ADHD


1.

ADHD (Attention deficit/hyperactivity disorder) è l'etichetta nosografica con cui negli Stati Uniti si è definita una patologia psichiatrica infantile caratterizzata da disturbi dell'attenzione e della concentrazione, iperattività motoria e impulsività. Essa è stata ufficializzata dall'inserimento nel DSM-IV, il manuale di diagnostica messo a punto dall'Associazione degli psichiatri statunitensi. L'inserimento è stato reso necessario dalla necessità di autorizzare i medici a prescrivere ai bambini affetti da ADHD farmaci psicostimolanti ad effetto amfetaminosimile. Attualmente circa 5 milioni di bambini americani assumono in medie due compresse al giorno di tali farmaci. La spesa farmaceutica per ADHD nel 2002 ammonta a circa 850 milioni di dollari, vale a dire 1700 miliardi di vecchie lire.

La diffusione della malattia è controversa. Il DSM afferma che essa riguarda il 3-5% dei bambini. Di recente l'Associazione dei pediatri statunitensi riferisce una cifra oscillante tra il 4 -12%. Parecchie ricerche attestano di fatto che la malattia è in aumento. Frutto di screening diagnostici più attenti rispetto al passato o viceversa di una tendenza a fare rientrare nella categoria nosografica gran parte dei disturbi dell'apprendimento e della condotta infantili?

La diagnosi, problematica, si fonda su scale come la seguente che vengono somministrate a genitori e insegnanti:

Scala A (Disattenzione)

1) Non presta viva attenzione ai dettagli o fa errori di distrazione nei compiti scolastici, nel fare

commissioni o in altri incarichi.

2) Ha difficoltà a mantenere l’attenzione nello svolgere incarichi, nei compiti, o nelle attività varie.

3) Quando gli si parla sembra non ascoltare

4) Non segue fino in fondo le istruzioni e non porta a termine i compiti di scuola, le commissioni che deve fare o gli incarichi (ma non per comportamento oppositivo o incapacità a seguire le direttive).

5) Ha difficoltà a organizzarsi negli incarichi, nelle attività, nei compiti.

6) Evita, non gli piace o è riluttante ad affrontare impegni che richiedono uno sforzo mentale continuato (ad es. i compiti di scuola).

7) Perde le cose necessarie per il lavoro o le attività (ad es. giocattoli, diario, matite, libri o oggetti scolastici vari)

8) Si lascia distrarre da stimoli poco importanti.

9) E’ sbadato, smemorato, nelle attività quotidiane.

Scala B (Impulsività/Iperattività)

10) Da seduto giocherella con le mani o con i piedi o non sta fermo o si dimena.

11) Lascia il suo posto in classe o in altre situazioni dove dovrebbe restare seduto.

12) Corre intorno e si arrampica di continuo, quando non è il caso di farlo (nell’adolescenza può

trattarsi per lo più di irrequietezza).

13) Ha difficoltà a giocare o a intrattenersi tranquillamente in attività ricreative.

14) E’ sempre "sotto pressione" o spesso  si comporta come se fosse azionato da un motore.

15) Parla troppo.

16) "Spara" le risposte prima che sia terminata la domanda.

17) Ha difficoltà ad aspettare il suo turno.

18) Interrompe o si intromette (per esempio nelle conversazioni o nei giochi degli altri).

Scala C

19) Non coopera o mostra atteggiamenti di sfida o litiga con gli adulti.

20) Ha difficoltà ad andare d’accordo con gli altri bambini.

21) E’ spesso arrabbiato, irritabile o facilmente contrariato.

22) E’ eccessivamente ansioso, preoccupato o pauroso.

23) Sembra triste, lunatico, depresso o scoraggiato.

24) Ha problemi di avanzamenti scolastici (livelli di capacità di apprendimento).

25) Ha problemi di risultati scolastici (rendimento o precisione).

da Karen J. Miller , MD  10/98  Pediatrics in review  Vol.19  No. 11 November 1996

I genitori e gli insegnanti possono rispondere alle domande con: mai, qualche volta, spesso, molto spesso. La valutazione diagnostica si fonda sui seguenti criteri:

1)Sei o più di sei dei nove criteri di una o entrambe le tabelle A e B devono sussistere da almeno 6

mesi, spiccare per la loro frequenza (spesso, molto spesso) al livello che mal si adatta ed è

inconsistente con il grado di sviluppo.

2) Alcuni dei sintomi devono essere già presenti prima dei sette anni.

3) Un certo disagio causato dai sintomi deve essere presente in due o più ambienti (es. a scuola o al

lavoro e a casa).

4) Deve sussistere una chiara documentazione di significativo deficit clinico nella funzione sociale,

scolastica ed occupazionale.

5) I sintomi non compaiono esclusivamente nel corso di una turba pervasiva dello sviluppo,

schizofrenia od altre turbe psicotiche, ne' sono attribuibili più agevolmente ad altra turbe mentale (es.

dell’umore, dell’ansia, dissociativa e della personalità).

Sulla base di questi criteri, i bambini identificati come sospetti vengono sottoposti a tests di attenzione, d'intelligenza e di controllo comportamentale.

Dall'insieme dei dati si ricava la malattia in una delle tre forme riconosciute dal DSM: AHDH combinata, con disturbi dell'attenzione, iperattività e impulsività; ADHD con prevalenti disturbi dell'attenzione; ADHD con prevalenti irrequietezza motoria e aggressività. Queste forme non di rado si associano ad altre patologie psichiatriche infantile e in particolare ai disturbi di condotta (CD), caratterizzati da un'ansia spiccata e da una rilevante aggressività, e al disturbo opposizionale (ODD), caratterizzato dall'isolamento e dallas capricciosità.

L'ADHD colpisce i bambini in una misura sei volte maggiore rispetto alle bambine, tra le quali prevale la forma con disturbi di attenzione.

L'evoluzione della malattia è imprevedibile. Se avvengono, i miglioramenti si realizzano tra i 12 e i 20 anni. Residuano però sempre alcune difficoltà d'inserimento sociale e si definisce spesso un'appetizione per l'alcool e le droghe. Dal 10% al 60% dei casi persiste anche a livello adulto. In questi casi il disturbo di attenzione ha sempre serie conseguenze sulla vita di relazione sociale e sull'inserimento lavorativo. L'impulsività e l'aggressività, persistendo, spesso porta a esperienze devianti (alcol, droghe, comportamenti antisociali).

Di recente, è stato identificato un ADHD adulto, caratterizzato da incapacità di leggere e di studiare, incostanza, volubilità, difettoso inserimento sociale e affettivo, appetizione spiccata per l'alcol e le droghe, comportamenti antisociali. Gli psichiatri sostengono che in questi casi l'anamnesi permette di ricostruire I sintomi della malattia infantile.

Il trattamento di elezione nei bambini è con psicostimolanti amfetaminosimili, il più diffuso dei quali è il metilfenadato (Ritalin). Con esso si avrebbe un miglioramento clinico nel 90% dei casi. Alla cura farmacologica vanno associate terapie riabilitative a livello di socializzazione e un sostegno alle famiglie, spesso molto provate dall'esperienza di convivenza col figlio.

Dal criterio ex-juvantibus, si induce che la malattia è dovuta ad un deficit di dopamina, riconducibile ad una scarsa sensibilità dei ricettori specifici o ad un precoce riassorbimento del neurotrasmettitore. La causa della malattia sarebbe di origine genetica.

2.

Questa è la vulgata psichiatrica. Quale credibilità si può assegnare ad essa? Sicuramente ben poco per quanto riguarda l'ADHD adulto. Data l'epoca recente in cui si è definita la malattia, casi di persistenza di un ADHD infantile in età adulta sono di fatto ben pochi. L'ADHD adulto è un'etichetta nosografica equivoca, che viene sempre più spesso utilizzata negli Stati Uniti per ricondurre nell'ambito dell'ideologia psichiatrica forme di esperienza che, di fatto, sono, in misura più o meno rilevante, contestatarie e/o devianti. Gli indizi anamnestici di un ADHD infantile, in questi casi, sono labili o vengono ricostruiti ad hoc.

Il senso di questa mistificazione ideologica non potrebbe essere più chiaro. Facendo rientrare nell'ADHD adulto le esperienze prima etichettate come personalità antisociali e esperienze caratterizzate dal rifiuto di integrarsi, da un orientamento marcatamente claustrofobico e dal ricorso alle droghe, si tenta né più né meno di etichettarle come malattie mentali di origine genetica. E' un ulteriore passo in avanti verso la psichiatrizzazione di gran parte dei comportamenti devianti.

Questo etichettamento però è inutile. Primo perché i soggetti in questione non sviluppano quasi mai una domanda di cura e non si rivolgono agli psichiatri. Secondo perché non si può prescrivere ad essi, che spesso già si drogano, il miracoloso Ritalin se non a rischio di indurre un'accentuazione dell'aggressività sociale o addirittura una psicosi.

Per quanto riguarda l'ADHD infantile il discorso è più complesso.

Il comportamento del bambino affetto da ADHD, come riesce chiaro dalla scala di valutazione, è diverso a seconda della prevalenza o della combinazione di distrazione , iperattività e impulsività.?Lo stereotipo, che è anche la tipologia più frequente, è quello di un bambino distratto, smemorato, disordinato, che rende poco a scuola e non riesce ad impegnarsi a fare i compiti; che si muove in continuazione, a volte freneticamente, e, poco attento e scoordinato, rischia di continuo di fare disastri; che non lega con i compagni, anzi spesso viene emarginato come un disturbatore cronico, tanto più se assume (come spesso accade) atteggiamenti provocatori, tracotanti, minacciosi e aggressivi; che ha quasi sempre la luna storta, non risponde ai comandi genitoriali, anzi spesso fa il contrario e sembra impegnato di continuo a sfidare l'autorità. Pierino la peste, insomma, che porta all'esaurimento i parenti ed è l'incubo degli insegnanti.

L'incidenza di una patologia del genere a carico della famiglia è notevole. Colpevolizzati dagli insegnanti e dai parenti degli altri bambini, i genitori oscillano tra atteggiamenti repressivi, che speeo peggiorano il comportamento del bambino, e atteggiamenti pseudopermissivi (lasciarlo fare per non farlo arrabbiare e, qualche volta, sperando inconsciamente che si punisca facendosi male da solo). Essi, di solito, non possono contare sull'aiuto dei parenti, che si rifiutano di tenere il bambino con sé e spesso concorrono essi stessi a colpevolizzare I genitori di averlo educato male. Difficile riesce anche trovare una baby-sitter che si sottoponga al martirio. Con un figlio del genere, è impossibile andare al ristorante, in vacanza, ecc.

Un dramma reale, insomma, che si sta diffondendo anche in Italia, ove si calcola che la quota di bambini affetti da ADHD sia già intorno al 5%. Un dramma che richiede di essere interpretato. Prescindendo ovviamente dall'ipotesi di una malattia cerebrale di origine genetica. Primo, perché non si dà alcuna prova scientificamente significativa a riguardo; secondo, perché l'effetto degli psicostimolanti, sicuramente incisivo, non può essere assunto come una prova ex-juvantibus. Esso infatti non esclude affatto una genesi psicosomatica. Terzo perché la crescente diffusione statitica del fenomeno in pochi anni contrasta con l'ipotesi genetica.

3.

Che qualcosa non funzioni nel cervello dei bambini affetti da ADHD è fuori di dubbio. Il cervello infantile è un organo in evoluzione sia dal punto di vista strutturale che funzionale. Come ogni processo evolutivo, che è dinamico e passa attraverso crisi, l'evoluzione del cervello può risultare facilmente interferita e squilibrata da fattori variabili, anche di poco conto, le cui conseguenze possono essere moltoserie.

Per capire quello che non funziona occorre partire dal livello comportamentale, l'unico osservabile. Il comportamento di un bambino affetto da ADHD è né più né meno quello di un animale in gabbia. Il riferimento non è metaforico. Un animale in gabbia può reagire secondo due diverse modalità: la prima è una modalità implosiva, tale per cui l'ingabbiamento riduce più o meno gravemente l'attenzione per l'ambiente, mortifica il bisogno di esplorazione (data la monotonia degli stimoli) e può giungere infine a produrre una sorta di depressione frusta; la seconda è una modalità reattiva, caratterizzata dall'irrequietezza motoria, dal nervosismo e dall'aggressività.

I bambini affetti da ADHD manifestano l'uno, l'altro o entrambi questi comportamenti, che sembrano dunque immediatamente riconducibili ad una reazione inconsapevolmente oppositiva che va dall'opposizionismo (la disattenzione) al negativismo (la tendenza a fare il contrario di quanto gli viene detto) alla coazione a trasgredire (l'impulsività e l'aggressività).

Il problema interpretativo, che porta a prendere in considerazione l'ipotesi di una malattia, è che la gabbia non esiste o almeno non è visibile.

I bambini affetti da ADHD provengono da due diversi contesti familiari. In un numero peraltro minoritario di famiglie è facile individuare nei genitori dei tratti di comportamento simili a quelli dei bambini. In questi casi si ammette che i genitori siano affetti essi stessi da un ADHD. In realtà si tratta solitamente di personalità oppositive, claustrofobiche, con un cattivo grado di inserimento sociale , che non di rado, esibiscono comportamenti devianti (alcol, droga, criminalità) e, talora, hanno disturbi psichiatrici. La gran parte delle famiglie, però, sono assolutamente normali. Il comportamento dei bambini affetti da ADHD è ancora più singolare in presenza di fratelli o di sorelle normofunzionanti.

Nel primo caso, senza fare ricorso ad una misteriosa malattia, si può ammettere che i bambini siano influenzati dall'ambiente familiare e riproducano, secondo modalità loro proprie, infantili, i comportamenti degli adulti. Ma nel secondo caso?

Una delle carenze più gravi a livello di psicopatologia dell'età evolutiva, che incide anche nella ricostruzione della carriera di soggetti adulti affetti da disagio psichico, consiste nel non considerare il concetto di campo. Le interazioni infantili avvengono di fatto in campi interpersonali (familiari e scolastici) attraversati e strutturati da aspettative e da regole consce e inconsce. Queste ultime non sono osservabili perché rappresentano la proiezione nel campo interpersonale dell'inconscio genitoriale e delle regole istituzionali implicite.

E' noto da tempo che alcuni bambini, dotati di una capacità intuitiva fuori dell'ordinario, interagiscono più con gli aspetti inconsci che non con quelli coscienti dei campi interpersonali. Ciò significa che il loro comportamento può apparire incomprensibile se si sta alle apparenze, ma diviene comprensibile se si tiene conto di quesgli aspetti.

L'ipotesi alternativa alla malattia crerebrale che si può avanzare è che i bambini affetti da ADHD (che dunque sarebbe una sigla atta a definire solo un insieme di comportamenti) incappino in una gabbia di regole e di aspettative poco adeguate ai loro bisogni e interagiscano negativamente e inconsciamente, protestando .

Data la natura affatto inconsapevole della protesta e l'epoca in cui essa si realizza, l'ipotesi non esclude affatto un disordine funzionale cerebrale secondario. La crescita del cervello, come è ormai noto, avviene sulla base di una selezione darwiniana neuronale che muove da ricorrenti eplosioni di produzioni sinaptiche che, nell'interazione con l'ambiente vengono appunto selezionate. Ciò signica che molte sinapsi vengono potate e quelle che rimangono attive danno luogo all'instaurarsi di circuiti interneuronali che assicurano l'organizzazione della personalità. Se l'interazione con l'ambiente è disturbata, e il bambino è spinto a mantenere un atteggiamento opposizionistico e reattivo nei confronti degli stimoli ambientali, la selezione non avviene o avviene in misura ridotta. Ciò potrebbe spiegare immediatamente i comportamenti disturbati che sarebbero espressivi di difficoltà cognitive riferibili alla difficoltosa definizione di mappe cognitive e ad una turbolenza emozionale, di natura rabbiosa, che imperdirebbe l'autocontrollo (esso stesso riconducibile ad una carenza di circuiti interneuronali cortico-subcorticali).

Protraendosi nel tempo, è evidente che una situazione del genere può tradursi in un disordine funzionale e al limite anche strutturale del cervello. L'ADHD sarebbe dunque una condizione originariamente interattiva che potrebbe poi tradursi in un assetto cerebrale disfunzionale e, al limite, strutturale (almeno in alcuni casi).

4.

L'ipotesi avanzata, psicosomatica, dimostra che, volendo, si potrebbe fare un buon uso della neurobiologia in un'ottica che non sia irretita dalla causalità immediatamente medica.

Rimane da spiegare però l'effetto degli psicostimolanti. Ma questo non sembra particolarmente difficile. Stimolando infatti la produzione di dopamina o impedendone il precoce riassorbimento, gli psicostimolanti potrebbero infatti "forzare" il processo di selezione neuronale, e favorire di conseguenza l'organizzazione di moduli comportamentali adeguati.

Riconoscere questo non significa però avallare una pratica terapeutica vincolata al pregiudizio genetico. Rimane il fatto che i bambini trattati solo con psicostimolanti spesso manifestano anche da adulti rilevanti difficoltà di apprendimento e di relazione sociale. Si tratta dunque di affrontare il problema in un'ottica più vasta di ordine psicosociosomatico, tenendo conto tra l'altro che i bambini affetti da ADHD sono spesso dotati di capacità intuitive molto elevate e talora da un'intelligenza viva. Essi dunque, senza rendersene conto, potrebbero denunciare un'organizzazione sociale strutturata da campi che funzionano per i bambini medi, ma non funzionano per loro.

Purtroppo, come avviene per la psichiatria degli adulti, la vulgata statunitense sta passando anche in Italia. Si sono costituite associazioni di genitori di bambini affetti da ADHD il cui intento è di sensibilizzare l'opinione pubblica e promuovere una migliore assistenza. La loro univoca richiesta, però, è la messa in commercio del Ritalin, ritirato in Italia da alcuni anni. Il Ministero della Sanità italino si è fatto carico della richiesta, senza peraltro, fino ad oggi, riuscire a convincere la casa farmacautica a commercializzare il prodotto.

Se e quando ciò dovesse avvenire, non è il caso di avviare crociate contro la somministrazione di psicostimolanti ai bambini. Il problema è mantenere viva la riflessione sul fenomeno nell'intento di capirne meglio le ragioni e di intervenire, preventivamente e terapeuticamente, in maniera più appropriata.

Personalmente, ritengo che l'ADHD sia un altro fenomeno che pone di fronte al problema di una diversità genetica misconosciuta.