La Psichiatria biologica tra Business e Metafisica

1.

Poco tempo fa, nel corso di una trasmissione televisiva che ha affrontato per l'ennesima volta il tema della depressione, uno psichiatra ha esibito, con un colpo di scena, la "prova" della natura biologica della malattia depressiva, mostrando le immagini a colori, colte con una tecnica radiologica, di un cervello normale e di uno depresso. Da tali immagini risultava chiaro che il funzionamento del cervello depresso è alterato rispetto a quello normale. Mentre in questo, infatti, l'attività cerebrale è prevalentemente corticalizzata (in particolare a livello frontale, laddove avviene l'elaborazione cognitiva), in quello depresso essa è prevalentemente sottocorticalizzata: in pratica la corteccia frontale appare poco attiva in rapporto ai centri della vita vegetativa e emozionale che stanno al di sotto di essa.

Il peso propagandistico di un'esibizione del genere nel contesto di una civiltà che crede ormai solo alle immagini non può non essere notevole. Nel giro di una settimana, tre pazienti che hanno assistito alla trasmissione mi hanno chiesto delucidazioni. Trattandosi di persone intelligenti, mi sono reso conto che il dubbio generato dalla trasmissione verte sul fatto che le immagini neuroradiologiche, che dimostrano semplicemente il maggior afflusso di sangue in un'area che in un'altra, sono facilmente confuse con le consuete tecniche radiografiche. Se un soggetto esegue un'ecografia del fegato e il tessuto risulta meno omogeneo rispetto alla norma, ciò significa che il fegato funziona male perché parte del suo tessuto - quello che risulta, per dir così, più trasparente - è danneggiato. Per associazione, se un'immagine neuroradiologica del cervello appare diversa dalla norma, viene da pensare che ciò implichi un difetto o un danno.

Lo psichiatra in questione ha sfruttato quest'associazione. Egli sa bene - presumo - che un'alterazione funzionale del cervello, che denota l'iperattività dei centri emozionali, non ha alcun significato eziologico, potendo essere interpretata sia organicamente che psicosomaticamente. Essa dunque non prova nulla, se non uno stato di sofferenza soggettiva che non può non avere riscontro a livello di funzionalità cerebrale. Sarebbe almeno sorprendente se in un paziente depresso, gravemente sofferente, non ofsse riscontrabile un'iperattivazione dei centri emozionali. L'esibizione delle neuroimmagini in televisione come prova della natura biologica della depressione è, dunque, una mistificazione scientifica.

Ho già scritto che, per tutelare i cittadini, occorrerà trovare modo di organizzare qualche struttura che intervenga per impedire o denunciare le affermazioni scientificamente false. Uno psichiatra organicista ha peino diritto di credere che la causa della depressione sia un disturbo cerebrale. Non ha invece alcun diritto di far passare quest'opinione, sia pure essa condivisa da altri, come una verità comrpovata dalla scienza.

L'evento minuscolo penso che sia significativo. La propaganda neopsichiatrica procede con una strategia ormai nota. Si organizzano congressi internazionali nel corso dei quali si ripetono, come un rituale, i "dogmi" neopsichiatrici. Dato che tutti i partecipanti sono d'accordo su di essi, e nonostante tutti affermino che c'è ancora parecchio cammino da fare per giungere a risolvere tutti i problemi ncora in alto mare, quei dogmi diventano verità scientifiche, e la buona novella di un progresso continuo della psichiatria può continuare a diffondersi.

Non ne sono certo, ma presumo che lo psichiatra intervenuto in televisione si sia ricondotto al Congresso internazionale di Psichiatria Biologica che si è tenuto poche settimane fa in Australia, nel corso del quale molta attenzione è stata dedicata alle tecniche di neuroimaging.

Un breve resoconto critico dei risultati del Congresso potrà chiarire il significato del titolo di quest'articolo. Una premessa però è necessaria.

L'oggetto proprio della psichiatria biologica dovrebbe essere il rapporto tra attività cerebrale e esperienza mentale, laddove tale rapporto, in conseguenza della presenza di sintomi, appare più probematico denso di significato. In una scienza integrata della salute mentale e del disagio psichico, la psichiatria biologica rappresenterebbe l'estremo naturalistico di una disciplina che, all'estremo opposto, dovrebbe avere una configurazione psicologica, sociale, culturale. Tranne che non ci si voglia arrendere ad una concezione idealistica e spiritualistica, il nesso tra funzioni cerebrali, funzioni mentali e esprienza soggettiva è del massimo interesse.

La psichiatria biologica attuale dedica ben poco interesse a questo nesso. Ancella della neopsichiatria, essa non s'interessa che dei cervelli e dei disturbi che essi producono, quindi delle malattie. Le malattie, assunte come un dato assoluto scorporabile dalle singole esperienze e trattate come una realtà a se stante, rappresenta l'aspetto che paradossalmente chiamerei metafisico, anche se in senso improprio. Partecipare ad un congresso di psichiatria biologica rievoca, nel mio immaginario, i concili dei primi secoli della Chiesa cattolica, allorchè ci si affannava a discettare di enti astratti come se essi fossero concreti.

La metafisica della malattia mentale non è peraltro una fede ingenua. Gira gira, nei Congressi si finisce sempre per affrontare il problema teraputico in un'ottica tale per cui, posto che l'ente astratto è una malattia organica, la cura non può prescidere dai farmaci. Non c'è nulla di più patetico vedere i congressisti confrontarsi su questo terreno, opponendo protocolli o guideline diversi, e pensare che i contrasti corrispondono alle industrie che li sponsorizzano, e che delegano ad essi il ruolo di ammantare sotto forma sceintifica la loro inesausta sete di profitti. Al di sotto della metafisica, insomma, c'è il business. Il giro vorticoso di capitali dell'industria psicofarmaceutica vale a spiegare il numero straordinario di partecipanti ai Congressi, che fanno a botte per illustrare ricerche nel 90% dei casi del tutto inutili e ripetitiva.

Questi sono i motivi per cui il resoconto di un Congresso di psichiatria biologica non può essere che critico. Esso deve cogliere gli indizi che rivelano gli intenti ideologici e il loro intreccio con il mercato.

2.

Un indizio del genere è riconducibile al tentativo di dilatare la categoria dei disturbi dell'umore bipolari. Questo tentativo si articola su due criteri. Il primo sono i frequenti errori diagnostici che verrebbero commessi considerando isolatamente episodi depressivi e episodi maniacali, con la conseguenza di trattarli con cure che non tengono conto della loro natura bipolare. Il secondo criterio verte sulla definizione di uno spettro bipolare, complesso ed eterogeneo, nel quale dovrebbero alcuni fenotipi maniacali (ipomania, ricorrenti e sporadici episodi ipomaniacali, ecc) e varie forme di (per esempio, depressioni ricoorenti in pazienti con una familiarità positiva per mania, disturbo affettivo stagionale, depressioni atipiche, ecc.). All'incidenza statistica del disturbo bipolre propriamente inteso (1-1,5%) occorrerebbe aggiungere dunque lo spettro bipolare, la cui incidenza oscillerebbe tra il 3 e il 6,5%.

Il significato di quest'estensione si spiega immediatamente. Diagnosticare un disturbo bipolare o appartenente allo spettro bipolare significa diagnosticare una malattia mentale grave che necessita di essere curata tutta la vita, con farmaci specifici in occasione di episodi depressivi o maniacali e con gli stabilizzatori dell'umore come farmaci ai quali si attribuisce la capacità di prevenire le recidive o di attenuare i disturbi.

Gli stabilizzatori dell'umore che hanno riconsociuto la maggiore diffusione da venti anni a questa parte sono i sali di litio e due antiepilettici (Tegretol, Depakin): tutti farmaci a basso costo. Di recente si è aggiunto ad essi un altro antiepilettico (Lamictan), un farmaco ad alto costo che è stato prontamente inserito tra gli stabilizzatori dell'umore dal Ministero della Sanità statunitense.

Che male c'è se lo spettro dei farmaci efficaci si estende, e se i più recenti, frutto di investimenti colossali, costano più di quelli tradizionali? In sé e per sé nulla. Ma la lettura degli atti del Congresso fa affiorare qualche sospetto.

Nell'ambito del disturbo bipolare esteso allo spettro il vero problema (o business, che nell'ottica neopsichiatrica s'identificano) è la prevenzione degli episodi depressivi che sono molto più frequenti di quelli maniacali. Ora il Congresso rimescola un po' le carte. Dopo anni e anni nel corso del quale il Litio, il Tegretol e il Depakin sono stati vantati come una panacea, vien fuori che, efficaci sugli episodi maniacali acuti, gli ultimi due non sono più efficaci del placebo per quanto riguarda la profilassi del disturbo bipolare, mentre il Litio non sembra avere la capacità d'incidere preventivamente sulla depressione.

La via è dunque aperta all'affermazione commerciale dell'Amictal, che, pur essendo meno efficace del Litio nella prevenzione degli episodi maniacali, non solo è il più efficace nella profilassi della depressione (senza rischi di viraggi), ma lo è anche anche sui disturbi bipolari refrattari agli altri medicamenti, su quelli (di recente scoperti) a cicli rapidi o rapidissimi.

In breve, Tegretol e Depakin sono destinati ad essere abbandonati, il Litio rimane il framaco di riferimento per la cura e la prevensione della mania, l'Amictal diventa il farmaco di riferimento per il trattamento e la prevenzione della depressione e di una parte consistente dello spettro bipolare.

Che significa tutto questo? Che se, com'è nell'augurio degli psichiatri, le diagnosi si adattaranno ai nuovi schemi nosografici, ogni paziente affetto da disturbo bipolare o appartenente allo spettro renderà circa seimila lire al giorno rispetto alle miserabili mille e cinquecento lire scarse che rende attualmente. Dato che nulla vieta, anzi viene consigliato di associare gli stabilizzatori dell'umore tra loro, la cifra può anche un po' impinguarsi.

Qualcuno penserà che quest'analisi è troppo dietrologica. Il progresso della medicina, che si fonda sulla ricerca, in fondo costa. Nessun'industria produrrebbe farmaci più efficaci se non fosse certa di trarne un profitto.

Il problema è che si può considerare molto strano, per non dire sospetto, che la neopsichiatria rimaneggi continuamente i suoi schemi nosografici in maniera univocamente orientata ad estendere il campo d'intervento dei farmaci, e ancora più strano che a quei rimaneggiamenti corrisponda regolarmente la messa in commercio di farmaci che coprono tutta la nuova area.

3.

All'incidenza del business sulla scienza si arriva anche per un'altra via. Posto che la neopsichiatria considera la depressione una malattia cronica da curare per tutta la vita, essa ormai non può negare due dati evidenti: il primo è il numero di depressioni che non rispondono al trattamento framacologico, valutabile intorno al 25%, il secondo è la persistenza, nei pazienti che rispondono al trattamento, di sintomi (astenia, anedonia, ecc.) che impediscono di raggiungere una qualità della vita normale. Riguardo alle depressioni resistenti (cui ho già dedicato un articolo), la neopsichiatria non può fare altro che augurarsi la produzione di nuovi farmaci che risolvano il problema. Riguardo al secondo aspetto, il discorso è diverso.

Il mercato degli antidepressivi è ormai egemonizzato da anni dagli inibitori della ricaptazione della serotonina (Prozac, Sereupin, Seroxat, Elopram, Seropram, Zoloft). Benché l'efficacia di tali farmaci sia stata enfatizzata, essi, a partire dal famigerato Prozac, hanno acquisito una tale fama da occludere gli spazi di mercato ad altri antidepressivi non appartenenti alla stessa categoria: l'Efexor, il Remeron e la Duloxetina. Questi ultimi due sono praticamente fuori mercato. L'Efexor, lanciato con un battage pubblicitario dispendiosissimo alcuni anni fa, è rimasto praticamente al palo. Che fare per le industrie interessate se non affidarsi alla scienza?

Un intero simposio del Congresso è stato dedicato al problema della remissione dei sintomi, vale a dire alla risoluzione del problema per cui gran parte dei pazienti che risultano ufficialmente guariti con gli antidepressivi SSRI continuano a lamentare una sintomatologia frustra ma invalidante. Sull'onda del principio teorico per cui la nuova frontiera della psichiatria in rapporto alla depressione non è più l'incidenza sulla sintomatologia acuta, ma la remissione completa dei sintomi, sono state presentate numerose ricerche che (guarda caso) hanno posto a confronto l'Efexor, il Remeron e la Duloxetina con gli SSRI. La conclusione di tali ricerche è stata univoca. L'efficacia sulle fasi acute è pari, ma i tre farmaci in questione hano un'incidenza sulla sintomatologia residua di gran lunga superiore agli SSRI.

E' assolutamente evidente che si tratta di ricerche sponsorizzate dalle case farmaceutiche interessate al rilancio di farmaci che non hanno assicurato i profitti sperati.

Ci si può chiedere naturalmente come sia possibile che le ricerche sui farmaci possano essere così facilmente manipolate, essendo esse assoggettate a protocolli sanciti dalla US Food and Drug Administration (FDA) che, sulla carta, appaiono piuttosto rigidi. Il mistero si risolve facilmente tenendo conto del fatto che il rispetto di tali protocolli non è assoggettato a controlli, ma è affidato all'etica dei ricercatori. Quello che accade, in quest'ambito come in ogni altro dell'economia capitalistica, è che i valori etici sono messi da parte in nome del portafoglio.

4.

Alcuni lettori dei miei libri e qualche visitatore del sito rimane sconcertato dalle critiche che muovo nei confronti della neopsichiatria. Essi ritengono che, nonostante il suo indifendibile impianto organicistico, che, nella pratica, si traduce nel considerare il paziente come veicolo passivo di una malattia che non ha alcun rapporto con la sua storia personale e sociale e la sua esperienza soggettiva, ad essa va ascritto il merito di avere contribuito alla scoperta di psicofarmaci il cui uso comunque riduce la sofferenza. Io penso che allo stesso risultato si sarebbe potuto pervenire a partire da una concezione psicosomatica della malattia mentale. Il vantaggio, in questo caso, sarebbe stato quello di considerare gli psicofarmaci, quali essi sono, medicine il cui effetto è sintomatico, di tenere conto dei loro effetti collaterali e di modulare le dosi prescindendo dal mito della guarigione. La neopsichiatria ha invece avallato e continua ad avallare la causalità esclusivamente biologica della malattia mentale insistendo nel perseguire una soluzione radicale chimica che è a vicolo cieco. Se si trattasse solo di un errore ideologico privo di conseguenze pratiche, la critica non avrebbe senso. Il problema è che quell'ideologia determina il destino di numerosi pazienti, soprattutto di giovani che, diagnosticati come schizofrenici, vengono avviati verso una carriera iatrogenetica. La metafisica della malattia e il business, a questo livello, convergono in un'attività che si può definire senza mezzi termini criminosa.