Human Brain. Appunti su di un convegno


Per documentare le argomentazioni dell'articolo precedente, non si poteva dare occasione migliore di un ambizioso convegno che si è svolto a Roma, presso l'istituto S. Lucia dal 5 al 10 di ottobre. Convegno ambizioso non solo per la durata inconsueta e per il numero e la qualità dei partecipanti - i big internazionali delle neuroscienze -, ma soprattutto per l'intento di fondo: fare il punto sulle conoscenze accumulate sinora sul cervello umano per capire quali ulteriori prospettive esse aprono alla ricerca, alla clinica e alla terapia.

Il convegno - è bene dirlo anticipatamente - è stato dominato dalle tecniche neuroradiologiche di imaging, che permettono di visualizzare il funzionamento del cervello in vivo. Più a torto che a ragione, si ritiene che tali tecniche permetteranno di penetrare tutti i segreti del cervello. Nella realtà esse non possono fare altro che confermare una corrispondenza tra stati cerebrali, attivazione e diattivazione funzionale di alcune aree, e stati mentali (vissuti e comportamenti). Che tale corrispondenza porti a capire che cos'è la coscienza, il pensiero, la creatività, la fantasia, le emozioni è un sogno che andrà rapidamente incontro a acute delusioni, soprattutto se si insiste a pensare che le immagini parlino da sole. Suggestive e indubbiamente importanti per dissolvere residui dubbi metafisici sull'anima, esse richiedono infatti di essere interpretate e di essere raccordate al piano dell'espeirenza soggettiva. Da questo buon uso, potrebbe di sicuro discendere prospettive di ricerca estremamente interessanti.

Faccio un solo esempio. Un neurobiologo ha scoperto che lo stesso comportamento motorio avviene in virtù dell'attivazione di aree diverse a seconda che esso sia eseguito sotto comando o spontaneamente dal soggetto. La scoperta è interessante perché spiegaun vissuto di esperienza comune. Se si sta eseguendo un qualche compito e qualcuno interviene a suggerirci come procedere può capitare che l'ingiunzione, anche se coincide con ciò che si stava per fare, crei una qualche perplessità come se il cervello dovesse riprogrammarsi per decidere se agire liberamente o seguire l'istruzione. Al di là del chiarire fenomeni del genere, la scoperta potrebbe essere utilizzata anche in campo psicopatologico. Prendiamo come esempio un rituale ossessivo. La neopsichiatria lo assume come il sintomo di un livello di ansia piuttosto elevato che si scarica in un comportamento rassicurante. L'analisi porta viceversa a pensare che esso corrisponda ad un'ingiunzione inconscia che deve essere eseguita per scongiurare l'angoscia catastrofica legata all'inadempienza. Alcuni pazienti verbalizzano questo vissuto dicendo che è come se qualcuno li obbligasse ad eseguire i rituali. Altri riferiscono addirittura di sentirsi osservati mentre li eseguono. Se si potesse visualizzare l'attività del cervello nel corso dell'esecuzione di un rituale, si potrebbe avere la prova della fondatezza o meno dell'interpretazione psicodinamica. L'ipotesi più probabile è che ci si troverebbe di fronte all'attivazione di entrambe le aree in questione, e non è neppure da escludere che l'area legata al movimento volontario potrebbe risultare attivata nel momento in cui il rituale, come spesso capita, è interferito dall'opposizionismo. Si tratterebbe di un risultato straordinario. Il problema è che probabilmente nessuno affronterà una ricerca del genere partendo dal presupposto che il rituale è semplicemente il sintomo di un livello di ansia elevato che attiva meccanismi iterativi primitivi.

L'ottica miope delle neuroscienze, peraltro, si esprime anche in proposte terapeutiche piuttosto singolari. Nel corso del convegno ne è venuta fuori una che merita di essere commentata. Il prof. Volker Sturm, dell'università di Colonia, partendo dal principio per cui alcuni sintomi psichiatrici sono dovuti al meccanismo di inibizione/disinibizione dell'attività bioelettrica di alcune aree del cervello, ha messo a punto una tecnica che si chiama Deep Brain Stimulation (DBS), che consiste nell'impiantare nel cervello un elettrodo collegato ad un pacemaker programmato per emettere lievi impulsi elettrici che regolano, moderandola, l'attività bioelettrica. di un'area cerebrale. Questa tecnica il prof. Sturm l'ha adottata con cinque pazienti affetti da un'attività ossessivo-compulsiva piuttosto grave.

La logica che ha promosso la sperimentazione si rifà all'ipotesi da cui è nata la psicochirurgia, secondo la quale le ossessioni sono dall'iperattività di un circuito che agisce tra il talamo e la corteccia baso-frontale. Con le tecniche di imaging è risultato che l'inibizione del nucleo accumbens di destra bastava a moderare l'attività del circuito. In tre casi il successo è stato, a detta del prof. Sturm, completo. Nel quarto caso non si è ottenuto alcun risultato, ma per via del fatto che l'elettrodo era finito fuori posto. In un quinto caso, che riguardava un paziente affetto anche da schizofrenia, il pacemaker è stato spento in conseguenza di una reazione "paranoica" del paziente che sentiva di venire influenzato dal corpo estraneo.

Tranne il particolare (una caduta di stile) di definire paranoico il vissuto di un paziente che ha di fatto nel cervello un corpo estraneo che lo influenza, sia pure a fin di bene, i risultati della sperimentazione sono dunque confortanti e, come sempre accade in psichiatria, già si pensa di applicare il DBS ad altre patologie.

Che dire a riguardo? Che si fa al solito una grande confusione, identificando nei sintomi la malattia, vale a dire nell'attivazione delle aree cerebrali la causa prima degli stati mentali.

I circuiti in questione che vengono disattivati connettono, attraverso il talamo, i centri emozionali ad un'area corticale associativa, dotata, come noto, di poteri sia cognitivi che emozionali. L'inibizione del circuito incide sui sintomi nella misura in cui essi comportano una valenza cognitiva, cioè l'intepretazione che il paziente dà di turbolenze emozionali che affiorano alla coscienza. L'inibizione del nucleo accumbens, che è un mediatore della vita emozionale profonda, non significa affatto che i centri emozionali siano disattivati. Si realizza, in breve, lo stesso effetto che, in altre situazioni, viene prodotto dagli psicofarmaci: il contenimento e la repressione dei sintomi. L'apertura del circuito riverberante, persistendo la turbolenza dei centri emozionali legata all'attività dei conflitti psicodinamici, può dare luogo eccezionalmente ad effetti risolutivi. Il problema sta nel vedere quanto essi durano nel tempo, e se, persistendo l'effetto sui sintomi originari, i conflitti non trovino un altro modo per esprimersi. C'è da augurarlo ai pazienti, ma sembra piuttosto improbabile.

Al di là di questo, c'è da chiedersi quanti pazienti saranno disposti a farsi impiantare un elettrodo con il pacemaker nel cervello. presumibilmente pochi. Il prof. Sturm si è impegnato a convincere il paziente paranoico ad accettare la riattivazione del pacemaker. E' probabile che fallirà. Nella loro follia, gli schizofrenici sono sempre più acuti degli psichiatri. Il loro dramma è che di "corpi estranei" nella testa ne hanno già troppi per poterne accettare altri.

Se queste sono le prospettive terapeutiche che derivano dalle conoscenze neuroscientifiche, il futuro non appare confortante.

ottobre 2002