La medicina del Capitale


1.

Quasi contemporaneamente, negli Stati Uniti si sono verificati due eventi che meritano di essere analizzati: il presidente Bush, dopo innumerevoli vicissitudini legate alla resistenza incontrata dala legge sia alla Camera che al Senato, ha firmato la riforma di "Medicare", che è la componente del servizio sanitario nazionale che si fa carico dell'assistenza agli anziani; il Los Angeles Times, uno dei più prestigiosi quotidiani statunitensi, a seguito di una puntigliosa inchiesta durata alcuni mesi, ha denunciato (moralmente) per corruzione, sei prestigiosi Direttori di ricerca dell'Istituto Nazionale di Sanità americano, accusandoli di avere ricevuto, in qualità di consulenti, lauti finanziamenti da parte delle industrie farmacautiche.

Il legame tra i due eventi è l'enorme potere di cui dispongono, negli Stati Uniti, le industrie farmaceutiche, che viene univocamente utilizzato, sul filo del rasoio della legalità, per accrescere di continuo i loro già lauti guadagni. Dov'è il problema? - si chiederà qualcuno. In quanto industria, cos'altro può fare quella farmaceutica se non mirare al profitto? Qual è la sorpresa se, a tal fine, come fanno tutte le industrie, essa utilizza tutti gli strumenti di cui dispone? Il filo del rasoio delle strategie adottate non implica poi automaticamente illeciti di ordine penale. Se questi saranno accertati, i responsabili ne pagheranno le conseguenze.

Equiparare la produzione e il commercio dei farmaci ad una qualunque altra attività industriale non tiene conto che questi sono beni un po' particolari. Primo, perché il loro costo crescente incide pesantemente sul bilancio dello Stato e sui portafogli dei cittadini; secondo, perché il consumo, esso stesso crescente, risponde ad un bisogno in gran parte indotto e pericoloso. Gli effetti collaterali delle medicine, che rappresentano un capitolo importante della iatrogenesi, aumentano in misura direttamente proporzionale al numero che ne viene usato. La iatrogenesi farmacologica comporta un danno per l'individuo e un costo sociale che, tranne rarissimi casi, le industrie farmaceutiche non pagano. Si tratta di una diseconomia esterna che, nei paesi occidentali, sta aumentando paurosamente.

L'analisi dei due eventi permetterà di capire un po' meglio come stanno le cose.

2.

L'assistenza sanitaria pubblica degli Stati Uniti è stata sempre criticata perché essa ricopre i bisogni assistenziali di non più di un terzo della popolazione: gli anziani, per l'appunto, che possono valersi delle prestazioni di Medicare, e i poveri, che ricevono assistenza gratuita da Medicaid. Gli altri devono provvedere di tasca propria, rivolgendosi ai privati e alle assicurazioni. Si calcola che un americano su quattro, in caso di gravi malattie mediche o chirurgiche, di fatto, non può curarsi.

Se le cose stanno così, la firma di una legge che, sulla carta, migliora l'assistenza agli anziani, non dovrebbe essere salutata come un indizio di un ripensamento della politica sanitaria statunitense e il presagio di una riforma dell'assistenza medica che giunga ad estendersi a tutti i cittadini? Sarebbe bello pensarlo, ma la legge in questione non autorizza a presagire il rilancio dello Stato sociale.

Essa si fonda infatti su tre novità, la cui miscela rischia di essere esiziale per tutti, tranne che per le industrie. Le novità sono queste. Primo, al posto della tessera sanitaria, che permetteva l'acquisto di medicinali scontati, agli anziani sarà concesso un finanziamento diretto di 2250 dollari l'anno per l'acquisto di farmaci, con un ticket del 10% a loro carico. Secondo, Medicare non fornirà più assistenza diretta, ma la appalterà a compagnie assicurative private. Terzo, verrà meno il controllo sul prezzo dei farmaci, che saranno lasciati liberamente fluttuare secondo le leggi del mercato.

Ora, dopo un condizionamento decennale che ha abituato gli anziani a consumare dosi imponenti di farmaci, per un costo annuale medio che oscilla intorno ai 4-5000 dollari, il finanziamento dello Stato significa o rinunciare alle cure già in atto (con il pericolo di rimanere "secchi" per l'astinenza) o pagare di tasca propria il di più. Il problema è che, data la liberalizzazione del prezzo dei farmaci, e dunque un aumento di sicuro consistente - essendo il mercato dei farmaci in pratica un oligopolio -, la quota erogata dallo Stato basterà nella migliore delle ipotesi a coprire un terzo della spesa. Per questo aspetto, la legge penalizza i pazienti. Apparentemente penalizza anche le industrie, se, com'è probabile, gli anziani diminuiranno il consumo di farmaci. Ma questo non è vero.

L'aumento dei prezzi, e quindi del profitto sul costo di produzione, potrà infatti già sopperire, in rapporto alla fascia degli anziani, alla diminuizione del consumo. Quell'aumento, però, riguarderà tutti i cittadini che hanno bisogno di cure e che, non essendo poveri né anziani, ricevono assistenza dalle assicurazioni private. Le polizze, che già adesso oscillano intorno ai 5000 dollari annui per individuo, sono destinate a salire. Anche a questo livello si porrà l'alternativa di spendere di più o di rinunciare all'assicurazione.

Da ultimo, l'appalto dell'assistenza alle compagnie assicurative private da parte di Medicare rappresenterà un ulteriore trasferimento di denaro pubblico al privato.

Infine, non si può non considerare il fatto che, anche a livello d'industria farmaceutica, gli Stati Uniti hanno una posizione di assoluto rilevo sul mercato internazionale. La liberalizzazione dei prezzi stabilita dalla legge avrà dunque riflessi anche fuori degli stati Uniti, e in Europa in particolare. Considerando che costà i servizi sanitari sono prevalentemente pubblici, anche a livello internazionale avverrà un trasferimento di denaro pubblico al privato statunitense.

La legge è dunque, paradossalmente, una legge populista che ha nella coda il veleno della liberalizzazione del mercato. Perché questa liberalizzazione sia "velenosa" dovrebbe risultare chiaro. Coloro che l'hanno approvata - i repubblicani, ad eccezione di 9 dissenzienti, e 10 democratici - sostengono però il contrario. Secondo loro, ogni liberalizzazione, aumentando la concorrenza, produce inesorabilmente una diminuzione dei prezzi. Sulla carta, in termini di teoria economica classica, il ragionamento non fa una piega. Il problema è che la concorrenza, per funzionare, deve essere perfetta o quasi, vale a dire implicare che nessun produttore abbia un peso tale da condizionare il mercato. Questo però non è il caso delle industrie farmaceutiche che, in seguito alle fusioni intervenute negli anni '90, sono pervenute a dimensioni tali da configurare un mercato oligopolistico. Esse inoltre dispongono di tali capitali da poter influenzare sia l'opinione pubblica che il potere politico. Per quanto riguarda quest'ultimo, parlare di influenzamento è un eufemismo. La lobby farmaceutica ha, nelle Camere statunitensi, un numero rilevante di rappresentanti sponsorizzati. Nessuno saprà mai quanto denaro è stato investito nel promuovere il consenso dei parlamentari indecisi.

3.

L'altro evento è solo apparentemente meno rilevante. Il National Institutes of Healt (Nih) è il principale istituto di ricerca americano sulla salute e sui farmaci. Esso impiega circa 45000 ricercatori a vario titolo, alcuni dei quali, che hanno funzioni dirigenziali, guadagnano da 100000 a 200000 dollari l'anno.

Una delle funzioni istituzionali del Nih è di sottoporre a controlli clinici le medicine prodotte dalle industrie private e di dare il via libera alla loro commercializzazione. Tale funzione è di particolare importanza perché le industrie farmaceutiche, investendo nella ricerca e nella produzione dei farmaci, capitali piuttosto ingenti, hanno tutto l'interesse a minimizzare i loro effetti collaterali o il grado di tossicità. Esse sanno che la commercializzazione di un farmaco iatrogenetico è destinata inesorabilmente a produrre un certo numero (da decine a centinaia) di cause di risarcimento. Il rilievo della iatrogenesi su scala nazionale e internazionale richiede però un certo numero di anni. Se in questo periodo, il farmaco ha avuto successo sul piano del mercato, il gioco vale la candela: la somma dei risarcimenti, per quanto onerosi, risulta ben minore dei profitti. L'investimento insomma è redditizio, anche se esso comporta il fatto che un certo numero di pazienti ci rimette la pelle.

Il Nih deve vigilare per correggere questa logica speculativa in nome del bene comune. Il via libera che esso concede definisce un farmaco come doc, vale a dire a basso rischio iatrogenetico.

Data questa funzione, dovrebbe essere ovvio che i dirigenti, dai quali dipende l'autorizzazione alla commercializzazione delle medicine, non dovrebbero intrattenere rapporti di collaborazione o di consulenza con le industrie farmaceutiche.

Il Los Angeles Times ha invece scoperto che ben sei Direttori del Nih svolgevano da anni il ruolo di consulenti di varie industrie farmaceutiche, ricevendo compensi di varie centinaia di migliaia di dollari. Il giornale ha accusato tali Direttori di "corruzione". Se la Magistratura, sulla scorta della denuncia giornalistica, dovesse avviare un'indagine sul Nih, il fenomeno quasi di sicuro assumerà dimensioni ben maggiori.

I ricercatori interessati (d'oro - verrebbe da dire), sbattuti in prima pagina, non hanno fatto una piega, affermando che le loro consulenze erano legali. Potrebbero avere formalmente ragione. Nel 1995 il Direttore del Nih scrisse una nota circolare per tutti i direttori degli istituti cancellando la norma non scritta per cui medici e ricercatori non dovevano accettare ad alcun titolo denaro da industrie farmaceutiche. Nella nota, il direttore speigava addirittura che era venuto il momento di aggiornarsi portando anche all'interno dell'istituto "norme etiche più in linea con i nuovi standard dei manager."

Quest'affermazione singolare, che confonde l'etica con il guadagno, si spiega facilmente se si inquadra nel contesto dell'epoca. In quel periodo, infatti, grazie alla bolla speculativa borsistica, le industrie farmaceutiche, impegnate nel biotech, vale a dire sulla frontiera di sviluppi medici valutati in anticipo come economicamente redditizi, avevano accumulato enormi capitali. La possibilità che i ricercatori più prestigiosi del Nih, insoddisfatti dei loro pur lauti guadagni, potessero cedere alla sirena delle industrie farmaceutiche e passare armi e bagagli dal pubblico al privato, era nell'aria. Come frenare la prevedibile emorragia se non concedendo loro di affrancarsi dalle pastoie burocratiche che imponevano loro il ruolo di difensori del bene comune?

In realtà, non pare che le industrie farmaceutiche intendessero cooptare i "cervelli" del Nih. Ad esse faceva comodo controllare i controllori. La pressione operata sotto forma di proposte di assunzione era solo funzionale a indurre l'aggiornamento "etico" dell'Istituto, che è infatti regolarmente avvenuto.

Un solo caso, tra quelli denunciati dal Los Angeles Times, può dare la misura dell'impatto sociale di di queste nuove norma etiche. Richard G. Eastman era il maggior esperto in diabete del Nih, a capo di una ricerca da 150 milioni di dollari. Nel 1997 egli diede via libera alla commercializzazione di un farmaco (il Rezulin) scrivendo, nel rapporto ufficiale inviato alla Fda (Food and Drug Administration), che "il rischio per chi prende il Rizulin è assolutamente minimo". In seguito alla commercializzazione, il farmaco ha avuto una diffusione straordinaria sul mercato americano, laddove il diabete alimentare è una malattia sociale. Si calcola che esso sia stato assunto da decine di milioni di pazienti. Esso è stato ritirato nel 2000 in seguito al sospetto di aver causato la morte di 556 persone.

Se anche il sospetto venisse confermato, la cosa finisse in tribunale e l'industria interessata fosse obbligata a risarcire le vittime, il principio per cui il gioco è valso comunque la candela sarebbe confermato.

E' evidente che lo scandalo del Nih è perfettamente sovrapponibile a quello avvenuto a livello di Borsa: nell'uno e nell'altro caso, i controllori si sono venduti ai controllati. Il potere corruttivo del denaro è evidentemente senza limiti, e la sua "etica" spazza via ogni qualsivoglia valore morale.

4.

Il nesso tra i due eventi è assolutamente evidente. Le industrie farmaceutiche, che dispongono di enormi capitali, sono in grado di condizionare, se non addirittura di corrompere, qualunque potere politico e amministrativo. E' questa un'ulteriore riprova del fatto che, negli anni '90, il capitale, che privilegia interessi privati, è riuscito a subordinare a sé la politica, che, sulla carta, dovrebbe prendersi cura del bene comune.

Nell'ambito in questione - quello della Sanità - il problema è però più complesso, poiché coinvolge anche la psicosociologia dei consumatori, vale a dire i pazienti. Questi ormai hanno sviluppato, negli Stati Uniti in particolare ma anche in Europa, un'idolatria della scienza medica e del farmaco che li rende docili cavie del capitale. Certo, il loro bisogno profondo è di star bene e la loro domanda si rivolge ai medici per avere una diagnosi e una cura. Ma, intanto la diagnosi la pretendono sul piano biologico, laddove i loro malanni, quando non sono francamente psicosomatici, derivano spesso da fattori ambientali (inquinamento, traffico, ritmi di lavoro febbrili, ecc.) e da un regime di vita (per esempio alimentare ) sbagliato. A questa domanda i medici non oppongono alcun filtro. Essi stanno al gioco e, in conseguenza di questo, prescrivono farmaci. L'escalation delle prescrizioni, negli Stati Uniti come in Europa, lascia pensare ad una popolazione di malati cronici. Quello che accade in realtà è che, oltre ad un numero esorbitante di diagnosi di comodo (gastriti, coliti, artrosi, reumatismi, vertigini, ipotensione, anemia, ecc.), formulate senza alcun criterio scientifico, e che, ciononostante, danno luogo a prescrizioni mediche, la medicina ormai si riconduce ad un modello astratto in nome del quale qualunque scostamento da un'assoluta normalità di parametri funzionali o biochimici dà luogo ad una terapia preventiva.

Il consumismo farmacologico, che fa ormai di molti pazienti veri o presunti dei farmacodipendenti, non dipende insomma solo dalle industrie farmaceutiche. Ciò non toglie che la loro reponsabilità nell'alimentare questo fenomeno con ogni mezzo, lecito e illecito, è al di fuori di ogni dubbio.

Gennaio 2003