La linea dura sulla droga (1)


1.

Il vice-presidente del Consiglio dei Ministri ha anticipato per la fine dell’anno un disegno di legge che inasprirà ulteriormente l’attuale legge sulle droghe, vietandone l’uso personale e dunque penalizzando anche il possesso di modiche dosi (per uso personale). La proposta prevede ancjhe l'abolizione della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, che verranno equiparate come stupefacenti. La giustificazione politica per questo ulteriore giro di vite è che la legge attuale avrebbe permesso a molti spacciatori di non incorrere in una condanna. La giustificazione scientifica, espressa dal Ministro della Sanità, si fonda sul parere di una Commissione che, sulla base dell'analisi della letteratura a riguardo, sarebbe giunta alla conclusione che le droghe leggere (marijuana in particolare) danno dipendenza e sono nocive sia fisicamente che psicologicamente. In particolare la Commissione sottolinea l'incidenza di sindromi psicopatologiche (schizofrenia compresa) in soggetti che hanno abusato di droghe leggere.

In questo articolo affronterò prima il problema scientifico di quello politico. Una premessa importante a riguardo verte sull'attendibilità delle Commissioni ministeriali quando esse si confrontano con tematiche di ordine, oltre che medico, psicosociologico e psichiatrico. L'attendibilità è pressochè inesistente. Tali Commissioni, infatti, che assicurano ai partecipanti lauti gettoni di presenza, sono designate dal Ministro in carica. Il Presidente e i membri possono essere sostituiti ad arbitrio del Ministro. Per questo motivo è oltremodo difficile che esse non esprimano pareri consonanti con le aspettative del Ministro stesso e con le linee del governo in carica. Quando i pareri richiesti, poi, vertono su questioni controverse, non è mai difficile ricavare dalla letteratura internazionale prove a favore di una tesi, che vengono valorizzate ponendo tra parentesi le prove contrarie.

In rapporto al problema in questione - l'induzione di sindromi psicopatologiche da parte delle droghe leggere -, c'è da dire che la controversia tra gli esperti va avanti da trent'anni. Posso affermarlo con certezza perché, nel lontano 1970, quando lavoravo all'Università, mi fu assegnato il compito di assistere un laureando nella stesura di una tesi che verteva proprio sull'induzione di sindromi psicotiche da parte della marijuana. Già a quell'epoca, era chiaro che il dato di fatto per cui eccezionalmente alcuni fumatori di marijuana manifestano una sintomatologia psicotica, veniva interpretato diversamente dagli autori a seconda del loro modo di vedere riguardo ai fenomeni psicopatologici. Per gli organicisti, l'induzione era dovuta all'impatto chimico del fumo su di un sistema cerebrale costituzionalmente vulnerabile e predisposto alla produzione di sintomi psicotici. Per gli psicodinamisti, viceversa, la marijuana, utilizzata come un farmaco atto ad alleviare tensioni interiori dovute all'esistenza di conflitti psicodinamici, non riusciva a scongiurare l'attività degli stessi e, dopo un sollievo di varia durata, contribuiva a dare luogo all'emergenza sintomatica dei conflitti stessi.

Dopo oltre trent'anni, c'è solo da prendere atto che, non essendo cambiati gli assunti di fondo da cui muovono gli esperti, le conclusioni opposte cui pervengono - che sottolinenao per un verso la nocività della marijuana e per un altro il suo limitato potere psicofarmacologico - sono le stesse. La Commissione ministeriale si è limitata, per piaggeria o opportunismo, a estrapolare dalla letteratura scientifica, un phylum interpretativo omettendo l'altro.

2.

Se, posto questo, ci si chiede come stanno veramente le cose, il discorso diventa complesso. Tra i fumatori di marijuana, è facile distinguere due categorie. La prima è caratterizzata da un uso edonistico del fumo, che viene utilizzato occasionalmente (caratteristicamente nel fine settimana) per realizzare uno stato d'animo ludico, alleggerito dalle ansie della vita quotidiana. Questa categoria riconosce una massiccia componente giovanile, ma ad essa partecipano non poche persone adulte. La seconda categoria, viceversa, è rappresentata da fumatori abituali che coscientemente danno al fumo un significato edonistico, ma di fatto lo usano come uno psicofarmaco, per affrancarsi da una sensibilità dolorosa, per alleviare tensioni interiori, per tenere sotto controllo conflitti potenzialmente psicopatologici. All'interno di quest'ultima categoria occorre poi distinguerne altre due sottocategorie: la prima, molto rappresentata a livello di periferia urbana, ideologizza l'uso della droga, dando ad essa il significato di un radicale (per quanto sterile) dissenso rispetto al mondo così com'è. Si tratta di ragazzi e di giovani che non sanno neppure bene perché il mondo non gli va a genio, ma che comunque sono spinti ad opporsi ad esso, a disprezzare la normalità, il modo di vivere comune. L'uso in gruppo della droga tende a radicalizzare questo modo di vedere e di sentire, e crea una sorta di alleanza e di connivenza tale per cui la fuoriuscita dal gruppo viene vissuta come un tradimento, e dà luogo all'emarginazione. La seconda sottocategoria comporta viceversa l'uso solitario della droga che, senza alcuna ideologizzazione, produce un ritiro dal mondo sempre più marcato, il disinteresse per i propri doveri, una sorta di apatia generalizzata sul cui sfondo l'uso della droga diventa la ragione stessa del vivere.

Per quanto concerne la prima categoria, la proposta di legge appare assolutamente arbitraria. Si tratta infatti di una scelta di vita volontaria, non nociva all'individuo né agli altri, meno pericolosa rispetto all'uso di altre droghe liberalizzate (alcol, tabacco, ecc.). Una scelta di vita contestabile, forse, ma solo moralisticamente, non giuridicamente.

Per quanto riguarda l'altra categoria, per la quale l'uso della droga ha un carattere di necessità psicologica, il problema sta nel chiedersi quale alternativa viene offerta. La repressione e la penalizzazione dell'uso non è un'alternativa. Certo, il dissenso con il mondo così com'è, esplicito laddove l'uso avviene in gruppo ed è ideologizzato e implicito laddove l'uso è solitario, potrebbe esprimersi molto meglio su di un terreno culturale e politico. Ma intanto non si dà alcuna forza politica che eserciti un'attrazione su questa fascia della popolazione giovanile. In secondo luogo, c'è da chiedersi, ove quel dissenso imboccasse una via politica, se coloro che hanno proposto la legge sarebbero soddisfatti, dato che inesorabilmente quel dissenso imboccherebbe in gran parte le file dell'opposizione. I fatti di Genova sembrebbero attestare di no.

3.

L'accostamento non è casuale. Se si tiene conto, infatti, della criminalizzazione del movimento no-global, i cui membri a Genova sono stati univocamente trattati come drogati e comunisti, della reintroduzione a scuola del voto di condotta, del pugno duro della giustizia sui minori, cui ho dedicato un articolo, e della proposta di legge sulla droga che è stata anticipata, emerge univocamente la linea di una politica governativa riguardo ai giovani sostanzialmente repressiva. Che senso ha questa politica? Evidentemente c'è, a livello politico, la percezione di un disagio che pervade il mondo giovanile e si esprime, sia pure in forme diverse, su di un terreno che, quando non è contestatario e trasgressivo, implica il rifiuto della normalità corrente. Ma questa percezione viene elaborata come una mera conseguenza del fatto che i ragazzi e i giovani hanno bisogno di una guida certa, che è venuta meno in seguito al subentrare della cultura permissiva residuata agli anni '70.

Si tratta di un'analisi estremamente superficiale. I problemi adolescenziali e giovanili sono di fatto ben più complessi e inquietanti. Ho scritto a riguardo già alcuni articoli, e probabilmente altri ne scriverò. Senza entrare sul terreno dell'analisi, basterà ribadire che la motivazione edonistica e trasgressiva che i politici attribuiscono ai giovani che fanno uso delle droghe leggere incide molto poco nell'indurre il comportamento appetitivo rispetto ad un malessere profondo, nel quale il senso dell'inadeguatezza (rispetto ad un modello adultomorfo), la difficoltà di abbandonarsi agli affetti, il difetto di ideali e di progetti elevati (anche al limite di ideologie forti), il rifuto di confrontarsi con la finitezza e la precarietà dell'esistenza, le prospettive di vita ingabbiate in un modello normativo piuttosto grigio, le prospettive storiche vincolate ad uno stato di guerra permanente si mescolano in una miscela psicologicamente tossica.

Se c'è qualcosa di cui preoccuparsi non è l'uso delle droghe leggere, bensì il viraggio, che avviene sempre più spesso, da un'infanzia dorata (e neppure per tutti) alla presa di coscienza di un destino adulto in un mondo che non sembra esercitare alcun carisma sull'anima giovanile.

Su questo tema occorrerebbe discutere. Ma sarà difficile che questo avvenga finché i politici avranno come unico scopo il fatto di spacciare il nostro come il migliore dei mondi possibili.

Ottobre 2003