giochi. Scopre invece, nell'interazione con i suoi, che le responsabilità che gli vengono assegnate gli impongono di lasciare alle spalle l'infanzia e di cominciare a comportarsi come un ometto. La madre, peraltro affettuosissima, contrasta in ogni modo la sua tendenza al gioco, nella quale legge l'espressione di una pigrizia costituzionale. Il rapporto si incrina nell'anima di R., che continua d essere un figlio educatissimo e ossequioso, ma stenta a capire come possano i suoi essere così incomprensivi dei suoi bisogni.

La risposta riuscirà a fornirla solo nel corso delle scuole medie, allorché, confrontando il tenore di vita della sua famiglia con quello di altre, meno agiate, egli capisce che i suoi si attengono ad un sistema di valori sostanzialmente mortificante. Dediti completamente ai loro doveri, non si concedono alcuna distrazione. R. apprezza questa pratica di vita virtuosa che attribuisce, nel contempo, ad una nobiltà immune dalla tentazione del lusso e ad un cristianesimo profondamente vissuto. Ma comincia a sentire, colpevolizzandosi, che questo modello di vita non riesce ad adottarlo e farlo proprio. Non dà spazio alcuno a questo vissuto, che ritiene espressione di una natura tendente ancora al male, e, per gratitudine e affetto nei confronti dei suoi, si impone una dura disciplina.

Con l'avvio delle superiori, il conflitto strutturale, che si è già delineato in profondità, comincia ad esprimersi sotto forma di un opposizionismo che obbliga R., aiutato e vigilato dalla madre, a studiare sino a tarda notte. I risultati continuano ad essere brillanti, ma vengono pagati al prezzo di un ritiro assoluto dal mondo. R. tra l'altro, non riuscendo a piegare la sua presunta natura selvaggia, che intuisce incline solo alla perdita di tempo, si sente in colpa e vive con strazio il sacrificio che impone alla madre. I suoi sforzi di autodisciplina però sono vani. Non solo l'opposizionismo aumenta, rendendo sempre più difficile l'esecuzione dei compiti. Cominciano a passare per la mente di R. fantasie oscene e aggressive nei confronti della madre che lo orripilano, e lo gettano in una disperazione profonda. Tali fantasie, attribuite al demonio, rendono ancora più penoso lo studio. La vita di R. diventa un calvario, inquietato dall'oscuro presagio di un crollo psicologico.

Verso la fine del liceo, sopravvengono dei rituali ossessivi. Nel corso del pomeriggio trascorso sistematicamente a casa, R. deve eseguire frequentemente una serie di movimenti dei muscoli mimici, del collo e della spalla, che, colti oggettivamente, sembrano simulare delle smorfie minacciose, dei segni di diniego e la preparazione a scagliare un pugno. Il carattere coercitivo dei rituali è da ricondurre al fatto che la loro mancata o scorretta esecuzione si associa alla paura che possa accadere del male ai genitori. R., che non ha mai parlato ai suoi di ciò che sperimenta nel suo intimo, ed è vissuto da essi come un buon figlio dotato di grandi qualità ma terribilmente pigro e incostante, si rifugia al bagno per eseguirli. Questo comportamento viene colto dalla madre semplicemente come evasivo.

Malauguratamente, la madre ammala di tumore allorché R. si iscrive all'università. Messo al corrente dal padre di una prognosi che non lascia molte speranze, egli, sconvolto dall'idea di perdere la madre, nonostante il suo carico di opposizionismi, di fantasie parassitarie (che, sul registro aggressivo, si sono estese anche al padre) e di rituali, si impegna al massimo grado per concederle qualche soddisfazione. Riesce di fatto a dare alcuni esami prima che essa venga meno. Al bordo del letto funebre sperimenta un singolare stato d'animo: una totale anestesia che gli impedisce di provare dolore e di piangere. Nonostante questo atteggiamento sia apprezzato dai parenti, che colgono in esso l'espressione di una sorprendente maturità, R., non riuscendolo ad interpretare, ne rimane sconvolto. Nei mesi successivi ripensa di continuo alla madre aspettandosi che si aprano le cataratte del dolore. Ma avverte solo una infinita pena razionale, senza alcuna vibrazione affettiva. Continua a studiare ossessivamente in memoria di lei, facendosi carico di un debito inestinguibile associato al ricordo di una figura materna che, nonostante la malattia, gli è stato accanto sino all'ultimo.

Dopo sei mesi sopravviene il tracollo strutturale. Mentre è impegnato nell'esecuzione di un rituale, R. viene folgorato dall'idea di non averne eseguito correttamente uno poco prima che la madre ammalasse. Subentra repentino un senso di colpa infinito che pone R. di fronte ad una colpa gravissima e irrimediabile. Si va a confessare più volte e viene confortato dal sacerdote, ma il sollievo è temporaneo. Giorno e notte l'idea di essere stato artefice della morte della madre lo martella.

Nel recarsi un giorno all'università, coglie sui volti di alcune persone delle espressioni che lo inducono a dubitare che sospettino di lui. Coscientemente è già giunto alla convinzione che sarebbe giusto subire un processo, ma non ha il coraggio di andare a denunciarsi. Nei giorni successivi, comincia a sentire, prima confusamente poi distintamente, delle voci che lo accusano di essere un figlio snaturato e di avere ucciso la madre. Si rifugia in casa ove le voci continuano a perseguitarlo attraverso i muri. Gli riesce chiaro che tutto il mondo ormai sa quello che ha fatto e si dispone a pagare la colpa. Le voci rispondono che la giusta pena sarà rappresentata dall'essere perseguitato sino alla fine dei suoi giorni.”

L'esperienza di R. pone di fronte ad una serie di salti strutturali che, dall'originaria e sfumata sintomatologia opposizionistica, attestata dalla svogliatezza e la difficoltà di concentrazione, giungono ad una sindrome delirante di tipo paranoico.

Nell'ottica neopsichiatrica, posta una predisposizione genetica, in R. si sarebbe realizzato dapprima una sindrome depressiva, poi un DOC e infine un delirio strutturato. Tre diversi disturbi, insomma.

Nell'ottica della teoria struttural-dialettica, la spiegazione è molto più semplice e densa. Il profondo e reciproco legame affettivo con i genitori induce in R., che è un bambino iperdotato, una strutturazione superegoica rigida, incentrata su di un senso del dovere assoluto e rigoroso. L'affettività, la gratitudine e il senso di indebitamento per la sua condizione sociale privilegiata inibiscono il dispiegamento del bisogno di opposizione, che rimane represso e con l'adolescenza compare sotto forma di opposizionismo inconscio nei confronti delle aspettative dei suoi, che pure R. ritiene giuste e legittime. Lo sforzo di rispondere ad esse, inchiodandosi al tavolino, esaspera l'opposizionismo fino al punto che affiorano le grimaces che attestano la strutturazione di un io antietico rabbioso e trasgressivo. La paura che si anima in R. in conseguenza della percezione di albergare qualcosa di cattivo e di demoniaco consente di comprendere l'affiorare dei rituali che, oltre a piegare la volontà ribelle ad una sorta di rigida disciplina, prescritta dal Super-Io, hanno un evidente significato riparativo nei confronti dei genitori e soprattutto della madre. Ma sono proprio i rituali, contrastati dall'io antietico, a produrre la catastrofe. E' la mancata esecuzione di uno di essi, infatti, che in R. assume la configurazione di una colpa che ha fatto ammalare e morire la madre, a rappresentare il nucleo del delirio, che poi si struttura sul registro di una condanna sociale universale.

In R., dunque, un banale conflitto tra i doveri di appartenenza, supportati dall'affetto e dalla gratitudine, e i diritti individuali, incompatibili con un modello di vita nobile ma sterilmente sacrificale, a rappresentare la matrice di un conflitto strutturale che, a livello adolescenziale, si sarebbe potuto risolvere facilmente se qualcuno avesse spiegato alla madre l'effetto controproducente e colpevolizzante del suo sacrificio votato al bene del figlio e a costui il significato “sano” e non demoniaco della sua rivendicazione di autonomia.

In difetto di questo intervento, tra il Super-io e l'io antitetico si è realizzato un tipico anello psicodinamico riverberante, aggravato dall'alleanza cosciente di R. con il Super-Io.

Una situazione del genere non è fatalmente esposta al rischio di esitare in un delirio: di fatto, nel caso in questione, ciò è accaduto. Il motivo di un'evoluzione così grave è stato accertato a posteriori, allorché R., dopo un penoso tragitto terapeutico nel quale si è impegnato a difendere ciecamente i suoi genitori, che peraltro gli sono stati restituiti come vittime essi stessi di una tradizione familiare e culturale oppressiva, ha scoperto che le energie “demoniache” facevano capo di fatto ad una straordinaria vitalità creativa aperta alla musica, alla letteratura, alle arti figurative e al cinema.

4.

Al di là dei sintomi, dei vissuti e dei comportamenti, vale a dire al di là della fenomenologia, non si dà alcuna possibilità, almeno attualmente, di valutare e quantificare le dinamiche che intervengono allorché si definisce un conflitto strutturale. E' evidente, però, che, tranne rarissimi casi caratterizzati da una sintomatologia che, dopo un certo periodo, scompare senza lasciare tracce e senza più ripresentarsi, la formazione di un anello riverberante è attestato dal fatto che, avviatosi un disagio psichico, esso tende a persistere e non di rado, soprattutto se affrontato solo con terapie farmacologiche, ad aggravarsi. La resistenza opposta da un anello riverberante alla psicoterapia è ben nota e giustifica i tempi mediamente lunghi del trattamento.

La fenomenologia clinica attesta che un anello riverberante tende solo di rado a mantenersi in uno stato stazionario; più spesso esso dà luogo a fluttuazioni che, nel corso degli anni, appaiono più ampie e più profonde.

Iscrivere questo decorso nel quadro di una malattia cerebrale o, nel caso della schizofrenia, di un processo morboso equivalente ad un cancro psichico è la tendenza intrinseca alla neopsichiatria.

Se si accettasse l'ipotesi psicodinamica sulla base della teoria dei bisogni intrinseci e si tenesse conto che essa non è psicogena, in quanto ammette e spiega le correlazioni tra funzioni psichiche e sistemi neuronali, la teoria e la pratica psichiatrica potrebbero andare incontro ad un cambiamento paradigmatico radicale.

Si capirebbe, in particolare, che le potenzialità investite nel conflitto, per quanto possano dar luogo a manifestazioni sintomatiche, sono potenzialità che, liberate dall'anello riverberante, possono riavviare l'evoluzione della personalità.

Da questo punto di vista, riuscirebbe chiaro che i sintomi sono messaggi che l'inconscio invia alla coscienza per “comunicare” uno stato di instabilità strutturale dovuto alla pressione che i bisogni operano nella direzione del dispiegamento. Recuperarli nella loro autenticità e spogliarli del carattere alienato che essi assumono rimanendo intrappolati nella struttura psicopatologica si configurerebbe come l'unica, vera terapia da portare avanti con estrema pazienza.

Il discorso sugli anelli psicodinamici riverberanti va approfondito perché rimane da spiegare il problema della varietà fenomenologia. Il caso di R. attesta che essa può essere ricondotta, in alcuni casi, a salti strutturali resi necessari dall'intensificazione del conflitto strutturale. Il fatto che tali salti possano avvenire all'interno di una esperienza individuale consente di capire le potenzialità fenomenologiche di un anello riverberante, che possono esprimersi sotto forma di “malattie” diverse in diversi soggetti.

Rimane però il problema, arduo, di spiegare perché una matrice conflittuale strutturale univoca, caratterizzata dalla scissione tra i bisogni e le substrutture che su di essi si edificano possa fenomenizzarsi sotto forma di attacco di panico, depressione, eccitamento, anoressia, paranoia, delirio, ecc.

Non penso che il problema sia risolvibile teoricamente perché ad esso concorrono variabili indefinite di ordine genetico, psicologico, ambientale e culturale.

Spero di riuscire in un articolo ulteriore a definire almeno alcuni criteri di fondo che possono orientare su questo terreno.