Jean Didier Vincent

Biologia delle passioni

Einaudi, Torino 1988

 


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L'intento criticamente polemico del saggio risulta evidente sin dalle prime pagine. C'è, nell'ambito neurobiologico, un orientamento che, in nome del fascino esercitato dall'organizzazione neuronale della corteccia, mira a sopravvalutare le funzioni cognitive e razionali. Da questo punto di vista, tutto ciò che, strutturalmente e funzionalmente attiene il mondo delle emozioni, viene recepito come 'rumore', come un residuo filogenetico disturbante, se non addirittura come una zavorra che impedisce allo 'spirito' umano di affrancarsi dall'animalità. Vincent tenta di dimostrare che questo approccio razionalistico al problema del funzionamento cerebrale non è tanto filosoficamente quanto scientificamente errato. L'assunto di fondo del saggio è esplicitato dal seguente brano:

"Accanto al cervello neuronico... esiste un vero e proprio cervello umorale che modifica continuamente e in tutte le sue strutture il funzionamento del primo...; un cervello indeterminato e vaporoso, responsabile della parte affettiva e passionale dell'individuo" (p. 87).

Ciò significa contestare d'emblée tutte le teorie 'schiziofisiologiche' che contrappongono ad un cervello emotivo, che svolgerebbe 'servizi di manutenzione e di sussistenza', un cervello cognitivo, che assolverebbe le funzioni nobili della vita di relazione. Secondo Vincent, nonché un mero residuo filogenetico, il cervello umorale fonda la realtà esistenziale dell'uomo, il suo essere senziente su di un registro caratterizzato da un perenne squilibrio dinamico. Il cervello cognitivo, la cui capacità di elaboratore di informazioni è innegabile e impareggiabile, servirebbe a tradurre in prassi operativa la tensione desiderante verso il mondo che muove dal mondo passionale.

La teoria neuronale, ideologica nella misura in cui tende ad identificare il cervello con una macchina computazionale o con un sistema capace di fornire una rappresentazione oggettiva del mondo, serba il suo valore, secondo Vincent, se e solo se l’attività neuronale viene intesa come “figura” su di uno “sfondo” umorale, il cui equilibrio fluttuante è dovuto a neurormoni e neurotrasmettitori.

Al cervello come macchina occorre dunque opporre il cervello come ghiandola che libera neurormoni e neurotrasmettitori ad azione ormonale: “accanto al cervello neurotico, esempio di elaboratore di complessità impareggiabile, esiste un vero e proprio cervello umorale che modifica continuamente e in tutta la sua struttura il funzionamento del primo.”

Innumerevoli sono i dati neurobiologici sui quali si articolano le tesi di Vincent.

La teoria neuronale sottolinea l'attività di una rete interneuronica percorsa da impulsi elettrici che, a livello di sinapsi, danno luogo alla liberazione di mediatori chimici (acetilcolina, dopamina, adrenalina, noradrenalina, serotonina, GABA, ecc.). Tale attività interneuronica esaurirebbe il funzionamento delle strutture cerebrali.

Vincent non contesta, ovviamente, la teoria neuronale, ne sottolinea solo la parzialità. Dal suo punto di vista - che è quello di un neuroendocrinologo – “il cervello è una ghiandola endocrina che libera nel sangue un certo numero di ormoni e che è sottoposta alla reotroazione di questi ultimi. Oltre a ciò, al suo stesso interno, il cervello utilizza, accanto a nodi di comunicazione tipicamente neuronici, scambi di informazione di natura ormonale.” (p. 78)

La natura ghiandolare del cervello è evidente, e nota da tempo, per quanto riguarda il sistema ipotalamoipofisiario. Gli ormoni dell'ipofisi posteriore (vasopressina, ossitocina) sono prodotti in realtà a livello ipotalamico: l'ipofisi posteriore funziona come serbatoio in cui essi si accumulano. Quanto all'ipofisi anteriore, gli ormoni che essa produce (somatotropo, corticotropo, tireotropo, gonadotropo follicolostimolante, gonadotropo luteostimolante, prolattina), da cui dipendono l’accrescimento corporeo e la funzione di tutte le altre ghiandole dell'organismo (tiroide, corteccia surrenalica, gonadi, ecc.), sono prodotti in virtù di fattori stimolanti o inibenti prodotti a livello ipotalamico. Tutti gli ormoni reotroagiscono, sia positivamente che negativamente, sull'ipotalamo e sul sistema nervoso centrale. Se si tiene conto che gli ormoni circolano nel sangue e vengono a contatto con le cellule nervose attraversando gli spazi fluidi extracellulari, il concetto di cervello umorale diventa più chiaro. Ma questo concetto ha ricevuto, nel giro degli ultimi 30 anni, conferme ancora più clamorose.

Si è dimostrato, infatti, che nel cervello, prevalentemente ma non solo a livello ipotalamico, esistono neuroni che secernono numerose sostanze (peptidi, in quanto costituiti da più amminoacidi legati tra loro) ad effetto ormonale. L'elenco comprende attualmente un numero rilevante di molecole (la neurotensina, la bombesina, la motilina, la gastrina, l'angiotensina, la sostanza P, il VIP, la colecistokinina, le endorfine, le enkefaline, ecc.) i cui effetti non sono del tutto noti. La netta distinzione tra neurotrasmettitori e neurormoni, fondata sul fatto che i primi agiscono per contiguità, a livello sinaptico, mentre i secondi agiscono a distanza sulle cellule bersaglio, è venuta progressivantente sfumando. I neuroni sono divenuti pertanto cellule secernenti; la neurosecrezione è attualmente concepita come capacità differenziata dei neuroni di elaborare sostanze attive specifiche, alle quali possono attribuirsi, a seconda della modalità con cui vengono rilasciate, funzioni neurotrasmettitrici e funzioni neurormonali.

Tenendo conto di tutto ciò appare lecito parlare di un cervello umorale, vale a dire di un cervello che produce neurormoni ed è continuamente immerso nella corrente umorale da essi rappresentata. Il focus di questo cervello umorale peraltro diffuso è senz'altro rappresentato dall'area ipotalamica.

Ma qual è il rilievo funzionale di questo cervello umorale? Vincent parla a questo proposito di uno 'stato centrale fluttuante', e cioè di uno stato di non equilibrio che rappresenta la condizione reattiva totale, in un momento dato, del sistema nervoso considerato come un tutto. “Lo stato centrale - rappresentazione del mondo - è una proiezione in cui si fondono tre dimensioni, quella corporea, quella extracorporale e quella temporale. La dimensione corporea è definita dai dati fisico-chimici dell'ambiente interno...; la dimensione extracorporale si rivela nella rappresentazione che l'individuo ha del mondo, allo stesso tempo spazio sensoriale... e spazio del movimento...; la dimensione temporale, infine, è occupata dalle tracce accumulate nel corso dello sviluppo dell'individuo, dalla nascita alla morte” (p. 150). “Tre dimensioni, dunque, per un essere unico, e di cui lo stato centrale condiziona la presenza nel mondo - reattività globale - confondendo la rappresentazione e l'azione. Lo stato centrale prende in considerazione le entrate e le uscite, cioè la percezione, di cui governa l'aspetto selettivo, e l'azione, che dirige verso il suo scopo, insieme con l'attenzione e l'intenzione, come attributi del desiderio; la prima designa il suo legame con l'oggetto scelto, la seconda il suo attaccamento allo scopo da raggiungere” (p. 150).

Lo stato centrale fluttuante si esprime funzionalmente secondo una modalità aspecifica e secondo modalità specifiche. La modalità aspecifica è uno stato di attivazione che rappresenta il background di tutti i comportamenti; esso è mediato dal sistema reticolare ascendente, ed è dovuto alla dopamina, prodotta da un sistema di neuroni che innervano tutte le strutture cerebrali, dai centri sottocorticali alla corteccia. Peraltro, "lo stato centrale è l'espressione multiforme e fluttuante non della sola dopamina, ma dell'insieme di neurormoni" (p. 161). L'espressione propria dello stato di attivazione aspecifica è, secondo Vincent, la tensione desiderante, che sottende ogni comportamento, le cui caratteristiche sono le seguenti:

1) “la prima caratteristica di un comportamento desiderante è l'individualizzazione, che si esprime nella differenza tra i comportamenti propri di ciascun animale e che è funzione delle sue esperienze acquisite e delle sue capacità” (p. 145).

2) “la seconda caratteristica del desiderio è la facolta di anticipazione, di cui l'istinto è sprovvisto” (p. 145).

3) “la terza caratteristica di un comportamento desiderante è che all'anticipazione e allo svolgimento di un'azione è associata una componente affettiva ed emozionale” (p. 146).

A quale finalità corrisponde il sovrapporsi nell’uomo di una tensione desiderante alla regolazione delle funzioni necessarie alla sopravvivenza dell’individuo e della specie e il suo sottendere perpetuamente, sotto forma di motivazione, l’attività cognitiva?

In virtù di tale tensione l’uomo trascende l’adattamento inteso in senso omeostatico.

L’isolamento e l’autonomia del cervello umorale mirano a sottrarre l’uomo ad un rapporto meramente omeostatico tra organismo e ambiente e a trasformarlo in rapporto passionale. Questo significa che, in virtù del cervello umorale, l’uomo è legato al mondo da vincoli emozionali il cui fine ultimo è il piacere di vivere (“Noi pensiamo che il piacere sia un bisogno fondamentale dell’animale evoluto e che l’importanza della richiesta di piacere cresce con il grado di evoluzione della specie… L’uomo è nato per il piacere e lo sa: non c’è bisogno di prova”). Ma tale piacere non si raggiunge passivamente e non ha un significato omeostatico. Il cervello umorale vincola l’uomo al mondo con un rapporto tensionale che obbliga ad agire.

Il desiderio, in quanto espressione aspecifica dello stato centrale fluttuante, riconosce una serie di manifestazioni specifiche: il piacere, il dolore, la fame, la sete, l'amore, il sesso, il potere. A queste “passioni” Vincent dedica un'analisi neurobiologica estremamente dettagliata, che non può essere sintetizzata. Il concetto di fondo è che tutti i comportamenti nei quali tali passioni si esprimono manifestano l'oscillazione dello stato centrale fluttuante tra poli opposti. Esemplare, a questo riguardo, è la dialettica piacere/dolore cui Vincent dedica un’attenzione particolare. Di questa modalità passionale si conoscono bene i fondamenti strutturali: da parecchi anni si sa che l'ipotalamo laterale funziona come centro del piacere, nel senso che la sua stimolazione evoca comportamenti di avvicinamento-appagamento, mentre l'ipotalamo mediano funziona come centro del dolore, la cui stimolazione evoca comportamenti di avversione-frustrazione.

La tensione desiderante riconoscerebbe, dunque, a livello ipotalamico una modulazione che la orienta perpetuamente verso l'obiettivo della gratificazione: “la scelta e l'orientamento del movente sarebbe opera del cervello circuitale; il limbo con il ricordo delle esperienze passate, la neocorteccia con i suoi oggetti mentali” (p. 188). Ma la localizzazione dei centri ipotalamici non deve far ignorare che essi rientrano nell'ambito del funzionamento di un cervello umorale che, in rapporto al piacere/dolore, riconosce una regolazione neurormonale dovuta alla catecolamina e soprattutto alle endorfine. La scoperta del sistema endorfinico si può ritenere una rivoluzione epistemologica di enorme portata: la prova definitiva che il cervello umorale rappresenta lo sfondo su cui lavora il cervello neuronale, che definisce la prassi soggettiva come figura.

 Lo sfondo di ogni esperienza umana è uno stato di attivazione affettiva ed emozionale a partire dalla quale il cervello neuronale opera elaborando progetti (facoltà di anticipazione) che sono individualizzati, poiché tendono conto di dimensioni specifiche: lo stato del corpo, lo stato del mondo e la storia dell’organismo. Il cervello umorale integra, in breve, uno stato centrale fluttuante in condizioni di squilibrio permanente: è con questo squilibrio dinamico che deve confrontarsi ogni uomo, prescindendo dalla ricerca di un equilibrio definitivo. L’amministrare questo squilibrio mirando a realizzare un’economia di vita gratificante secondo un progetto individuale, che non può prescindere dalla carriera del soggetto nel mondo, è il dovere cui è chiamato ogni uomo dalla sua natura animale. Il cervello umorale è lo strumento flessibile che rende possibile l’adempimento di questo dovere, attraverso l’azione.

Secondo Vincent, infatti, la “passione” adattiva, espressione propria dello stato centrale fluttuante, si realizza attraverso l'azione, a seconda che essa sia possibile o inibita. "Al cuore dei meccanismi adattivi c'è una ghiandola, la coppia delle surrenali... Ognuna delle due surrenali è in realtà una ghiandola doppia, che riassume nella sua dualità due modi possibili di stare nel mondo: al centro c'è la midollare surrenale, la ghiandola dell'aggressione, del combattimento o della fuga; alla periferia c'è la corticale surrenale, la ghiandola della sottomissione e della rassegnazione... Questo manicheismo endocrinologico non deve mascherare la complessità dei dati. La ghiandola surrenale non è che un relée in sistemi di retroazione che comprendono l'ipofisi e i diversi livelli gerarchici del sistema nervoso centrale... Infine, all'interno stesso del cervello, il gioco dei neurormoni riproduce la complessità dei fenomeni periferici" (p. 301).

L’inibizione dell’azione, la rassegnazione, la frustrazione, il dolore rappresentano i fattori che, impedendo all’uomo di adattare lo stato centrale fluttuante al mondo e il mondo allo stato centrale fluttuante, determinano una condizione di depressione e di disperazione. E’ quando l’uomo, per circostanze oggettive o soggettive, viene meno o non è in grado di realizzare la sua passione adattiva che egli si squilibra improduttivamente.

 Attraverso la nozione di stato centrale fluttuante, Vincent, in breve, rivendica il primato del sentire sulla cognizione e sottolinea l’importanza della dimensione temporale, della storia dell’organismo individuale nel mondo. Opponendo, inoltre, il piacere (inteso in senso lato e legato all’agire) al dolore, lascia intravedere la possibilità che un’esperienza soggettiva si organizzi secondo un sistema di significazione e di azione gratificante o mortificante.

Questo modo di vedere rende più prossima l’integrazione tra neurobiologia e psicodinamica.

2.

E' difficile sottovalutare i pregi del saggio di Vincent. Basta operare un confronto con il saggio già recensito di Changeux per rendersene conto. Entrambi gli autori sono dichiaratamente materialisti e considerano il cervello come un prodotto dell'evoluzione naturale; entrambi, di conseguenza, sono avversi ad ogni forma di dualismo psicofisico. Ma la teoria neuronale di Changeux è una teoria “razionalistica”. Pur ammettendo che l'organizzazione cerebrale si fonda sull'attività di una rete interneuronica in perenne oscillazione, per effetto del funzionamento stocastico delle sinapsi, Changeux non può rinunciare all'idea che quell'attività rappresenti il mondo secondo un ordine a questi intrinseco. Vincent, pur non essendo di certo un irrazionalista, muove invece dal presupposto che l'universo materiale sia in una condizione di perenne squilibrio e disordine dinamico, e che il cervello, differenziandosi e definendosi in rapporto ad esso, abbia “interiorizzato”, strutturalmente e funzionalmente, quel disordine sotto forma di stato centrale fluttuante.

Tale stato centrale coincide con una tensione desiderante emotiva che oscilla perennemente tra polarità opposte: attenzione/distrazione, piacere/dolore, calma/ansia, ecc. L'organizzazione neuronale, che si definisce sullo sfondo di questo perpetuo squilibrio emozionale, dovrebbe servire a dare ad esso senso, a mediarlo e ad integrarlo: a tradurre, in breve, la fluttuazione, che è la realtà esistenziale propria dell'uomo, in un tipo di rapporto dinamico con il mondo (interno ed esterno). Purtroppo, e Vincent lo lascia intuire, la ragione, influenzata da una cultura omeostatica che privilegia l'equilibrio, la misura, la stabilità tende a sovrapporre alla realtà esistenziale dello stato centrale fluttuante degli schemi sempre troppo rigidi, univoci e poco dinamici. Anziché integrare la fluttuazione, la ragione tende ad estinguerla, con effetti spesso dannosi.

Attraverso la nozione di stato centrale fluttuante, Vincent, in pratica, rivendica il primato del sentire sulla cognizione, e sottolinea l’importanza della dimensione temporale, della storia dell’organismo individuale nel mondo, che cerca (o dovrebbe cercare) attivamente un modo di essere e di rapportarsi a se stesso, agli altri e alla vita agganciato al suo bisogno pervasivo di felicità.

La teoria di Vincent sembra fornire un punto di appoggio estremamente rilevante per la teoria dei bisogni intrinseci.

I bisogni, con le loro radici emozionali e la tensione dialettica che li caratterizza, possono facilmente essere riferiti allo stato centrale fluttuante. Ma essi comportano una definizione meno “vaporosa” della tensione desiderante rispetto a quella fornita da Vincent, poiché la orientano verso uno sviluppo sempre più ricco e articolato dell'identità personale e sociale.

 La condizione di perenne squilibrio dovuta allo stato centrale fluttuante diventa più comprensibile se essa è riferita a delle potenzialità di ulteriore sviluppo individuale e sociale che si ripropongono non appena il soggetto ha raggiunto una qualche condizione di equilibrio. Il cervello umorale, con la sua dimensione temporale, rappresenta il serbatoio dei bisogni allo stato nascente, che l'organizzazione neuronale deve tradurre in una prassi adeguata alla loro soddisfazione.

Elevando il piacere al rango di essenza e obiettivo ultimo dell'esistenza, Vincent non ripropone di certo un gretto edonismo. Egli intende far presente che la vita mentale è resa significativa solo dal suo tendere verso l'appagamento, e che questa tensione deve fare i conti con le potenzialità di dolore inerenti le strutture cerebrali e le interazioni con il mondo esterno.

Il limite della teorizzazione di Vincent è quello proprio di tutte le teorizzazioni neurobiologiche, che non possono saldare lo scarto tra i dati strutturali e funzionali e le concrete esperienze soggettive. Ma esse sono indispensabili poiché forniscono validi punti di riferimento alle teorie che, viceversa, muovono dalle esperienze soggettive e, interpretandole, mirano poi a riflettere sui loro fondamenti strutturali e funzionali.

Non tutto è chiaro: ma è innegabile che le scoperte neurobiologiche e le ricerche psicopatologiche si avvicinano sempre di più all'obiettivo di una nuova sintesi che colga i nessi dinamici tra essere biologico, psicologico e sociale.