Gerald M. Edelman G. Tonioli

Un universo di coscienza

Einaudi, Torino 2000

1.

Gerald Maurice Edelman, nato a New York nel 1929, è uno scienziato singolare. Conseguito il dottorato in biochimica nel 1960, si è dedicato all’immunologia producendo una serie di ricerche che lo hanno portato a conseguire il premio Nobel per la medicina nel 1972. Molti altri scienziati si sarebbero adagiati sugli allori. Edelman, invece, ha lanciato una sfida a se stesso impegnandosi a tempo pieno nella ricerca sul cervello con l’intento, delineato sin dalla prima opera (Neuronismo darwiniano del 1987), di elaborare una teoria materialistica della coscienza.

Il passaggio dall’immunologia alla neurobiologia non è stato casuale.

Il sistema immunitario, come noto, è deputato a promuovere la produzione di anticorpi atti a contrastare e debellare organismi estranei (batteri e virus) potenzialmente nocivi. A tale fine, esso è dotato della capacità di distinguere tra Sé (molecole che fanno parte del corpo) e non-Sé (molecole estranee). Implica insomma il “riconoscimento” dell’individualità biologica e la distinzione tra organismo e mondo esterno.

All’epoca in cui Edelman si dedica all’immunologia, esistono due ipotesi sulla produzione anticorpale. L’ipotesi istruttiva considera l'anticorpo capace di prelevare informazioni dall'antigene e di riprodursi di conseguenza. L’ipotesi selettiva, viceversa, postula l’esistenza sulle cellule del sistema immunitario di un numero indefinito di anticorpi. Laddove l’antigene si lega ad un anticorpo che ha una corrispondenza sufficiente, la cellula portatrice di quell'anticorpo viene stimolata a dividersi con maggior frequenza: viene insomma selezionata. Come risultato finale si ha un numero molto più elevato di cellule di quel tipo specifico, in grado di attaccare gli invasori fino alla loro eliminazione.

Edelman ha dimostrato la validità della teoria selettiva, confermando dunque che i principi darwiniani possono essere applicati anche ad una popolazione di cellule. Da qui a pensare che essi potessero valere anche per i neuroni il passo è stato breve. Egli ha, dunque, trasferito i concetti elaborati durante i suoi studi del sistema immunitario a quello dello sviluppo del cervello, nel tentativo di costruire un modello dettagliato delle strutture e dei processi che sono alla base delle nostre facoltà cognitive. E’ nato così il darwinismo neuronale (o TSGN, Teoria della Selezione dei gruppi neuronali), che Edelman ritiene fondamentale ai fini di elaborare una teoria globale della coscienza.

Il saggio in questione, tra i più impegnativi tra quelli pubblicati sinora, è a riguardo esplicito fin dall’Introduzione:

“In questo libro [---] svilupperemo degli strumenti per rispondere alle domande che seguono:

1. Come emerge la coscienza, intesa come risultato di particolari processi neurali e delle interazioni tra cervello, corpo e mondo?

2. Questi processi neurali come spiegano le proprietà cardinali dell'esperienza cosciente? Ogni stato di coscienza è intero e indivisibile, eppure al contempo ogni persona può scegliere tra un immenso numero di differenti stati di coscienza.

3. Come possiamo comprendere i differenti stati soggettivi, i cosiddetti qualia - in termini neurali?

4. Come può la nostra comprensione della coscienza aiutarci a collegare le descrizioni strettamente scientifiche al più ampio dominio del sapere e dell'esperienza umana?” (p. IX)

Tutte le domande sono particolarmente impegnative, ma è fuor di dubbio che quella che pone più problemi è la terza. I qualia, infatti, vale a dire gli stati soggettivi che consentono ad un individuo di sapere di esserci e di avere una “sua” esperienza, sono, secondo i filosofi, aspetti irriducibili alla neuroscienza. Edelman è consapevole dell’entità del problema, ma rifiuta lo scetticismo dei filosofi:

“Descrivere i meccanismi neurali che danno luogo alla coscienza, dimostrare come le sue proprietà generali emergono dalle proprietà del cervello quale sistema complesso, analizzare le origini degli stati soggettivi, o qualia, e mostrare come il coronamento di tutti questi sforzi possa mutare la nostra concezione dell'osservatore scientifico, e con essa posizioni filosofiche da lungo tempo difese, è naturalmente compito di prim'ordine, e nel breve respiro di questo volume dovremo tralasciare molti temi interessanti. Potremo però disegnare il profilo generale di una soluzione al problema della coscienza dedicando particolare attenzione ai quattro interrogativi da cui ci siamo mossi. Le risposte saranno fondate sull'ipotesi che la coscienza nasce all'interno dell'ordine materiale di organismi particolari. Noi però empaticamente non identificheremo la coscienza, in tutto il suo spettro, come avesse una pura e semplice origine cerebrale. Crediamo infatti che le funzioni cerebrali superiori richiedano l'interazione con il mondo e con il prossimo.” (pp. IX -X)

Dato che in tutto il saggio quest'ultimo aspetto - il ruolo dell'intersoggettività e della socialità nella maturazione delle funzioni psichiche - non viene piùripreso, è evidente che l’intento di Edelman non è quello di formulare una teoria a tutto campo della mente, che spieghi e interpreti i suoi contenuti, ma di dimostrare che la coscienza fenomenica, vale a dire l’emergere dell’autoconsapevolezza, può essere spiegata in termini neurobiologici. A tale fine, egli ritiene che basta capire che cosa avviene dentro il cervello. Questo presupposto è il limite del saggio, che ora occorre analizzare nella sua struttura concettuale.

2.

Le domande enunciate all’inizio sono specificate nelle prima pagine in questi termini:

“Per quale misteriosa trasformazione l'attività di neuroni situati in una particolare sede del cervello o dotati di una particolare proprietà biochimica, dovrebbe diventare esperienza soggettiva, mentre l'attività di altri neuroni non lo fa?” (p. 13)

“Più in generale, perché una mera sede cerebrale, o il possesso di un determinato carattere anatomico o biochimico, dovrebbero rendere l'attività di determinati neuroni privilegiata al punto da infondere repentinamente nel possessore di quel cervello il sapore dell'esperienza soggettiva, con quelle proprietà elusive che i filosofi definiscono qualia? E questo il problema centrale dell'esperienza cosciente.” (p. 22)

“Sappiamo che cosa si provi a essere noi stessi; ci piacerebbe però spiegare perché siamo coscienti in senso lato, perché esiste «qualcosa» che ha la sensazione di essere noi, spiegare come vengono generate le qualità soggettive, esperienziali. In parole povere, desideriamo spiegare il cogito ergo sum che Cartesio pose come prima incontrovertibile certezza su cui edificare ogni filosofia.” (p. 14)

Per rispondere a tali ardui quesiti, Edelman tenta anzitutto di definire le caratteristiche generali comuni a tutti i fenomeni della coscienza, che sono la privatezza, l’unità e la coerenza:

“Di necessità, in un essere umano adulto il privato diventa personale e il meramente soggettivo diventa un soggetto reale. E quasi impossibile per noi, nella nostra umanità, invertire o persino contemplare uno stato di coscienza che sia completamente libero dal sé. In altre parole, noi siamo agenti, consapevoli di essere consapevoli, e consapevoli che stiamo prendendo decisioni basate sulla nostra storia e sui nostri progetti.

Come ha riconosciuto Sherrington, la natura privata degli eventi coscienti è strettamente accoppiata alla loro unità o alla loro integrazione. Dire che uno stato cosciente è unitario e integrato significa solo che l'esperienza cosciente intera è sempre maggiore della somma delle sue parti. Essere in un particolare stato di coscienza, che si provi una sensazione pura di calore, una vivace e variopinta visione di una folla tumultuante, la più profonda delle elucubrazioni intellettuali o il più improbabile dei sogni, è pur sempre informazione integrata in un tutto coerente, unitario, maggiore della somma delle sue parti.

Possiamo esprimere questo concetto altrimenti: un particolare stato di coscienza è un insieme di relazioni strettamente intrecciate che non si possono del tutto scomporre nelle singole parti.” (28)

“I nostri stati di coscienza non solo sono unificati, ma sono al loro interno coerenti, nel senso che la presenza di un preciso stato percettivo preclude la simultanea presenza di un secondo stato.” (p. 29)

“Se una proprietà fondamentale dell'esperienza cosciente è il suo essere intrinsecamente privata, unitaria e coerente, - in una parola, integrata - una proprietà del pari fondamentale è […] il suo straordinario grado di differenziazione e informatività. A rendere informativo uno stato di coscienza non è il numero di «blocchi» di informazione che sembra contenere. E’ invece il fatto che la sua presenza discrimina fra miliardi di differenti situazioni, ognuna delle quali potrebbe generare differenti comportamenti...

E importante capire il senso di questa conclusione. La capacità di distinguere in un grande repertorio di possibilità costituisce informazione, nel senso puntuale di «riduzione dell'incertezza»".

Tuttavia la discriminazione cosciente rappresenta anche informazione che crea una differenza. Cioè la presenza di uno stato di coscienza può avere esiti differenti, di pensiero e d'azione, dagli esiti che potrebbero derivare da altri stati di coscienza".” (pp. 35 - 37)

Da quale parte cominciare per spiegare caratteristiche funzionali così complesse? E’ evidente che il cervello umano ha un’organizzazione diversa da quella degli altri animali. Due aspetti sono sottolineati da Edelman a riguardo:

“Il cervello presenta caratteri organizzativi e funzionali speciali, caratteri che non sembrano compatibili con la teoria che il cervello rispetti un corpo preciso di istruzioni o esegua computazioni. Sappiamo che il grado di interconnessione del cervello è tale che nessun congegno mai prodotto dall'uomo è in grado di eguagliarlo. In primo luogo, i miliardi e miliardi di connessioni di un cervello non sono esatte: alla domanda se le connessioni di due cervelli di pari dimensioni sono identiche come lo sarebbero in un computer della stessa marca, la risposta è no. Alla scala più microscopica, non esistono due cervelli identici, nemmeno nei gemelli identici. Noi possiamo si descrivere in termini generali la configurazione complessiva delle connessioni in una determinata area cerebrale, ma la variabilità microscopica del cervello nelle ramificazioni piú fini dei suoi neuroni è enorme. Per questo ogni cervello è significativamente unico. Sono osservazioni che sfidano alla radice i modelli del cervello riferiti all'istruzione o alla computazione. Lo vedremo più avanti, i dati offrono solide fondamenta alle cosiddette teorie selezioniste del cervello, alle teorie che fanno assegnamento sulla variazione per spiegare come funziona il cervello.

Vi è un altro principio organizzativo emergente dal ritratto che stiamo costruendo: ogni cervello ha impresso in sé, e in modo irripetibile, le conseguenze della propria storia di sviluppo e di esperienze. Domani, ad esempio, alcune connessioni sinaptiche del nostro cervello non saranno esattamente le stesse di oggi: alcune cellule avranno retratto i loro prolungamenti; altre ne avranno estesi di nuovi; e altre cellule poi moriranno. Tutto dipenderà dalla storia particolare di quel cervello. La variabilità individuale che ne deriva non è solo rumore o errore, ma può influenzare il modo in cui ricordiamo cose ed eventi. Come vedremo, la variabilità è anche un elemento essenziale per il controllo della capacità del cervello di rispondere e di accoppiarsi alle innumerevoli scene imprevedibili che potranno verificarsi in futuro. Oggi come oggi non esiste alcuna macchina che mostri progettualmente una tale varietà individuale, anche se verrà certamente il giorno in cui costruiremo congegni in tutto e per tutto simili al cervello.” (p. 57)

Al di là di questi aspetti, ce n’è un altro, scoperto e valorizzato da Edelman, che gli ritiene massimamente importante:

“Il carattere speciale più sorprendente del cervello dei vertebrati superiori è la manifestazione di un processo, che abbiamo definito rientro. Il rientro […] dipende da cicli di segnalazione nella trama talamocorticale e in altre reti già menzionate. Si tratta di uno scambio in atto, ricorsivo, di segnali in parallelo tra aree cerebrali reciprocamente connesse, uno scambio che coordina incessantemente nello spazio e nel tempo le attività delle loro mappe. Il rientro, a differenza della retroazione, implica molte vie in parallelo e non possiede associata una specifica funzione istruttiva di errore. Il rientro modifica invece gli eventi selettivi e le correlazioni dei segnali tra aree, ed è essenziale per sincronizzare e coordinare le loro reciproche funzioni.

Una conseguenza sorprendente del rientro è la diffusa sincronizzazione dell'attività di gruppi differenti di neuroni attivi e distribuiti in molte differenti aree cerebrali specializzate. Questa scarica sincrona di neuroni distanti e connessi dal rientro è a fondamento dell'integrazione dei processi percettivi e motori. Quest'ultima dà luogo infine alla categorizzazione percettiva, alla capacità cioè di discriminare per scopi adattativi un oggetto o un evento da uno sfondo. Se i percorsi rientranti che connettono le aree corticali vengono scollegati, i suddetti processi integrativi ne saranno scompaginati. Come vedremo nel decimo capitolo, il rientro rende possibile l'unità, altrimenti impossibile, della percezione e del comportamento. Nel cervello infatti non esiste un elaboratore centrale come quello che hanno i computer, dalle istruzioni o dai calcoli algoritmici dettagliati e capace di coordinare aree separate in senso funzionale.

Se ci domandassero di non limitarci a ciò che è meramente speciale e di definire il carattere unico di un cervello superiore, la nostra risposta sarebbe: il rientro. Nessun altro oggetto nell'universo è così completamente caratterizzato da circuiti rientranti come il cervello dell'uomo. Seppure tale organo presenti alcune analogie con una grande entità ecologica qual è la giungla, in quest'ultima non è presente nulla che anche lontanamente assomigli al rientro. E nemmeno nei sistemi di comunicazione umana: i sistemi rientranti del cervello sono massicciamente paralleli, in un grado che le nostre reti di comunicazione non conoscono. Inoltre, le reti di comunicazione sono in ogni caso dissimili dal cervello, trattando segnali già codificati e, nella maggior parte dei casi, non ambigui.

Considerato che il rientro possiede una natura dinamica e in parallelo ed è un processo selettivo di ordine superiore, non è facile proporre una metafora che ne colga tutte le proprietà. Proviamo con la seguente: immaginiamo un quartetto d'archi un po' particolare (e anche un po' bizzarro) dove ogni musicista risponde per improvvisazione alle proprie idee e ai propri segnali, e a tutti i segnali sensoriali nell'ambiente. Non essendovi partitura, ogni musicista creerebbe il proprio motivo caratteristico che, da principio, non sarebbe coordinato a quello degli altri musicisti. Immaginiamo ora che i corpi dei musicisti siano collegati da miriadi di fili sottili cosicché le loro azioni e movimenti siano rapidamente trasmessi avanti e indietro attraverso segnali della variazione di tensione dei fili, che agiscono simultaneamente per sincronizzare le azioni di ognuno di loro. I segnali che istantaneamente collegano i quattro esecutori correlerebbero i loro suoni; emergerebbero dunque nuovi suoni più coerenti e integrati rispetto ai tentativi dei vari musicisti, altrimenti indipendenti. Questo processo correlativo modificherebbe anche il gesto successivo di ogni musicista. In tal modo il processo verrebbe ripetuto, ma con nuovi motivi emergenti, sempre più correlati. Benché nessun direttore istruirebbe o coordinerebbe il gruppo, e ogni musicista conserverebbe il proprio stile e il proprio ruolo, le loro produzioni generali sarebbero pii integrate e coordinate. Ne scaturirebbe una musica mutuamente coerente, che l'esecuzione in assolo di ciascuno sarebbe incapace di produrre.” (p. 58)

Occorre riconoscere che la metafora è molto suggestiva. Essa viene esplicitata scientificamente nei seguenti termini:

“1) i processi neuronali sottesi all'esperienza cosciente coinvolgono gruppi di neuroni ampiamente distribuiti; 2) questi gruppi distribuiti di neuroni sono coinvolti in forti e rapide interazioni rientranti; e 3) affinché si manifesti la coscienza, tali gruppi neuronali rapidamente interattivi devono poter effettuare una selezione tra un numero sufficientemente ampio di andamenti di attività distinti.” (p. 62)

La coscienza, dunque, affiorerebbe come espressione di una selezione operata da gruppi neuronali ampiamente distribuiti che fa percepire uno stato di attività sullo sfondo di altri stati che rimangono inconsci:

“Gran parte della nostra vita cognitiva è il prodotto di procedure notevolmente automatizzate...

Questa pervasiva automaticità nella nostra vita di adulti indica che il controllo cosciente viene esercitato solo in alcuni snodi critici, quando bisogna effettuare una scelta definita o un piano. Nell'intermezzo vengono di continuo attivate ed eseguite procedure inconscie, cosicché la coscienza può fluttuare libera da tutti questi dettagli e procedere nel pianificare e dare un senso al grande schema delle cose. Nell'azione e nella percezione è come se solo gli ultimi livelli di controllo o di analisi fossero disponibili alla coscienza: il resto procede automaticamente” (p. 69)

La coscienza, dunque, secondo Edelman non è uno stato, ma un processo dinamico descrivibile nei seguenti termini:

“Innanzitutto, i processi coscienti sono tipicamente associati a variazioni distribuite dell'attività del sistema talamocorticale. In secondo luogo, le variazioni distribuite dell'attività neurale associate all'esperienza cosciente devono essere integrate attraverso interazioni rientranti al contempo rapide ed efficaci. Infine, le interazioni sono associate a relazioni coscienti nel caso siano notevolmente differenziate, ma non uniformi od omogenee. Queste osservazioni empiriche suggeriscono che sottesi alla coscienza vi sono processi neurali distribuiti che, attraverso interazioni rientranti, sono al contempo estremamente integrati e di continuo mutevoli, cioè notevolmente differenziati.” (p. 91)

4.

Identificare nella coscienza l'espressione di un "gioco" perpetuo e sottile di processi di integrazione e di differenziazione im pone di dare ad esso uno sfondo neuroanatomico. Nel capitolo 4, dedicato appunto a delineare un “ritratto” del cervello, Edelman tenta di sormontare la tradizionale descrizione di centri corticali e sottocorticali identificando tre principali organizzazioni topologiche, che “sembrano essenziali per capirne il funzionamento globale” (p.50):

“La prima struttura è una grande trama tridimensionale - l'insieme di circuiti separato, eppure integrato, che costituisce il cosiddetto sistema talamocorticale. Il sistema è composto da una struttura localizzata nel cervello profondo - il talamo - che riceve segnali sensoriali e di altra natura. Il talamo è reciprocamente connesso alla lamina circonconvoluta che ricopre la superficie del cervello, la corteccia cerebrale. La lamina è composta da sei strati, ognuno dei quali invia e riceve insiemi specifici di segnali.

La corteccia e il talamo sono tradizionalmente suddivisi in un gran numero di aree funzionalmente separate. Lo si riscontra in molte scale spaziali differenti: la parte posteriore del sistema talamocorticale, per esempio, è implicata essenzialmente nella percezione, mentre la parte anteriore è specializzata nell'azione e nella pianificazione. La maggior parte di queste aree corticali è assemblata in forma di mappe: neuroni confinanti di un'area si connetteranno a neuroni limitrofi di un'altra area. Le differenti aree corticali e i rispettivi nuclei talamici sono anch'essi specializzati: determinate aree elaboreranno stimoli visivi, altre stimoli uditivi e altre ancora stimoli tattili. Inoltre, nel sistema visivo aree differenti elaborano differenti sottomodalità: alcune la forma visiva, altre il colore, altre ancora il movimento, e così via. All'interno di ciascuna area, gruppi differenti di neuroni si occupano preferenzialmente di aspetti specifici di uno stimolo: per esempio gruppi confinanti di neuroni possono occuparsi delle differenti orientazioni di uno stimolo visivo.

La separatezza anatomica è tuttavia solo una metà della storia. La seconda metà è l'integrazione anatomica: la maggior parte di questi gruppi di neuroni sono reciprocamente connessi nel rispetto di precise configurazioni. Neuroni all'interno degli stessi gruppi in una sede sono strettamente associati, cosicché, di essi, molti risponderanno simultaneamente alla presenza di uno stimolo appropriato. I gruppi neuronali con sedi differenti, ma simili specificità, sono di preferenza connessi fra loro. Per esempio, i gruppi neuronali sensibili a spigoli verticali sono collegati da connessioni reciproche molto più strettamente dei gruppi neuronali sensibili a bordi dall'orientamento diverso. Inoltre, i gruppi neuronali sensibili a posizioni adiacenti del campo visivo sono connessi con più forza dei gruppi sensibili a posizioni fra loro distanti. In tal modo, quando un lungo profilo o una lunga linea si presentano all'occhio, questi gruppi collegati scaricheranno simultaneamente. Regole simili sembrano valere per altre aree della corteccia, non importa che siano specializzate nella percezione oppure nell'azione.

A una scala ancora superiore, le aree corticali contenenti innumerevoli gruppi neuronali sono esse stesse collegate da vie di conflessione reciproche convergenti e divergenti, vie che connettono aree disperse a un'area locale e viceversa. Tali vie da un'area a un'altra sono talvolta chiamate proiezioni. Vi sono, per esempio, almeno una trentina di aree nel sistema visivo di scimmia (e forse un numero maggiore nell'uomo). Le aree sono collegate da oltre 305 vie di connessione (alcune con milioni di fibre assonali), oltre l'8o per cento delle quali possiede fibre che decorrono in entrambe le direzioni. In altre parole, la maggior parte delle differenti aree funzionalmente separate sono reciprocamente connesse. Queste vie reciproche sono tra i sistemi d'elezione per integrare funzioni cerebrali distribuite. Sono il principale fondamento strutturale del rientro, un processo di segnalazione anterogrado e retrogrado lungo connessioni reciproche che è la chiave per risolvere un problema: come integrare le diverse proprietà funzionalmente separate delle aree cerebrali pur in assenza di un'area centrale coordinatrice?

Con uno sforzo d'immaginazione possiamo dunque dare forma al seguente ritratto dell'organizzazione talamocorticale: esistono centinaia di aree talamocorticali specializzate per funzione, e ciascuna contiene decine di migliaia di gruppi neuronali: alcune sono specializzate nella risposta agli stimoli; altre nella pianificazione ed esecuzione delle azioni; altre ancora nella risposta a stimoli visivi, a stimoli uditivi, oppure specializzate nei dettagli dei segnali in arrivo e delle sue proprietà invarianti o astratte. Questi milioni di gruppi neuronali sono collegati da un immenso insieme di connessioni reciproche, convergenti o divergenti, e rimangono coesi in un'unica stretta trama pur conservando la loro specificità funzionale locale. Il risultato è una matassa tridimensionale, che sembra quantomeno giustificare questa affermazione: qualsiasi perturbazione in una parte della trama può essere percepita rapidamente in ogni altra parte. Nel complesso, l'organizzazione della trama talamocorticale sembra ritagliata su misura per integrare numerosi specialisti in una risposta unificata.

La seconda organizzazione topologica non è affatto organizzata come una trama, ma come un complesso di catene unidirezionali in parallelo che collegano la corteccia a un insieme di sue appendici, ciascuna dalla struttura caratteristica: il cervelletto, i gangli della base e l'ippocampo. Il cervelletto è una bella struttura, situata nella parte posteriore del cervello. E' organizzato per sottili microzone parallele, molte delle quali ricevono connessioni dalla corteccia, che, dopo alcuni passi sinaptici, proiettano di ritorno al talamo e, attraversatolo, alla corteccia.

Tradizionalmente, il cervelletto è considerato uno specialista nella coordinazione e sincronizzazione del movimento, benché sembri sostanziale il suo coinvolgimento in alcuni aspetti del pensiero e del linguaggio. Un'altra appendice della corteccia, definita nel complesso col nome di gangli della base, consiste di un insieme di grossi nuclei situati nelle parti profonde del cervello. Tali strutture ricevono connessioni da gran parte della corteccia, vanno incontro a una serie successiva di passi sinaptici e proiettano poi al talamo e di qui, di ritorno, alla corteccia. Sono nuclei implicati nella pianificazione ed esecuzione di complessi atti motori e cognitivi e la loro funzione è alterata nel morbo di Parkinson e nella malattia di Huntington.

Un ulteriore tema strutturale si manifesta in una terza appendice della corteccia, l'ippocampo, una struttura oblunga che decorre lungo il margine inferiore della corteccia temporale del cervello. Segnali in ingresso da molte differenti aree corticali vengono qui canalizzati; l'ippocampo li elaborerà lungo una serie di passi sinaptici e invierà di ritorno proiezioni a molte di quelle stesse aree corticali. Tale struttura è coinvolta probabilmente in molte funzioni, ma di certo svolge un ruolo primario nel consolidare, a livello della corteccia cerebrale, la memoria a breve termine in memoria a lungo termine.

Benché le modalità specifiche con cui queste differenti appendici corticali interagiscono con la corteccia siano di importanza centrale, sembrano tutte condividere una modalità organizzativa fondamentale (in special modo il cervelletto e i gangli della base): lunghe vie in parallelo che coinvolgono più sinapsi abbandonano la corteccia cerebrale e raggiungono stazioni sinaptiche successive all'interno delle appendici stesse; alla fine, che attraversino il talamo oppure no, ritornano alla corteccia. Questa architettura seriale polisinaptica differisce radicalmente dall'architettura del sistema talamocorticale: le connessioni sono in generale unidirezionali e non reciproche, formano lunghi anelli, e relativamente poche sono le interazioni orizzontali tra circuiti differenti, con la possibile eccezione dei circuiti responsabili dell'inibizione laterale, un fenomeno locale. In breve, questi sistemi sono ritagliati in modo mirabile per eseguire una varietà di complicate procedure motorie e cognitive, la maggior parte quanto mai isolate l'una dall'altra in senso funzionale. E' un carattere che garantisce velocità e precisione nella loro esecuzione.

Esiste infine un terzo tipo di organizzazione topologica, che non assomiglia né a una trama né a un insieme di catene in parallelo, bensì a un insieme diffuso di connessioni, che ricorda la figura di un grande ventaglio. Il ventaglio ha origine in un numero relativamente modesto di neuroni concentrati in specifici nuclei del tronco cerebrale e dell'ipotalamo. Tali nuclei possiedono nomi tecnici suadenti e altisonanti, che si richiamano alla sostanza rilasciata: il locus coeruleus noradrenergico, il nucleo del rafe serotoninergico, i nuclei dopaminergici, i nuclei colinergici, e i nuclei istaminergici. Tutti proiettano diffusamente verso porzioni molto ampie del cervello, per non dire ovunque. Il locus coeruleus, per esempio, consiste in appena poche migliaia di neuroni situati nel tronco cerebrale, ma invia una vasta e diffusa «rete capillare» di fibre che copre per intero la corteccia, l'ippocampo, i gangli della base, il cervelletto e il midollo spinale. Con tali mezzi ha potenziali effetti su miliardi di sinapsi. I neuroni inclusi in questi nuclei sembrano attivarsi ogniqualvolta accade qualcosa di importante o di saliente: un rumore forte, un lampo di luce o un dolore improvviso. La loro attivazione determina il rilascio diffuso nel cervello di sostanze chimiche - i neuromodulatori - che influenzano l'attività e la plasticità neurali: fanno cioè variare la forza delle sinapsi dei circuiti neurali, producendo risposte adattative. In considerazione delle loro peculiari proprietà anatomiche, delle loro caratteristiche di attivazione, dei loro effetti sui neuroni e sulle sinapsi bersaglio, e delle loro origini evolutive, li abbiamo definiti collettivamente sistemi di valore.

Benché siano sistemi che da tempo attirano l'attenzione di neurobiologi e farmacologi, storicamente vi è stato poco accordo sulla loro funzione. Certa è la loro estrema importanza quale bersaglio del trattamento con farmaci nelle malattie e negli squilibri della mente: le sedi principali d'azione dei moderni farmaci per il trattamento delle malattie mentali includono proprio cellule di questi gruppi.

Modeste alterazioni della loro attività farmacologica possono avere drastici effetti sulla attività generale della mente. Come approfondiremo nel settimo capitolo, tali sistemi di valore sembrano ritagliati alla perfezione per segnalare la presenza di eventi salienti al cervello intero, modificando la forza di miliardi di sinapsi.” (pp. 50 - 56)

E’ evidente che i sistemi definiti di valore da Edelman si intrecciano con la regolazione automatica delle funzioni organismiche e con la sfera delle emozioni. Il ventaglio di tali sistemi, che coinvolge tutto il cervello, implica una particolare importanza funzionale. La valorizzazione di questo aspetto risulta, però, nel saggio, come vedremo, alquanto carente.

5.

L’organizzazione del cervello, che comporta la possibilità che nell’uomo si definisca l’autoconsapevolezza, dipende, secondo Edelman, dal darwinismo neuronale che va considerato in tre diversi aspetti:

“1. La selezione nello sviluppo. Durante le fasi precoci dello sviluppo degli individui di una specie, la formazione dell'anatomia del cervello è certamente vincolata dai geni e dall'eredità. Tuttavia, dalle prime fasi dello sviluppo embrionale, lo schema di connessioni a livello delle sinapsi viene stabilito, in gran parte, dalla selezione somatica durante lo sviluppo di ogni individuo. Per esempio, nel corso dello sviluppo i neuroni estendono miriadi di processi, che si ramificano in molte direzioni. La ramificazione dà luogo a un'ampia variabilità nei modelli di connessione dell'individuo creando un repertorio vario e immenso di circuiti neurali. A quel punto, i neuroni rafforzeranno e indeboliranno le proprie connessioni in funzione dell'andamento della loro attività elettrica: i neuroni che scaricheranno insieme si cableranno congiuntamente. Il risultato sarà che i neuroni di un dato gruppo saranno più strettamente connessi fra loro di quanto non lo siano con i neuroni di altri gruppi.

2. La selezione con l'esperienza. In sovrapposizione a questo periodo precoce, ed estendendosi per il resto della vita, si manifesta un processo di selezione sinaptica all'interno dei repertori dei gruppi neuronali, che è il risultato dell'esperienza comportamentale. Sappiamo, per esempio, che le mappe del cervello corrispondenti ai segnali tattili in arrivo dalle dita possono modificare i propri confini, e che ciò dipende dal numero di differenti dita usate. I cambiamenti si verificano poiché determinate sinapsi all'interno e tra gruppi di neuroni accoppiati localmente si rinforzano e altre si indeboliscono, senza che si alteri l'anatomia. Questo processo selettivo è vincolato a segnali cerebrali che scaturiscono dall'attività di sistemi di valore a proiezioni aspecifiche, un vincolo continuamente modificato da segnali efficaci in uscita.

3. Il rientro. La correlazione di eventi selettivi attraverso le diverse mappe del cervello è il risultato di un processo dinamico, chiamato rientro. Esso consente a un animale dal sistema nervoso variabile e unico di scomporre un mondo, che è privo di etichette, in oggetti ed eventi pur in assenza di un homunculus o di un programma analogo a quelli dei computer. […] Il rientro favorisce la sincronizzazione dell'attività dei gruppi neuronali appartenenti a mappe cerebrali differenti, collegandoli in circuiti che emettono segnali in uscita coerenti in senso temporale. Il rientro è perciò il meccanismo centrale per consentire la coordinazione spaziotemporale dei diversi eventi sensoriali e motori.

I primi due principi, la selezione nel corso dello sviluppo e la selezione con l'esperienza, sono a fondamento della grande variabilità e differenziamento degli stati neurali distribuiti che si accompagnano alla coscienza. Il terzo principio, il rientro, permette di integrare questi stati, ed è di particolare importanza comprendere la centralità del suo ruolo per costruire un modello della coscienza. Esso perciò richiederà alcune ulteriori elaborazioni.

Una precondizione anatomica perché si abbia il rientro è uno schema di connessioni reciproco e massicciamente in parallelo tra aree cerebrali. Benché sia comune la reciprocità tra due mappe differenti collocate ai due terminali di molteplici fibre in parallelo […] esistono molte configurazioni più complicate. Il numero di possibili configurazioni geometriche e topologiche in un sistema di questo tipo è enorme. Se consideriamo le possibilità combinatorie della selezione rientrante attraverso tali configurazioni, pur ammettendo l'azione di numerosi vincoli neuroanatomici, allora iniziamo a cogliere il notevole potere della neuroanatomia in un sistema selettivo. Una giungla o una catena alimentare, analogamente al cervello, presentano molti livelli e vie per il passaggio dei segnali, ma nulla che corrisponda alla neuroanatomia rientrante. Se ci domandassero infatti quale peculiarità del cervello superiore spicca rispetto a ogni altro oggetto o sistema conosciuto, la nostra risposta sarebbe «l'organizzazione rientrante». Si consideri che, seppure le complesse reti informatiche ad ampia distribuzione inizino a condividere alcune proprietà dei sistemi rientranti, tali reti si affidano sostanzialmente a codici e, in questo distinguendosi dalle reti cerebrali, sono istruttive e non selettive.

E' importante sottolineare che il rientro non è identico alla retroazione. Quest'ultima avviene lungo un singolo anello fisso costituito da connessioni reciproche che usano, per il controllo e la correzione, una informazione previa, come ad esempio un segnale d'errore, derivata per via istruttiva. Il rientro, viceversa, si manifesta nei sistemi selettivi lungo molteplici vie in parallelo dove l'informazione non è specificata a priori. Esso però, analogamente alla retroazione, può essere locale (interno a una mappa) o globale (tra mappe e tra intere regioni).

Il rientro svolge diverse funzioni principali. Per esempio può spiegare la nostra capacità di distinguere una forma all'interno di uno schermo di punti in movimento, basata sulle interazioni tra le aree cerebrali visive specializzate per la forma e per il movimento. Il rientro può dunque costruire risposte dotate di nuove proprietà, ma può anche mediare la sintesi di funzioni cerebrali collegando una sottomodalità - il colore, ad esempio - a una seconda sottomodalità - come il movimento - e può risolvere conflitti tra segnali neurali in competizione. Tale meccanismo assicura inoltre che variazioni nell'efficacia delle sinapsi in un'area siano influenzate da configurazioni di attivazione di aree distanti, rendendo perciò le variazioni sinaptiche locali dipendenti dal contesto. Infine, garantendo la correlazione spaziotemporale delle scariche neuronali, il rientro è il meccanismo d'elezione perché avvenga l'integrazione neurale.” (p. 100)

Il rientro dunque svolge un ruolo centrale nella teoria di Edelman. Per spiegare i fenomeni coscienti, occorre tenere conto di altri sue aspetti: la degenerazione e i “valori”.

Sulla degenerazione Edelman scrive:

“Tutti i sistemi selettivi condividono una notevole proprietà, al contempo unica ed essenziale per il loro funzionamento. In tali sistemi esistono di regola molti differenti modi, non necessariamente identici in senso strutturale, mediante i quali si può manifestare un segnale in uscita. Definiamo questa proprietà degenerazione...

In parole povere, la degenerazione si riflette nella capacità di componenti differenti per struttura di produrre risultati o segnali in uscita simili. In un sistema nervoso selettivo, con il suo enorme repertorio di circuiti neurali varianti anche all'interno di una stessa area cerebrale, la degenerazione è inevitabile. Senza di essa un sistema selettivo, per quanto ricco in variabilità, non funzionerebbe: in una specie vivente le mutazioni sarebbero quasi sempre letali; in un sistema immunitario, pochissime forme varianti di anticorpi funzionerebbero; e nel cervello, se fosse disponibile un unico percorso a rete, il traffico dei segnali si intaserebbe. La degenerazione può operare a un solo, oppure a molti livelli di organizzazione. La si osserva nelle reti genetiche, nel sistema immunitario, nel cervello, e nell'evoluzione stessa. Per esempio, combinazioni di geni differenti possono determinare la stessa struttura, anticorpi dalle strutture differenti possono riconoscere con pari efficacia la stessa molecola estranea, e forme viventi differenti possono evolversi per essere adattate egualmente bene a uno specifico ambiente.

Gli esempi di degenerazione nel cervello sono innumerevoli. La complessa trama di connessioni nel sistema talamocorticale fa sì che numerosi gruppi neuronali differenti possano influire similmente, in un modo o nell'altro, sui segnali in uscita prodotti da un particolare sottoinsieme di neuroni. Per esempio, molti circuiti cerebrali differenti possono dare luogo agli stessi segnali motori o alla stessa azione...

La degenerazione non è solo un carattere utile dei sistemi selettivi, è anche una loro conseguenza inevitabile. La pressione selettiva dell'evoluzione agisce di regola sugli individui alla fine di una lunga serie di eventi complessi, che coinvolgono molti elementi interattivi in molteplici scale temporali e spaziali. E improbabile che si possano assegnare con precisione funzioni ben definite a sottoinsiemi indipendenti di elementi, o processi, nelle reti biologiche. Per esempio, se si determina una selezione che favorisce la nostra capacità di camminare in un modo particolare, le connessioni all'interno e tra molte differenti strutture cerebrali, e tra esse e l'apparato muscoloscheletrico, tenderanno nel tempo a essere modificate tutte quante. E con la locomozione, molte altre funzioni, compresa la nostra capacità di stare in piedi o di saltare, saranno influenzate. Sarà il risultato della degenerazione dei circuiti neurali. La capacità della selezione naturale di dare vita a un gran numero di strutture non-identiche, ma dalle funzioni simili, accresce la robustezza delle reti biologiche e la loro adattabilità a eventi imprevisti.” (p. 102

Più importante ancora della degenerazione è il concetto di valore, che associa il presente al passato:.

“La degenerazione, efficace com'è nel fornire vie alternative per una specifica funzione, non può stabilire dei vincoli per un sistema selettivo; anzi è un allentamento dei vincoli. Se è così, come può un sistema selettivo raggiungere i suoi obiettivi senza istruzioni specifiche? Avviene che i vincoli necessari, o valori, derivano da varie strutture fenotipiche e da circuiti neurali selezionati nel corso dell'evoluzione. Definiamo valori gli aspetti fenotipici di un organismo selezionati nel corso dell'evoluzione e che vincolano gli eventi selettivi somatici, come le variazioni sinaptiche che si verificano nello sviluppo del cervello e con l'esperienza...

All'interno di una specie i valori forniscono dunque un fondamento per sviluppare e perfezionare la categorizzazione e l'azione basate sul cervello...

Il concetto di valore così come l'abbiamo descritto presenta due limiti. Il primo è che anche un conglomerato di valori «morfologici» ereditati dal fenotipo (come il pollice opponibile o i tipi differenti di articolazioni) può non essere abbastanza specifico da guidare il comportamento neurale (la categorizzazione percettiva, per esempio). Il secondo limite è che parametri dei valori evolutivamente definiti, prefissati, possono essere in sé troppo rigidi per guidare un comportamento sufficientemente ricco quando l'animale incontrerà richieste impreviste dell'ambiente.

Il primo limite sembra essere stato superato con l'evoluzione di speciali centri neurali, che abbiamo menzionato nel quarto capitolo a proposito dell'anatomia del cervello. Nei vertebrati superiori sembra essersi evoluta una serie di sistemi di valore neurali a proiezioni aspecifiche, capaci di inviare di continuo segnali ai neuroni e alle sinapsi in tutto il cervello. Tali segnali veicolano informazioni sullo stato comportamentale dell'organismo (di sonno, di veglia, esplorativo, di pulizia e via dicendo), oppure l'improvvisa comparsa di eventi salienti per l'organismo nel suo complesso (inclusi, per esempio, nuovi stimoli, stimoli dolorosi e ricompense). Questi sistemi, la cui importanza supera enormemente la proporzione di spazio cerebrale da essi occupato, comprendono i nuclei noradrenergici, serotoninergici, colinergici, dopaminergici e istaminergici. Si tratta in ciascun caso di gruppi di cellule piccoli e compatti, dove ognuno invia proiezioni aspecifiche a una consistente porzione del cervello. E il caso del locus coeruleus, costituito da appena poche migliaia di neuroni situati nel tronco cerebrale. Questi neuroni originano una vasta trama di assoni che va a ricoprire la corteccia, l'ippocampo, i gangli della base, il cervelletto e il midollo spinale, influenzando potenzialmente la trasmissione verso miliardi di sinapsi a tutti i livelli del sistema nervoso

I neuroni di alcuni nuclei dei sistemi di valore scaricano in modo continuo, o tonico, quando un animale è sveglio e si disattivano quando l'animale si addormenta. I neuroni dei sistemi di valore danno sovente origine a scariche a raffica ogniqualvolta per l’animale accade qualcosa di importante o saliente. I neuroni del locus coeruleus, ad esempio, scaricano ogni volta che l'animale entra in un nuovo ambiente o accade qualcosa di inaspettato. Attivandosi, rilasciano un neuromodulatore - in questo caso noradrenalina - verso la maggior parte, se non tutte, le regioni del cervello. La noradrenalina e i neuromodulatori rilasciati da differenti sistemi di valore possono dunque modificare l'attività di un gran numero di neuroni bersaglio. Essi possono altresì modificare la probabilità che le sinapsi si rinforzino o si indeboliscano in risposta all'attività neurale. In questo modo, i sistemi di valore sono perfettamente calibrati per segnalare all'intero cervello la presenza di eventi importanti...

Il secondo limite potenziale del concetto di valore - un insieme troppo rigido di vincoli di valore evolutivi che producono un repertorio modesto di risposte stereotipate in un sistema selettivo - è superabile evolvendo sistemi di valore modificabili. Prevediamo, per esempio, la scoperta di connessioni che consentono alle risposte dei sistemi di valore ascendenti medesimi di essere modificate dall'apprendimento...

Una possibilità stimolante è che i diversi sistemi di valore del cervello funzionino di concerto influendo sull'attività del cervello per interazione combinatoria, rilasciando simultaneamente proporzioni variabili dei loro differenti neuromodulatori...” (pp. 105 - 108)

“Il valore è un segno di sistemi selettivi annidati: un risultato della selezione naturale che produce alterazioni nel fenotipo che possono servire da vincoli sulla selezione somatica in atto nel sistema nervoso di un individuo. A differenza dell'evoluzione, la selezione somatica può far fronte agli eventi di ambienti ricchi e imprevedibili - persino in ambienti sconosciuti - consentendo al singolo animale di categorizzare loro tratti critici in breve tempo. Sottolineiamo ancora una volta che la selezione dei gruppi neuronali può realizzare in modo coerente questa categorizzazione solo dietro i vincoli dei valori innati stabiliti dall'evoluzione. Questa nidificazione di sistemi ha una sua bellezza, poiché garantisce la sopravvivenza delle specie viventi nei termini di quello che possiamo definire il loro pregiudizio necessario - richiesto per sopravvivere dietro il controllo comportamentale di un cervello selettivo.” (p. 110)

6.

Il valore connette il presente alle memorie filogenetiche. Ma che ruolo svolgono le memorie ontogenetiche, individuali nell’organizzazione della coscienza? La risposta di Edelman ha una notevole originalità:

“l problema che deve affrontare il cervello è che i segnali provenienti dal mondo in genere non rappresentano un input codificato. Tutt'altro. I segnali sono potenzialmente ambigui, dipendono dal contesto e non sono necessariamente arricchiti da giudizi a priori sul loro significato...

Una memoria non è una rappresentazione, ma rispecchia il modo in cui il cervello ha modificato la propria dinamica per consentire la ripetizione di una prestazione.

In un cervello complesso, la memoria è il risultato dall'accoppiamento selettivo tra attività neurale in corso, distribuita, e una serie di segnali che provengono dal mondo, dal corpo e dallo stesso cervello. Le modificazioni sinaptiche che ne derivano influiscono sulle risposte che quel cervello darà a segnali simili o differenti. I cambiamenti si riflettono nella capacità di ripetere un atto fisico o mentale a distanza di tempo anche se il contesto è mutato, come accade ad esempio nella «reminiscenza» di un'immagine.” (pp. 112- 113)

“Quali caratteristiche del cervello danno luogo a una memoria dinamica senza una rappresentazione codificata? Crediamo che la risposta sia proprio in quelle caratteristiche che si riscontrano in un sistema selettivo: un insieme di circuiti neurali degenerati costituenti un repertorio variato; un sistema per modificare le popolazioni sinaptiche all'atto della ricezione dei vari segnali in ingresso; e un insieme di vincoli di valore che accrescono la probabilità di ripetere un segnale in uscita che sia adattativo o premiante, a prescindere dal circuito degenerato impiegato. Dati questi vincoli, i segnali dal mondo o da altre parti del cervello agiscono per selezionare determinati circuiti nell'ambito delle enormi possibilità combinatorie disponibili. La selezione avviene a livello delle sinapsi modificandone l'efficacia o la forza. Quali particolari sinapsi saranno modificate dipende dalle esperienze precedenti, come pure dalle attività combinate dei sistemi di valore ascendenti che abbiamo citato in precedenza (il locus coeruleus, il nucleo dei rafe, i nuclei colinergici e così via).

Pertanto l'innesco di qualunque insieme di circuiti, il cui esito sia un insieme di risposte in uscita sufficientemente simili a quelle già dimostratesi adattative, è il fondamento di un atto mentale o dì un esercizio fisico ripetuti. In una concezione del genere, un ricordo è generato dinamicamente dall'attività di specifici sottoinsiemi selezionati di circuiti. I sottoinsiemi sono degenerati: se li comparassimo vedremmo che differenti sottoinsiemi contengono circuiti non identici; eppure, l'attivazione di ognuno di essi può dare vita alla ripetizione del medesimo segnale in uscita. Se le cose stanno così, allora un ricordo non va identificato con un unico e specifico insieme di variazioni sinaptiche. Infatti, le particolari variazioni sinaptiche associate a un determinato segnale in uscita, e infine a un intero comportamento, cambiano ulteriormente nello svolgimento di quella prestazione. Dunque, cosa viene evocato quando un atto viene ripetuto? Deve trattarsi di una, o più, tra le varie configurazioni neurali di risposta adeguate a quel comportamento, e non di una qualsivoglia singola sequenza o dettaglio specifico.

Vediamo, allora, che la variazione sinaptica è fondamentale ed essenziale per la memoria, ma non si identifica con essa. Non esiste un codice. Esiste solo un insieme variante di circuiti che corrispondono a un determinato segnale in uscita. I membri di quell'insieme di circuiti, di efficacia più o meno equivalente, possono avere strutture ampiamente diverse. E questa proprietà - la degenerazione nei circuiti neurali - a consentire i cambiamenti in particolari ricordi quando si verificano nuove esperienze e quando muta il contesto. In un sistema selettivo degenerato la memoria è ricategoriale, e non rigidamente replicativa. Non esiste un insieme a priori di codici determinanti che regolano le categorie della memoria. Esistono solo la previa struttura popolazionistica della rete, lo stato dei sistemi di valore e gli atti fisici realizzati in un determinato momento. I cambiamenti dinamici, che legano un primo insieme di circuiti a un secondo insieme nell'ambito dei repertori neuroanatomici enormemente varianti del cervello, consentono di creare un ricordo, la cui probabilità è aumentata dall'attività dei sistemi di valore.” (pp. 116 - 117)

Alla luce di questa complessa trama concettuale, che fa capo al darwinismo neuronale e comporta il rientro, la degenerazione, il valore e la memoria dinamica, Edelman ritiene di essere in grado di affrontare il problema della coscienza distinguendo due aspetti: la coscienza primaria e la coscienza di ordine superiore:

“Evidenzieremo l'utile distinzione tra coscienza primaria e coscienza di ordine superiore. La coscienza primaria - la capacità di generare una scena mentale in cui una grande quantità di informazione eterogenea viene integrata allo scopo di guidare il comportamento presente o immediato - si manifesta in animali con strutture cerebrali simili alle nostre. Tali animali sembrano capaci di costruire una scena mentale ma, contrariamente a noi, hanno limitate capacità semantiche o simboliche e mancano di un vero linguaggio. La coscienza di ordine superiore si costruisce sulle fondamenta della coscienza primaria ed è caratterizzata da un senso del sé e dalla capacità, nello stato di veglia, di costruire esplicitamente e di collegare tra loro scene trascorse e future. Nella sua forma più sviluppata, tale coscienza richiede capacità sintattiche e linguistiche. Di necessità, solo gli individui dotati di coscienza di ordine superiore possono riferire gli stati di coscienza e parlare di coscienza; solo loro sono coscienti di essere coscienti.” (p 122 - 123)

Il problema della coscienza primaria è già di per sé estremamente complesso. Edelman lo affronta in questi termini:

“Prima di considerare un modello fisico della comparsa della coscienza primaria nel corso dell'evoluzione, dovremo passare rapidamente in rassegna alcuni essenziali processi neurali. Dovremo cioè considerare le strutture e i meccanismi che vanno descritti per spiegare la coscienza che noi attribuiamo ai cani e a noi stessi quando, in determinati stati soggettivi, siamo meno vincolati al linguaggio. Qui dovremo occuparci di numerosi complicati processi e delle relative interazioni, tutti da noi già sfiorati in precedenza. Ve ne sono quattro. Il primo è una proprietà condivisa da tutti gli animali - la categorizzazione percettiva -, la capacità di suddividere il mondo dei segnali in categorie utili a una specie in un ambiente che obbedisce a leggi fisiche, ma che non contiene tali categorie...

Il successivo processo necessario per comprendere la coscienza primaria è lo sviluppo di concetti. Per concetto non intendiamo una frase o una proposizione soggetta alle verifiche della tavola della verità di un filosofo o di un logico. Ci riferiamo, piuttosto, alla capacità di combinare differenti categorizzazioni percettive correlate a una scena o a un oggetto e di costruire un «universale» che rifletta l'astrazione di un carattere comune dopo una serie di tali percetti...

Prima di descrivere un meccanismo della coscienza primaria, dovremo capire due ulteriori processi, correlati rispettivamente alla memoria e al valore. In precedenza avevamo visto che, nella teoria della selezione dei gruppi neuronali (TSGN), per memoria intendevamo la capacità di ripetere o eliminare in modo specifico un atto mentale oppure fisico, una capacità che scaturisce dalle combinazioni delle variazioni sinaptiche nei circuiti rientranti. Si aggiunga che, dato che un sistema nervoso selettivo non è preprogrammato, esso richiede vincoli di valore per sviluppare risposte categoriali adattative. E noto che i sistemi di valore del cervello, i sistemi ascendenti in modo aspecifico, irrorano di connessioni le regioni cerebrali dove si formano i concetti, in special modo la corteccia frontale e temporale, ma anche il sistema limbico, un complesso di regioni cerebrali localizzate nella parte mediana (interna) del cervello, e che circoscrivono il tronco cerebrale. Queste regioni influiscono sulla dinamica dei singoli ricordi, che a loro volta saranno o meno consolidati a seconda che le risposte di valore saranno positive ovvero negative. La vasta letteratura in psicologia relativa all'apprendimento indica che il valore, le risposte emotive e la rilevanza, sono forti vincoli per la formazione di una memoria concettuale basata su categorie...

Dobbiamo ora considerare un ultimo processo prima di descrivere i meccanismi della coscienza. Si tratta del rientro, il terzo principio della TSGN. Avevamo già sostenuto che il rientro è un processo di segnalazione dinamica, in parallelo e ricorsivo, un processo che si dispiega lungo connessioni anatomiche a elevato parallelismo tra mappe cerebrali, attraverso connessioni che sono perlopiù reciproche. Il rientro modifica, ed è modificato, dall'attività delle aree bersaglio che interconnette, e non solo è il più importante meccanismo integrativo dei cervelli superiori, ma è, in senso concettuale, il più interessante dei principi della TSGN. Un meccanismo fondamentale in diversi processi: dalla categorizzazione percettiva, alla coordinazione motoria, alla coscienza. Nel quarto capitolo eravamo ricorsi all'esempio del quartetto d'archi. Là gli esecutori erano collegati da una miriade di fili sottili che consentivano di condividere i segnali tra strumentisti altrimenti separati, che coordinano così la loro esecuzione. Nel nostro cervello, i «fili» corrispondono a fibre in parallelo reciproche che connettono mappe separate; le scariche neurali delle fibre si diffondono da una mappa all'altra e poi ritornano, o rientrano, in un costante interscambio dinamico, che sincronizza e coordina le loro funzioni.” (p. 122 - 125)

“Le interazioni rientranti dinamiche in atto tra i sistemi di memoria e i sistemi della categorizzazione percettiva si manifestano in un arco temporale compreso tra le centinaia di millisecondi e secondi, lo «specious present» (presente specioso) di William James. Gruppi neuronali fortemente interattivi che si modificano, e sono distinti l'uno dall'altro, possono essere integrati in questo modo.” (p. 128)

“La memoria a breve termine, fondamentale per la coscienza primaria, è il riflesso di precedenti esperienze categoriali e concettuali. L'interazione del sistema di memoria con la percezione in atto si verifica in frazioni di secondo, in una sorta di autoelevazione: ciò che è percettivamente nuovo può essere incorporato immediatamente nella memoria, frutto di categorizzazioni precedenti. La capacità di costruire una scena cosciente è la facoltà di creare, in frazioni di secondo, un presente ricordato. ” (p. 129)

Il presente ricordato, titolo di un libro precedente, è una delle migliori metafore create da Edelman per definire lo stato della coscienza. Esso è fondamentale per mantenere la percezione dell’io di avere una sua unità ed è imprescindibile da un processo di integrazione:

“Se [...] vogliamo comprendere l'unità della coscienza, dobbiamo proporre un quadro teorico più generale, che colleghi l'integrazione neurale all'integrazione della coscienza. Che cosa intendiamo affermando che un processo neurale è integrato? Come si può misurare l'integrazione, e come possiamo determinare l'entità e i confini di un processo neurale integrato? Per rispondere a queste domande dovremo sviluppare un'analisi formale del comportamento del sistema neurale.

Un utile criterio intuitivo di integrazione è il seguente: un sottoinsieme di elementi in un sistema costituirà un processo integrato se, in una determinata scala temporale, gli elementi intera-giranno con più forza tra loro che con il resto del sistema. Consideriamo, per esempio, una famiglia all'antica, molto unita: ciascuno dei suoi membri avrà occasionali interazioni con vari conoscenti, ma nulla in confronto a ciò che, per frequenza e intensità, corrisponde ai legami interni alla famiglia. Possiamo definire «aggregato funzionale » questo sottoinsieme di elementi dalle forti interazioni e funzionalmente demarcato dal resto di un sistema. Sarà importante rendere esplicito tale criterio e avere una misura di aggregazione funzionale, che sia soddisfacente in senso teorico e utile empiricamente. Purtroppo, nella letteratura statistica non esiste una definizione universalmente accettata di aggregato, anche se vi è generale concordanza sul fatto che andrebbe definito nei termini di coesione interna e di isolamento dall'esterno. Tenendo presente tutto ciò, abbiamo di recente sviluppato una misura di aggregazione funzionale, concepita per valutare se esistano sottoinsiemi di elementi all'interno di un sistema neurale che interagiscono fortemente tra loro e al contempo assai meno marcatamente con il resto del sistema".

Consideriamo, per semplicità, un sistema neurale isolato - un sistema che non riceve alcun segnale dall'ambiente esterno - che sia spontaneamente attivo. Ipotizziamo poi che gli elementi del sistema corrispondano a gruppi neuronali. Immaginiamo ora che i gruppi neuronali siano completamente scollegati tra loro e che non interagiscano perciò in alcun modo. In tali condizioni, gli elementi del sistema sarebbero statisticamente indipendenti - non vi sarebbe correlazione tra l'attività, variante nel tempo, di un qualsiasi elemento e l'attività di ogni altro elemento. Viceversa, se gli elementi del sistema fossero collegati, sarebbero capaci di interagire e influenzare reciprocamente l'attività. Qualunque interazione tra gli elementi del sistema produrrebbe una deviazione dall'indipendenza statistica nei loro andamenti di attività.” (p.142)

L’unità della coscienza è un aspetto importante, ma non lo è di meno lo è il suo grado di differenziazione:

“Un grado elevato di differenziazione è una proprietà altrettanto fondamentale dell'esperienza cosciente. Per differenziazione intendiamo semplicemente la possibilità di provare miliardi stati di coscienza differenti, dove ognuno può dare vita ad altrettanti comportamenti. Considerate, per esempio, una parola. Prima di pensarne una in particolare, eravate incerti su quale esatta parola fra decine di migliaia di vostra conoscenza avreste recuperato in memoria. Tuttavia, dopo che la parola viene in mente supponiamo si tratti dell'aggettivo irrilevante - l'incertezza si riduce e viene generata informazione. Pronunciate poi la parola e osservate le reazioni che essa suscita. E informazione che ha effettivamente prodotto differenti comportamenti. Consideriamo adesso ogni parola o frase che avete letto in questo libro o nel passato in qualunque altro libro. Oppure immaginate tutte le possibili scene differenti di un film o di tutti i film che vi è capitato di vedere. O ancora tutti i volti che potete rievocare in memoria dalla vostra esperienza passata e tutte le combinazioni di sentimenti che ogni volto può suscitare in voi. Letteralmente, i possibili stati di coscienza sono miliardi. La capacità di distinguerli tutti costituisce informazione, vale a dire riduzione dell'incertezza tra numerose alternative'. Il ragionamento implica che la selezione in breve arco di tempo di un qualunque particolare stato integrato a partire da un repertorio così ampio di possibili stati differenti sia enormemente informativo.” (p. 149)

“Il valore dell'informazione reciproca media sarà elevato se, in media, ogni sottoinsieme può assumere molti stati differenti e gli stati costituiscono una differenza per il resto del sistema. Che sottoinsiemi del sistema possano assumere molti stati differenti significa che singoli elementi sono funzionalmente separati o specializzati (se non fossero specializzati svolgerebbero tutti lo stesso compito, e ciò corrisponderebbe, a un numero di stati ridotto). Viceversa, il fatto che stati differenti di un sottoinsieme del sistema costituiscano una differenza rispetto al resto del sistema, significa che quest'ultimo è integrato (se non lo fosse, gli stati di differenti sottoinsiemi del sistema sarebbero indipendenti). Arriviamo perciò a trarre la seguente e, importante conclusione: valori di complessità elevati corrispondono a una sintesi ottimale di specializzazione funzionale e di integrazione funzionale all'interno di un sistema. “ (p. 154)

“Per un valore piccolo dell'informazione reciproca estrinseca tra uno stimolo e un sistema neurale, vi è in genere una grande variazione dell'informazione reciproca intrinseca tra sottoinsiemi di unità all'interno del sistema neurale. La variazione può essere misurata da una grandezza, la complessità di accoppiamento, o CM, la variazione della complessità neurale che deriva dall'incontro con gli stimoli esterni.

In accordo con l'analisi, i segnali estrinseci trasmettono informazione non tanto in se stessi, quanto in virtù del modo in cui modulano i segnali intrinseci scambiati all'interno di un sistema neurale che ha già vissuto delle esperienze. In altre parole, uno stimolo agisce non già sommando grandi quantità di informazione estrinseca da elaborare successivamente, ma amplificando l'informazione intrinseca risultante dalle interazioni neurali selezionate e stabilizzate dalla memoria nei precedenti incontri con l'ambiente. E una proprietà interamente in linea con la TSGN: il cervello è un sistema selettivo e l'accoppiamento si verifica all'interno di repertori enormemente vari e complessi. Ogni evento selettivo introdurrà poi nel sistema nuove fonti di variazione. In ogni istante, il cervello va ben «oltre l'informazione data »`, e negli animali coscienti la sua risposta a uno stimolo in arrivo è perciò un «presente ricordato». Nella logica di questa impostazione, svanisce la dicotomia fra trasmissione e archivio di informazioni nel cervello. Tale conclusione rinvigorisce inoltre la teoria, proposta nell'ottavo capitolo, per cui la memoria, qualunque ne sia la natura, debba essere non-rappresentazionale.

L'analisi dimostra poi che il grado in cui i segnali estrinseci modificano i segnali intrinseci dipende dall'esperienza che il cervello ha avuto verso un insieme di stimoli correlati. In altre parole, valori elevati di complessità di accoppiamento sono indizi di un grado elevato di «adattamento delle relazioni interne alle relazioni esterne »” (p. 163)

Su questa base è possibile, secondo Edelman, rispondere al quesito per cui l’attività di alcuni gruppi neuronali si traduce in fenomeni coscienti mentre quella di altri no. I primi, infatti, fanno parte di un nucleo dinamico:

“In ogni istante solo un sottoinsieme di gruppi neuronali del cervello umano - per quanto non si tratti di un sottoinsieme piccolo - contribuisce direttamente all'esperienza cosciente. Tale conclusione solleva a sua volta una domanda, che compendia l'intera questione del fondamento neurale della coscienza - una domanda tanto facile a formularsi quanto difficile da esaudire. Che cos'hanno di speciale questi gruppi neuronali, e come potremmo identificarli?..

Le argomentazioni finora svolte indicano ampiamente che, se integrazione e differenziazione sono realmente caratteri fondamentali della coscienza, possono essere spiegate solo attraverso un processo neurale distribuito e non ricorrendo a specifiche proprietà locali dei neuroni. Che sia possibile per noi formulare un'ipotesi che asserisca esplicitamente che cosa c'è di speciale nei sottoinsiemi di gruppi neuronali sottesi all'esperienza cosciente? Che ci indichi come possiamo identificarli? Crediamo ora di essere nelle condizioni per farlo, e in maniera concisa per giunta. L'ipotesi asserisce che:

1. Un gruppo di neuroni contribuisce direttamente all'esperienza cosciente solo se fa parte di un aggregato funzionale distribuito che, attraverso interazioni rientranti nel sistema talamocorticale, attua un'integrazione elevata nell'arco di centinaia di millisecondi.

2. Per fondare l'esperienza cosciente, è essenziale che tale aggregato funzionale sia notevolmente differenziato, come indicano valori elevati di complessità.

Definiamo «nucleo dinamico» tale aggregato di gruppi neuronali che interagiscono con vigore e possiedono confini funzionali che lo distinguono dal resto del cervello in una scala temporale nell'ordine di frazioni di secondo. Lo definiamo in tal modo per sottolinearne al contempo l'integrazione e la composizione che muta costantemente. Un nucleo dinamico è perciò un processo e non una cosa o un luogo, ed è definito mediante interazioni neurali, piuttosto che attraverso la localizzazione specifica, gli schemi di connessione o le attività neurali.” (pp. 170 - 171)

“L'ipotesi del nucleo dinamico afferma che l'insieme di gruppi di neuroni interagenti dell'aggregato funzionale sotteso all'eserienza cosciente deve avere una complessità elevata, corrispondente a valori elevati dell'informazione reciproca media tra i gruppi. Se la complessità è elevata, cambiamenti nello stato di qualunque sottoinsieme di elementi del nucleo produce una grande differenza negli stati del resto del nucleo. In altre parole, mediamente ogni sottoinsieme del nucleo ha la potenzialità per discriminare t numero elevato di stati del resto del nucleo. ” (p. 176)

7.

Rimane, da ultimo, il problema dei qualia, degli stati soggettivi che ogni uomo sperimenta nel suo foro interno e gli danno la percezione di esserci e di vare un’identità sua propria. Edelman ritiene che tale problema possa essere risolto teoricamente partendo dall’ipotesi del nucleo dinamico:

“Se vogliamo che la questione dei qualia sia meno miracolosa, o almeno meno ridicola, dobbiamo riprendere la teoria del nucleo dinamico ed esplorarne alcune implicazioni. La nostra ipotesi afferma che il processo neurale sotteso all'esperienza cosciente costituisce un grande e variante aggregato funzionale, il nucleo dinamico, il quale comprende un gran numero di gruppi neuronali distribuiti e si caratterizza per l'elevata complessità. Il nucleo dinamico emerge attraverso rapide interazioni rientranti in meno di un secondo e comprende parti distribuite del sistema talamocorticale, anche se non si limita necessariamente a quest'ultimo. Un’applicazione fondamentale della nostra ipotesi è che il legittimo spazio neurale di riferimento dell'esperienza cosciente, di ogni e rienza cosciente, compresa quella del colore, è data non tanto dall'attività di un qualsivoglia singolo gruppo neuronale (per esempio un gruppo neuronale che risponde ai colori, come nell'ipotesi un-gruppo-un-quale), o nemmeno da un qualsiasi piccolo sottoinsieme di gruppi neuronali (come i tre insiemi di gruppi neuronali che, insieme, sono sufficienti a discriminare tutti i colori nel stro modello neurale). Esso è dato dall'attività dell'intero nucleo dinamico.” (p. 196)

“Variazioni enormemente più significative devono verificarsi durante lo sviluppo e le esperienze precoci. Anche se, riferiti a questo stadio, molti nostri asserti sono in parte ipotetici, è probabile che tra le primissime dimensioni e discriminazioni della coscienza vi siano quelle riguardanti il corpo medesimo. Sono dimensioni e discriminazioni mediate da strutture del tronco cerebrale. Esse rappresentano lo stato del corpo e le sue relazioni con l'ambiente interno ed esterno sulla base di segnali multimodali che includono componenti propriocettive, cinestesiche, somatosensoriali e del sistema nervoso autonomo. Possiamo chiamare queste componenti le dimensioni del proto-sé. Quelle componenti sono le funzioni corporee di cui in genere siamo debolmente consapevoli, ma che influenzano quasi ogni aspetto del nostro essere. Ugualmente precoci e centrali sono le dimensioni dei sistemi di valore, che indicano gli aspetti salienti per l'intero organismo. Poiché la memoria è ricategoriale, e nel tempo vi è uno scambio costante tra sistemi valore-categoria e categorizzazioni percettive in corso, questa coscienza primitiva, corporea, può fornire gli assi dominanti iniziali dello spazio neurale N-dimensionale di riferimento. A partire da essi verranno elaborati i ricordi successivi basati su segnali dal mondo («non-sé»). I segnali, con la loro progressiva assimilazione, sarebbero discriminati per modalità e categoria in riferimento a queste dimensioni iniziali che costituiscono il proto-sé.

Ancora prima che il linguaggio e la coscienza di ordine superiore abbiano fatto la loro comparsa, sarà costruito all'interno della coscienza primaria uno spazio neurale di riferimento basato sul corpo e relativo alle categorie vissute e all'immaginazione mentale di una scena. Un animale, o anche un neonato, dotato di queste dinamiche e della coscienza primaria vivrà l'esperienza di una scena, ma non avrà un sé nominabile distinguibile dall'interno. Tuttavia, con l'accesso a nuove dimensioni correlate al linguaggio e con la loro interazione nel nucleo dinamico, negli uomini compare la coscienza di ordine superiore. Possiamo ora immaginare che, mentre la coscienza primaria si sviluppa in tempo reale, i concetti di passato e di futuro possono essere legati al pensiero e al linguaggio, dando così luogo a nuove immagini mentali. A questo punto possiamo collegare un sé discriminabile e nominabile, sviluppato attraverso le relazioni sociali, all'esperienza simultanea delle scene della coscienza primaria e delle immagini concettuali in cui sono collegate esperienze di ogni tipo.

Alla fine, tale sviluppo consentirà a una persona di essere cosciente di essere cosciente. Possiamo effettivamente assegnare un nome ai qualia e li possiamo inferire attraverso una categorizzazione di ordine superiore. Ma ancora prima che venga loro assegnato un nome, poiché l'essere precede il descrivere, i qualia sono già discriminabii, e ve ne sono schiere nel sistema complesso sotteso alla coscienza. Sono, in realtà, tutti gli stati di coscienza discriminabili. Possiamo allora considerare lo sviluppo e l'esperienza una crescita progressiva in complessità del nucleo dinamico, sia in termini del numero di dimensioni disponibili che dei punti distinguibili nel corrispondente spazio N-dimensionale.” (p. 208)

A partire dai quali il problema della coscienza superiore può essere affrontato con buone possibilità di arrivare a descriverne il suo impianto neurale:

“Un passo fondamentale nell'evoluzione della coscienza di ordine superiore, come è accaduto per la coscienza primaria, è stato lo sviluppo di uno specifico schema di connessioni rientranti, questa volta tra i sistemi cerebrali del linguaggio e le preesistenti regioni concettuali del cervello. L'emergenza di queste connessioni neurali e la comparsa del linguaggio consentirono il riferimento a stati interni, oltreché a oggetti ed eventi, mediante simboli. L'acquisizione di un lessico sempre più ricco di tali simboli attraverso le interazioni sociali, da principio forse basata sulle cure e il rapporto emozionale madre-figlio, ha consentito la discriminazione di un sé all'interno di ogni coscienza individuale. Quando emersero le facoltà narrative, che influirono sulla memoria linguistica e concettuale, la coscienza di ordine superiore incoraggiò lo sviluppo dei concetti di passato e di futuro, correlati al sé e agli altri.

A questo punto l'individuo è in certa misura emancipato dalla schiavitù del presente ricordato. Se la coscienza primaria sposa l'individuo al tempo reale, la coscienza di ordine superiore consente un divorzio per lo meno temporaneo, reso possibile dalla creazione dei concetti di tempo passato e di tempo futuro. Può essere vissuto e ricordato un intero mondo nuovo di intenzionalità, categorizzazione e discriminazione, il preambolo perché fioriscano concetti e pensieri. Possono essere incoraggiati i rapporti che promettono ricompense positive, si possono nutrire risentimenti e avere progetti. Le scene si arricchiscono di simboli. Il valore si collega al significato e all'intenzionalità e può a sua volta essere modificato, in modo da risultare straordinariamente più adattativo, evolvendo sistemi neurali che collegano di ritorno l'apprendimento a modificazioni dei sistemi di valore medesimi.” (p. 235)

“La nostra tesi è stata la seguente: la coscienza di ordine superiore, che include la capacità di essere cosciente di essere cosciente, dipende dall'emergenza di facoltà semantiche e, in definitiva, del linguaggio. Concomitante a questi tratti vi è l'emergenza di un vero sé, nato dalle interazioni sociali, insieme ai concetti di passato e di futuro. Noi, guidati dalla coscienza primaria e dal presente ricordato, attraverso lo scambio simbolico e la coscienza di ordine superiore, possiamo creare racconti e storie. Possiamo interrogarci sul modo in cui perveniamo alla conoscenza e dunque consegnare il nostro sé davanti all'uscio della filosofia.” (p. 251)

Un’epistemologia fondata sulla neurobiologia è il significato ultimo dell’impresa di Edelman:

“Sostenere la tesi di un'epistemologia fondata sulla biologia ci offre una grande opportunità per ampliare la nostra visione del comportamento animale e della natura umana: una concezione che considera la fisica e l'evoluzione come le due colonne su cui erigere la riflessione filosofica. Essa propone inoltre che il ruolo efficace della coscienza sia costruire una scena informativa (<il presente ricordato») che collega la realtà presente alla storia passata dominata dai valori di ogni singolo animale cosciente. L'efficacia della coscienza, al fine della rapida integrazione dell'informazione e della pianificazione, produce significativi vantaggi evolutivi. La traduzione di tale pianificazione in procedure inconsce apprese è altresì essenziale per la sopravvivenza, ed esse costituiscono un'elevatissima percentuale dei meccanismi di base del comportamento. Tant'è che la coscienza le sfrutta per rendere possibile una pianificazione migliore ed atti appresi sempre più complessi.

Per quanto non si possa negare l'efficacia dei meccanismi non coscienti, l'epistemologia fondata sulla biologia considera la coscienza la conditio sine qua non degli atti mentali. Senza entrare in controversie sulle definizioni, la nostra tesi è che il pensiero sia un processo cosciente sovrastante a una struttura profonda di necessari meccanismi non coscienti. Essi comprendono la memoria non-rappresentazionale, i vincoli dei valori e l'azione delle appendici corticali come i gangli della base, l'ippocampo e il cervelletto.

L'incorporamento dei sistemi di valore come vincoli necessari sulle attività del cervello, inteso come sistema selettivo, lega la concezione dell'epistemologia fondata sulla biologia alla teoria secondo cui le emozioni sono fondamentali tanto per le origini quanto per il bisogno del pensiero cosciente. Per come le ha definite Spinoza, le emozioni rappresenterebbero la schiavitù dell'uomo. Nonostante l'apparente paradosso, noi però crediamo verosimile siano state in primo luogo le emozioni a dargli l'impulso per creare il suo magnifico castello concettuale. I sistemi di valore e le emozioni sono essenziali nelle attività selettive del cervello sottese alla coscienza.” (pp. 262 - 263)

8.

Nonostante la sobrietà del linguaggio, l’impresa di Edelman è smisuratamente ambiziosa. Come risulta chiaro dalle citazioni, essa è portata avanti con un rigore, una precisione terminologica e concettuale, e – oserei dire – una passione per la conoscenza che si possono ritenere rare.

Ciò nondimeno il risultato complessivo risulta piuttosto carente in conseguenza di un errore di impostazione.

In un articolo che risale al 2002 ho scritto:

“C'è un difetto di fondo nelle neuroscienze quando esse affrontano il problema delle funzioni psichiche superiori: quello di considerarle espressive dell'attività di un cervello isolato. Si tratta di un difetto sorprendente se si tiene conto del fatto che molti neuroscienziati sono convinti che il salto dall'attività mentale degli animali superiori a quella umana sia dovuta al linguaggio. Certo, ogni uomo è dotato della capacità di apprendere una lingua e di usarla per esprimere i suoi contenuti psichici, casomai anche creativamente. Ma questa potenzialità in tanto si realizza e consente di parlare in quanto il soggetto è immerso in un ambiente sociale. Abbandonato a se stesso, un infante non sviluppa alcuna funzione psichica superiore rispetto agli animali.

Si dirà: il linguaggio è trasmesso attraverso la catena delle generazioni, ma all'inizio qualcuno deve averlo "inventato". E' ovvio, ma l'invenzione non è riconducibile ad un uomo ma ad un gruppo di uomini. Il linguaggio è una convenzione sociale, postula l'accordo di più persone nell'assegnare ad un determinato significante un determinato significato. Il linguaggio è dunque una funzione che emerge non solo dalla complessità strutturale di un organo ma anche in conseguenza di un'esperienza sociale.

Sembra una banalità, e invece è un nodo di fondo epistemologico. Un cervello isolato, quello a cui fanno riferimento i neuroscienziati per risolvere il problema delle funzioni psichiche superiori, è un'astrazione: non esiste, e se esistesse sarebbe un cervello dotato di potenzialità inespresse e, forse, atrofizzate. Un cervello strutturalmente umano, ma funzionalmente infraumano.

Il misteri della coscienza, del linguaggio, del pensiero, delle emozioni, della memoria non potranno mai essere risolti prescindendo dall'esperienza sociale e da quella culturale.”

Sul piano teorico, Edelman non sembra a riguardo affetto dalla cecità che caratterizza altri neuroscienziati. Nella prefazione egli sottolinea l’importanza dell’interazione con il mondo e con il prossimo nel funzionamento della coscienza. Alla fine del saggio giudica le emozioni come “fondamentali tanto per le origini quanto per il bisogno del pensiero cosciente”. Si tratta di affermazioni di principio molto nette che, però, non trovano alcun riscontro nello sviluppo del saggio, nonostante il ruolo assegnato ai sistemi di valore che non vengono mai però ulteriormente specificati.

In conseguenza di questo, la teoria della coscienza di Edelman concerne un cervello il cui referente è il mondo oggettivo, la cui consapevolezza è consapevolezza dell’oggetto e la cui autoconsapevolezza si definisce nei termini della distinzione e dell’interazione tra Io e non Io.

Il problema è che, anche ammettendo che l’attività cognitiva si avvii precocemente, occorre poco a capire che il referente del cervello umano è anzitutto il mondo umano, l’Altro con cui il neonato entra in relazione, e che l’intersoggettività ha un peso primario e rilevante nella definizione della coscienza di Sé e dell’autoconsapevolezza. La relazione con l’Altro, poi, è ricca di valenze emozionali e, attraverso le interiorizzazioni, mantiene un primato dinamico, almeno a livello inconscio, per tutta la vita.

Il peso rilevante che Edelman assegna alle strutture sottocorticali e alle loro interazioni reciproche con il sistema talamo corticale, mediate dai neuromodulatori, implica il ruolo delle emozioni e delle memorie connotate emotivamente nella definizione dei fenomeni coscienti. Ma si tratta, per l’appunto, di un ruolo implicito che non viene né chiarito né illustrato..

L’edificio imponente costruito di Edelman è, insomma, mutilo.

Rimane il fatto che il fenomeno del rientro e il concetto ad esso associato di mappe cerebrali, rappresentano, di fatto, scoperte di grande portata. La mappatura è il processo attraverso il quale, nel corso dell’esperienza individuale, gruppi neuronali vengono selezionati al fine di rappresentare un “oggetto”. Essi, distribuiti ampiamente, integrano i diversi aspetti percettivi di esso, che, in sé e per sé, sono funzionalmente isolati. In virtù del rientro, però, le mappe cerebrali rimangono plastiche: sulla base delle memorie, esse assimilano l’oggetto e si accomodano ad esso nella misura in cui sopravvengono dei cambiamenti.

Edelman ritiene che siano questi fenomeni a fare affiorare la coscienza, che sarebbe dunque la consapevolezza della relazione tra Io e non-Io o meglio dell’oggetto in quanto altro da sé e dell’Io in quanto sé.

Si può tranquillamente sostenere che, nonostante il materialismo esplicito di Edelman, la nascita del soggetto sulla base della distinzione tra Sé e non-Sé riproduce uno schema filosofico idealistico. Alla teoria di Edelman manca un passaggio importante, che concerne il ruolo dell’intersoggettività.

La coscienza di sé non nasce dalla relazione con un oggetto qualunque o con il mondo come insieme di oggetti, bensì dalla relazione del cervello con un oggetto particolare, l’Altro, con cui intrattiene un legame sintonico, emotivamente connotato. La definizione del Sé, sia pure embrionale, in rapporto all’Altro precede l’avvento del linguaggio.

Per spiegare la nascita del Sé, occorre ammettere che, per effetto della filogenesi, il cervello contenga una coscienza preriflessiva di sé e dell’altro, sia cioè predisposto ad integrare i dati dell’esperienza entro due mappe predisposte che consentono di selezionare i dati inerenti il corpo proprio e altrui, le emozioni proprie altrui e, infine, il mondo interiore proprio e altrui. Non è azzardato pensare che le mappe predisposte funzionino come “attrattori” dello sviluppo.

In questa ottica, la coscienza nascerebbe per effetto dell’intersoggettività, della cattura selettiva che l’umano esercita sull’umano, vale a dire per effetto dell’emozionalità sociale prima ancora che della cognizione. Fondamentale insomma sarebbe, sotto il profilo neuroanatomico e funzionale, il ventaglio di cui parla Edelman che riconosce le sue matrici nei centri che regolano il rapporto con il corpo e, attraverso l’empatia, con l’altro.

Si può aggiungere ancora qualcosa.

La teoria struttural-dialettica si articola sulla base dell’attribuzione alla natura umana di due programmi geneticamente determinati che fanno riferimento rispettivamente al bisogno di appartenenza/integrazione sociale e al bisogno di opposizione/individuazione. Su questi bisogni, in conseguenza dell’interazione con l’ambiente, si definirebbero quelle che ho chiamato le substrutture dell’Io: il Super-Io e l’Io antitetico.

Se ammettiamo che i bisogni implichino la coscienza preriflessiva di Sé e dell’Altro, sembra abbastanza facile e suggestivo integrare la teoria struttural-dialettica con le ipotesi di Edelman. Le substrutture dell’Io rappresenterebbero, infatti, due mappe cerebrali, veicolanti rispettivamente i doveri sociali e i diritti individuali, tra le quali si darebbe un rientro continuo orientato a produrre moduli comportamentali riferiti alle varie circostanze della vita di relazione.

In questa ottica, il conflitto psicodinamico potrebbe essere ricondotto ad un allentamento o addirittura ad un venir meno del rientro, che determinerebbe l’attività non più correlata e interattiva delle mappe in questione. Pur conseguente alle interazioni con l’ambiente e ai valori depositati nel Super-Io e nell’Io antitetico, il conflitto psicodinamico sarebbe da ricondurre ad una scissione che sarebbe rappresentata anche a livello neurobiologico. Il superamento del conflitto, dovuto all’intervento psicoterapeutico, si configurerebbe dunque come un processo che comporterebbe la ristrutturazione delle mappe cerebrali e il ristabilirsi tra di esse di fenomeni di rientro.

Anche se ai più, questa teorizzazione può apparire inessenziale ai fini psicopatologici, penso che essa, nell’ottica di una psicopatologia che integri i vissuti soggettivi con i correlati psicodinamici e neurobiologici, rappresenti un approdo di grande significato