K. Kaplan-Solms, M. Solms

Neuropsicoanalisi


1.

In un breve articolo ho anticipato la necessità di approfondire il tentativo di integrazione tra neuroscienze e psicoanalisi che va ormai sotto il nome di Neuropsicoanalisi. La necessità non è da riferire solo all’interesse di questa nuova disciplina, impensabile appena trenta anni fa, ma soprattutto al fatto che io stesso sto procedendo su di una via parallela di ricerca, che mira però a costruire un modello più ampio che include le neuroscienze e la psicoanalisi, ma tiene conto anche di tutte le altre scienze umane e sociali.

Il libro di Solms si può ritenere, per alcuni aspetti, il “manifesto” della Neuropsicoanalisi.

Non è insignificante citare la prefazione, ove Arnold Z. Pfeffer, Direttore del Centro di neuropsicoanalisi dell’Istituto psicoanalitico di New York, ne traccia la storia:

“Il presente volume è liberamente tratto da una selezione di lavori presentati all'Istituto psicoanalitico di New York nel corso di quattro serie di lezioni e seminari cimici a cadenza mensile, svolti negli anni dal 1993 al 1999. Le letture teoriche sono state presentate da Mark Soims mentre i casi clinici erano illustrati da Karen Kaplan-Soims (all'epoca entrambi Hon. Lecturers in Neurochirurgia allo St. Bartholomew's Hospital e alla Royal London Hospital School of Medicine). Questi interventi rappresentavano una parte di un programma scientifico, in corso all'Istituto psicoanalitico di New York, iniziato nel settembre del 1990, in occasione del quale il dottor James Schwartz (docente di Neuroscienze alla Columbia University School of Medicine) ha proposto a dieci illustri esperti in neuroscienze, negli anni 1990-1991 e 1991-1992, di tenere delle lezioni e di discutere il proprio lavoro con un gruppo selezionato di psicoanalisti. Questo gruppo di studio ha continuato a incontrarsi per tutto l'anno 1992. Nel 1992-1993, Jason Brown (Clinical Professor di Neurologia al New York Medical Center) ha promosso una terza serie di dieci lezioni tenute da autorevoli neuroscienziati. Ci sono ora cinquanta membri nel gruppo neuropsicoanalitico, inclusi quelli provenienti dall'Università della Columbia, dall'Università di New York e dalla Società psicoanalitica di New York. Questo gruppo ha formato il nucleo dell'uditorio dei Soims, rappresentato quindi da numerosi psicoanalisti e neuroscienziati provenienti da vari istituti distribuiti negli Stati Uniti. Il materiale presentato in quella sede e il contenuto di questo volume rappresentano quindi la realizzazione di un tentativo di avvicinamento tra la mente e il cervello.”

Sarebbe più corretto parlare di un tentativo di avvicinamento tra teorie della mente e teorie del cervello.

Più volte, nel libro, gli autori sottolineano il carattere sperimentale del loro lavoro, che si fonda sul tentativo di applicare la psicoanalisi a soggetti che, in seguito a lesioni cerebrali, manifestano determinati disturbi delle funzioni psichiche e li vivono soggettivamente in maniera diversa. Il presupposto della ricerca è l’integrazione tra due diverse metodologie: quella messa a fuoco da Freud, che, dopo un’iniziale tentativo di correlare i fenomeni psichici al cervello, ha desistito in nome delle scarse conoscenze neurobiologiche dell’epoca, e quella messa a fuoco da Aleksander Lurija nel contesto della psicologia sovietica.

La ricchezza della psicologia sovietica è stata illustrata da Luciano Mecacci in un libro dal titolo significativo (Cervello e storia, Editori Riuniti 1977). Riporto il capitolo dedicato agli sviluppi della psicologia sovietica da Vygotski a Lurija

Da Vygotski a Luria

La storia delle funzioni cerebrali

Il problema dei rapporti tra fisiologia e psicologia, secondo un'ottica propria del materialismo storico e del materialismo dialettico, era stato affrontato in modo originale da Lev S. Vygotski (1896-1934). Questo grande psicologo, fondatore della scuola storico tale, trattò il problema in varie opere, ma in particolare, da un punto di vista teorico più generale, nella Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori (scritta tra il 1930 e 1931, pubblicata per la prima volta nel 1960) e, da un punto di vista più tecnico, in un paio di articoli, Il problema dello sviluppo e della disgregazione delle funzioni psichiche superiori e La psicologia e la teoria della localizzazione scritti nel 1934 poco prima della morte.

Vygotski non poté verificare per la sua morte prematura la propria concezione della localizzazione cerebrale delle funzioni psichiche superiori e le prime ricerche sperimentali intraprese nella clinica neurologica di Mosca rimasero incompiute. Le sue tesi furono però riprese e sviluppate successivamente dall'amico e collega Lurija e hanno avuto un'influenza sulla ricerca più negli anni recenti che al tempo della loro elaborazione...

Secondo Vygotskii lo studio delle funzioni psichiche superiori non può essere affrontato con i metodi riduzionistici proposti dalla refiessologia di Bechterev, dalla reattologia di Kornilov, dalla teoria dei riflessi condizionati di Pavlov o dal comportamentismo. Queste teorie si basano su una concezione stimolo-risposta dei processi psichici. Se tale concezione può essere valida per spiegare i processi psichici elementari, come la formazione di un riflesso condizionato, essa è inadeguata a spiegare la formazione dei processi psichici superiori, come il linguaggio. Lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori «non può infatti essere spiegato dalla semplice complicazione dei rapporti tra quegli stimoli e quelle reazioni che sono già date nella psicologia animale e neppure dalla semplice crescita quantitativa di questi rapporti. Suo nucleo è invece un salto dialettico che comporta un mutamento di qualità nel tipo stesso di rapporto tra stimolo e reazione».

Il mutamento di qualità ha origine dalla introduzione nelle funzioni psichiche dell'uomo di un elemento fondamentale, lo «stimolo-mezzo» (stimul-sredvsto). Tra gli esempi fatti da Vygotskii nella sua Storia per chiarire il concetto di «stimolo-mezzo» ricordiamo quello relativo all'asino di Buridano. Di fronte a due sacchi uguali di fieno, uno a destra e uno a sinistra, l'asino che pure è affamato non sa scegliere e muore di inedia. I due stimoli equivalenti (i due sacchi) producono due reazioni “uguali ma di direzione contraria” e il comportamento dell'animale viene inibito. In una situazione analoga, di fronte alla più completa incertezza, un uomo potrebbe lanciare una monetina e in base al risultato scegliere tra i due stimoli. In altre parole l'uomo produce di sua iniziativa uno stimolo che instaura un nuovo rapporto stimolo-risposta tale da consentire lo svolgimento del processo comportamentale.

Appunto «la presenza di stimoli creati accanto a quelli dati è - scriveva Vygotskij - la caratteristica distintiva della psicologia dell'uomo». Gli «stimoli creati» per dirigere e regolare il comportamento sono vari e multiformi (« il linguaggio, le diverse forme di numerazione e di calcolo, i mezzi mnemotecnici, la simbologia algebrica, le opere d'arte, la scrittura, gli schemi, i diagrammi, le carte, i progetti, e tutti i segni possibili, e così via »).

Un esperimento di A.N. Leontjev (n. 1903), compiuto sotto la guida di Vygotskij, una delle prime ricerche sperimentali della scuola storico-culturale, dimostrava, ad esempio, l'importanza degli stimoli-mezzo nello sviluppo dell'attenzione volontaria. L'esperimento era diviso in quattro fasi ognuna composta da una serie di diciotto domande differenti, delle quali sette riguardavano il colore di oggetti. Nella prima fase veniva chiesto semplicemente il colore. Nella seconda fase si doveva rispondere alle domande sul colore osservando due regole: non rispondere per due volte con lo stesso colore e non rispondere mai con due colori indicati dallo sperimentatore. Nella terza fase si mantenevano queste due regole, ma i soggetti potevano aiutarsi con una serie di nove cartoncini colorati. La quarta fase era analoga alla terza ed era impiegata quando i soggetti non erano riusciti a superare quest'ultima. Leontjev esaminò quattro gruppi di soggetti d'età diversa (5-6, 8-9, 10-13, 22-27 anni). La prima fase, quella in cui non vi sono regole, riuscì abbastanza facile per tutti i soggetti. Nella seconda fase invece, in cui si dovevano osservare le due regole, risultarono delle grosse differenze tra i gruppi di soggetti. La prestazione migliorava con l'aumento di età. Ma il risultato più interessante fu che la prestazione migliorava moltissimo nella terza fase con l'introduzione dei cartoncini. Questo miglioramento cominciava a essere significativo nei bambini in età scolare (8,5 anni in media nel campione esaminato). Questi bambini mettevano da parte i cartonini con i colori «proibiti» e quelli con i colori già detti una volta. Ad ogni nuova risposta essi consultavano, per così dire, i cartoncini messi da parte e riuscivano a dare la risposta corretta. Con l'aiuto di questi stimoli esterni o stimoli-mezzo, i soggetti potevano concentrare meglio la loro attenzione, osservare meglio le regole del compito e, in definitiva, produrre un comportamento più efficiente. Nell'età adulta l'uso degli strumenti-mezzo non è più così significativo come nelle età precedenti. L'adulto guida il proprio comportamento ricorrendo a stimoli-mezzi interni, come i segni verbali. Egli ha oramai interiorizzato le regole del proprio comportamento. E’ invece nei primi stadi dello sviluppo psichico che è fondamentale lo strumento degli stimoli esterni e ausiliari per regolare e controllare il comportamento (fig. 8).

Dal punto di vista neurofisiologico, il salto qualitativo rappresentanto dall’introduzione degli stimoli-mezzo significa la formazione di nuove connessioni cerebrali. La differenza tra le connessioni cerebrali formate da processi come i riflessi condizionati e questo nuovo tipo di connessioni deve essere chiara. «In un caso, - dice Vygotskij, - il legame temporaneo s'instaura grazie alla coincidenza di due stimoli che agiscono contemporaneamente sull'organismo; nell'altro l'uomo crea egli stesso un nuovo legame temporaneo nel cervello mediante il collegamento artificiale di due stimoli.» Non si tratta dello sviluppo di nuovi «centri» cerebrali o della nascita di cellule nervose particolari, ma della formazione di nuove connessioni funzionali tra centri preesistenti fin dalla nascita. La possibilità di dare origine a questi nuovi rapporti funzionali intracerebrali, questa plasticità funzionale è la peculiarità del cervello umano.

Le aree altamente specializzate del cervello entrano in rapporti funzionali tra di loro durante l'ontogenesi, in dipendenza della stimolazione ambientale oltre che dalla maturazione organica. Funzioni primarie come la percezione visiva, la percezione uditiva, l'attenzione, ecc., che dipendono dall'attività di centri cerebrali specializzati, entrano in nuovi rapporti tra di loro dando luogo a funzioni psichiche più complesse. Il linguaggio ha un ruolo fondamentale in questa crescita di complessità perché consente di «legare» funzioni elementari, ad esempio la visione e la memoria, in modo più complesso, ma meglio rispondente alle finalità adattative. La percezione dei colori è un processo elementare di cui un bambino è dotato fin dai primi tempi di vita. Con lo sviluppo del linguaggio questo processo si complica perché i colori vengono identificati verbalmente. Gli oggetti possono essere discriminati dietro l'indicazione del colore, accomunati in base al colore comune, ecc. In questo modo la percezione dei colori non è più un processo autonomo, ma dipende dal linguaggio. Ciò significa, da un punto di vista neurofisiologico, che i centri cerebrali delegati alla percezione dei colori entrano in connessione con i centri del linguaggio. Questo nuovo rapporto si sviluppa nell'ontogenesi con l'acquisizione da parte del bambino dei «segni verbali». Ora il bambino è in grado di effettuare nuove operazioni e di migliorare le precedenti valendosi dello strumento del linguaggio. Ma l'acquisizione di questo strumento formidabile, e la possibilità quindi di creare nuovi rapporti funzionali intracerebrali, dipendono dalle relazioni instaurate fin dalla nascita tra il bambino e l'ambiente, in particolare la famiglia. Il cervello sviluppa nuove forme di regolazione del comportamento e di intervento sulla natura in dipendenza degli stimoli di natura storico-culturale che gli provengono dall'esterno. L'acquisizione del linguaggio equivale all'appropriazione dei contenuti e dei valori culturali trasmessi da generazione a generazione nella specie umana.

La relazione tra funzioni elementari e funzioni superiori si modifica nello sviluppo ontogenetico. Mentre in un primo stadio le funzioni complesse si instaurano in dipendenza di una riorganizzazione funzionale di quelle elementari, in un secondo stadio la relazione si inverte e le funzioni elementari dipendono da quelle superiori. Così la percezione dei colori e delle forme è fortemente canalizzata nelle categorie di denominazione verbale che possediamo ed ogni ulteriore discriminazione al di là delle categorie note («rosa», «rosso», «arancione», ecc.) avviene con l'ausilio di altri «segni verbali» « tra il rosso e l'arancione », ecc.). Questa inversione nella relazione tra funzioni elementari e funzioni superiori ha un notevole significato per la clinica.

Lesioni che avvengono prima dello stadio di maturazione, che porta ad esempio all'acquisizione del linguaggio, bloccano la riorganizzazione generale delle funzioni elementari che si sarebbe avuta superato questo stadio. Lesioni del genere portano a disturbi generali dei processi psichici. Lesioni che avvengono dopo tale stadio colpiscono invece processi psichici specifici con conseguenze più o meno gravi a seconda della regione cerebrale lesa.

Come si è detto, queste tesi di Vygotskij sulla organizzazione cerebrale delle funzioni psichiche superiori e sui loro disturbi conseguenti a lesioni non furono sviluppate adeguatamente. Comunque rimaneva fondamentale l'idea di una «crescita» delle funzioni cerebrali nel corso dello sviluppo ontogenetico, la possibilità di delineare una loro vera e propria «storia» strettamente connessa alla storia individuale. La concezione di Vygotskij, si badi, non riguardava il «modo» concreto in cui avvenivano le connessioni funzionali nel cervello, terreno d'indagine che egli riconosceva alla fisiologia. Essa precisava invece che, indipendentemente dalla comune natura fisiologica (tipo di processi fisico-chimici, ecc.), le connessioni funzionali che davano luogo alle funzioni psichiche superiori si differenziavano dalle connessioni funzionali tipo riflessi condizionati perché esse erano mediate da nuovi processi di origine storico-sociale. (pp. 60-66)

...

“VI. I sistemi funzionali

Funzione, sintomo e sindrome

La tesi che il cervello sia un sistema funzionale complesso e integrato, formulatore e regolatore dei piani e progetti dell'attività psichica e che il cervello sia lo strumento principale per l'adattamento dell'individuo all'ambiente, ha trovato la sua formulazione più sistematica nell'opera di Aleksandr R. Lurija (n. 1902). L'idea di un cervello attivo, di un working brain, può farsi risalire alle ricerche condotte da Lurija negli anni '20. Essa ha origine infatti dalle tesi dell'amico e collega Vygotskij sulla localizzazione delle funzioni cerebrali, e ha cominciato a articolarsi sul piano sperimentale e clinico nel corso dell'opera di riabilitazione dei cerebrolesi dopo la seconda guerra mondiale (Afasia traumatica, 1947; Riabilitazione delle funzioni del cervello dopo i traumi di guerra, 1948) ed è stata infine sviluppata come una «teoria delle funzioni cerebrali» sulla base delle numerose ricerche condotte negli ultimi venticinque anni sugli effetti delle lesioni cerebrali sull'attività psichica (Le funzioni corticali superiori dell'uomo, 1966; Il cervello dell'uomo e i processi psichici, 1966-1970; Neuropsicologia della memoria, 1973; Principi di neuropsicologia, 1974; Principi di neurolinguistica, 1975). La neuropsicologia di Lurija non solo deriva dall'indagine clinica e sperimentale, ma riflette tutta l'indagine psicologica sovietica, in particolare la concezione storico-culturale delle funzioni psichiche superiori, nell'esigenza che una teoria delle funzioni cerebrali dell'uomo consideri opportunamente la sua dimensione storica e sociale...

II punto di partenza della teoria di Luija è la revisione del concetto di funzione e la formulazione del concetto di sistema funzionale.

Secondo Lurija devono essere distinti due concetti basilari di funzione. Nel primo concetto, la funzione indica la funzione di un tessuto o di un organo particolare. Esempi sono la secrezione della bile, funzione del fegato, e la secrezione dell'insulina, funzione del pancreas. Nel secondo concetto, la funzione indica la funzione di più tessuti o più organi. Esempi sono la digestione e la respirazione che impegnano l'attività di più organi corporei. Il primo modo di concepire la funzione ha avuto un largo impiego nelle ricerche sulle basi cerebrali delle funzioni psichiche. Si è ritenuto che un determinato processo psichico fosse la funzione di un determinato centro cerebrale. Una tale concezione risale al localizzazionismo stretto della frenologia e caratterizza l'opera di Broca, Wernicke, Fritsch e Hitzig, Munk, Ferrier e altri. A questa concezione si è contrapposta la tesi dell'aspecificità delle strutture cerebrali per le funzioni psichiche, tesi che in modo altrettanto estremistico semplificava la complessità strutturale del cervello in modo tale da separare da esso le funzioni psichiche intese invece come funzioni molto complesse. Una funzione psichica va concepita secondo il concetto più ampio del termine funzione.

Una funzione psichica è la funzione delle funzioni integrate di varie strutture cerebrali, è un sistema di funzioni o sistema funzionale. Il concetto di sistema funzionale che è applicabile a processi fisiologici come la digestione o la respirazione è particolarmente valido per i processi fisiologici superiori dell'organismo, cioè i processi psichici. Vale in ogni caso il principio fondamentale, già illustrato da Berntejn e dà Anochin, secondo il quale il compito e il risultato prefissato nell'attività di un sistema funzionale sono invarianti, mentre possono variare le operazioni per la realizzazione del compito. Più precisamente, ciò significa che alla realizzazione di un dato compito possono partecipare strutture e funzioni diverse, agenti in momenti diversi, e variabili a seconda delle circostanze ambientali e delle necessità dell'organismo. Le funzioni mentali, in altri termini, vengono concepite non come funzioni di centri ristretti del cervello, ma come «organizzate in sistemi di zone che lavorano di concerto, ciascuna delle quali compie il suo ruolo nel sistema funzionale complesso e che possono essere localizzate in aree completamente differenti e spesso molto distanti del cervello» (Lurija).

La concezione delle funzioni psichiche superiori come sistemi funzionali cerebrali è caratterizzata da un altro principio fondamentale, sulla base del quale viene distinto in definitiva il cervello dell'uomo dal cervello degli animali. Il cervello dell'uomo può sviluppare nuove interazioni funzionali, o nuovi sistemi funzionali o secondo la terminologia di Leontjev «nuove formazioni» o «nuovi organi funzionali». In primo luogo, come aveva affermato Vygotskij, con la sua teoria delle «connessioni extracerebrali», si formano connessioni tra centri funzionali indipendenti mediante strumenti non cerebrali.

L'esempio più significativo è il linguaggio, lo strumento principale della specie umana per la realizzazione di nuove forme di comportamento e per lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori. Il linguaggio come insieme di segni e simboli esterni al bambino permette di sviluppare in modo più articolato le funzioni psichiche (percezione, attenzione, memoria, ecc.) di cui è dotato. Successivamente il linguaggio diviene uno strumento interno per la realizzazione dell'attività psichica. L'acquisizione del linguaggio, i processi complessi della sua interiorizzazione nell'individuo, la sua esteriorizzazione parlata e scritta, e viceversa la sua comprensione visiva e uditiva, le varie forme che il linguaggio assume nel corso dell'ontogenesi, tutti questi processi riflettono un «movimento» e uno sviluppo continuo dell'interazione tra le strutture cerebrali. Nei vari stadi di sviluppo di un sistema funzionale, come il linguaggio, l'interazione assume forme nuove, in uno stadio partecipano determinate strutture e hanno luogo processi che potranno non manifestarsi in uno stadio successivo. Il tipo e la gravità di disturbi prodotti dalle lesioni cerebrali dipendono dunque dallo stadio ontogenetico in cui esse si sono verificate. Ripetendo ancora una volta quanto si è già detto a proposito delle teorie di Vygotskij, il disturbo varia in funzione dello stadio ontogenetico, del particolare momento in cui ha luogo la ristrutturazione evolutiva della funzione colpita.

Il concetto di sistema funzionale e il conseguente rifiuto del principio della localizzazione di una funzione psichica in un centro cerebrale specifico implicano una revisione del concetto di sintomo. Secondo le passate concezioni localizzazionistiche, un determinato sintomo, un deficit in una determinata funzione, ad esempio il linguaggio, significava una lesione localizzata in un'area cerebrale specifica. Secondo il nuovo concetto di funzione, il sintomo è l'indice di un disturbo del sistema funzionale, ma non rivela direttamente quale delle strutture cerebrali impegnate nel sistema funzionale è stata danneggiata.

Facciamo l'esempio, più volte riportato da Lurija, dei disturbi dei movimenti volontari. I movimenti volontari rappresentano un sistema funzionale cui partecipano in modo integrato e complesso strutture cerebrali diverse. Ogni struttura dà il proprio contributo funzionale all'intero sistema funzionale dei movimenti volontari. A seconda di quale struttura è lesa si avrà un disturbo specifico di questo sistema funzionale. Al neuropsicologo può esser nota questa struttura solo dopo un'analisi approfondita del sintomo. Secondo la neurologia classica, ai disturbi dei movimenti volontari (aprassie) corrispondevano semplicemente lesioni localizzate nelle aree parietali e antero-parietali, ma una analisi più accurata ha dimostrato da una parte l'estrema complessità strutturale dei movimenti volontari e dall'altra la partecipazione integrata. di più strutture cerebrali. Elementi fondamentali della struttura funzionale di un movimento volontario sono: l'afferenza cinestetica, l'insieme dei segnali cinestetici sul tono muscolare, le giunture, ecc. degli arti in movimento; la sintesi delle afferenze visuo-spaziali,, l'insieme dei segnali relativi alle coordinate spaziali degli arti; l'organizzazione cinetica, la consecutività e la «sintesi melodica» dei movimenti; e infine l'intenzionalità, la meta o la finalità dei movimenti.

Di ciascuno di questi elementi fondamentali dei movimenti volontari sono responsabili principali varie strutture cerebrali, rispettivamente: le aree sensoriali della corteccia postcentrale, le aree parieto-occipitali, i gangli della base e le aree premotorie, i lobi frontali. A seconda di quali di queste strutture vengono lese, si hanno disturbi differenti del movimento volontario e cioè forme diverse di aprassia, note rispettivamente come aprassia cinestetica, aprassia spaziale, aprassia cinetica e aprassia dell'intenzionalità (tav. 6).

Fattore funzionale

Struttura cerebrale

Effetto della lesione

Afferenza cinestetica

Aree sensoriali generali

Aprassia cinestetica

Afferenza visuospaziale

Regione parieto-occipitale

Aprassia spaziale

Organizzazione cinetica

Gangli della base e aree premotorie

Aprassia cinetica

Intenzionalità

Lobi frontali

Aprassia della intenzionalità

Tav. 6. Sistema funzionale del movimento volontario secondo Lurija.

E’ chiaro che di per sé un disturbo di un movimento volontario non è un indice diretto del luogo in cui vi è la lesione. I disturbi dei movimenti volontari sono molteplici e variano sottilmente tra di loro, anche se possono rientrare nelle quattro categorie principali di aprassia indicate da Lurija. Occorre quindi un'analisi accurata del disturbo o del sintomo prima di poter stabilire quale sia la struttura danneggiata. Questa analisi non è così semplice come potrebbe sembrare. Infatti determinare qual è la struttura funzionale di una funzione psichica superiore, stabilire quali sono le strutture cerebrali coinvolte e quali danni producono le lesioni rispettive, non è un compito facile. Il modo migliore per affrontare questo problema richiede, secondo Lurija, due tipi di indagine tra loro complementari.

Da una parte, si deve determinare quali sono i vari sintomi prodotti dalla lesione di una struttura cerebrale e dall'altra si deve determinare quali sono i disturbi prodotti da lesioni e strutture diverse in uno stesso sistema funzionale. Si è visto che una lesione all'area parieto-occipitale produce una grave alterazione dell'organizzazione visuospaziale dei movimenti volontari (aprassia spaziale). Questa stessa lesione produce però disturbi in altre funzioni, tutte implicanti un fattore, per così dire, «spaziale» (operazioni matematiche, relazioni logiche, ecc.). Altre funzioni in cui non rientra tale fattore (comprensione del liguaggio parlato, comprensione della musica, ecc.) non sono disturbate dalla lesione nell'area parieto-occipitale. La differenziazione tra funzioni psichiche disturbate da una lesione in una determinata struttura cerebrale e funzioni non disturbate dalla stessa lesione (metodo noto anche come «principio della doppia dissociazione delle funzioni» secondo la terminologia di Teuber) è di grande significato per la comprensione stessa della struttura delle funzioni psichiche superiori, in quanto permette di evidenziare quali legami intercorrano tra funzioni apparentemente diverse tra di loro, sulla base di un comune fattore (fig. 23).

Fig. 23. Schema dell'analisi della sindrome. Il fattore funzionale che dipende dalla struttura cerebrale B altera, nei casi di lesione, i sistemi funzionali x e y a cui è comune. Non viene invece disturbato direttamente il sistema funzionale z. Si noti che i sistemi x e y hanno in comune il fattore della struttura B e i sistemi x e z il fattore della struttura E, mentre y e z non hanno in comune alcun fattore. Si dice sindrome della struttura B (ad es., sindrome dei lobi frontali) il complesso di disturbi prodotti nei sistemi funzionali x e y da una lesione in B.

La ricerca e l'analisi del fattore comune nei disturbi delle funzioni psichiche superiori prodotte da una lesione in una stessa struttura cerebrale, viene denominata da Lurija analisi del complesso di sintomi o analisi della sindrome. In sintesi, l'analisi della sindrome rivela sia qual è l'organizzazione e l'integrazione funzionale delle strutture cerebrali, sia qual è la struttura delle funzioni psichiche superiori. Per Lurija, lo studio delle sindromi in questo duplice significato finale caratterizza e qualifica la ricerca neuro psicologica come studio delle basi cerebrali dei processi psichici e comportamentali.

Le tre unità funzionali del cervello e i lobi frontali

Le funzioni psichiche (la percezione, l'attenzione, la memoria, il linguaggio, ecc.) sono sistemi funzionali complessi dell'attività cerebrale. Esse dipendono oltre che dall'integrazione funzionale delle varie strutture del cervello, dalla maturazione e dalla interazione organismo-ambiente. Vi sono inoltre, per Lurija, dei sistemi o unità funzionali piii generali e globali che presiedono o come sfondo funzionale o come struttura ondamenta1e allo sviluppo delle varie funzioni psichiche. Si tratta di unità funzionali indispensabili al normale svolgimento dell'attività mentale, indipendentemente dai suoi specifici contenuti e motivi. Le unità sono tre. La prima unità dipende dal tronco encefalico superiore, dalla formazione reticolare e dalle regioni filogeneticamente piti antiche del sistema limbico ed ha la funzione di regolare il livello di attivazione e lo stato di vigilanza. La seconda unità dipende dalle aree occipitali, parietali e temporali della corteccia cerebrale ed ha la funzione di registrare, analizzare e memorizzare l'informazione. La terza unità dipende dalle aree frontali ed ha la funzione di programmare, controllare e regolare il comportamento e l'attività mentale. Questa suddivisione in tre unità non implica che ciascuna di esse operi indipendentemente dalle altre due. Ogni processo comportamentale e mentale richiede l'azione integrata di tutte e tre le unità ed inoltre una specifica struttura sistemicofunzionale in relazione alla natura della funzione (percezione, linguaggio, ecc.).

Lurija ha assegnato una particolare importanza alla terza unità funzionale. grazie ad essa che il comportamento umano si distinguerebbe dal comportamento degli animali. « L'uomo non solo non reagisce passivamente all'informazione in arrivo, ma crea intenzioni, forma piani e programmi delle sue azioni, controlla la loro esecuzione e regola il suo comportamento in modo che si conformi alla sua attività cosciente, confrontando gli effetti delle sue azioni con le intenzioni originali e correggendo ogni errore che abbia fatto. » L'importanza dei lobi frontali nel comportamento umano risulta indirettamente dallo studio della loro evoluzione filogenetica e dall'osservazione che essi divengono una formazione tipica del cervello dell'uomo. Si deve però proprio alle ricerche cliniche e sperimentali di Lurija e dei suoi allievi la dimostrazione che i lobi frontali hanno una funzione basilare. Le lesioni di queste regioni cerebrali producono una vasta varietà di sintomi (sindrome frontale) che risultano in gravi alterazioni del comportamento e dell'attività mentale nel loro complesso. In primo luogo, lesioni ai lobi frontali danneggiano la regolazione dei livelli di attivazione, disturbando le prestazioni comportamentali che richiedono uno stato di vigilanza ottimale. Il deficit comportamentale si correla ad alterazioni dei pattern elettrofisiologici normali (riflesso psicogalvanico, elettroencefalogramma, ecc.) (fig. 24).

Fig. 24. Reazioni elettroencefalografiche a stimoli rilevanti (linea continua) e irrilevanti (linea tratteggiata) in soggetti normali (in alto a sinistra) e in soggetti con lesioni cerebrali (I: lesioni delle regioni medio-basali dei lobi -frontali; II: lesioni in altre regioni dei lobi frontali; III: lesioni nelle parti posteriori del cervello). Si noti che la depressione in percentuale del ritmo alfa allo stimolo rilevante è sempre presente in tutti i gruppi di soggetti e maggiore che negli altri ritmi (delta, theta, beta), eccetto che nei soggetti con lesioni frontali medio-basali (da E. D. Flomskaya (Chomskaa), Acta neurobsolograe experirnentalis, 1973, v. 33, pp. 509-522).

Ancora più evidenti sono gli effetti delle lesioni frontali sull'attività motoria. I disturbi sono chiarissimi nella realizzazione di programmi motori che necessitano di un codice verbale di regolazione. I soggetti affetti da lesioni frontali non riescono, ad esempio, ad eseguire compiti relativamente complessi, come rispondere correttamente al compito “alza il dito quando io alzo il pugno e alza il pugno quando io alzo il dito» oppure “batti forte il dito sul tavolo quando ricevi un segnale debole e batti piano quando ricevi un segnale forte». In questi soggetti viene disgregato il piano» interno in cui nell'individuo vengono rappresentate le azioni da compiere in base a determinate regole, codificate verbalmente. Sintomo caratteristico sono le azioni stereotipate e le perseverazioni: il soggetto non compie le proprie azioni secondo le regole date, ma compie più volte una stessa azione senza cambiarla o modificarla. II soggetto conserva le regole da eseguire, ma è incapace di controllare la propria attività. Viene persa la struttura, lo schema dell'azione da compiere non per un deficit mnestico, ma per un disturbo della programmazione e regolazione dell'azione stessa.

Anche la capacità di risolvere problemi è gravemente alterata. La soluzione di un problema richiede la «formazione ed esecuzione di un programma»: «il soggetto deve dapprima analizzare gli elementi costitutivi delle condizioni del problema, formulare una strategia precisa per la soluzione, svolgere le operazioni richieste da questa strategia e poi confrontare i risultati con le condizioni originali». Questa complessa articolazione di atti mentali è raramente possibile in un soggetto affetto da una lesione frontale. Il disturbo è tanto più forte nella soluzione di compiti «verbali» (ad esempio, è estremamente difficile rispondere in tali soggetti a quesiti come: «Ci sono 24 libri su due scaffali; su uno scaffale ce ne è un terzo che nell'altro; quanti libri ci sono in ogni scaffale?»). Anche la soluzione di compiti relativamente più facili, come esaminare un quadro e rispondere a varie domande sui suoi particolari, risulta di sorprendente difficoltà. Come si osserva mediante la registrazione dei movimenti oculari, i soggetti normali fissano i propri occhi sui particolari che possono essere importanti per rispondere alle domande fatte di volta in volta e spostano il punto di fissazione da un particolare all'altro in base a una strategia percettiva e cognitiva. I soggetti con lesioni frontali invece non seguono alcuna strategia e i punti di fissazione dei loro occhi si spostano casualmente.

Un elemento fondamentale della sindrome frontale è l'alterazione dei processi verbali che codificano i piani e le strategie. La stretta connessione tra le funzioni dei lobi frontali e linguaggio nella programmazione e regolazione del comportamento risulta dalle ricerche sul ruolo riabilitativo del linguaggio stesso. Nei pazienti - con lesioni in aree cerebrali non frontali - lo svolgimento di un dato atto comportamentale, la soluzione di un problema, ecc. può essere migliorato se i pazienti codificano verbalmente e ad alta voce i singoli elementi delle azioni comportamentali e mentali. I pazienti con lesioni frontali non riescono invece ad utilizzare lo strumento verbale e manifestano il tipico sintomo delle azioni stereotipate. Questi pazienti non perdono la capacità di parlare o di comprendere il linguaggio come in altri casi di lesioni cerebrali, ma la possibilità di usare il linguaggio come strumento per la regolazione del comportamento.

Si deve infine notare che proprio nello studio delle funzioni dei lobi frontali si è particolarmente sviluppata la scuola di Lurija, affiancando a contributi tipicamente clinici tutta una serie di ricerche sperimentali e psicofisiologiche (fondamentali sono la raccolta di lavori nel volume I lobi frontali e la regolazione dei processi psichici, a cura di Lurija e della sua allieva E.D. Chomskaja, 1966; e di quest'ultima il più recente Cervello e attivazione, 1972).

Il linguaggio

Nella concezione di Vygotskij, maturazione del cervello, evoluzione delle funzioni cerebrali, sviluppo delle funzioni psichiche e interazione con l'ambiente erano strettamente interconnessi. Lurija ha fornito alcuni dati precisi in merito; essi riguardano principalmente lo sviluppo del linguaggio, ma considerato il ruolocentrale che ha il linguaggio nel complesso delle funzioni psichiche, essi illuminano su tutta l'impostazione teorica seguita da Lurija nello studio delle basi cerebrali dell'attività mentale.

Dalle ricerche di Vygotskij e Lurija risulta che il linguaggio non è soltanto uno strumento di comunicazione e di codificazione delle informazioni e delle esperienze, ma anche uno strumento, anzi lo strumento principale di regolazione del comportamento. Mediante i «segni verbali» l'uomo può regolare il proprio comportamento e articolare e sviluppare le proprie funzioni psichiche. I «segni verbali» sono dapprima uno strumento esterno, fornito dall'ambiente (in particolare dalla famiglia) e successivamente divengono uno strumento interno di autoregolazione. Se diamo a un bambino di 3 anni, 3 anni e mezzo il compito di «premere il palloncino quando si accende la lampadina rossa e non premerlo quando si accende la lampadina blu», osserviamo che il bambino non è capace di eseguire correttamente il compito. Ciò diviene possibile solo più tardi, verso i 4 anni, 4 anni e mezzo: in un primo stadio, ripete a voce alta le regole di esecuzione; in un secondo stadio, le regole vengono interiorizzate.

Va sottolineato che la funzione regolatrice del linguaggio si sviluppa solo dopo che esso ha già acquisito la funzione di sistema di comunicazione. Lo sviluppo della funzione regolatrice dipende dunque sia dalla precedente acquisizione del linguaggio, mediata dall'interazione con l'ambiente sociale, sia dalla maturazione ulteriore delle funzioni cerebrali. Le due funzioni fondamentali del linguaggio dipendono da strutture cerebrali diverse, la funzione di codificazione dalle aree parieto-temporali e la funzione di regolazione dalle aree frontali. Come già si è visto nel paragrafo precedente, lesioni ai lobi frontali disturbano proprio la funzione di regolazione. Inoltre è intorno ai 4-5 anni che maturano queste strutture corticali, ad un'età prima della quale non è possibile per i bambini svolgere dei compiti che richiedano una codificazione verbale delle regole.

Negli ultimi anni, Lurija ha intrapreso l'approfondimento del linguaggio come sistema di comunicazione. Lurija si riallaccia alle teorie più moderne del linguaggio come processo cognitivo e sistema funzionale di operazioni distinte. Le ricerche di neurolinguistica, volte appunto a integrare i dati recenti della psicolinguistica e della linguistica con quelli della neuropsicologia, mirano ad individuare il sistema funzionale cerebrale che costituisce la base del linguaggio. Lesioni localizzate in aree cerebrali diverse possono causare disturbi specifici nei processi verbali che vanno dai primi stadi (riconoscimento dei fonemi) agli stadi successivi e più complessi (riconoscimento delle parole, comprensione della frase, ecc.). Per Lurija occorre approfondire la struttura psicologica della funzione in oggetto, in questo caso il linguaggio, determinando gli elementi costitutivi e le loro interazioni funzionali. Alla struttura psicologica deve corrispondere un'organizzazione funzionale cerebrale altrettanto complessa e articolata. Le nozioni classiche sui disturbi del linguaggio acquistano cosi una nuova collocazione, un nuovo inquadramento in base al modello, alla struttura proposta e secondo Lurija è possibile oggi prospettare un nuovo modo di interpretare i vari disturbi del linguaggio, prodotti da lesioni di diversa localizzazione, grazie ai modelli psicolinguistici.

La coscienza

La coscienza è stato uno dei temi fondamentali di indagine della scuola storico-culturale fin dallo scritto di Vygotskij del 1925, intitolato La coscienza come problema della psicologia del comportamento. Contro le posizioni comportamentistiche, Vygotskij sostenne che l'eliminazione della coscienza da oggetto di ricerca della psicologia avrebbe costituito l'incomprensione delle caratteristiche dell'attività mentale umana. Per Vygotskij la coscienza non era una «qualità immediata» dell'uomo, vaga e indefinibile, ma un'organizzazione attiva delle funzioni psichiche, acquisita nella storia ontogenetica dell'individuo, nella sua interazione con l'ambiente sociale. La coscienza ha uno sviluppo cronologico nel quale ha un ruolo fondamentale l'acquisizione del linguaggio e della sua funzione regolatrice. Poiché, in altri termini, la coscienza può essere definita come un sistema dei sistemi funzionali cerebrali (cioè delle varie funzioni psichiche), per la concezione di Lurija sono vani i tentativi di localizzare in strutture specifiche la sede della coscienza.

Da qui le critiche alle ipotesi di alcuni autori, come Penfield, di individuare in strutture, quali la formazione reticolare, l'origine dell'attività cosciente dell'uomo. Invece, secondo Lurija, «i fondamenti cerebrali della complessa attività cosciente dell'uomo, semantica e sistematica, vanno ricercati nel funzionamento concorde dei singoli apparati del cervello, ciascuno dei quali dà il proprio contributo particolare al lavoro dell'intero sistema funzionale. Soltanto tali sistemi funzionali, complessi ed altamente differenziati, possono assicurare quel complicatissimo processo di elaborazione (transcodificazione) dell'informazione, di formazione dei programmi di attività con la scelta della serie selettiva (essenziale) delle connessioni e con l'inibizione delle influenze collaterali e, infine, di confronto dell'effetto dell'azione con la intenzione iniziale, tratti che caratterizzano l'attività cosciente. La partecipazione intrinseca dei processi verbali all'attività cosciente dell'uomo rende ancora più complesso questo sistema». t chiaro quindi che le lesioni cerebrali, a seconda della loro localizzazione e del fattore funzionale danneggiato, producono disturbi differenziati nel sistema della coscienza.

Fin qui si è parlato dell'organizzazione cerebrale delle funzioni psichiche e pur sottolineando più volte come essa dipenda sia dalla maturazione sia dall'interazione dell'individuo con l'ambiente non ci si è soffermati su un aspetto strettamente connesso della teoria della scuola storico-culturale. Uno dei membri più importanti di tale scuola, A.N. Leontjev, ha distinto tra forma e contenuto delle funzioni psichiche. Vanno distinte «da una parte, la loro forma, cioè le attitudini puramente dinamiche che dipendono dalla loro "fattura" morfologica, e dall'altra parte il loro contenuto, cioè la funzione concreta che esse compiono». E’ nel corso dell'ontogenesi che l'individuo si appropria della cultura e sviluppa le proprie «funzioni umane». « Le attitudini dell'uomo non sono contenute in forma bell'e pronta nel suo cervello [...] né lo stesso linguaggio, né quei meccanismi concreti che realizzano i processi del discorso in questa o quella lingua, sono racchiusi in queste disposizioni, sono "iscritti" nel cervello.” Altrimenti parlando, essi non si "manifestano" nell'ontogenesi, ma vi si "formano".

In questa prospettiva, è chiaro quanto sia importante per tale formazione il tipo di interazione con l'ambiente sociale, per cui «il processo di appropriazione si attua nel corso dello sviluppo dei rapporti reali del soggetto col mondo.” E questi rapporti dipendono non dal soggetto, non dalla sua coscienza, ma sono determinati dalle concrete condizioni storiche e sociali nelle quali >egli vive.

La distinzione tra forma e contenuto, quale delineata da Leontjev, è presente in buona parte della letteratura sovietica sui rapporti tra funzioni cerebrali e funzioni psichiche. Si ritrova anche in autori come Rubinstejn, ad esempio, che non si rifanno alle tesi della scuola storico-culturale. Questa distinzione è implicita anche in Lurija, ma può essere fraintesa e interpretata scorrettamente come una specie di dualismo. Per i teorici della scuola storico-culturale, Lontjev e Lurija compresi, che un individuo, per esemplificare, parli una determinata lingua, abbia determinate conoscenze o segua determinate regole di comportameno non dipende da come è strutturato e organizzato geneticamente il cervello di questo individuo. Tutto ciò dipende invece dall'ambiente in cui è cresciuto e dalle condizioni storiche, sociali e culturali che hanno «imposto» questa lingua e non quella, queste informazioni e non quelle, queste regole e non quelle. Tuttavia non è che il cervello sia un recipiente vuoto che riceve passivamente un contenuto ambientale.

Il cervello è un sistema attivo dotato alla nascita dell'individuo di elementi potenziali che si riorganizzano, si strutturano e si sviluppano nelle relazioni con l'ambiente. La riorganizzazione e la strutturazione funzionale del cervello, nei limiti temporali maturazionali, dipende dalla interazione individuo-ambiente. In questo senso, come già si era detto nella parte relativa a Vygotskij, si può parlare di una storia delle funzioni cerebrali, una storia che è dunque sociale e individuale di contro a uno sviluppo specie-specifico del cervello umano.” (pp 109-125)

2.

Il secondo capitolo del libro di Solms approfondisce la teorizzazione di Lurija in questi termini:

“La psicoanalisi e l'origine della neuropsicologia dinamica: il lavoro di Lurija

In questo capitolo descriviamo uno dei principali sviluppi emersi, dopo la morte di Freud, da quello stesso ramo delle neuroscienze da cui è nata la psicoanalisi. Siamo infatti convinti che questo sviluppo abbia prodotto un metodo efficace per ricongiungere la psicoanalisi con le neuroscienze in modo compatibile con gli assunti di base di Freud.

Lurija e la psicoanalisi sovietica

Nel 1922, un giovane psicologo russo scrisse a Freud per fare domanda di riconoscimento formale di una nuova società psicoanalitica da lui fondata nella città di Kazan. Quest'uomo era Aleksander Romanoviè Lurija. Freud gli concesse questo riconoscimento e ne seguì una breve corrispondenza che può essere consultata negli archivi della famiglia Lurija a Mosca. Nel successivi due anni, Lurija svolse un'intensa ricerca psicoanalitica, pubblicò un gran numero di articoli, monografie, brevi commentari e condusse un lavoro clinico nell'ospedale psichiatrico della sua circoscrizione.3 Lurija si trasferì poi a Mosca, diventando membro della Società psicoanalitica russa, dove continuò il suo percorso per il resto della seconda decade del secolo. Lurija fu attratto dalla psicoanalisi, egli scrive, poiché la considerava l'unico ramo della psicologia che, oltre a essere saldamente radicato nella scienza materialistica, studiava al contempo l'esperienza, viva e reale, degli esseri umani. Van der Veer e Valsiner (1991) affermano che "non è una esagerazione dire che la storia istituzionale della psicoanalisi dell'Unione Sovietica è stata influenzata in grado tutt'altro che trascurabile dai suoi sforzi" (p. 79).

In ogni caso, l'ideologia politica dominante nell'Unione Sovietica molto presto si volse contro la psicoanalisi e agli inizi degli anni Trenta - temendo per il proprio futuro accademico, se non per la sua stessa vita - Lurija diede le dimissioni dalla Società psicoanalitica russa e cessò bruscamente tutte le sue attività psicoanalitiche. Egli tenne inoltre un discorso di pentimento in cui ammetteva i suoi errori ideologici, sconfessava la psicoanalisi secondo la tesi - sostanzialmente in linea con le posizioni del partito - che essa "biologizzasse" il comportamento umano, trascurandone pertanto le origini sociali. Questa appare come un'affermazione sorprendentemente ingenua, se pensiamo che viene da uno scienziato con una comprensione molto profonda degli insegnamenti di Freud: ovviamente la questione non vista in questi termini.

L'abbandono (coatto) di Lurij'a della psicoanalisi è stato indubbiamente il risultato di una pressione ideologica e politica, piuttosto che l'esito degli sviluppi del suo pensiero scientifico. I fatti che sostengono questa ipotesi sono hen documentati in molti lavori e non necessitano quindi di essere rivisti in dettaglio qui (vedi, per esempio, Kozulin, 1984; Lobner, Levitin, l)78). Sostanzialmente, seguendo le crescenti critiche della letteratura scientifica e della stampa pubblica tra il 1924 e il 1929- comprese le ritiche personali e dirette fatte da Lurija stesso - "la psicoanalisi divenne una scintiaa non grata nell'Unione Sovietica" (Van der Veer, Valsiner, 1991, p. 78). Dopo che Lurija venne denunciato "e ritenuto colpevole di deviazioni ideologiche" (Kozulin, 1984, p. 20), le sue dimissioni dalla Società psicoanalitica russa e il successivo pentimento pubblico rispetto alle proprie idee furono "l'unica via percorribile che egli aveva per continuare il suo importante lavoro" (Pappenheim, 1990, p. 5). Molti dei suoi colleghi furono messi sulla lista nera, alcuni furono persino giustiziati, e "quelli che sopravvissero vissero in un'atmosfera di continua persecuzione" (p. 22).

Come numerosi autori hanno sottolineato, l'apparente cambiamento della traiettoria scientifica non ha, tuttavia, distolto Lurija da un coinvolgilmento personale che lo portò a occuparsi di ricerca con modalità molto affini a quelle della psicoanalisi, né lo allontanò dal modo acquisito di concettualizzare le sue scoperte. Ilcambiamento di traiettoria appare semplicemente come una sostituzione di cornice di riferimento:

I [suoi] lavori pubblicati e le sue tracce ufficiali non devono essere presi per il loro valore di facciata ma piuttosto come materiale grezzo che va decodificato assieme a quella che è stata la distillazione successiva 1...] Nel caso di Lurija, non è sufficientemente chiaro se la sua rinuncia alla psicoanalisi negli anni Trenta fu la risultante, o non piuttosto una forma di resistenza, rispetto alla volontà di ridurre al silenzio questo argomento. (Kozulin, 1984, p. 89)

In breve, Lurija riuscì sempre ad adattarsi per mantenere un'integrità professionale all'interno della sua disciplina, pur adeguandosi al contempo alle richieste delle autorità. La combinazione sottile di un'autonomia interna e di un'accondiscendenza esterna è stato un aspetto caratteristico 1...] della risposta di Lurija [...] allo stalinismo. (Joravsky, 1974, p. 24)

Una rassegna delle pubblicazioni di Lurija, che seguirono la sua dissociazione penitente dalla psicoanalisi, chiaramente dimostra che il debito metodologico e concettuale di base che egli doveva a Freud rimase solo "sepolto sotto gli strati della sua verbosità ideologica" (Kozulin, 1984, p. 1). Questo spiega il fatto che, a dispetto della sua dissociazione pubblica dalla psicoanalisi e da tutto ciò che questa rappresentava, Lurija ha continuato a perseguire le stesse mete scientifiche, usando fondamentalmente gli stessi metodi, anche nel suo periodo neuropsicologico post-psicoanalitico. Questo è reso evidente dal fatto che, sebbene la parola "psicoanalisi" fosse scomparsa dalle pubblicazioni successive di Lurija (che ancora riguardavano studi sperimentali sulla libera associazione e studi clinici sullo sviluppo delle diverse funzioni mentali in bambini normali e affetti da patologie; ad esempio, Lurija, 1929, 1932a, 1936, 1961, 1968a) ciononostante le >stesse opere continuarono a essere citate nell'Indice degli scritti psicoanalitici di Grinstein (1956-1975). La continuità più ovvia è forse contenuta nel libro di Lurija (1932a) La natura dei conflitti umani. Questo testo si basa direttamente sulle ricerche che egli aveva iniziato mentre era ancora membro della Società psicoanalitica russa, ma il nome di Freud e l'argomento psicoanalisi sono scrupolosamente evitati nelle sue pagine. Al loro posto Lurija organizzava le sue scoperte intorno a una cornice jacksoniana, proprio come Freud (1891) aveva fatto prima di lui. Lurija in particolare enfatizzava la teoria di Jackson al punto che:

Lo strato più elevato dell'apparato nervoso era inibitorio, trattenendo le reazioni primitive dei sistemi cerebrali più antichi; questo includeva sia il ruolo organizzante e inibente degli strati morfologicamente superiori dell'apparato, sia il ruolo analogo dei sistemi funzionali più elevati, creando dei processi complessi nell'evoluzione storica e biologica. Jackson [...] lavorando sull'afasia, ha sottolineato il ruolo organizzativo primario giocato dalla parola sui disturbi volontari ed emozionali che compaiono quando sono stati colpiti questi strati funzionali complessi. Quest'enunciazione è di una importanza vitale per noi. (Lurija, 1932a, p. 370)

Ogni psicoanalista riconoscerà l'affinità di questo modello con il proprio. Da ciò, Michael Cole - che ha studiato con Lurija e ha mantenuto con lui un contatto epistolare durato dal 1962 fino alla morte dello scienziato sovietico, avvenuta nel 1977 - ha scritto:

Letta in modo corretto, The Nature of Human Conflicts, che va dal 1924 al 1930, costituisce l'unica sorgente di informazioni; ma, letto senza tener conto del suo articolo sulla psicoanalisi del 1925 [...] questo libro appare opaco a causa delle sue numerose posizioni teoriche. (Cole, 1979, p. 167)

Lo stesso potrebbe essere detto degli altri scritti di Lurija dopo il 1930:

Quando io correlavo il contenuto e lo stile dei suoi scritti con le generali controversie politiche e sociali del tempo, il percorso frastagliato della carriera di Aleksander Romanovic, che prima appariva incoerente, assumeva ora un senso preciso. Il suo interesse per la psicoanalisi non appariva più come una curiosa anomalia [...]. e i suoi apparenti mutamenti di argomento a intervalli frequenti assumevano tutti la qualità di un intricato brano di musica con pochi motivi centrali e una gran varietà di temi secondari. (Cole, 1979, p. 160)

Altri autori hanno riconosciuto l'influenza continua di Freud nella fedeltà che Lurija ha dimostrato per tutta la vita al metodo clinico e allo studio intensivo dei casi singoli. Nella sua autobiografia, Lurija ha situato il suo approccio all'interno della tradizione clinico-descrittiva della neurologia comportamentale classica:

Negli anni precedenti la medicina si era basata sullo sforzo di individuare sindromi importanti descrivendone i sintomi più significativi. Questa attività veniva ritenuta essenziale sia per la diagnosi che per il trattamento. Con il sopraggiungere di nuovi strumenti, queste forme classiche dell'attività medica passarono in secondo ordine. I medici del nostro tempo, avendo a disposizione una quantità di sussidi ausiliari di laboratorio e di test, frequentemente sottovalutavano la realtà clinica. L'osservazione dei pazienti e la valutazione delle sindromi cominciò a lasciare il passo a decine di analisi di laboratorio che, combinate con tecniche matematiche, venivano assunte come strumento di diagnosi e programma di trattamento. Il medico come osservatore acuto e uomo di profonda riflessione cominciò gradualmente a scomparire. Oggi è sempre più raro trovare un medico realmente capace che sia ugualmente esperto nell'osservare, giudicare e formulare un trattamento. Non è mia intenzione certamente sottovalutare il ruolo della strumentazione tecnica in medicina. Ma sono incline a rifiutare drasticamente un approccio in cui questi strumenti ausiliari diventino il metodo centrale e in cui il loro ruolo come ausiliari del pensiero clinico venga capovolto [...] Nel secolo precedente, quando i metodi ausiliari di laboratorio erano rari, l'arte dell'osservazione clinica e della descrizione raggiunse il proprio acme. E impossibile leggere le descrizioni classiche di grandi medici come J. Lourdat, A. Trousseau, P. Marie, J. Charcot, [C.] Wernicke, S. Korsakoff, [H.] Head e A. Meyer senza vedere la bellezza dell'arte della scienza. Adesso, quest'arte dell'osservazione e della descrizione è quasi completamente perduta. (Lurija, 1979,1). 143)

Abbiamo sopra già menzionato che anche Freud fu profondamente influenzato da questa tradizione. In linea con il passaggio sopraccitato, Sacks (1990) ha scritto che egli stesso era stato "ineluttabilmente attratto dalle prime imprese [di Lurija]: la sua corrispondenza con Freud all'età di 19 anni, la creazione, con l'incoraggiamento di Freud, di una società psicoanalitica a Kazan e il suo primo libro, scritto da un giovane di soli vent'anni, costituito da un apprezzamento e una critica della psicoanalisi" (p. 185). Analogamente Luciano Mecacci (1988) ha scritto che "l'approccio critico [di Lurija] allo studio dei disturbi neuropsicologici indubbiamente è nato da queste prime esperienze all'interno della psicoanalisi negli anni Venti" (p. 268). Mecacci continua:

Il coinvolgimento di Lurija con la psicoanalisi era più profondo e complesso di quanto egli stesso volesse ammettere. [...] chiunque abbia visto Lurija al lavoro all'istituto Burdenko di Neurochirurgia a Mosca poteva notare che il suo approccio ai pazienti era puramente clinico, più vicino allo stile psicoanalitico che a quello dell'atteggiamento sperimentalistico verso il comportamento. Egli non aveva uno schema o un orario fisso per l'intervista e i test da proporre al paziente, ma impiegava una tecnica di libera associazione, selezionando le domande e i test a seconda di quello che emergeva durante la seduta. Infine, questa modalità di indagine neuropsicologica era unica, particolare e specifica per ogni paziente, e non poteva essere replicata con un altro. [...] Il "ritratto" neuropsicologico che emergeva da questa indagine clinica si inseriva quindi nella concezione di carattere anamnstico della vita psicologica dell'individuo. (p.269)"

L'interesse persistente di Lurija per la psicoanalisi è testimoniato esplicitamente da altri amici e colleghi. Oliver Sacks, ad esempio, afferma in una comunicazione personale (17 marzo 1987):

Posso darvi solo una citazione diretta su come la psicoanalisi influenzasse ancora Lurija nei periodi successivi. Nel dicembre del 1975 gli ho mandato un nastro (con le esclamazioni vocali e verbali) di un mio paziente con una grave sindrome di 'Tourette. Tra queste, ma emessa a tale velocità da sembrare all'inizio solo un rumore senza significato, vi era la parola "Verboten!" ["Vietato!"], pronunciata con una dura (e in effetti caricaturale) voce "teutonica", che a momenti aveva un tono francamente autoaccusatorio. Quest'espressione, come si rivelò più tardi, era stata effettivamente emessa dal padre di lingua tedesca del paziente ogni volta che il figlio mostrava dei tic o degli impulsi "non permessi". La conferma di questo fatto e, in effetti, il modo di interpretare questo caso clinico, fu proprio favorito dalla lettera di Lurija, all'inizio del 1975, quando egli suggerì che avrei dovuto studiare "... il tic come un'introiezione del padre" (dovrò ritrovare e fotocopiare la lettera originale). Penso che Lurija abbia detto, o si è sentito in grado di affermare, nella sua corrispondenza epistolare, una grande quantità di cose che egli sentiva di non poter sostenere (per cause interne o esterne) nelle sue pubblicazioni: questo mi ha fatto comprendere come egli fosse ancora, se non altro, un simpatizzante della psicoanalisi, considerandola ancora uno strumento valido di descrizione dinamica.

Questa rivelazione sulle convinzioni private di Lurija appare coerente con il suo coinvolgimento persistente nel lavoro successivo con i principi metodologici e teorici che originariamente lo avevano portato a Freud e alla psicoanalisi. Questi principi includono, tra le altre cose: (1) la priorità dell'analisi psicologica dei disturbi psicologici, indipendentemente dalla loro eziologia; (2) l'approccio flessibile e individualizzato allo studio dei casi, con la sua enfasi sui metodi qualitativo-descrittivi d'indagine, e il metodo di analisi della sindrome in particolare; (3) la considerazione della natura dinamica della vita mentale con una visione dei fenomeni psicologici, sia quelli patologici che quelli normali, come emergenti da interazioni funzionali tra componenti elementari contenute all'interno dell'apparato mentale; (4) il modello evolutivo e gerarchico di tale apparato, concepito come un sistema funzionale complesso.`

Lurija e la neuropsicologia dinamica

Lurija non può essere definito semplicemente uno psicoanalista represso, né tutto il suo lavoro successivo può essere ricondotto soltanto al suo interesse precoce per la psicoanalisi. Non vi è dubbio che vi sono state altre influenze, oltre a quella di Freud, sul pensiero di Lurija: Vygotskij ne è un altro esempio eminente. Inoltre, l'interesse di Lurija per la psicoanalisi può essere stato determinato anch'esso da un precedente interesse più fondamentale, che può essere rintracciato lungo tutto il suo lavoro. Lurija ha suggerito nella sua autobiografia di essere stato attratto dalla psicoanalisi a causa della sua ricerca di una psicologia che potesse colmare il conflitto tra la scienza ideografica (o descrittiva) e la scienza esplicativa (o nomotetica; vedi Lurija, 1979, p. 23; vedi Lurija, 1925a). Inoltre, anche se è possibile che la rinuncia della psicoanalisi da parte di Lurija fosse condizionata da pressioni esterne, il suo coinvolgimento personale con il marxismo-leninismo fu talmente radicato che, in effetti, egli potrebbe avere gradualmente anche assimilato la linea del partito. Alcune comunicazioni personali di diversi colleghi occidentali suggeriscono che l'atteggiamento maturo di Lurija verso la psicoanalisi, perfino nelle conversazioni private, fosse spesso ambivalente. Questi punti sollevano delle questioni estremamente complesse che vanno oltre gli obiettivi di questo studio. A ogni modo, il filo intricato dell'influenza psicoanalitica attraverso il "percorso titubante e altrimenti scomposto" della carriera di Lurija (Cole, 1979) appare in secondo piano rispetto all'importanza di un altro aspetto del suo lavoro, vale a dire i suoi contributi fondamentali alla neuropsicologia. Nelle pagine successive intendiamo dimostrare come i concetti fondamentali di Lurija e i suoi metodi rispetto alla relazione cervello-comportamento fossero interamente compatibili con quelli di Freud.

E un fatto di notevole rilevanza che il lavoro di Lurija in questo campo sia iniziato proprio dove Freud lo ha lasciato: con lo studio dell'afasia. Egli iniziò a studiare il problema dell'afasia poco dopo le sue dimissioni dalla Società psicoanalitica russa pubblicando le sue scoperte in una monografia molto importante, l'Afasia traumatica (Lurija, 1947). Tenendo conto delle affermazioni fatte da Lurija sui motivi che lo avrebbero allontanato dalla psicoanalisi, vale a dire che questa disciplina "biologizzasse" il comportamento umano, è sorprendente osservare come, dopo le sue dimissioni dalla Società psicoanalitica russa, egli si sia impegnato proprio nello studio della medicina e poi, tramite l'esplorazione diretta, nella ricerca - per tutto il resto della sua attività scientifica - delle basi neurobiologiche del comportamento.

Nel capitolo introduttivo del suo libro sull'afasia, Lurija esamina il background storico dell'argomento. Dopo una breve rassegna sulle teorie classiche di Broca, Wernicke, Lichtheim e altri, egli concluse che non era sostenibile l'idea della localizzazione dei processi psicologici complessi in "centri" cerebrali distinti. Con preciso riferimento a Jackson, egli volle differenziare la localizzazione dei sintomi e la localizzazione delle funzioni. Le funzioni psicologiche, egli sosteneva, non andavano "perdute" dopo lesioni cerebrali focali; esse apparivano piuttosto distorte secondo criteri molto complessi e con modalità dinamiche. Lurija apprezzava l'approccio evoluzionistico e anti-localizzazionistico di Jackson al problema e notava che le idee di quest'autore non erano state sufficientemente prese in considerazione dall'ambiente scientifico fino al presente (trascurando sorpren-dentemente ogni riferimento a Freud). In ogni caso, le posizioni di Jackson, egli asseriva, dimostravano eccessive oscillazioni dal localizzazionismo stesso a teorie biologiche e psicologiche che invece trascuravano il ruolo differenziale di parti distinte del cervello. Lurija, nei propri studi, si prefisse l'obiettivo di colmare tale divisione tra localizzazionismo ed equipotenzialismo. In tutta la sua esposizione, l'analisi di Lurija (1947) del problema dell'afasia appare identica a quella di Freud (1891).

Anche le soluzioni proposte da Lurija erano quasi identiche a quelle adottate da Freud. Lurija concepiva la parola, come i prodotti di un sistema funzionale, sotteso al processo psicologico del linguaggio in genere, che doveva essere gerarchicamente organizzato, con una struttura e una genesi complessa, e con una disposizione anatomica distribuita tra i centri sensomotori di base del cervello. Un sistema funzionale di questo tipo, Lurija sosteneva, non poteva essere localizzato nel senso convenzionale del termine." Le componenti funzionali primarie del sistema - come "i punti cardinali" dell'apparato della parola di Freud - invece potevano effettivamente essere localizzate:

La "localizzazione della funzione" in questo caso diventa un altro problema, cioè, il problema della distribuzione dinamica dei sistemi funzionali in regioni centrali del sistema nervoso e, in particolar modo, della corteccia cerebrale. Invece di ricorrere al concetto di "centri" per i processi psichici complessi, possiamo qui ritrovare il concetto di strutture dinamiche o di costellazioni di zone cerebrali, ciascuna delle quali comprende porzioni delle strutture corticali di un dato sistema di analisi e che conserva la sua specifica funzione, mentre partecipa secondo modalità specifiche all'organizzazione di una o di un'altra forma di attività. (Lurija, 1947, p. 20)

Nel campo del linguaggio, le lesioni che colpiscono diverse componenti funzionali localizzate (gli analizzatori sensitivo-motori) determinano la comparsa di sindromi afasiche caratteristiche. Nell'organizzazione concettuale di queste sindromi, a ogni modo, devono essere anche considerati gli effetti secondari della lesione sul sistema funzionale nel suo complesso. Lurija ha rimarcato fermamente che questo sistema supportava una funzione psicologica e che la sintomatologia risultante perciò richiedeva un'analisi psicologica completa. Su questa base concettuale, egli ha esaminato la struttura dei disturbi afasici in un gran numero di pazienti e ha messo in relazione i disturbi con la lesione sottostante. Egli ha poi proposto una nuova classificazione delle afasie, basata su una teoria innovativa sul linguaggio o sulla parola, che mirava a localizzare solo le componenti funzionali primarie del sistema, e non il sistema funzionale della parola nel suo complesso.

La similarità tra questo modello e quello di Freud (come viene descritto, per esempio, da Solms, Saling, 1986, 1990) risulterà immediatamente ovvio a coloro cui sono noti gli scritti di Freud sull'afasia. In ogni caso, vi è una differenza importante tra questi due modelli. Mentre Freud credeva che potevano essere localizzate solo le funzioni sensitivo-motorie primarie, quelle cioè che si trovano alla periferia dell'apparato della parola, Lurija invece era convinto che poteva essere localizzato ogni stadio del processo psicologico complesso della parola, fintanto che si rispettasse la natura fondamentalmente dinamica del processo globale. Egli propose una localizzazione non solo per le componenti periferiche, ma per tutte le componenti del processo della parola, comprese quelle sostenute da strutture giacenti profondamente all'interno dell'apparato. Questo rappresentava un enorme progresso.

Sorge una domanda: che cosa ha permesso a Lurija di compiere il passo che Freud ha sempre considerato possibile in linea di massima, ma che non ha mai portato a termine nella pratica? Possiamo chiamare in causa due fattori principali. Primariamente, il lavoro di Lurija (1947) si basava su una teoria psicologica del linguaggio più avanzata di quella presente nel lavoro di Freud. Questo permise di identificare le componenti funzionali (localizzabili) del sistema che sottostà al linguaggio, cioè di distinguere le modalità di funzionamento interno. L'esposizione dettagliata della neuropsicologia del linguaggio di Lurija, che deve molto alla linguistica strutturalista di Roman Jakobson, non è riportata qui (per un resoconto fedele, vedi Lurija, 1976a). E’ comunque importante riconoscere come l'approccio di Lurija al problema fosse fondamentalmente compatibile con quello >di Freud. Quest'ultimo ha sempre dichiarato quanto fosse essenziale raggiungere una piena comprensione della struttura psicologica interna di un processo mentale, prima che fosse possibile - o perfino utile - la sua localizzazione.

II secondo (e più importante) progresso che Lurija ha introdotto era di tipo metodologico: egli ha modificato il classico metodo clinico-anatomico per adattarlo alla natura essenzialmente dinamica dei processi mentali. Questo era il passo in avanti - potremmo dire il balzo >che Freud ha sempre insistito fosse necessario compiere affinché la psicoanalisi potesse riunirsi alle neuroscienze.

A causa dell'ovvia importanza di questo progresso per i propositi dello studio presente, le proposte metodologiche di Lurija saranno ora esaminate in dettaglio. Il fenomeno del linguaggio, a ogni modo, non costituirà il nostro unico punto di interesse, poiché Lurija ha applicato questo stesso metodo a un'ampia gamma di altre funzioni mentali umane (vedi Lurija, 1962, 1966, 1973, 1976b).

Il metodo di Lurija della localizzazione dinamica

Il metodo proposto da Lurija richiedeva due fasi: (1) la definizione del sintomo e (2) l'analisi della sindrome. Egli descrisse la prima fase come segue:

I sintomi evocati dal disturbo di fattori diversi hanno strutture complesse e possono avere altrettante cause differenti. Per questa ragione, i sintomi devono essere attentamente analizzati e "descritti". La "definizione del sintomo" dipende da un'analisi attenta [di carattere psicologico] dei deficit del paziente. Questa è la meta principale dell'approccio del neuropsicologo sovietico. Egli non è mai contento della mera scoperta di un certo difetto. [...] L'evidenziazione di un sintomo non è la fine ma piuttosto l'inizio del suo lavoro che poi continua più in profondità. Egli persegue la definizione della struttura alterata, tentando di trovare i fattori psicologici distinti che sottostanno al sintomo. Questo deve essere fatto prima di ogni cosa, allo scopo di rendere evidente e chiara la struttura del sintomo e di permettere la formulazione di un'ipotesi sulla sua relazione con una lesione cerebrale locale. (Lurija, Majovski, 1977, p. 963)

Alla luce dell'importanza di questo compito per i propositi di questo studio, citiamo due altri passaggi in cui Lurija descrive questo aspetto del suo metodo:

Bisogna fare un lungo cammino per passare dalla constatazione del sintomo (perdita di una determinata funzione) alla localizzazione dell'attività mentale corrispondente. La sua parte più importante è l'analisi psicologica dettagliata della struttura del disturbo e la chiarificazione delle cause immediate del tracollo del sistema funzionale, o, in altre parole, una dettagliata classificazione del sintomo osservato. (Lurija, 1973, p.41)

Lo scopo di questa "analisi psicologica dettagliata" è la formulazione di un'ipotesi rispetto alla natura del disturbo fondamentale che sottostà al sintomo manifesto:

Il compito immediato del ricercatore è di studiare la struttura dei difetti osservati e di definirne i sintomi. Solo allora, grazie a un lavoro tendente all'identificazione dei fattori di base che soggiacciono al sintomo osservato, è possibile trarne delle conclusioni che riguardano la localizzazione del focus che sta alla base del deficit. (Lurija, 1973, pp. 44-45)

È facile constatare, come dimostra Mecacci (1988), che questa parte del metodo clinico di Lurija - la "definizione del sintomo" - coincide con l'approccio psicoanalitico di Freud. Si può dire che il metodo di Lurija sta alla neurologia come il metodo di Freud sta alla psichiatria. Lo scopo non e quello di identificare e delineare il sintomo, piuttosto quello di ottenere un quadro dettagliato della sua struttura psicologica interna allo scopo di chiarirne le basi psicologiche fondamentali.

Questo ci porta direttamente alla seconda parte del metodo di Lurija, quello dell'analisi della sindrome:

La definizione del sintomo è solo il primo passo nell'analisi dell'organizzazione cerebrale dei processi mentali. Solo in tal modo i risultati di questa analisi [...] potranno servire da base per conclusioni credibili riguardanti sia le strutture dei processi mentali che la loro "localizzazione" nella corteccia cerebrale umana; il passo successivo dovrà portare dalla definizione della singola sindrome alla descrizione di un sintomo complesso completo, oppure, come viene generalmente chiamato, all'analisi della sindrome dei cambiamenti nel comportamento che si verificano nelle lesioni cerebrali locali. (Lurija, 1973, p.45)

E’ necessario non solo identificare i fattori sottostanti al disturbo del sistema funzionale sotto indagine (definizione del sintomo) ma anche riconoscere quali altri sistemi funzionali possono essere disturbati dalla stessa lesione e quali fattori sottostanno a questi altri sintomi. Questo permette al ricercatore di identificare il fattore singolo c di base che è sotteso a tutti i sintorni prodotti da una particolare lesione. Questo fattore sottostante comune, a sua volta, mette a fuoco la funzione di base di quella particolare parte del cervello,

Il passo successivo è quello di studiare i diversi modi in cui ciascun sistema funzionale viene alterato da lesioni a parti diverse del cervello. Lesioni a parti diverse del cervello alterano sistemi funzionali in modi diversi. I tipi diversi di disfunzione sono identificati da una ripetizione della procedura descritta sopra, cioè una definizione del sintomo che emerge da ciascun sito della lesione, seguito da una analisi della sindrome del complesso degli altri sintomi che emergono dalla stessa lesione. Questo processo, passo dopo passo, permette di identificare i diversi fattori di base che contribuiscono al sistema funzionale e allo stesso tempo di identificare le funzioin di base diverse delle differenti parti del cervello.

In questo modo, le componenti funzionali di ciascun sistema vengono individuate e localizzate nei tessuti cerebrali. Questo è il significato del termine "localizzazione dinamica". Non è la funzione di per sé che è localizzata ma lo sono le componenti funzionali dell'apparato che controlla la funzione in questione. Questo è molto diverso dalla localizzazione di intere facoltà mentali (cioè dal localizzazionismo ristretto dei neurologi tradizionali):

Si vedrà facilmente che l'analisi della sindrome ci chiarirà considerevolmente le idee sull'organizzazione cerebrale dei processi mentali e porterà anche un notevole contributo alla comprensione della loro struttura interna, cosa che per molti secoli gli psicologi sono stati incapaci di fare. [...] Il fatto che ogni attività mentale complessa sia un sistema funzionale che può essere disturbato nei suoi diversi aspetti e che può essere danneggiato da lesioni cerebrali in situazioni diverse (anche se viene danneggiato in modo differente) significa che in tal modo possiamo cominciare più da vicino ad avere una descrizione dei fattori che la compongono e a scoprire nuovi mezzi di analisi neuropsicologica della struttura interna dei processi mentali. [...] Da tutte le osservazioni che seguiranno risulterà chiaro che l'uso delle osservazioni sui cambiamenti dei processi mentali che si verificano nelle lesioni cerebrali locali può essere una delle più importanti fonti della nostra conoscenza dell'organizzazione cerebrale dell'attività mentale. Tuttavia l'uso corretto di questo metodo è possibile solo se si resiste al tentativo di cercare nella corteccia la diretta localizzazione dei processi mentali e solo se questo compito classico viene sostituito da un altro per mezzo dell'analisi di quanto l'attività mentale sia alterata nelle differenti lesioni cerebrali locali e quali fattori vengano introdotti nella struttura e nelle forme complesse di attività mentale da ciascun sistema cerebrale. (Lurija, 1973, pp. 49-50)

Il modo in cui l'approccio di Lurija si differenzia dal metodo classico della localizzazione clinico-anatomica si comprende meglio dalla seguente analogia:

Numerosi studiosi che hanno analizzato il problema della localizzazione corticale hanno interpretato il termine funzione nel senso di" funzione di un particolare tessuto". Ad esempio, è perfettamente naturale considerare la secrezione della bile come una funzione del fegato e la secrezione dell'insulina come una funzione del pancreas. Appare ugualmente logico considerare la percezione della luce come una funzione degli elementi fotosensibili della retina e dei neuroni altamente specializzati della corteccia visiva a essa connessa. Tuttavia, questa definizione non copre tutte le valenze del termine funzione. Quando noi parliamo della "funzione respiratoria", questa, chiaramente, non può essere interpretata come funzione di un tessuto particolare. L'obiettivo finale della respirazione consiste nel fornire dell'ossigeno agli alveoli polmonari per distribuirlo attraverso le pareti alveolari nei sangue. Tale processo non si realizza nella sua totalità come semplice funzione di un tessuto particolare, ma piuttosto come un complesso sistema funzionale, che attiva numerose componenti appartenenti a livelli diversi dell'apparato secretorio, motorio e nervoso. Tale "sistema funzionale" [...] si differenzia non soltanto per la complessità della sua struttura, ma anche per la mobilità delle sue unità costitutive. (Lurija, 1979, pp. 101-102)

“Anche Freud ha riconosciuto come fosse possibile localizzare solo i processi percettivi elementari attraverso il metodo classico clinico-anatomico. L'essenza innovativa dell'opera di Lurija è consistita nell'introduzione di un metodo in grado di spiegare i processi più complessi, quelli cioè che avvengono nella profondità dell'apparato mentale. Questo metodo appare particolarmente adatto a rendere conto della natura dinamica dei processi mentali complessi, la qualità che Freud ha insistito dovesse avere la metodica dedicata a questo scopo.

Una volta studiata, attraverso questo metodo, l'intera varietà di modi con cui le facoltà psicologiche complesse si modificano in seguito a un danno a parti diverse del cervello, sarà necessario successivamente trovare la rappresentazione neurologica dinamica, identificando quali parti del cervello contribuiscono, e in che modo, al sistema funzionale complesso preposto a questa facoltà. Facendo ciò, non saremo riusciti a localizzare una particolare facoltà mentale in una regione del cervello ma avremo identificato le diverse componenti tra cui si producono, attraverso un'interazione dinamica, i processi fisiologici che rappresentano quella specifica facoltà psicologica.

Se la nostra descrizione del metodo di Lurija appare sufficientemente chiara, il lettore avrà notato che questo metodo raggiunge un obiettivo collaterale: esso ci insegna qualcosa di nuovo riguardo la struttura delle facoltà psicologiche. Esso identifica, dal punto di vista organico, le componenti funzionali primarie che formano le basi di ciascuna funzione mentale.

Noi crediamo che questo metodo di Lurija rappresenti un importante passo in avanti perché esso ci permette di identificare l'organizzazione neurologica di quasi ogni facoltà mentale, di qualsiasi grado di complessità essa sia provvista, senza contraddire gli assunti di base sui quali è stata costruita la psicoanalisi. Attraverso questo metodo, le funzioni psicologiche sono ancora spiegate attraverso il linguaggio proprio della psicologia; la natura essenziale e dinamica di queste funzioni viene rispettata e accettata; la rappresentazione neurologica di queste funzioni viene resa più chiara, senza per forza ridurre tutto all'anatomia e alla fisiologia, e allo stesso tempo vengono aggiunti e compresi nuovi elementi della struttura interna di queste funzioni.” (pp. 23-37)

Volendo sintetizzare il pensiero di Lurija, non si va lontano dal vero identificando nel concetto di sistema funzionale dinamico l’aspetto più interessante. Tale concetto non implica solo l’affrancamento della funzione da un tessuto o da un centro specifico, ma anche una sorta di parallelismo tra la struttura organica del cervello, che ha una sua staticità, e la rete dei sistemi funzionali attraverso cui si può esprimere la sua biologia.

L’interesse di questo aspetto diventa chiaro nel momento in cui si tiene conto che la psicoanalisi si interessa di vissuti la cui interpretazione, nell’ottica freudiana, comporta la necessità di fare riferimento a sistemi funzionali come l’Io, il Super-io e l’Es, che non sono anatomicamente localizzabili.

3.

Il terzo capitolo è un tentativo di esemplificare la metodologia descritta in rapporto all’attività onirica. Per quanto specialistico, si tratta di un capitolo di grande interesse:

“Un esempio: la neurodinamica dell'attività onirica

In questo capitolo illustreremo come si possa applicare nella pratica clinica il metodo di Lurija della localizzazione dinamica, che, a nostro avviso, appare come il mezzo più appropriato per ricongiungere la psicoanalisi con le neuroscienze. Come esempio abbiamo scelto una parte di una nostra recente ricerca svolta sull'organizzazione neurologica dei processi mentali soggettivi che è di particolare interesse per gli psicoanalisti: le funzioni relative all'attività onirica (Solms, 1997a).

Per rendere chiara l'organizzazione neurologica di una funzione mentale complessa come quella del sogno è necessario innanzitutto illustrare i diversi modi in cui l'attività onirica può essere compromessa in seguito a lesioni a parti diverse del cervello e poi sottoporre questi disturbi ad un'analisi psicologica dettagliata. Come è stato affermato nel capitolo 2, Lurija ha chiamato questo processo analitico la "definizione del sintomo". Non è sufficiente affermare semplicemente che l'attività del sognare può essere compromessa da un danno a questa o quella parte del cervello; dobbiamo anche capire esattamente in che modo la struttura psicologica del sogno viene modificata dalla lesione in questione. Questo viene attuato tentando di isolare il fattore fondamentale che definisce il disturbo della funzione, combinato con un'analisi delle altre funzioni mentali che sono colpite insieme al sintomo di interesse primario. Lurija ha chiamato questo processo "analisi della sindrome". Tutte le facoltà mentali che sono deteriorate da una singola lesione cerebrale circoscritta dovrebbero avere qualcosa in comune e questo fattore comune esprime la funzione di base sottostante a quella parte del cervello che è stata danneggiata dalla lesione. Nell'identificare questo fattore sottostante, scopriamo non solo le modalità ma anche le cause dell'interferenza sull'attività onirica conseguente al danno a quella specifica regione cerebrale. Questa procedura alla fine ci chiarisce i componenti fondamentali del sistema funzionale che permette l'elaborazione dei sogni.

Usando questo metodo per studiare i sogni dei pazienti con lesioni cerebrali focali, abbiamo appreso che l'attività onirica è alterata in vari e differenti modi da danni a sei particolari aree cerebrali. Queste regioni sono identificate dalle zone colorate nella figura 3.1, basata sulle immagini delle scansioni effettuate della tomografia assiale computerizzata (JAC) e che mostra delle sezioni orizzontali del cervello dalla base (sezione in alto a sinistra nella figura) al vertice (sezione in basso a destra nella figura).

Se il cervello è danneggiato nelle regioni indicate come zona A, B, o C (vedi la legenda della figura 3.1), cioè la regione parietale inferiore di ciascun emisfero o la regione frontale ventro-mesiale profonda, l'esperienza cosciente del sognare si interrompe completamente. Questo non significa che la funzione del sognare possa essere localizzata in senso stretto all'interno di queste parti del cervello. Questo ci informa invece che le componenti funzionali localizzate in queste tre zone del cervello sono fondamentali per l'intero processo del sognare, poiché quando una qualsiasi di queste si danneggia non è più possibile l'esperienza conscia del sognare. Questo accade perché esiste una sovrapposizione tra le proprietà funzionali di queste componenti e il ruolo che esse giocano nel processo onirico nel suo complesso. Questa convergenza può essere rivelata solo attraverso un'analisi degli effetti delle lesioni su altre funzioni che non sono completamente soppresse dalle lesioni. In questo modo, i contributi funzionali che queste tre regioni portano al processo complessivo del sognare possono essere distinti solamente attraverso un'analisi delle sindromi psicologiche nelle quali si inserisce in ciascun caso la perdita della funzione onirica. Che cosa ci rivela quindi l'analisi della sindrome in ciascuno di questi casi?

Prima sindrome: cessazione dell'attività onirica da lesione parietale sinistra

La perdita dell'attività onirica, causata dalle lesioni al lobo parietale inferiore sinistro (zona A nella figura 3.1), è associata con i sintomi di disorientamento destra/sinistra (incapacità di distinguere spazialmente tra la destra e la sinistra) e di agnosia digitale (incapacità di identificare e distinguere tra le dita della mano). L'analisi psicologica di questi sintomi - che formano parte della classica sindrome di Gerstmann - ci suggerisce che la componente funzionale fondamentale in questo caso è la capacità di derivare i concetti astratti da informazioni etero-modali spazialmente organizzate (una funzione che Lurija ha chiamato "sintesi quasi-spaziale"). Un disturbo di questa funzione primaria risulta da un'incapacità di rappresentarsi simbolicamente l'informazione percettiva (Lurija, 1962, 1973). Non risultano colpite le capacità percettive primarie di questi pazienti, ma essi perdono la capacità di ricavare astrazioni di ordine elevato dalle informazioni percettive provenienti da tutte le modalità sensoriali, vale a dire di organizzare concettualmente le informazioni concrete e di eseguire operazioni simboliche su di esse (un caso in cui queste funzioni risultavano gravemente colpite è riportato nel capitolo 7). Il fatto che questa perdita dell'attività onirica, causata da un danno al lobo parietale inferiore sinistro, si inserisca all'intrno di questa sindrome ci dimostra che l'astrazione, la concettualizzazione e la simbolizzazione sono componenti funzionali di fondamentale importanza nei complesso processo del sogno. Ancora più interessante è il fatto che la natura simil-spaziale dell'elaborazione da parte dei meccanismi del lobo parietale inferiore sinistro indica che i processi mentali elaborati in questa regione sono rappresentati nella forma di schemi di tipo simultaneo piuttosto che di processi sequenziali (modalità nella quale invece verrebbero elaborati i processi mentali nei lobi frontali [zone C e H nella figura 3.1]; vedi Lurija, 1966, 1973).

Si noti che il fatto che i processi come l'astrazione, la formazione di concetti e la simbolizzazione siano alterati dal danno nella regione parietale inferiore sinistra non implica che queste funzioni possono essere localizzate in modo ristretto all'interno di questa parte del cervello. Significa solo che la funzione primaria che contribuisce all'attività mentale elaborata nella regione parietale inferiore sinistra partecipa a tutte queste funzioni complesse. Per questa ragione, tutte queste funzioni (inclusa l'attività onirica) sono colpite da una lesione di quest'area. Tuttavia, proprio come la funzione del sogno richiede la partecipazione di molte altre funzioni elementari, a cui contribuiscono altre regioni cerebrali (vedi sotto), analogamente anche funzioni come "l'astrazione", "la formazione di concetti" e "la simbolizzazione" richiedono l'azione concertata di molte componenti funzionali diverse, ciascuna delle quali viene fornita da una diversa regione cerebrale.

Seconda sindrome: cessazione dell'attività onirica da lesione parietale destra

La perdita dell'attività onirica causata da lesioni al lobo parietale inferiore destro (zona B, figura 3.1) è accompagnata da deficit della memoria di lavoro visuo-spaziale (cioè dall'incapacità di trattenere nella mente le informazioni visuo-spaziali anche per brevi periodi di tempo). Questo ci suggerisce che il fattore fondamentale che questa regione fornisce ai fini della funzione complessa dell'attività onirica è la capacità di rappresentarsi concretamente nella mente l'informazione attraverso la modalità visuo-spaziale. Questi pazienti, inoltre, non soffrono di disturbi percettivi in alcuna delle modalità sensoriali primarie; ma, allo stesso tempo, non riescono a mantenere le informazioni percettive, nella forma di schemi visuo-spaziali simultanei, all'interno della coscienza. Questo vale sia per le informazioni che si generano dall'interno sia per quelle che provengono dall'esterno. Non ci sorprende quindi riscontrare che questa funzione psicologica elementare è anch'essa essenziale all'esperienza cosciente dei sogni.

Dobbiamo sottolineare, ancora una volta, che questo non implica automaticamente che "la memoria di lavoro visuo-spaziale" sia localizzabile in modo ristretto all’interno del lobo parietale destro, almeno non più di quanto si possa inferire che il "sogno" si localizzi nello stesso sito. Esso implica soltanto che l'attività onirica e la memoria di lavoro visuo-spaziale condividono la componente funzionale primaria che è elaborata da questa parte del cervello.

Terza sindrome: cessazione dell’attivita onirica da lesione frontale bilaterale profonda

Nel caso di lesioni bilaterali alla sostanza bianca della regione frontale ventro-mesiale (zona C nella figura 3.1), l'analisi psicologica ci rivela che la perdita dell'attività onirica è accompagnata da numerosi sintomi psichici, il più cospicuo dei quali risulta essere l'adinamia (cioè la perdita della spinta motivazionale spontanea). L'analisi attenta di questo sintomo (molto noto ai neuropsicologi) ci suggerisce che la componente funzionale fondamentale, che è colpita dal danno a questa parte del cervello - cioè il fattore comune sottostante - sia all'adinamia, che a questa particolare forma di perdita dell'attività onirica influenza la motivazione spontanea.

Questi dati forniscono quindi un elemento importante di prova nei ragionamenti addotti da Freud (1899)' contro l'argomentazione che "i sogni sono materiale di scarto" e a favore della concezione alternativa e opposta che i sogni sono invece degli eventi psicologici significativi. Questa scoperta da sola ci dimostra il valore dell'approccio neuropsicologico, correggendo un equivoco fondamentale che riguarda la funzione onirica - cioè che i sogni sarebbero degli eventi "motivazionalmente neutri" (McCarley, Hobson, 1977, p. 1219) - un equivoco che ha dominato il pensiero neuroscientifico sui sogni per quasi cinquant'anni e che è emerso dall'uso di metodi anatomici e fisiologici che non si sono dimostrati adatti a fornire delle risposte a problemi in campo psicologico (vedi Soims, 1995 a, 1999a, 2000b).

E interessante notare che il sito della lesione che produce questa sindrome (la sostanza bianca ventro-mesiale dei lobi frontali) è la stessa regione che veniva asportata chirurgicamente nella procedura della leucotomia prefrontale modificata, così popolare durante la seconda metà del Novecento per il trattamento delle malattie mentali gravi. Ciò che impediva ai pazienti leucotomizzati di manifestare i propri sintomi psicotici e nevrotici, impediva loro anche l'attività onirica. 2

Deve essere detto, inoltre, che queste scoperte non implicano in nessun modo che la funzione della "motivazione" (oppure che la "pulsione libidica") possa essere localizzata nella sostanza bianca profonda della regione frontale ventro-mesiale. Tutto ciò che si può dire è che le fibre di questa regione danno un importante contributo a una componente funzionale elementare che risulta cruciale per la spinta motivazionale umana.

Danni in altre aree cerebrali producono dei disturbi dell'attività onirica che, pur essendo più sottili, gettano ulteriore luce sull'organizzazione neuropsicologica dell'intero processo. In questi casi, il deficit psicologico fondamentale è più circoscritto e individuabile attraverso la definizione del sintomo primario. L'analisi della sindrome dunque conferma le ipotesi iniziali, permettendo soltanto un'elaborazione più completa dei dati clinici a disposizione.

Quarta sindrome: perdita dell'immaginazione visiva nel sogni da lesione temporo-occipitale

Il danno alla regione temporo-occipitale ventromesiale (zona D nella figura 3.1) comporta la manifestazione di una sindrome piuttosto singolare. Questi pazienti continuano ad avere l'esperienza dei sogni, che sono normali da tutti i punti di vista, a parte per il fatto di essere sogni privi di immaginazione visiva, o senza alcuni particolari aspetti della capacità immaginativa visiva (come la capacità di visualizzare le facce, i colori o i movimenti). Questo disturbo dell'attività onirica è talmente selettivo da essere accompagnato da disturbi ugualmente specifici della capacità immaginativa anche durante la veglia, cioè da un sintomo conosciuto dai neuropsicologi come irreminescenza (cioè l'incapacità di formare immagini mentali). La componente funzionale fondamentale che rende conto di questo disturbo della capacità immaginativa, sia di quella onirica che di quella della veglia, è nota come attivazione di pattern visivi (Kosslyn, 1994), un prerequisito essenziale per quello che Freud (1899) chiamava la "rappresentabilità visiva". Si postula che questa funzione possa essere coinvolta nell'attivazione endogena delle rappresentazioni percettive. A differenza dei casi con lesioni parietali inferiori, in questi casi (con lesioni temporo-occipitali) il disturbo colpisce la capacità dei pazienti di rappresentarsi concretamente le informazioni percettive visive: non è quindi un disturbo della capacità cognitiva simbolica. Ancora una volta, non ci deve sorprendere il fatto che questa componente funzionale sia implicata nei processi visivi di tipo allucinatorio dell'attività onirica.

E di notevole interesse, inoltre, il fatto che l'attivazione dello schema visivo viene considerata dai neuropsicologi contemporanei come un evento strettamente collegato a un processo conosciuto come "proiezione retrograda" (Kosslyn, 1994), un processo identico al meccanismo che Freud ha descritto come "regressione topografica". Questi fatti, se teniamo a mente che i sogni di questi pazienti sono, da ogni punto di vista, normali (a parte per il loro carattere non visivo), suggeriscono che la componente che porta all"attivazione di pattern" durante l'attività onirica dovrebbe essere collocata all'estremità terminale del processo allucinatorio. Da ciò si può dedurre che, nei sogni, lo stadio della concettualizzazione astratta e della attività cognitiva simbolica precede lo stadio della rappresentazione percttiva concreta (cioè, che i sogni invertono la sequenza normale dell'elaborazione percettiva).

Quinta sindrome: confusione tra realtà e sogno da lesione frontale limbica

A un danno nella regione frontale limbica (zona E nella figura 3.1) consegue una sindrome ugualmente insolita ma completamente diversa. I pazienti con lesioni in questa regione continuano a sognare - e in effetti, essi sognano eccessivamente e qualche volta sembrano sognare tutta la notte ma perdono la capacità di distinguere tra i propri sogni e le esperienze reali. Lo studio psicologico di questi pazienti ci rivela che risulta altrettanto colpita la capacità di giudizio rispetto ad altri aspetti di verifica della realtà. Conseguentemente, questi pazienti presentano un'ampia serie di sintomi correlati, quali ad esempio l'anosognosia (l'inconsapevolezza di malattia), l'eminegligenza spaziale unilaterale (l'incapacità di prestare attenzione al lato sinistro dello spazio), la paramnesia reduplicativa (nella quale l'esperienza è estesa a due realtà diverse), amnesie di tipo confabulatorio e altre sindromi simili. Il metodo di analisi della sindrome ci rivela che il fattore comune sottostante a questi casi è il disturbo dell'esame di realtà e un'analisi neuropsicologica ulteriore suggerisce che esso sia attribuibile all"equalizzazione dell'eccitabilità delle tracce" (Lurija, 1973). Quest'ultimo fenomeno è costituito da un deficit di base dell'attività mentale di selezione, manifestantesi in un'incapacità di distinguere tra percezioni, pensieri, memorie, fantasie e sogni. Il seguente brano di un colloquio clinico ci illustra in modo molto vivido questo deficit (Solms, l997a, p. 186):

Paziente: Non stavo effettivamente sognando come di notte ma, in un certo qual modo, stavo pensando per immagini. Era come se il mio pensare stesse diventando reale, come se, nel pensare a qualcosa, lo vedessi accadere davanti ai miei occhi e poi tutto diventava molto confuso e non ero più in grado, a volte, di sapere che cosa mi stava accadendo e che cosa stavo invece solo pensando.

L'esaminatore: Ma lei era sveglia quando ha avuto questi pensieri?

Paziente: E difficile a dirsi. Era come se non fossi completamente addormentata poiché queste cose mi stavano effettivamente accadendo. Ma naturalmente non stavano accadendo realmente e io le stavo solamente sognando; ma questi non erano neanche sogni normali; era, allo stesso tempo, come se queste cose mi stessero accadendo realmente...

Un esempio: Io vedevo mio marito [che è morto]; egli entrava nella mia stanza e mi dava una medicina, mi parlava di alcune cose e, il giorno dopo, io chiedevo a mia figlia: "Dimmi la verità è veramente morto?" e lei mi diceva':" Sì, mamma". Così io capivo che doveva essere stato un sogno...

Un altro esempio: Giacevo nel mio letto, stavo pensando, e poi a un certo punto accadeva che mio marito era lì e mi parlava. Io mi alzavo, andavo a fare il bagnetto ai bambini e poi improvvisamente aprivo gli occhi e dicevo: "Dove sono?" E mi ritrovavo di nuovo da sola!

L'esaminatore: Si era effettivamente addormentata?

Paziente: Non lo so, era come se i miei pensieri si fossero semplicemente trasformati in realtà.

In questi casi, perciò, non sembra trattarsi tanto di un disturbo dell'attività onirica, quanto piuttosto di un fattore che normalmente inibisce il sognare e il pensiero simile al sogno (un fattore inibente, cioè, la regressione) con il risultato di rendere indistinguibili tra loro l'attività cognitiva della veglia e l'attività onirica.

Sesta sindrome: incubi ricorrenti da epilessia del lobo temporale

La sindrome associata a lesioni epilettogene che colpiscono la regione limbica temporale (zona F nella figura 3.1) si configura con incubi stereotipati ricorrenti. Questi incubi sono associati con un'epilessia parziale complessa e, in effetti, possono essere a buona ragione descritti come equivalenti epilettici. Questa equivalenza è dimostrata, per esempio, dal fatto che le scene oniriche stereotipate che appaiono a questi pazienti sono presenti anche durante gli attacchi della veglia o durante le auree. Inoltre il fatto che le stesse scene di sogno possono essere generate artificialmente attraverso la stimolazione del lobo temporale - e che gli incubi ricorrenti scompaiono in seguito a un efficace trattamento chirurgico o farmacologico del disturbo epilettico sottostante - ci dimostra che l'attivazione delle aree limbiche effettivamente gioca un ruolo causale nella generazione ditali sogni. Questo ci suggerisce che un fattore legato al livello di attivazione affettiva (arousal) dovrebbe essere aggiunto al nostro quadro generale per completare l'individuazione della matrice funzionale del processo onirico. Ciò ci suggerisce inoltre che tale fattore dovrebbe essere collocato all'estremo generativo, cioè di avvio, del processo, vale a dire, al capo opposto del processo dei meccanismi rappresentazionali visuospaziali discussi precedentemente.

Conclusioni l'anatomia funzionale dell'attività onirica

Avendo completato l'analisi clinico-anatomica di queste sei sindromi, siamo ora in grado di tracciare la localizzazione funzionale del processo neurodinamico del sogno. E chiaro che il processo onirico si sviluppa da un sistema funzionale che ha sei componenti funzionali fondamentali: la regione parietale inferiore sinistra, la regione parietale inferiore destra, la regione frontale profonda ventromesiale, la regione occipito-temporale ventromesiale, la regione limbica frontale e la regione limbica temporale (zone dalla A alla F nella figura 3.1).

Si noti che la funzione del sogno non può essere localizzata all'interno di nessuna di queste regioni; bisogna pensare a esse, piuttosto, come se fossero coinvolte in un processo dinamico che si svolge tra queste diverse componenti funzionali del sistema funzionale nel suo complesso. Questo processo può essere dinamicamente localizzato come segue (vedi figura 3.1). II sognare inizia con uno stimolo eccitatorio (arousal) che si origina o nel tronco encefalico ventrale (i nuclei da cui originano queste fibre sono danneggiati da una lesione nella zona C) o nella regione limbica temporale (zona F il sito delle lesioni che provocano attacchi epilettici con incubi ricorrenti). Il fatto che i sogni siano così frequentemente accompagnati da uno stato fisiologico conosciuto come sonno REM (uno stato di cui è ben nota la genesi a partire dai meccanismi del tronco encefalico pontino, rappresentato dalla zona G nella figura 3.1) ci suggerisce che anche questa regione dovrebbe essere inclusa tra quelle che contengono i meccanismi d'innesco del processo onirico. Questa e altre prove (Soims, 2000b) ci suggeriscono che qualsiasi eccitazione del cervello in stato di sonno potenzialmente può innescare il processo onirico. Il fatto che, fra tutte queste regioni, solo il danno nella regione profonda ventromesiale è seguito da una totale cessazione dell'attività onirica indica che questa parte del cervello costituisce la via decisiva comune da cui inizia il processo onirico vero e proprio "lavoro onirico", nella terminologia di Freud, 1899).

Abbiamo visto che la regione frontale ventromesiale profonda è essenziale per i normali processi della motivazione. Se i sogni cessano quando sono interrotte le fibre profonde di questa regione, allora questo ci suggerisce che il sogno può essere considerato come un processo che richiede motivazione; è indotto, in altre parole, dalle stesse forze che innescano l'attività cognitiva normale della veglia e il comportamento spontaneo. Questo fatto, combinato con le altre prove cliniche appena citate che riguardano i siti d’innesco del processo onirico, ci dimostra che l’attivazione di questi sistemi motivazionali è una risposta allo stimolo che ha eccitato in prima istanza il cervello nel sonno (ad esempio, l'attivazione durante la fase REM). Il fatto che l'attività onirica cessi completamente se questi sistemi mtivazionali non sono più operativi, ma non quando sono danneggiati i sistemi di regolazione del livello di attivazione (o arousal), ci porta alla conclusione che il sogno può avvenire solo quando uno stimolo eccitatorio richiama l'interesse motivazionale durante il sonno. A causa del fatto che i sistemi motori (zona H nella figura 3.1) - o perlomeno i loro canali in uscita - sono inibiti durante il sonno, i programmi motivazionali attivati secondo queste modalità non possono concludersi con un'attività motoria intenzionale. Da ciò risulta che l'azione volontaria e il sonno sono stati mentali reciprocamente incompatibili. Per questa ragione, il programma motivazionale terminerebbe così con un atto percettivo piuttosto che con un atto motorio. Questo implica che i programmi sequenziali, i quali sono normalmente elaborati dalla regione frontale, sono sostituiti da schemi di funzionamento di tipo simultaneo, che sono tipici invece del lobo parietale: la risposta allo stimolo eccitatorio viene quindi rappresentata simbolicamente (zona A) ma da un sistema che la elabora con una modalità di tipo spaziale (zona B).7 Le caratteristiche finali del sogno sono conseguenti anche all'allentamento dell'attività di giudizio riflessivo, dovute alle condizioni funzionali che prevalgono durante il sonno nella regione limbica frontale (zona E). Durante il sogno, l'investimento (o catexi) attenzionale è perciò diretto in modo acritico verso le regioni percettive, dove gli schemi di memoria attivati nelle zone parietali sono proiettati in via retrograda su di un compartimento di analisi temporanea (buffer) di tipo visivo (zona D). Perciò, questo processo termina con una rappresentazione percettiva concreta, la quale è sovrainvestita dai sistemi di giudizio riflessivo (zona E), come se fossero un'esperienza reale. Questo spiega la qualità allucinatoria e delirante dei sogni.

Questa esposizione intende trasmettere al lettore almeno un saggio sull’utilizzo pratico del metodo di Lurija della localizzazIone dinamica. Per un resoconto completo, il lettore dovrebbe consultare lo studio originario su cui si basa questa succinto quadro sinottico (Solms, 1997a). Ci auguriamo che, nonostante la sua brevità, questa sintesi illustri chiaramente perché crediamo che questo metodo renda superabili le obiezioni sollevate da Freud sul metodo classico clinico-anatomico della localizzazione ristretta delle funzioni mentali. Il quadro sul lavoro onirico che emerge da un’applicazione del metodo di Lurija è interamente compatibile con gli assunti di Freud sull'effetto che "le strutture psichiche in generale non devono mai essere viste come localizzate all'interno di elementi organici ma, si potrebbe dire, nel rapporto tra le strutture del sistema nervoso" (1899, p. 556). Esso è anche compatibile con la raccomandazione che noi dovremmo realmente rappresentarci “l'apparato ignoto che serve per l'esecuzione delle operazioni psichiche proprio come uno strumento costruito con più parti che diciamo istanze ciascuna delle quali ha una sua particolare funzione; esse presentano fra loro una stabile connessione spaziale.” (Freud, 1926, p. 362)

Quanto rivelato dall'applicazione del metodo di Lurija alla neurodinamica del sogno ci fornisce, quindi, alcune delle prime importanti indicazioni su come possa essere localizzato dinamicamente nei tessuti del cervello umano l'intero apparato mentale descritto da Freud (1899).

UNA VIA DI ACCESSO DALLA PSICOLOGIA ALLE NEUROSCIENZE DI BASE

Come è stato esposto nel primo capitolo, le neuroscienze comprendono una vasta serie di discipline complementari, ciascuna con i propri metodi specifici d'indagine per lo studio di aspetti diversi del sistema nervoso (ad esempio, quello relativo alla neuroanatomia, alla neurofisiologia, alla neuropsicologia o alla neurologia clinica) nonché livelli differenti della sua organizzazione biologica (dal livello dell'attività funzionale dell'intero sistema a quello della biologia molecolare della singola cellula). Abbiamo inoltre sostenuto che il punto ideale di convergenza tra la psicoanalisi e le neuroscienze è costituito dalla disciplina della neuropsicologia - più specificatamente, dal filone dinamico della neuropsicologia - che studia il sistema nervoso dal punto di vista della sua organizzazione funzionale, usando metodi del tutto psicologici con lo scopo di svelare la natura della rappresentazione neurologica delle funzioni mentali umane.

La correlazione tra la conoscenza psicoanalitica e neuroscientifica non si esaurisce, tuttavia, al livello della sola analisi di tipo neuropsicologico. Idenrtificando, con il metodo della localizzazione le componenti funzionali fondamentali di un sistema che supporta un'operazione mentale complessa, si è aperta infatti soltanto una via di accesso - o meglio un >ponte concettuale - tra le scienze neurologiche e la psicologia. Da qui in poi, diventa possibile trarre vantaggio dai numerosi e ben consolidati legami teorici e metodologici esistenti tra le diverse discipline vicine alle neuroscienze. Questo rende possibile la commutazione tra i concetti psicoanalitici e i concetti neurofisici affini, su tutta quella linea che congiunge il livello di studio dell'organizzazione neurodinamica globale fino all'analisi meticolosa adottata dalla biologia molecolare.

Ad esempio, usando il metodo dinamico di Lurija dell'analisi della sindrome clinico-anatomica, è stato possibile stabilire che la sostanza bianca dei lobi frontali ventromesiali contiene una componente funzionale fondamentale del sistema che elabora il processo onirico. Inoltre, è stato possibile identificare la funzione di base di questa parte del sistema: l'analisi psicologica dei casi di cessazione dell'attività onirica per lesioni in questa area >ci ha rivelato che il deficit fondamentale era di carattere motivazionale.

Muovendoci dal piano dell'analisi di tipo neuropsicologico al livello neurofisiologico, ci possiamo porre la seguente domanda: perché proprio questa regione contribuisce a questa specifica funzione? I metodi anatomici di studio ci rivelano che la sostanza bianca colpita in questa sindrome è composta principalmente da tratti di fibre che connettono i nuclei mediani dell'encefalo ventrale con il sistema limbico (ad esempio, con il giro del cingolo e con il nucleo accumbens) e con la corteccia frontale. Inoltre, i metodi fisiologici e istochimici ci rivelano che le fibre in questione sono parte integrante del sistema dopaminergico ascendente, che - come sappiamo da studi clinici e farmacologici - è un circuito conosciuto come il "sistema dell'aspettativa-interessecuriosità" o come il sistema cerebrale di controllo e "di ricerca" (Panksepp, 1985, 1998): "Questi sistemi stimolano i comportamenti di ricerca verso una meta oltre che gli scambi di tipo appettitivo tra l'organismo e l'ambiente" (Panksepp, 1985, p. 273).

Queste nozioni possono essere anche associate alle conclusioni teoriche raggiunte attraverso i metodi neuropsicologici. Ad esempio, avevamo dedotto, dagli effetti della cessazione del sogno in caso di danno alla regione frontale profonda ventromesiale, che questa derivasse da un'interruzione della "via finale comune" che conduce all'avvio del lavoro onirico vero e proprio. A sua volta, questa componente del sistema funzionale del sogno dovrebbe perciò essere situata all'estremo generativo, piuttosto che al capo terminale dei processi rappresentativi del sogno. Queste conclusioni sono corroborate dalla scoperta che la stimolazione chimica dei circuiti "di ricerca" dopaminergici (attraverso l'L-dopa) risulta in stati di attività onirica eccessiva o di pensiero simil-onirico (proprio come avviene nella quinta sindrome sopra descritta). Questa conclusione è ulteriormente confermata dal fatto che gli agenti farmacologci che inibiscono l'attività di questo circuito dopaminergico mesocorticale-mesolimbico (come, ad esempio, l'aloperidolo) inibiscono anche questa attività onirica eccessiva e il pensiero simil-onirico della veglia.

Questo, a sua volta, rende possibile nuove connessioni teoriche tra la nostra comprensione psicoanalitica del sogno e quella proveniente dall'intero corpo delle conoscenze psicofarmacologiche che si sono accumulate negli anni recenti sul ruolo di questo circuito dopaminergico nella genesi dei sintomi psicotici. Freud aveva sempre sostenuto che il sogno era molto simile alla psicosi nella sua organizzazione funzionale, così non ci deve stupire la constatazione che il sogno normale e la malattia psicotica hanno effettivamente molti punti in comune sia a livello chimico, che a quello fisiologico e anatomico. In questo modo, diventa anche possibile dare un significato metapsicologico all'enorme massa di conoscenze presenti nella letteratura psicofarmacologica a nostra disposizione. Questi sono esempi di come il metodo neuropsicologico di Lurija, in ultima analisi, renda possibile l'integrazione della psicoanalisi con tutte le neuroscienze, permettendo collegamenti tra i nostri concetti metapsicologici non solo con l'anatomia ma anche con la fisiologia, la chimica e persino con la biologia molecolare.

Ci auguriamo di aver chiarito un punto in particolare: quando diciamo che il metodo di Lurija dell'analisi della sindrome è il punto ideale di convergenza tra la psicoanalisi e le neuroscienze, non intendiamo affermare che altri metodi neuroscientifici non possano essere usati per acquisire nuove conoscenze sui correlati fisici dei concetti psicoanalitici. Intendiamo dire soltanto che il metodo di Lurija ci appare come il più appropriato punto di contatto. Quando si saranno stabilite le nozioni di base a questo livello (clinico e psicologico) l'unico livello al quale i concetti psicoanalitici possano essere resi operativi diventerà possibile da qui stabilire ulteriori collegamenti, andando oltre il livello neuropsicologico con l'intera gamma di metodi e concetti provenienti dalle scienze neurologiche a nostra disposizione.” (pp. 39-50)

4.

La proposta metodologica di Solms, sostanzialmente affascinante, è molto chiara. Essa viene ulteriormente dettagliata nel capitolo 4 in questi termini:

“Come la neurologia classica, anche la neuropsicologia mira a essere completamente oggettiva: proprio da ciò derivano la sua forza e i suoi progressi. Ma una creatura viva, e un essere umano in particolare, è per sua natura [...] un soggetto d'azione, non un oggetto. E precisamente questo soggetto, questo "io" vivente che non viene considerato [dalla neuropsicologia]. (Sacks, 1984,p.207)

In anni più recenti sono stati fatti alcuni tentativi concertati per riequilibrare questo divario, come si desume dal gran numero di studi neuropsicologici prodotti sul "cervello emozionale". E’ difficile, a ogni modo, riassumere le scoperte di queste indagini, e ancor di più è il loro confronto con quelle ottenute in campo psicoanalitico. Queste ricerche sono state condotte all'interno di una cornice metodologica e concettuale completamente estranea alla psicoanalisi...

Evidentemente, quello che viene richiesto a un metodo neuropsicologico che sia in grado di adeguarsi sia all'oggetto dell'analisi psicoanalitica (sostanzialmente, la soggettività umana), sia all'oggetto delle neuroscienze (fondamentalmente, la struttura e la funzione del cervello), è di riuscire a mettere in relazione questi due oggetti (cioè, di osservarli entrambi simultaneamente) senza violare le premesse concettuali di ciascuna delle due discipline.

Non sarà mai possibile sapere come siano rappresentate nei tessuti cerebrali la personalità, la motivazione e le emozioni complesse (quelle che sono, di gran lunga, le più importanti e le più interessanti fra tutte le funzioni mentali umane) finché non si sarà studiata direttamente la relazione tra l'organizzazione psicologica di queste funzioni complesse e i tessuti neurologici che le elaborano.

Come abbiamo visto nel primo capitolo, Freud stesso ha sempre creduto che uno studio di collegamento di questo tipo fosse possibile solo in linea di principio (ma che fosse invece a quel tempo impossibile nella pratica, date le limitazioni delle metodologie a disposizione della ricerca). Freud era ben consapevole del fatto che ciascun processo mentale deve essere, in qualche modo, svolto da un processo fisiologico che coinvolge i tessuti del cervello ma ha anche sostenuto che era un errore localizzare le facoltà mentali complesse all'interno di "centri" neurologici circoscritti. Il ragionamento dietro a questo pensiero sosteneva che i processi mentali sono entità dinamiche complesse, che perciò non possono essere correlate isomorficamente con le strutture individuate dall'anatomia cerebrale e incasellate come "centri" statici. Freud concluse, perciò, che non sarebbe stato possibile comprendere i fenomeni mentali in termini neurologici finché (1) non fosse stata chiarita la loro organizzazione strutturale psicologica dinamica e (2) finché le neuroscienze non fossero state in grado di identificare i correlati fisici di queste entità dinamiche complesse. Freud dedicò in seguito le sue energie scientifiche al primo compito (quello puramente psicologico), sottraendo il suo impegno dal secondo compito di correlazione (quello neuropsicologico), in attesa dei progressi metodologici a venire e quindi rimandandolo agli studiosi futuri.

Nel capitolo 2 abbiamo affermato che i progressi necessari per questo compito sono ora a nostra disposizione. Le modificazioni di Lurija del metodo clinico-anatomico (metodo che Freud originariamente aveva rigettato) hanno reso possibile la correlazione tra funzioni mentali dinamiche complesse e il loro "scenario" neuroanatomico, secondo una modalità che permette di superare entrambe le obiezioni metodologiche principali sollevate da Freud. Il metodo di Lurija della localizzazione dinamica asserisce che deve essere chiarita la struttura psicologica di un processo mentale prima che esso possa essere localizzato, e che questi processi dinamici complessi non possono essere correlati isomorficamente con singole strutture anatomiche. La rappresentazione neurologica dei concetti psicologici di Freud (il risultato delle sue ricerche sull'organizzazione strutturale funzionale della personalità umana, della motivazione e delle emozioni complesse) è perciò ora a portata di mano. I propositi di questo studio sono partiti proprio dallo spiraglio offertoci da questa nuova metodologia.

Il metodo di Lurija non è stato mai applicato agli aspetti più profondi della vita mentale, quelli che interessano maggiormente coloro che sono impegnati nella psicoanalisi e, poiché quegli aspetti della vita mentale possiedono degli attributi che li rendono fenomeni unici nel loro genere, è necessario apportare una modificazione al metodo di Lurija, prima che esso possa essere liberamente applicato a questi distretti funzionali.

Nello studiare la struttura della personalità, della motivazione e delle emozioni complesse umane, Freud ha scoperto che questi contenuti della vita mentale soggettiva non sono facilmente accessibili allo scienziato. Forze molto potenti sono al lavoro e si oppongono intensamente ai tentativi dello studioso di rendere chiari i contenuti privati della mente di un individuo. Freud ha classificato queste forze - che si esprimono clinicamente con sensazioni di vergogna, di colpa, di angoscia e con altre manifestazioni analoghe - sotto la denominazione comune di "resistenze". Proprio per l'esistenza delle resistenze, persino i dati primari che derivano dall'osservazione sono, in modo del tutto inconsueto, difficili da interpretare nello studio della soggettività umana. Queste difficoltà sono accentuate dal fatto che le cause determinanti, che possono essere dedotte dai dati che derivano dall'osservazione primaria (cioè gli eventi mentali inconsci che sottostanno ai processi di pensiero conscio), sono appunto, per definizione, non consce. Freud ha scoperto che tutti i tentativi di portare alla luce questi processi causali profondi della consapevolezza cosciente sono contrastati dalle più intense barriere oppositive esistenti, quelle date dalla forza delle resistenze e che, allo stesso tempo, questi sono, di fatto, i processi più importanti per lo studioso di psicoanalisi. Perciò egli ha inizialmente cercato, con varie tecniche, il modo per superare queste resistenze (ad esempio con l'ipnosi prima e con la "digito-pressione" poi) per arrivare a sviluppare gradatamente, sulla base dell'esperienza accumulata, la tecnica psicoanalitica definitiva della libera associazione. La giustificazione dell'uso di questa tecnica da parte di Freud e la sua esposizione sono chiaramente riportate in numerosi scritti (ad esempio in Freud, 1899, 1903, 1909, 1911, 1912, l914a, 1922a, 1923a, 1924, 1937).

Freud e Lurija hanno entrambi sempre insistito sull'impossibilità di potere trovare una precisa corrispondenza tra un processo psicologico complesso e la sua rappresentazione cerebrale finché non fosse stata pienamente messa in luce la struttura interna di quel processo. In accordo con questa affermazione, il primo passo da compiere nel nostro sforzo di svelare l'organizzazione neurologica dell'apparato mentale umano, come lo intendiamo in psicoanalisi è quello di scomporre la struttura psicologica interna di quelle modificazioni nell'ambito della personalità, della motivazione e delle emozioni complesse, che sopravvengono in seguito a una lesione a differenti strutture cerebrali. In questo modo, possono essere identificati i fattori multipli sottostanti alla produzione di questi sintomi e dei diversi complessi sindromici per giungere alla fine all'individuazione del rispettivo "scenario" anatomico.

A causa, tuttavia, della forza delle resistenze appena descritte, questi fattori non possono essere rivelati attraverso le tecniche neuropsicologiche convenzionali. I test psicometrici e le tecniche di studio del comportamento del malato, che i neuropsicologi usano per stabilire la condizione mentale dei pazienti neurologici, furono inventati per l'indagine dei disturbi di "superficie" delle funzioni cognitive (come il linguaggio, il calcolo e la percezione visiva), i quali operano in modo relativamente indipendente dalle resistenze emotive. La tecnica dell'associazione libera fu sviluppata specificatamente per l'esplorazione della struttura interna delle funzioni che sono, di fatto, oscurate dalle resistenze. Per permetterci, perciò, di chiarire la struttura psicologica sottostante ai disturbi della personalità, della motivazione e delle emozioni complesse che colpiscono il paziente neurologico deve essere inserita la tecnica della libera associazione all'interno del metodo neuropsicologico di Lurija.

Questa proposta non rappresenta un allontanamento radicale dall'approccio classico di Lurija. E comunque necessario introdurre questa modifica se si tiene conto del fatto che la struttura interna delle funzioni mentali, di massimo interesse per gli psicoanalisti, è inaccessibile, per la gran parte, alle tecniche neuropsicologiche convenzionali. Non si può comprendere adeguatamente la struttura psicologica interna del cambiamento della personalità di un paziente neurologico, proprio come non la si può cogliere negli altri tipi di pazienti, semplicemente osservando il comportamento del paziente ricoverato. Per avere accesso alla vita mentale interna del paziente - e questo vale sia se esso è stato colpito da una lesione cerebrale sia che questo non sia accaduto - è necessario riuscire a conoscere quel paziente come persona, instaurando con lui una relazione umana affidabile, in un setting professionale, all'interno del quale si possa conquistarne la fiducia, con tatto e comprensione, e progressivamente renderlo, o renderla, consapevole delle proprie resistenze. Poi, avendo avuto un accesso relativamente più libero ai pensieri privati del paziente, ai sentimenti o ai ricordi, è possibile esplorare il modo in cui le determinanti inconsce di questi pensieri, sentimenti e ricordi si dispiegano nella relazione di transfert, e quindi verificare le ipotesi che emergono nel materiale clinico, utilizzando interpretazioni appropriate allo scopo. Solo in questo modo, attraverso l'osservazione attenta degli effetti che le interpretazioni stimolano sui materiale associativo successivo, è possibile chiarire la struttura interna dei sintomi psicologici, elaborazione che rappresenta il punto nodale di questo libro.”

La seconda parte del libro è, di fatto, un’indagine psicoanalitica completa di pazienti con lesioni neurologiche focali, il cui scopo è “di poter tracciare una mappa dell’organizzazione neurologica dei processi mentali umani scoperti grazie alla tecnica psicoanalitica.” (p. 56)

Penso sia inutile fornire un resoconto accurato dei casi che vengono analizzati, che si riconducono a lesioni del lobo temporale anteriore e frontale sinistri, dell’area medio-temporale sinistra estesa posteriormente, al lobo parietale sinistro, alla regione perisilviana destra e all’area ventromesiale frontale. Per la particolare importanza di questa ultima area, è importante riportare le riflessioni teoriche che Solms dedica ad essa:

“La nostra ipotesi è questa: la corteccia frontale ventromesiale esegue quella trasformazione economica fondamentale per l'attività mentale che inibisce il processo primario. La trasformazione economica alla quale ci riferiamo è data dal processo che Freud ha descritto come legame. In altre parole, questa parte del cervello sarebbe la sede anatomica - o almeno una componente cruciale della rete anatomica - sottesa alla realizzazione fisiologica del processo secondario nel suo complesso.

Poche funzioni psicologiche profonde potrebbero essere più importanti di questa. Da tale ipotesi originano numerose altre implicazioni e possiamo vedere come questa conclusione si mette in correlazione con il materiale clinico che abbiamo riassunto sopra. Ad esempio, un disturbo di questa funzione economica inevitabilmente interferirà con il nucleo di influenza della realtà sulla mente e perciò con la base stessa del principio di realtà, della strutturazione dell'lo, con l'inibizione del Super-io in genere, oltre che con un'ampia gamma di altre operazioni mentali e processi più specifici, variamente descritti sotto le denominazioni di censura, rimozione, esame di realtà, giudizio e molte altre. Tutto il materiale clinico presentato in questo capitolo è caratterizzato infatti dal collasso di questi processi. Soprattutto, questa ipotesi ci aiuta a comprendere concettualmente la destrutturazione degli introietti narcisistici ("la fine del mondo") e la conseguente regressione alla psicosi evidente nel quadro clinico di questi pazienti.

Nel modello generale teorico presentato nel capitolo finale di questo libro, suggeriamo che la corteccia cerebrale nel suo complesso può essere concepita come costituita da un sistema di meccanismi organizzati in serie e derivanti dai sistemi percettivi. I sistemi deputati alla percezione selezionano alcune caratteristiche specifiche dall'ambiente interno e da quello esterno durante tutta l'elaborazione dei processi associativi. Questi processi selettivi, una volta stabilizzatisi, agiscono come una serie di "barriere degli stimoli" che proteggono l'apparato mentale da un'eccitazione eccessiva proveniente da stimoli conosciuti. Queste barriere sono i sistemi mnesici, che formano il vero e proprio tessuto dell'Io. Sebbene questi sistemi si siano inizialmente formati sotto l'influenza della realtà esterna, va sottolineato che essi diventano sempre più internalizzati in quella forma di immagazzinamento relativamente stabile che i neuropsicologi chiamano con il nome di memoria semantica, di apprendimento procedurale e concetti simili. Una volta che questi processi sono stati internalizzati, essi agiscono da sistemi di filtro che - fornendo una serie di aspettative inconsce implicite - giocano un'influenza di controllo su tutte le esperienze motorie e percettive in corso.

Abbiamo quindi identificato questo intero processo di organizzazione e internalizzazione con quello che in psicoanalisi viene descritto come il processo di strutturazione dell'lo. Su questa base, suggeriamo che la regione prefrontale, una volta che la sua struttura si sia stabilizzata in questa maniera, agisce con un'azione di controllo su tutti gli altri sistemi posti sulla superficie corticale (ricordiamo che la corteccia prefrontale riceve le sue afferenze sia dai sistemi percettivi diretti verso l'interno che da quelli diretti verso l'esterno e che rappresenta io strato più profondo di analisi mnesica, oltre che uno dei capisaldi dell'azione motoria). La maggior parte dei neuropsicologi condivide l'idea che questa regione anatomica costituisca un "sito associativo sovrastrutturale", attivo su tutte le altre strutture cerebrali.

Ci appare importante sottolineare a questo punto che ciò che effettivamente si struttura nella regione prefrontale è una serie altamente specializzata di associazioni di tipo astratto. Queste associazioni sono nella loro natura fondamentalmente sequenziali (all'opposto degli schemi simultanei di connettività che predominano nelle cortecce cerebrali posteriori). La struttura di queste connessioni sequenziali si sarebbe formata originariamente sotto l'influenza diretta delle verbalizzazioni di quegli adulti che hanno presentato il mondo al bambino piccolo. Il bambino usa questa serie associativa internalizzata per differenziare, organizzare e gradualmente ottenere un sufficiente controllo su/proprio pensiero e sulle proprie azioni. Dopo un periodo critico nello sviluppo del tessuto nervoso prefrontale, intorno al quinto anno di vita, questi codici sequenziali e astratti - che gli psicologi paragonano a un "discorso interno" -raggiungono una stabilizzazione definitiva e il bambino acquisisce di conseguenza una forma più sicura di controllo mentale sul proprio pensiero e sul comportamento. Nel momento in cui ciò si realizza, l'intera vita mentale del bambino si riorganizza dalle fondamenta in accordo con una serie associativa astratta che è - soprattutto - specificamente adatta al funzionamento di tipo riflessivo. Il bambino simultaneamente cambia da una modalità visuospaziale di pensiero, essenzialmente atemporale ("senza tempo"), a una modalità basata sull'attività verbale e sequenziale (o proposizionale).

Nella nostra formulazione teorica generale (capitolo 10), ricollegando alcune di queste proprietà specifiche del discorso interno con alcuni attributi specifici del linguaggio parlato, sosteniamo che l'internalizzazione e la strutturazione della voce parentale rende il bambino in grado di separarsi dalle proprie elaborazioni soggettive e, usando le proprietà categoriali, nominali e le altre proprietà tipiche del linguaggio, lo rendono capace di elaborare i propri pensieri e comportamenti in modo simbolico. Le qualità proposizionali del linguaggio permettono inoltre al bambino di pianificare una sequenza di attività in relazione a uno schema processuale differenziato interno, fatto che non richiede per forza la presenza concreta dell'oggetto di questo processo. Questo permette al bambino di utilizzare il pensiero e il comportamento in programmi di tipo astratto diretti verso una meta.

A un livello fisiologico, questa funzione si esprime grazie al contributo della regione prefrontale che - attraverso le sue ricche interconnessioni con le altre strutture cerebrali profonde - influenza la frequenza, la sequenza e la distribuzione delle scariche neuronali che si diffondono in tutta la corteccia cerebrale. La regione prefrontale e quella ventromesiale in particolare appaiono quindi dotate di una funzione di attivazione selettiva intenzionale. Una perdita di questa funzione si esprime fisiologicamente nella condizione che Lurija (1962) ha descritto come l"equalizzazione dell'eccitabilità delle tracce". In questa condizione, si altera specificatamente la funzione di eccitamento altamente differenziata e selettiva della regione prefrontale, realizzata direttamente dalla sopra menzionata attività di discorso interno. Nel materiale clinico illustrato precedentemente, abbiamo potuto chiaramente osservare questo fenomeno.

Ciò spiega inoltre il motivo per cui abbiamo collegato questa funzione selettiva di attivazione, propria della regione frontale, con quel gruppo di funzioni psicologiche che vanno sotto la denominazione di "esame di realtà" e di "censura". La perdita di queste funzioni sono, a nostro avviso, delle manifestazioni nella sfera psicologica del collasso, che avviene nella sfera fisiologica, della funzione selettiva di attivazione alla quale è deputata la regione prefrontale. Questo collasso comporta quindi la perdita di quel processo metapsicologico fondamentale che è il "legame dell'energia psichica".” (pp. 208-210)

Già in questa analisi traspare la fedeltà assoluta di Solms al pensiero di Freud, secondo il quale la coscienza è un prodotto dell’interazione della mente con il mondo esterno, e l’uso di una terminologia ortodossa: processo primario, che implica l’esistenza dell’Es – la “vera realtà psichica” di Freud -, processo secondario, ecc.

L’ortodossia di Solms raggiunge il culmine nel capitolo 10, laddove egli tenta di definire >“un modello generale di come potrebbe essere rappresentato nei tessuti del cervello l’apparato mentale umano, per come questo è stato concepito dalla psicoanalisi.” (p. 219)

Riporto il riassunto del capitolo:

“Siamo ora in grado di tracciare un quadro schematico dell'apparato mentale nella sua globalità, da un punto di vista della sua realizzazione materiale. In questa descrizione, cercheremo di fornire delle indicazioni sulle relazioni essenziali con altri importanti concetti provenienti dalla metapsicologia.

L'Io si genera, geneticamente e topograficamente, ma non strutturalmente ed economicamente, alla periferia del corpo, al livello degli organi sensoriali terminali che trasmettono in modo codificato l'informazione derivata dal mondo esterno alla corteccia. Queste informazioni non sono proiettate direttamente alla corteccia ma sono analizzate ed elaborate in accordo con una miriade di criteri funzionali all'interno della materia grigia del midollo spinale, dei nuclei dei nervi cranici del tronco dell'encefalo e nelle parti sensospecifiche del talamo, lungo tutto il loro percorso che le porta alle zone corticali unimodali. Questo apparato anatomico corrisponde grossolanamente al sistema mentale P, da cui, come abbiamo detto, originariamente deriva l'Io. L'apparato percettivo periferico fornisce all'Io le prime barriere protettive per gli stimoli. Queste barriere sono probabilmente predeterminate geneticamente e non sono perciò dotate di memoria (vedi il sistema ϕ nel Progetto di Freud). Le zone corticali unimodali (il sistema ϖ del Progetto) sono i punti anatomici che, dal un punto di vista fisiologico, fondendosi direttamente con le zone corticali eteromodali, corrispondono a quello che può essere individuato come l'inizio dei sistemi di memoria dell'Io (i sistemi φ).

La corteccia unimodale registra le varie qualità della coscienza percettiva. I sistemi mnestici che occupano la convessità cortico-talamica posteriore ri-registrano e ritrascrivono l'informazione percettiva esterna in "indirizzari" secondo una varietà molto ampia di criteri funzionali (Mesulam, 1998). Molti di questi criteri possono essere studiati nel dettaglio grazie ai moderni studi neuropsicologici e fisiologici. Un principio generale deve includere la connessione associativa delle caratteristiche selezionate dell'informazione in entrata grazie a schemi di tipo simultaneo (spaziali e simil-spaziali). Alcuni di questi schemi, quelli più significativi, sono codificati a livelli progressivamente più profondi. A questo processo in metapsicologia viene dato il nome di strutturazione dell'Io. Una volta raggiunta la stabilizzazione di uno schema associativo, questo agisce da barriera per gli stimoli.

Anche i sistemi percettivi forniscono all'Io delle barriere per gli stimoli ma queste sono largamente prestrutturate e perciò riflettono la selezione filogenetica (sono barriere generatesi in conseguenza quindi alle leggi dell'evoluzione naturale). Le barriere per gli stimoli dell'Io (anche se limitate da queste matrici filogenetiche) si strutturano secondo l'esperienza ontogenetica. Queste strutturazioni si presentano in modo predominante nelle zone cortico-talamiche eteromodali. Nell'emisfero destro, esse corrispondono (a questo stadio) grossolanamente alle rappresentazioni "d'oggetto totale". Queste rappresentazioni forniscono un'importante barriera per gli stimoli. Esse organizzano l'infinità di eventi sensoriali, divisi per ciascun specifico canale, all'interno di una serie relativamente stabile di "cose" riconoscibili e dotate di significato. Una volta che queste introiezioni si sono strutturate, esse esercitano un'influenza sugli eventi percettivi periferici in modo proiettivo. Tutto questo avviene in stretta dipendenza dai bisogni dell'organismo che sono trasmessi attraverso un secondo sistema associativo, che menzioneremo tra breve.

Il livello successivo della trascrizione mnesica posteriore si incontra nelle zone corticali eteromodali dell'emisfero cerebrale sinistro. Qui, le rappresentazioni d'oggetto totale di tipo concreto, primariamente di tipo visuospaziale, si associano con le rappresentazioni simil-spaziali astratte di un tipo audioverbale. Questo livello di trascrizione (che stabilisce le connessioni tra le "cose" e le "parole") è descritto - sia da Freud che da Lurija - come il processo di simbolizzazione. Le trascrizioni simboliche forniscono uno scudo particolarmente potente contro gli stimoli poiché esse organizzano l'illimitata diversità delle cose reali esterne in un lessico circoscritto di categorie. Perciò, tutte le possibili esperienze di un particolare tipo possono essere ricapitolate da una singola parola. Molto concretamente, potremmo affermare perciò che le parole ci proteggono dalle cose.

A questo punto, dobbiamo spostare la nostra attenzione sull'estremità terminale motoria del nostro apparato. Questo ambito rappresenta il nucleo dinamico ed economico dell'Io. Gli strati più profondi di questa porzione dell'Io sono realizzati nella regione corticale prefrontale Nella transizione dalle zone posteriori a quelle anteriori terziarie avviene l'associazione tra il sistema lessicale delle rappresentazioni verbali e un sistema di regole logico-grammaticali. Gli schemi d'elaborazione simultanea vengono ora ritrascritti all'interno di programmi sequenziali, posti in serie. Questi programmi forniscono la struttura del linguaggio proposizionale.

La corteccia frontale terziaria integra queste informazioni percettive codificate verbalmente con gli stimoli potenti che emergono dall'interno dell'apparato. In questo modo, i codici proposizionali e quelli logico-grammaticali, strutturati nella forma di elaborazioni poste in serie, sono usati a un livello più profondo dell'Io per legare e organizzare le spinte pulsionali di natura endogena. La zona prefrontale mediobasale, che si unisce con il sistema limbico, è il sito anatomico di questa fondamentale trasformazione economica. A questo punto, l'Io si fonde con il Super-io, che forma la barriera per gli stimoli più profonda dell'Io e gioca numerose importanti funzioni di autoregolazione. L'energia legata che si genera da questa trasformazione fornisce il fondamento essenziale per tutte le funzioni esecutive dell'Io.

Lo spazio corticale che occupa la regione tra questo nucleo inibitorio dell'Io e la corteccia motoria primaria è l'ultimo a maturare nello sviluppo. Esso codifica le sequenze proposizionali profonde, attraverso una serie di ritrascrizioni, per trasformarle in schemi operativi di attività motoria (vedi Passingham, 1993). Perciò, dalla corteccia motoria e premotoria, l'Io gioca la sua influenza di controllo sui sistemi muscolo-scheletrici. Questo sistema è in tutta la sua estensione riccamente connesso alle diverse strutture sottocorticali. Vi sono infatti molte vie di collegamento reciproco tra le regioni corticali posteriori, i gangli della base, il talamo e il cervelletto. Una volta avvenuta la maturazione della regione prefrontale (cosa che avviene per lo più intorno al quinto o sesto anno di vita, anche se in realtà il suo sviluppo continua fino alla fine dell'adolescenza), essa gioca un potente effetto regolatorio su tutte le altre attività cerebrali. Ad esempio, essa non svolge solo un'influenza di controllo e di legame sulla scarica motoria, ma regola altresì la scarica percettiva, legando così anche la proiezione (fatto che previene l'allucinazione). Questo effetto globale della strutturazione prefrontale viene descritto come "processo secondario".

Per riassumere: l'Io nel suo complesso coincide anatomicamente con l'intero spazio cortico-talamico che separa il mondo esterno da quello interno. In questo senso, l'Io incomincia dalle zone unimodali percettive e motorie sulla superficie esterna della corteccia e termina nell'anello costituito dalla corteccia limbica che circonda la parte interna del cervello. La sua funzione di base è quella di mediatore tra il mondo interno e quello esterno, una funzione che svolge costituendo una serie di "barriere" tra le sue due superfici sensomotorie. Queste barriere si formano durante il processo dello sviluppo, sulla base della registrazione nella memoria delle associazioni tra le percezioni che ci giungono dall'interno e quelle che ci arrivano dall'esterno. Questi dispositivi frappongono quindi la memoria tra l'impulso e l'azione, e sono soggetti ai processi dell'attenzione, a quelli del giudizio e del pensiero. I confini anatomici dell'Io non dovrebbero essere tuttavia confusi con la sua sfera di influenza funzionale (proprio come, nella metapsicologia classica, la topografia non dovrebbe essere confusa con la dinamica). Il controllo che la regione prefrontale esercita sulle strutture nucleari profonde adibite all'attivazione rappresenta un esempio eccellente di questa distinzione. Inoltre, non dovremmo dimenticare che l'Io è sia il padrone che il servo delle forze di cui è regolatore.

L'Es, invece, ha il suo centro nevralgico nelle strutture grigie vitali che circondano il quarto ventricolo. Da questa sede, estendono la loro influenza rostralmente attraverso il sistema attivante ascendente. Questo sistema è regolato in accordo con alcuni elementi funzionali dotati di fini automatismi, localizzati nelle strutture grigie vitali appena menzionate e, in particolare, nell'ipotalamo. L'ipotalamo, a sua volta, reagisce ai bisogni vitali del corpo attraverso il sistema autonomico e quello endocrino secondo i propri cicli intrinseci. Il sistema attivante ascendente è influenzato, primariamente, in modo indiretto dalle informazioni che sorgono dalle regioni corticali posteriori, le quali ricevono un valore di priorità mediato dai desideri e dai pericoli biologici e, secondariamente, dai programmi finalizzati verso una meta che sono elaborati con l'ausilio dello strumento linguistico nelle regioni corticali anteriori.

L'Es, quindi, influenza la realtà e ne è influenzato in modo indiretto attraverso la mediazione dell'Io, che a sua volta si è sviluppato dall'Es nei suoi strati corticali più esterni grazie all'esperienza. Lungo tutto questo sviluppo, l'Es sembra mantenere un accesso relativamente libero agli strati corticali posteriori. Questo può avvenire perché la corteccia posteriore apparentemente dirige le proprie attività inibitorie verso fonti di pericolo esterne. A ogni modo, la catexi della corteccia posteriore viene continuativamente monitorata e controllata dalle regioni corticali anteriori.

Ci sembra ragionevole, prima di concludere, estendere il "nostro punto di vista fisico" all'apparato mentale fino al limite consentitoci. In questo senso, potremmo affermare che, se da una parte gli organi motori e sensoriali alla periferia del corpo sono sotto il controllo dell'Io, gli organi vitali dell'interno del corpo cadono sotto il dominio dell'Es. In questa definizione, vorremmo includere gli organi viscerali interni e quelli riproduttivi. Infatti, basandoci sulle conoscenze che ci vengono dalla biologia, potremmo dire che il nucleo dell'Es si struttura attorno al sistema riproduttivo. Questa classificazione semplicistica dovrà ovviamente trovare conferme attraverso lo studio delle numerose relazioni funzionali che certamente esistono tra i visceri e la periferia somatica. Questa linea di pensiero ci porta fuori dal campo delle neuroscienze e direttamente all'interno del territorio della medicina psicosomatica, oltre quindi i limiti della nostra competenza. Consapevoli di queste limitazioni, prima di abbandonare questo argomento, vorremmo sottolineare che l'Es, sebbene sembri risiedere nei recessi più profondi sia della mente che del corpo, si trova anche a diretto contatto col mondo esterno in tre zone importanti. Le strutture viscerali emergono a livello cutaneo dagli orifizi mucosi della bocca, dell'ano e dei genitali. La sede di questi orifizi - che potremmo, con qualche cautela, descrivere come gli organi "sensomotori" dell'Es - corrisponde alle zone erogene che ci sono note dalla nostra teoria classica della libido.

Terminiamo la nostra trattazione con qualche commento a riguardo delle pulsioni. La libido, e specialmente la sua componente più strettamente sessuale, è accessibile (in linea di principio) ai mezzi dell'analisi chimica. Essa è inoltre saldamente radicata nei processi fisici di alcuni tessuti somatici. La componente autoconservativa dell'Eros è più difficile da individuare ma potrebbe essere intimamente connessa, in qualche modo, con i vari "sistemi di comando delle emozioni di base" descritti da Panksepp (1998), forse anche accanto alle attività di legame che abbiamo attribuito alla regione frontale ventromesiale. Queste sistematizzazioni fisiologiche complesse (che si possono trovare solo negli organismi altamente differenziati) sono certamente fondamentali per l'attitudine adattativa propria dell'Io. Questo ci dà la possibilità di collegare l'istinto distruttivo, a sua volta, con una delle proprietà fisiologiche tra le più primitive nel tessuto nervoso. Questa tendenza si esprime negli stati patologici dell'equalizzazione e dell'inerzia che Lurija ha rivelato essere alla base di ogni sintomo neuropsicologico. Forse questa tendenza primitiva trova la sua espressione più diretta nei fenomeni stereotipati tipici dell'epilessia.” (pp. 248-252)

L’intento di Solms sembra quello di dimostrare che il pensiero freudiano, assunto alla luce dell’ortodossia sino a recepire i barlumi neuropsicologici presenti nel Progetto del 1895 e poi abbandonato, la teoria delle pulsioni e la teoria trifunzionale (Es, Io, Super-io), non solo è compatibile con i dati neuroscientifici, ma addirittura si integra con essi e li illumina tanto quanto ne è illuminato. Ma questo è uno sterile esercizio ideologico: non si fa scienza con l’intento di dimostrare ciò che si dà per scontato.

Nessuno oggi, tra che alcuni psicoanalisti ortodossi, ritiene valida la teoria delle pulsioni; nessuno ritiene che l’Es esista e sia la vera realtà psichica; nessuno pensa che l’Io sia minacciato contemporaneamente dagli istinti all’interno e dalle richieste sociali all’esterno.

Per questa via, per quanto il metodo possa essere interessante, non si va da nessuna parte.

Io non credo solo che l’integrazione tra neuroscienze e psicoanalisi sia ormai necessaria; credo che essa vada arricchita tenendo conto del contributo di tutte le scienze umane e sociali.

Non è certo colpa di Solms se egli non ha potuto tenere conto della scoperta dei neuroni specchio che, pure, all’epoca in cui ha scritto il libro, era già avvenuta. Nonostante la rapidità dei mezzi di comunicazione, la scienza europea e in particolare quella italiana, è ben poco nota all’estero.

Questa scoperta invalida, però, radicalmente il modello neuroanatomico e funzionale descritto da Solms. Il discorso sui sistemi funzionali è infinitamente interessante. Esso, però, va ripreso sulla base di diversi presupposti psicodinamici; insomma, per essere chiari, alla luce della teoria dei bisogni intrinseci. E’ quanto cercherò di fare in un articolo ulteriore.