Il Potere della Psichiatria

1.

Non è azzardato definire la nostra epoca l'era delle scienze. Nonostante i loro limiti, le discipline che si fregiano del titolo di essere scientifiche hanno assunto un potere e un prestigio nel nostro mondo che non solo stanno erodendo quello delle religioni, ma entrano in aperta competizione con il sapere umanistico. Al di là delle applicazioni pratiche, che hanno profondamente modificato la qualità della vita umana e l'ambiente planetario (nel bene e nel male), l'impatto teorico delle scienze è tale che tutti i problemi tradizionalmente ritenuti di pertinenza religiosa o filosofica - compresi il chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo - sono ormai entrati nella loro orbita, rappresentano cioè oggetti di un'indagine che antepone la logica scientifica alla speculazione.

Lo sviluppo vertiginoso delle scienze negli ultimi due secoli consente di comprendere il ruolo che esse hanno assunto nell'immaginario collettivo: un ruolo chiaramente e lentamente sostitutivo di quello svolto in passato dalla mitologia, dalla superstizione e dalla religione.

Nessun uomo oggi, per esempio, dubita che la malattia e la morte siano eventi naturali (verità impostasi più lentamente di quanto in genere si pensa), e che il dolore e le sofferenze prodotte da un organismo che appartiene in toto al mondo dei sistemi complessi biologici possano essere, entro certi limiti, affrontati sul terreno della medicina e della genetica.

Nella misura in cui la medicina tenta di rispondere al bisogno primordiale dell'essere umano di sentirsi tutelato nella sua sopravvivenza e protetto dal male, il suo ruolo sostitutivo delle pratiche magiche e della religione è del tutto evidente.

Nascendo come branca specialistica della medicina - identità che difende tuttora - e attribuendosi quindi uno statuto scientifico, la psichiatria ha tentato di mutuarne il prestigio affrontando il "male" nella sua dimensione più inquietante, quella che coinvolge la totalità psicosomatica dell'essere umano. Data l'irriducibilità di questa totalità, ci si sarebbe potuto aspettare che l'originaria opzione biologica, da cui è nata la psichiatria come branca medica specialistica in un'epoca in cui la riconduzione dei disturbi psichici al cervello era, di fatto, una rivoluzione, evolvesse lentamente in una direzione psicosomatica tale da integrare in un corpus scientifico le diverse dimensioni (biologica, psicologica, sociale, culturale, storica) che caratterizzano l'essere umano.

Come è noto, nonostante molteplici momenti della sua storia nel corso dei quali è sembrato che stesse per operare un salto di qualità epistemologico, che l'avrebbe portata al di fuori dell'ambito medico, sancendo il suo carattere interdisciplinare, la psichiatria non solo è rimasta fedele alla tradizione organicistica da cui è nata, ma, in maniera assolutamente evidente negli ultimi venti anni, è evoluta nella direzione di un gretto riduzionismo biologico, reso esplicito dalle univoche spiegazioni che essa offre dei fenomeni psicopatologici in termini di eccesso o difetto di sostanze chimiche.

Se fosse possibile valutare in quale misura la psichiatria è riuscita a rispondere al bisogno di cui originariamente si è fatta carico (la lotta al "male oscuro"), il bilancio, tenendo conto della lunga e sciagurata stagione manicomiale e dell'uso sconsiderato che ha fatto e fa dell'arma più potente di cui dispone - gli psicofarmaci -, sarebbe presumibilmente negativo. Di sicuro lo è in rapporto alla vasta area del disagio psichico grave (psicosi maniaco-depressiva, schizofrenia) laddove si può avanzare il sospetto che essa abbia troppo spesso un effetto iatrogenetico e cronicizzate.

Ciò nondimeno, eccezion fatta per una percentuale non insignificante di pazienti, che ne sperimentano sulla pelle gli effetti, la psichiatria gode presso l'opinione pubblica di un prestigio elevatissimo. Su cosa si fonda tale prestigio che, sul piano della pratica assistenziale, si traduce in un potere enorme che mette fuori giuoco qualunque alternativa?

La risposta, per quanto sorprendente, è fuor di dubbio: sul rapporto ambivalente e sostanzialmente sacrale che gli esseri umani intrattengono con il cervello e la mente. L'intuizione che questi, comunque s'intenda il loro rapporto, siano il fondamento della singolarità della specie, della coscienza, del linguaggio, del pensiero, dell'identità personale, dell'autoconsapevolezza, della capacità di amare e di godere, è universale. Al tempo stesso, è come se l'umanità non sia riuscita ancora a riprendersi dal "trauma" che ha segnato la sua comparsa: l'essersi trovata ad affiorare con il suo carico di consapevolezza sullo sfondo di una complessità strutturale e funzionale, quella appunto del cervello prodotto dall'evoluzione naturale, intuita come straordinaria e inquietante.

Di fatto, ancora oggi, la condizione della coscienza e di ogni singolo io è omologabile ad una barchetta che galleggia e procede su di un mare abissale. Senza il mare, che va ricondotto a tutte le funzioni che si realizzano al di fuori di esso, e che vanno molto al di là dell'inconscio freudiano, l'io cosciente non esisterebbe. Allo stesso tempo, percepire, sia pure confusamente, al di là della superficie, che ha un grado di trasparenza sempre molto ridotta, l'indefinito fluttuare di pensieri, fantasie, emozioni del più vario genere o, al limite, un "rumore" di fondo, determina uno stato d'animo di inquietudine e di paura.

Con il suo funzionamento globale che, per molti aspetti, si sottrae del tutto al controllo della coscienza, la mente affascina e terrorizza al tempo stesso.

Questa ambivalenza, costitutiva di ogni esperienza soggettiva, è , da sempre, alimentata e rafforzata dalla malattia mentale, che sembra coincidere con il naufragio e l'inabissamento della coscienza. Attraverso di essa, vissuta in prima persona o oggettivata come circostanza che tocca a qualcun altro, la mente appare rivelare le sue terribili potenzialità, che possono pervenire a realizzare, transitoriamente o definitivamente, la dissoluzione dell'io.

è su questa esperienza, che rientra a pieno titolo nell'ambito del sacro, che la psichiatria ha fondato e fonda il suo potere, definendosi come disciplina medica che fronteggia il male, lo categorizza, riconducendolo ad una griglia nosografica e, se non è ancora del tutto in grado di spiegarlo, avanza ipotesi sulla sua genesi e, sulla base di queste, si dedica a contenerlo, arginarlo, curarlo e, talora, guarirlo.

2.

Come accennato, il prestigio della psichiatria è poco fondato. L'impresa, infatti, nata male, sta evolvendo peggio. Che alle sue origini, allorché il problema era quello di differenziare i malati di mente, aumentati in maniera critica in conseguenza dell'avvio dell'urbanizzazione, dalla vasta popolazione di devianti sociali - vagabondi, poveri, piccoli criminali - ammassati negli Asili, il riferimento ad uno stato di malattia si sia reso necessario per sostituire il principio dell'assistenza e della cura alla repressione poliziesca, è comprensibile. Ugualmente comprensibile, data la percentuale all'epoca di disturbi mentali attribuibili a cause organiche (sifilide, tbc, alcolismo, ecc.), riesce la riconduzione di tutti i fenomeni psicopatologici ad una malattia del cervello.

Qualche dubbio sul carattere ideologico del paradigma organicistico affiora tenendo conto dei risultati delle indagini anatomo-patologiche sul cervello di malati mentali deceduti, condotte in maniera massiccia nel corso di tutto l'Ottocento, che ponevano di fronte all'assenza di qualsiasi anomalia strutturale significativa.

L'incapacità della psichiatria di portare prove concrete a favore del paradigma organicistico ha prodotto numerosi tentativi di formulare un paradigma alternativo, il più famoso dei quali è la psicoanalisi. L'impatto che la scoperta dell'inconscio ha avuto sulla cultura e sulla concezione che l'uomo ha di sé è stato enorme, e i suoi effetti possono ritenersi non ancora esauriti. Purtroppo, nonostante sia nata con un intento clinico e si sia edificata sulla base di dati tratti dalla pratica terapeutica, la psicoanalisi non è riuscita a formulare un paradigma psicopatologico alternativo alla psichiatria organicistica. Essa ha fornito, indubbiamente, strumenti che consentono di intravedere, nella trama delle esperienze di disagio, il gioco di dinamiche motivazionali complesse, ma, al di là del vezzo comune a gran parte degli psicoanalisti di abbandonarsi a interpretazioni esoteriche e inverificabili, che pongono in luce solo un intellettualismo narcisistico, la psicoanalisi non dispone, ancora oggi, né di una teoria della natura umana né di una teoria dello sviluppo e dell'organizzazione della personalità né, infine, di un modello psicopatologico dinamico che si possano ritenere integrabili e scientificamente convalidabili.

In breve, la psicoanalisi rappresenta un patrimonio di sapere le cui indefinite suggestioni rimangono allo stato di una indistinta nebulosa.

La possibilità di utilizzare questo sapere, agganciandolo alla storia e alla dimensione istituzionale alienata dell'esperienza umana, che la psicopatologia esprimerebbe e denuncerebbe, è stato il leit-motiv da cui è nata l'antipsichiatria che, accomunata da una critica radicale nei confronti della teoria e della pratica psichiatrica tradizionale, è andata rapidamente incontro ad una diaspora, ai cui estremi si sono definiti, con Laing, un indirizzo psicodinamico e sistemico, e, con Basaglia, un indirizzo psicosociologico e politico. La comune matrice antipsichiatrica non avrebbe dovuto impedire la confluenza delle diverse correnti nella direzione di un nuovo paradigma, se si fosse data una volontà di dialettizzare gli orientamenti teorici e quelli pragmatici. Purtroppo, questo non è avvenuto per effetto soprattutto del basaglismo, che è rimasto vincolato ad una concezione banale della "prassi" alternativa come unico strumento adeguato ad avviare una rivoluzione culturale di grande portata che avrebbe, infine, prodotto un nuovo modo collettivo di rapportarsi ai fenomeni psicopatologici.

Ricondurre il rilancio della psichiatria, che si è avviato a partire dagli anni '80, alla crisi dell'antipsichiatria sarebbe riduttivo, perché trascurerebbe i cambiamenti sociali, politici e culturali che ne hanno rappresentato lo sfondo. Il ruolo che le industrie psicofarmaceutiche hanno svolto nello sponsorizzare quel rilancio in un'ottica di radicale riduzionismo biologico della malattia mentale è ben noto. Quel ruolo, però, non sarebbe stato incisivo se, in rapporto alla complessificazione del mondo che i mass-media hanno contribuito ad inserire nell'orizzonte delle coscienze, non si fosse realizzato, da parte di queste, una risposta univoca: quella di reagire alle inquietudini prodotte da quella complessificazione con un restringimento progressivo che ha investito sia il mondo esterno che quello interno.

In altri termini, attanagliati da un'ansia collettiva che è l'indizio dello smarrimento che produce ogni allargamento della visione del mondo, il quale postula nuovi punti di riferimento e nuovi strumenti interpretativi in rapporto a quelli tradizionali, gli esseri umani, in una percentuale maggioritaria, hanno "scelto" di galleggiare sulla superficie della coscienza, dedicandosi ad affrontare problemi pratici piuttosto che accettare la sfida della complessità.

Su questo sfondo, la promessa della neopsichiatria di poter curare con sostanze chimiche qualunque forma di malessere psicologico e psicosomatico ha fatto breccia nell'immaginario collettivo. Tale promessa è stata articolata sulla base di mirabolanti scoperte legate alla neurobiologia, in gran parte estranee alla coscienza comune, di cui erano e sono depositari gli psichiatri. Il riferimento al cervello e alla mente come sistemi complessi e misteriosi ai quali possono avere accesso solo gli specialisti - riferimento mai del tutto sormontato a livello di immaginario collettivo - si è riproposto, dunque, con particolare intensità.

Ciò ha prodotto una fiducia quasi cieca negli psichiatri, i quali per conto loro l'hanno alimentata in maniera molto accorta (presumibilmente attraverso la collaborazione con esperti di marketing offerti dalle industrie). Essi, infatti, hanno organizzato una strategia comunicativa a tre livelli.

Nel rapporto con il pubblico, hanno tradotto il sapere esoterico che avrebbe prodotto la neurobiologia in formule estremamente semplici e di facile comprensione, incentrate sul fatto che la complessità cerebrale comporta come nodo ultimo del suo funzionamento la produzione di sostanze chimiche che consentono la comunicazione tra i neuroni (i neurotrasmettitori). Su questa base, la malattia può essere attribuita al difetto o all'eccesso di un neurotrasmettitore, e la sua cura rivolta a restaurare il normale equilibrio neurotramettitoriale.

Questa strategia, naturalmente, comporta il pericolo che le persone intuiscano che queste formule non sono estreme semplificazioni divulgative, ma rappresentano tutto ciò che di fatto gli psichiatri sanno. Per scongiurare tale pericolo, l'ulteriore strategia è stata quella di intorbidare le acque, creando una griglia nosografica alquanto più complessa rispetto al passato (che riconosceva solo tre categorie: nevrosi, psicosi e personalità psicopatiche), all'interno della quale si danno solo malattie biologiche, contrassegnate eufemisticamente dal termine disturbo, ciascuna delle quali riconosce, oltre alla sua definizione estesa, una sigla. Adottando le sigle (per es. DAP per disturbo da attacco di panico, DOC per disturbo ossessivo compulsivo, DB per disturbo bipolare, ecc.), gli psichiatri riescono a farsi passare come scienziati che parlano in codice, come i fisici o i chimici. Complementare a tale strategia, è la tendenza a nominare i farmaci in rapporto alla sostanza chimica attiva che essi contengono, che fa un certo effetto.

L'ultima strategia riguarda la ricerca sulle malattie mentali e sull'effetto degli psicofarmaci. La prima viene propagandata sventolando immagini neuroradiologiche che dimostrano gli assunti organicistici (per chi non sa leggerle e valutarle) e ripetendo a più non posso che è stato dimostrato (affermazione scientificamente falsa) che l'ansia, la depressione, la schizofrenia, ecc. sono malattie biologiche.

Riguardo agli effetti degli psicofarmaci, poi, le ricerche sponsorizzate dalle case farmaceutiche giungono univocamente ad attestare la loro efficacia terapeutica e a minimizzare gli effetti collaterali. Tali ricerche, che contrassegnano l'immissione in commercio degli psicofarmaci, vengono quasi sempre corrette, nel corso del tempo, da ricerche serie effettuate da istituti di controllo autonomi. Quando esse però vengono pubblicate, il farmaco si è già accaparrato una fascia di mercato, e potrà essere soppiantato solo da un altro farmaco più efficace e con minori effetti collaterali.

3.

In conclusione, il problema della psichiatria è che, da una parte, persiste nell'immaginario collettivo un rapporto ambivalente (sacrale in quanto associa al fascino il terrore) con il cervello e la mente, che porta ad identificare in essi sistemi complessi (quali sono), misteriosi e temibili (quali non sono), e, dall'altra, una disciplina medica che alimenta quell'ambivalenza e la utilizza per accreditarsi di un sapere e di un potere esoterico su di essi, passivizzando l'opinione pubblica e inducendola a pensare che l'amministrazione della salute e della malattia mentale vada affidata agli specialisti.

Nessuno sa come si potrà venire fuori da questa trappola ideologica infernale.

Forse, il primo passo, il più semplice, consiste nel ricondursi al principio aureo del conoscere per valutare.

Gran parte del materiale del sito è volto a conseguire tale fine. La scarsa interattività sui temi psichiatrici, però, lascia pensare che, anche i lettori più attenti, al di là degli aspetti psicologici e psicodinamici (come, per esempio, quelli riguardanti l'introversione, il perfezionismo, la dipendenza, ecc.), rimangano perplessi quando si entra nel territorio delle "malattie mentali".


Appendice

Per agevolare un processo conoscitivo, ritengo opportuno accludere a questo articolo il capitolo dedicato alla psichiatria di uno dei più diffusi manuali per medici (il Merck), reperibile su Internet. Si tratta di un testo elementare, redatto sulla base della nosografia psichiatrica attuale (quella sancita dal DSM-IV), che può essere utile per acquisire una conoscenza orientativa delle definizioni e dei concetti adottati dalla psichiatria per inquadrare un universo, quello psicopatologico, che essa tende ad oggettivare, a descrivere e a classificare piuttosto che a comprendere e spiegare.

Trattandosi di un manuale che si rivolge ai medici di base, le nozioni psichiatriche sono ridotte all'essenziale. Data l'importanza e la diffusione del Manuale, che è una sorta di Vademecum della classe medica, la stringatezza non è casuale. Nonostante le statistiche ormai attestino che una percentuale molto elevata della popolazione (dal 15 al 35%, almeno) è affetta, nei Paesi occidentali, da disturbi psichici o psicosomatici, e che gran parte di questa popolazione si rivolge ai medici di base, la preparazione di questi ultimi a riguardo è del tutto carente, al punto che si può ritenere che essa, in media, non vada al di là delle nozioni esposte nel Manuale Merck.

Il sogno di una medicina psicosomatica, vale dire di una medicina che tenga conto dell'uomo come essere biologico che sperimenta soggettivamente la vita. è tramontato per effetto di una crescente specializzazione che porta alle estreme conseguenze il paradigma tradizionale della medicina degli organi. La psichiatria è la branca che più di tutte le altre è rimasta vincolata a tale paradigma. Ciò nonostante, i medici stessi, se si eccettua la tendenza a prescrivere antidepressivi e ansiolitici sulla scorta degli input formiti dai rappresentanti delle industrie psicfarmaceutiche, nutrono una qualche soggezione nei confronti della psichiatria e ritengono che le malattie che hanno a che vedere con il cervello e con la mente siano cose da specialisti. Il problema, ahimé, è che questi, al di là delle sigle esoteriche e dei protocolli farmaceutici, ne sanno (e ne capiscono) poco più di loro: di sicuro maneggiano meglio le etichette diagnostiche del DSM e prescrivono con maggior disinvoltura gli psicofarmaci, che, nonostante le indefinite confezioni commerciali, si riducono ad un'ottantina di principi attivi riconducibili a poche categorie (ansiolitici, antidepressivi, neurolettici, stabilizzanti dell'umore, induttori del sonno).

Per agevolare la lettura del capitolo, devo fornire solo alcune indicazioni sulla nosografia psichiatrica. Questo tema meriterà ulteriori approfondimenti. Per ora, mi limito all'essenziale.

L'Indice (qui riprodotto) esprime con chiarezza l'adozione (con qualche semplificazione) dell'impianto classificatorio proprio del DSM-IV:

Disturbi somatoformi

Disturbo di somatizzazione

Disturbo di conversione

Ipocondria

Disturbo algico

Disturbo da dismorfismo corporeo

Disturbi d'ansia

Attacchi di panico e disturbo da attacchi di panico

Disturbi fobici

Disturbo ossessivo-compulsivo

Disturbo post-traumatico da stress

Disturbo acuto da stress

Disturbo d'ansia generalizzata

Ansia dovuta a un disturbo fisico o a una sostanza

Disturbi dissociativi

Amnesia dissociativa

Fuga dissociativa

Disturbo dissociativo dell'identità

Disturbo di depersonalizzazione

Disturbi dell'umore

Depressione

Disturbo distimico

Disturbi bipolari

Disturbo ciclotimico

Comportamento suicida

Disturbi di personalità

Disturbi psicosessuali

Schizofrenia e disturbi correlati

Schizofrenia

Disturbo psicotico breve

Disturbo schizofreniforme

Disturbo schizoaffettivo

Disturbo delirante

Uso e dipendenza da sostanze

Disturbi del comportamento alimentare

Anoressia nervosa

Bulimia nervosa

Disturbo da alimentazione incontrollata

Come risulta chiaro dall'Indice, tutte le esperienze di disagio psichico sono ricondotte entro categorie che definiscono un disturbo. In sé e per sé, nella sua genericità, il termine disturbo in medicina fa riferimento ad un'irregolarità in una funzione organica. Trasferito a livello psichiatrico, esso sottolinea il carattere disfunzionale della sintomatologia, ma, allo stesso tempo, implica una causalità prevalentemente organica. Far rientrare tutte le esperienze caratterizzate da sintomi ansiosi e/o depressivi - che un tempo, eccezion fatta per la depressione maggiore, rientravano nel quadro delle psiconevrosi - nella categoria del disturbo d'ansia o del disturbo dell'umore significa, né più né meno ammettere che, quali che siano le circostanze di vita con cui esse si intrecciano, la loro manifestazione attesta una "patologia" di base genetica o biochimica. è inutile dire che si tratta di un postulato che non ha alcun fondamento scientifico (neppure, allo stato attuale dei fatti, per la schizofrenia).

La psichiatria insiste a volersi accreditare come una scienza e, in particolare, come una branca della medicina. Le categorie alle quali essa fa riferimento, pertanto, sono sovrapponibili alle sindromi, ciascuna delle quali è un complesso di sintomi che caratterizzano una malattia e ne rendono possibile la diagnosi.

La scelta categoriale operata dalla psichiatria nella sua smania di classificare i fenomeni psicopatologici, in nome del fatto che una corretta diagnosi sarebbe pregiudiziale ai fini di un corretto trattamento, è però insostenibile. In medicina ogni sindrome ha una sua specificità, che consente di operare diagnosi differenziali rispetto ad altre malattie che presentano sintomi in comune. La co-morbidità, vale a dire la possibilità che un organismo sia affetto da due diverse sindromi contemporaneamente, è un'eccezione. In psichiatria, invece, è la regola. Ogni sindrome può comportare, oltre che ai sintomi suoi propri, sintomi che appartengono ad altre categorie.

è evidente che questa circostanza, ormai universalmente riconosciuta, toglie senso alla pertinenza della classificazione per categorie, e dunque all'esistenza di malattie mentali in senso proprio.

La psicopatologia, insomma, anche su un piano semplicemente descrittivo, configura un continuum non omogeneo all'interno del quale è praticamente impossibile isolare sindromi nettamente distinte da tutte le altre.

Il continuum psicopatologico è il problema chiave della psichiatria: una nuova interpretazione di esso rappresenta e prefigura l'al di là della psichiatria stessa e delle sue velleità biologiste.