Introversione e Intelligenza Visuo-spaziale


1.

Circa due mesi orsono ho ricevuto per posta elettronica questa lettera:

“Salve, sono interessato ad aderire alla Lidi. Io e mio figlio di 4 anni siamo introversi e vorrei aiutarlo a crescere consapevole del suo modo di essere ed evitando i rischi che vengono evidenziati nei suoi articoli e nel libro.

Ha mai valutato la relazione tra l'introversione e lo stile di apprendimento "visuale spaziale"?  Ho trovato questo riferimento nel libro "Upside-Down Brilliance: The Visual-Spatial Learner" di Linda

Kreger Silverman. Mio figlio Leonardo è decisamente "visuale spaziale" e nel libro la Silverman mette in stretta relazione le due cose. Trova qualche riferimento qui: http://www.visualspatial.org/Articles/power.pdf

La lettera mi ha colpito non solo perché è abbastanza raro che un genitore intraprenda per conto proprio un tragitto conoscitivo per capire meglio la condizione del figlio e allevarlo secondo le sue linee di tendenza, con un atteggiamento, dunque, implicitamente critico nei confronti dell’insegnamento tradizionale, che egli intuisce come poco adeguato. Essa rileva giustamente anche una lacuna del saggio sull’introversione: lo scarso interesse dedicato alle componenti neuropsicologiche e neurobiologiche di questa singolare condizione. Questi aspetti  non potevano essere affrontati nella cornice di un saggio divulgativo, se non al rischio di appesantirlo. Essi, però, meriteranno un’attenzione ulteriore al fine di giungere ad una definizione più rispondente alla realtà dello spettro introverso. Un intento del genere è già implicito nella Bozza di Statuto della Lidi, laddove si fa cenno alla necessità di approfondirne gli aspetti genetici e neuropsicologici.

La lettera consente di fare un primo passo in questa direzione, ponendo il problema del tipo di intelligenza che funziona negli introversi.

Confesso, intanto, la mia ignoranza. Non conoscevo il libro della Kreger Silverman. Ho letto dunque attentamente l’articolo che mi è stato suggerito, e ho consultato il sito sul quale è stato pubblicato.

Riferisco qui le mie impressioni e valutazioni critiche.

Il lavoro della Kreger Silverman si iscrive nella cornice di un dibattito sull’intelligenza che ha matrici remote. Ponendo tra parentesi il problema sul carattere innato o acquisito dell’intelligenza (al quale dedicherò un articolo a parte), c’è da riconoscere che a tutt’oggi, nell’ambito delle discipline psicologiche,  non esiste una definizione univoca di intelligenza.

Anziché considerare le diverse concezioni che si sono succedute nella storia della psicologia, e che ancora oggi si mantengono, appare importante, ai fini di questo articolo, accennare ad un problema che si è posto sempre come essenziale: la distinzione tra intelligenza generale e intelligenza attitudinale.

La definizione di intelligenza generale, intesa come capacità di fare inferenze e di generalizzare o associare, risale a Spearman. Anche se egli ammette che in ogni prestazione intellettiva intervengano due fattori – uno di ordine generale e un altro specifico, caratteristico di quella particolare prestazione -, non v’è dubbio che egli accorda maggiore importanza al primo. Essendo il secondo subordinato ad esso.

Lo sviluppo delle tecniche di analisi fattoriale e un approccio più analitico alle capacità umane, ha messo ben presto in dubbio il modello di Sperman. In particolare Thurstone negli anni trenta individua per mezzo di questa tecnica statistica una serie di abilità separate che egli definisce “abilità primarie”, tra le quali annovera  l’abilità spaziale, che considera fattori sullo stesso piano e diversificati solo per l’intensità dei rispettivi contributi al compimento della prestazione intellettiva.

Sulla scia di Thurstone, Horn e Cattell hanno distinto cinque fattori di secondo ordine: 1) intelligenza cristallizzata, che si fonda sulle conoscenze acquisite e organizzate in memoria,  2) intelligenza fluida, che si fonda sulle capacità che non si basano sulle conoscenze a priori, ma sulla capacità di ragionamento, 3) un fattore generale di intelligenza visuo-spaziale,  4) un fattore generale di creatività, che entra in gioco quando è necessario scoprire delle soluzioni  nuove e originali, 5) un fattore generale di velocità di reazione.

Da allora, il dibattito sull’intelligenza, se si fa eccezione per il problema dell’influenza su di essa di componenti genetiche o ambientali, non è evoluto ulteriormente. C’è un accordo pressochè generale e implicito sul fatto che esista un intelligenza di ordine generale, che può riverberarsi nei vari ambiti di apprendimento e di prestazione legati alla vita. L’interesse degli autori si è però progressivamente accentrato sui diversi tipi di intelligenza.

Howard Gardner ha portato alle estreme conseguenze questo approccio creando la teoria secondo la quale non si può parlare di intelligenza, ma di intelligenze al plurale o  intelligenze multiple, tra le quali egli annovera: l’intelligenza verbale e linguistica, quella visuo-spaziale, quella logico-matematica, quella cinestesica, quella musicale, quella interpersonale, quella intrapersonale e quella naturalistica.

Sulla scorta della teoria di Gardner, c’è stata una tendenza da parte degli psicologi ad approfondire le caratteristiche differenziali e la specificità di questi diversi tipi di intelligenza.

Il lavoro della Kreger Silverman rientra in questo ambito: esso infatti è totalmente rivolto ad esplorare l’intelligenza visuo-spaziale.

Si tratterebbe di un’intelligenza fondata sulle immagini e su una percezione globale della realtà, in gran parte dipendente dall’emisfero destro, nettamente differenziata da quella lineare, sequenziale e analitica (vale a dire incentrata sul dettaglio), attribuibile all’emisfero sinistro e alle sue competenze linguistiche.

Tale tipo di intelligenza sarebbe fortemente rappresentata presso bambini iperdotati, molti dei quali sono introversi. Essa scrive:  “Introverts (who gain energy from within themselves rather than from interaction with others) may or may not be visual-spatial, but visual-spatial learners are very often introverted.” Con ciò, penso che oggettivi un dato reale, che riguarda un certo numero di soggetti introversi.

Dall’associazione tra introversione e intelligenza visuo-spaziale, la Silverman ricava che i soggetti dotati di tali potenzialità sono talora svantaggiati in una carriera scolastica fortemente contrassegnata dal privilegio accordato alla parola e alla razionalità, ma, se superano tale handicap e riescono a mettere a frutto le loro doti, spesso raggiungono eccellenti risultatati in ambito artistico, scientifico e umanitaristico. Essa scrive: “I realized that they saw the world differently, three-dimensionally. They saw through artists’ eyes, and some demonstrated artistic talent. Some were scientists and mathematicians, able to see the complex inter-relationships of systems. Some were computer junkies. Some were dancers, actors, musicians, imaginative writers. Some were highly emotional, extremely empathic. Some were spiritually aware and psychically attuned. Most were pattern-seekers and pattern-finders, excited with each new discovery. They pursued their interests passionately, sometimes to the exclusion of everything else. They definitely marched to a different drummer.”

E’ del tutto evidente che l’intelligenza spazio-visuale ha un intimo rapporto con l’immaginazione, intesa come capacità della mente umana di rappresentare qualcosa in sua assenza.

Il problema del ruolo dell’immaginazione nell’attività mentale umana è stato affrontato, nella storia delle scienze psicologiche, da vari punti di vista, tutti orentati a capire come nascono e si sviluppano le capacità di creare immagini mentali, e come se ne determinano i contenuti.

Una sintetica ricostruzione dei vari punti di vista può portarci al cuore del problema.

2.

Bruner (1964) sottolinea l'emergere sequenziale di tre modi di rappresentazione: motoria (‘enactive’), iconica (‘imagery’) e simbolica (verbale). Dallo schema dell'azione si passa allo schema spaziale e all'immagine, che si ferma però alla “superficie delle cose”, cioè agli aspetti sensoriali degli oggetti, e poi agli aspetti invarianti, astratti, simbolici della realtà.

Anche Piaget e Inhelder (1966) condividono in parte questa distinzione tra rappresentazioni immaginative e rappresentazioni verbali in termini di concreto/astratto, ma sottolineano come l'immagine sia essenziale per rappresentare la realtà in termini simbolici: essa forma infatti la base degli schemi mentali su cui si fonda l’intero processo di costruzione della conoscenza, dalle forme più semplici a quelle più complesse di simbolizzazione. Le immagini codificate dagli stimoli esterni vengono ‘assimilate’ e integrate negli schemi esistenti, ma al tempo stesso le discrepanze tra i nuovi stimoli e gli schemi pregressi vengono risolte creando nuove immagini e nuovi schemi ‘accomodati’ basandosi su di esse.

Dal punto di vista evolutivo, l'immaginazione appare in una prima fase all'età di 18-24 mesi, mentre il secondo decisivo momento è lo stabilirsi delle immagini anticipatorie (6-7 anni) che consentono la ricostruzione di processi dinamici e la previsione delle conseguenze degli atti. Il “non qui e non ora” - presupposto per il pensiero astratto - si basa anche sulla capacità di visualizzare realtà non presenti (visualizzazione anticipatoria nei termini di Piaget e Inhelder). L’immaginazione ha una valenza simbolica -non direttamente legata alla percezione -che può riprodurre o anticipare percezioni della realtà esterna, in rapporto allo sviluppo delle attività operatorie.

Sia Bruner che Piaget condividono, seppur con diverse accentuazioni, l'idea che le immagini siano specializzate per le rappresentazioni di oggetti ed eventi concreti, mentre il linguaggio interno è adatto a trattare problemi astratti.

Come Paivio (1971) ha fatto rilevare, l'idea di una transizione fra fase iconica e fase simbolica sottovaluta l'interazione continua tra le due modalità. Contrapporre immagine (concreto) e verbale (astratto) semplifica la complessità dinamica del rapporto fra queste dimensioni.

Kosslyn (1989) ribadisce come il bambino privilegi la visualizzazione, e la usi nei giochi che richiedono rappresentazioni mentali su base simbolica o visuo-spaziale (dal ‘compagno immaginario’ ai videogames). La cultura in cui il bambino è inserito tende a farlo passare ad una prevalenza della verbalizzazione, sostituendo le immagini mentali con il richiamo di concetti codificati verbalmente. Un problema inizialmente viene risolto su base visiva, richiamando l'immagine pertinente: alla domanda “i cani hanno quattro zampe?” il bambino piccolo risponde associando l'immagine visiva del cane; più tardi apprende a registrare l'informazione in forma proposizionale. Si può così fare a meno di tornare al richiamo dell'immagine, a meno che istruzioni specifiche o stimoli particolari non lo rendano necessario. Lo stesso avviene per altri tipi di problem solving, cui i bambini vengono addestrati a ‘pensare’ in termini proposizionali piuttosto che di immagini (torneremo ancora, più avanti, sui vantaggi di integrare invece le due modalità).

I problemi aperti nello studio delle immagini mentali da un punto di vista evolutivo sono stati sintetizzati da Paivio (1991): come si impara a immaginare spontaneamente, e a generare immagini su specifica richiesta? come si impara a descrivere le immagini interne? qual è la natura dei processi e delle variabili implicati nell'interscambio visivo/verbale, e come essi si originano evolutivamente? assodato che influiscono le esperienze associative richiedenti sia il linguaggio sia gli aspetti percettivo-motori (Dilley e Paivio, 1968; Reese, 1970), come questa influenza si articola con precisione?

«Il campo è aperto e di rilievo, perchè, fino a quando non avremo risposta al tipo di domande sopra riportate, avremo una comprensione solo inadeguata della natura strutturale e funzionale delle rappresentazioni mentali» (Paivio, 1991). In particolare, solo uno studio accurato delle modalità e delle forme ottimali di uso delle immagini mentali nei bambini può consentire ricadute applicative utili a migliorare attraverso esse l'apprendimento (Kosslyn, 1989).

I pre-requisiti per lo sviluppo dell’immaginazione sono (secondo Tower, 1983): la maturazione neurologica; l’organizzazione cognitiva; l’organizzazione affettivo-emozionale; le condizioni interpersonali (sicurezza nell’attaccamento, modelli adeguati); le condizioni ambientali: spazio e tempo sufficienti per l’eleborazione di giochi basati sull’immaginazione, assenza di condizioni di deprivazione, struttura non rigida ed adultocentrica delle relazioni educative favoriscono lo sviluppo delle capacità immaginative.

La costruzione della realtà interiore, mediata dalle immagini, si sviluppa quando la mente -grazie alla maturazione neuronale e all’apprendimento - è in condizione di cogliere i significati simbolici della realtà esterna: sono le immagini che consentono di anticipare i comportamenti prima di metterli in atto, e di creare un mondo interiore in cui desideri ed emozioni possono essere tematizzati. Man mano che l’apparato neurologico cresce in complessità, il bambino è in grado «non solo di creare immagini, ma di ricreare scene e avvenimenti complessi che ha osservato e combinarli in modi nuovi. Cominciano a formarsi ricordi fatti non solo di immagini di sequenze di azioni, ma anche di emozioni, intenzioni e desideri» (Greenspan, 1997).

Il passaggio dalla percezione della realtà alla sua rappresentazione prima in immagine e quindi in ‘simbolo’ è interpretabile, nei suoi aspetti emotivo-affettivi, anche in ottica psicodinamica. L’oggetto “transizionale” nella accezione winnicottiana costituisce una tappa importante di questo passaggio: forma infatti quell’area intermedia tra realtà esterna e vita interiore, che il bambino piccolo può consentirsi «tra la creatività primaria e la percezione oggettiva basata sul senso di realtà» (Winnicott, tr. it. 1974). In essa l’immagine mentale gioca un ruolo essenziale, che viene ripreso ogni qual volta si stabiliscano esperienze di tipo transizionale in epoche successive: quindi anche durante i percorsi educativi e nel corso di interventi riabilitativi o psicoterapeutici. Il riconoscimento, nella teoria di Winnicott, di questa potenzialità di immaginazione/invenzione «propone un avvio del funzionamento della mente e un’originaria formazione del Sé di tipo estremamente originale: rinviante alla creatività, a personali costrutti inventivo-esperienziali» (Lorenzetti, 1995).

Altra interpretazione psicodinamica di una esperienza in cui l’uso delle immagini, e dei simboli ad esse collegati, prende il sopravvento sul linguaggio e il pensiero verbale, è quella che già nel 1952 Kris descriveva come “regressione al servizio dell’Io”: meccanismo attraverso il quale l’Io attinge ma al tempo stesso controlla il processi primari di pensiero (cfr. anche Maslow, 1958). Questa esperienza è alla base di forme di creatività e di espressione artistica derivanti da codificazioni simboliche, basate prevalentemente su ‘immagini’, siano poi esse tradotte in parole o in ‘prodotti’ pittorici, plastici, cinematografici: fatto riscontrabile nelle biografie di famosi letterati, pittori e scultori, architetti, registi, e altre categorie di artisti; ma anche nella produzione scientifica e nella esperienza clinica ed educativa quotidiana.

3.

Quanto possono essere d’aiuto questi vari punti di vista nell’affrontare il problema del rapporto tra introversione e intelligenza visuo-spaziale?

Un primo punto importante verte sul fatto che, nell’evoluzione della personalità, la rappresentazione della realtà sotto forma di immagini precede quella della simbolizzazione astratta (verbale). Si tratta di un passaggio necessario, che non va però considerato arcaico.

In qualunque apparato mentale, la rappresentazione della realtà sotto forma di immagini e quella mediata da simboi astratti convivono e s’intrecciano.

Si può ammettere tranquillamente che, in alcuni soggetti, l’immaginazione conservi, per un lungo periodo o anche per sempre, una sorta di primato rispetto al simbolismo verbale. In tale caso, però, non avrebbe senso parlare di immaturità. Si tratterebbe, infatti, di un modo di rapportarsi alla realtà diverso rispetto a quello statisticamente più consueto, che in una certa misura “sacrifica” il potere dell’immaginazione rispetto alla razionalità lineare e sequenziale.

Non c’è da sorprendersi che l’intelligenza visuo-spaziale sia particolarmente viva in un certo numero di introversi, né che essa si associ quasi costantemente all’introversione. L’immaginazione, infatti, è tributaria più del mondo delle emozioni che di quello della ragione.

L’associazione tra intelligenza visuo-spaziale e introversione rappresenterebbe, dunque, un’ulteriore conferma del fatto che il carattere in assoluto più specifico dell’introversione è una particolare ricchezza del patrimonio emozionale. Tale patrimonio concorrerebbe a mantenere una particolare capacità di rappresentare la realtà sotto forma di immagini che, in altri casi, tende, nel corso dello sviluppo, ad affievolirsi a favore del predominio del linguaggio verbale.

Dall’articolo della Silverman è facile giungere alla conclusione che l’intelligenza visuo-spaziale sia la causa dell’iperdotazione introversa. Io ritengo che tale rapporto vada invertito. E’ l’iperdotazione, emozionale e intellettiva di un buon numero di introversi, che si riflette nel dare all’intelligenza visuo-spaziale una dimensione creativa. Tanto è vero questo che si danno introversi iperdotati, che eccellono nei campi dell’arte, della musica, della scienza, ecc., ma che sicuramente non sono provvisti di una particolare intelligenza visuo-spaziale.

L’associazione tra introversione e intelligenza visuo-spaziale è, dunque, significativa quando essa si dà, ma va ritenuta una conseguenza della dotazione emozionale introversa.

Se questo è vero, è difficile essere d’accordo con la previsione della Silverman per cui l’intelligenza visuo-spaziale tenderà a diventare predominante in un mondo dominato dalle immagini, vale a dire in un mondo che sta transitando dall’egemonia del linguaggio verbale a quello del linguaggio visivo. La Golden-Age della quale essa parla, nel corso della quale l’emisfero destro dovrebbe riconquistare un ruolo privilegiato rispetto a quello sinistro, mi sembra un’illusione prospettica, priva di fondamento.

L’opposizione dicotomica tra emisfero destro ed emisfero sinistro non può, infatti, alla luce degli sviluppi delle neuroscienze, essere confermata. Non solo essi funzionano in intima connessione: possono valorizzare le loro potenzialità solo in virtù di tale connessione.

La civiltà delle immagini, così come si sta definendo in conseguenza dell’affermazione progressiva dei mass-media televisivi e telematica, usa infatti le immagini stesse non già per stimolare l’immaginario, ma per veicolare messaggi decifrabili in termini lineari: per esempio, messaggi pubblicitari o di propaganda politica.

In questo mondo di immagini che si succedono in fretta, con un ritmo vorticoso, e con la funzione specifica di colpire l’occhio, non penso che gli introversi in genere, e anche quelli dotati di intelligenza visuo-spaziale si troveranno più a loro agio. In quanto tributaria dell’immaginario emozionale, infatti, quell’intelligenza ha una cadenza caratteristicamente lenta, vagamente onirica, inesorabilmente riflessiva.

Non escludo ovviamente che i soggetti introversi dotati di una spiccata intelligenza visuo-spaziale possano utilizzare a modo loro, creativamente, il flusso delle immagini che scorre sempre più cospicuo nel nostro mondo. Ciò avverrà però in nome della loro creatività, e non già sulla base del valore intrinseco di quel flusso.

4.

Queste mi sembrano alcune riflessioni pertinenti sul problema sollevato dalla Kreger Silverman.

In breve, la sua teoria per alcuni aspetti è opinabile. Rimane senz’altro vero il richiamo alla necessità di riconoscere la dotazione di intelligenza visuo-spaziale come una ricchezza che può essere mortificata da una pratica pedagogica e scolastica incentrata sul superamento del potere dell’immaginazione a favore del linguaggio verbale.

E’ inutile dire che la Lega, via via che entrerà in azione, dovrà farsi carico, sia teoricamente che praticamente, anche di problemi di questo genere per evitare che bambini introversi dotati di intelligenza visuo-spaziale possano essere discriminati e mortificati nelle loro potenzialità di sviluppo.

Non si tratta certo di un compito semplice, ma, nell’ottica, intrinseca alla Lega, di una ristrutturazione della pedagogia a misura delle potenzialità umane, mi sembra ineludibile.