Hobsbawm è uno dei pochi storici che continuano a definirsi
marxisti e che, ciononostante, è universalmente rispettato per il rigore delle
opere che ha scritto, per la documentazione ampia su cui esse si basano e per
uno stile insolitamente brillante. L’articolo che segue riproduce alla lettera
il discorso pronunciato il 13 novembre 2004 a conclusione del seminario sulla
storiografia marxista, tenutosi all'Accademia britannica. Si tratta di una
breve ma densa riflessione sullo statuto della storia che contrappone alle
correnti relativiste e postmoderniste ormai prevalenti, e la cui espressione
elettiva è il revisionismo, la convinzione appassionata che la storia abbia un
senso, peraltro non deterministico né teleologico, che la ragione umana può
scoprire e di cui l’umanità può tenere conto. La nuova prospettiva cui Hobsbawm
fa cenno, che tende a diminuire lo scarto tra scienze naturali e scienze
sociali e umane, è di grande interesse.
«I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si
tratta di trasformarlo».(1) Le due parti della celebre «tesi su Feuerbach» di Marx, riferite al
filosofo tedesco, hanno ispirato due linee di sviluppo parallele della
storiografia marxista. La maggior parte degli intellettuali che abbracciarono
il marxismo a partire dagli anni 1880 (inclusi gli storici marxisti), volevano
trasformare il mondo, in collaborazione con i movimenti operai e socialisti;
movimenti che stavano diventando, grazie all’influenza del marxismo, forze
politiche di massa. La cooperazione fra intellettuali e masse orientò gli
storici che intendevano cambiare il mondo, verso determinati campi di studio,
in particolare la storia del popolo o della popolazione operaia che, se
attiravano naturalmente le persone di sinistra, non possedevano all’origine
alcun rapporto particolare con una visione marxista. All’opposto, quando a
partire dagli anni 1890 molti intellettuali smisero di essere dei rivoluzionari
sociali, spesso cessarono anche di professarsi marxisti.
La rivoluzione sovietica dell’ottobre 1917 rinfocolò tale impegno.
Ricordiamoci, infatti, che il marxismo fu abbandonato formalmente dai
principali partiti socialdemocratici dell’Europa continentale, solo negli anni
‘50, se non più tardi. La rivoluzione d’ottobre determinerà inoltre una
storiografia marxista per così dire obbligatoria in Urss e negli stati posti in
seguito sotto l’influenza del regime comunista.
La motivazione militante venne ulteriormente rafforzata durante il
periodo dell’antifascismo. A partire dagli anni ‘50, tale tendenza si affievolì
nei paesi sviluppati - ma non nel terzo mondo - sebbene l’evoluzione considerevole
dell’insegnamento universitario e l’agitazione studentesca, daranno vita,
durante gli anni ‘60, in seno all’Università, a un nuovo e importante
contingente di persone decise a cambiare il mondo. Tuttavia, pur essendo
radicali, molti dei contestatari non erano propriamente marxisti, alcuni - anzi
- non lo erano affatto.
Questa risorgenza ideologica raggiunse l’acme negli anni ‘70, un po’
prima che iniziasse - ancora una volta per ragioni essenzialmente politiche -
una reazione di massa contro il marxismo. L’effetto principale di tale reazione
fu di eliminare - tranne fra i neoliberali che vi aderiscono ancora - l’idea
che si possa predire, con il sostegno dell’analisi storica, il successo di una
particolare organizzazione della società umana. La storia è stata disgiunta
dalla teleologia.
(2)
Considerate
le incerte prospettive che si offrono ai movimenti socialdemocratici e
social-rivoluzionari, risulta improbabile che si possa assistere a una nuova
corsa verso il marxismo politicamente motivato. Ma facciamo attenzione a non
cadere in una visione eccessivamente occidentalocentrica.
A
giudicare dalla richiesta di cui sono oggetto le mie opere storiche, constato
che la domanda si è sviluppata dopo gli anni 1980 in Corea del Sud e Taiwan,
dopo gli anni 1990 in Turchia e che - secondo alcuni segnali - adesso aumenta
nei paesi di lingua araba.
Ma che ne
è stato del filone inerente alla «capacità di interpretare il mondo» del
marxismo? La storia è un po’ diversa, ma viaggia anche in parallelo all’altra
dimensione. Riguarda la crescita di quella che si può definire la reazione
anti-Ranke
(3), di cui
il marxismo ha rappresentato un elemento importante, anche se ciò non gli è
stato sempre riconosciuto integralmente. S’è trattato, essenzialmente, di un
doppio movimento.
Da una
parte questa tendenza contestava l’idea positivista, secondo cui la struttura
oggettiva della realtà era per così dire evidente: bastava applicare la
metodologia scientifica, spiegare perché i fatti erano accaduti e come, per
scoprire «wie es eigentlich gewesen» (come era andata realmente)... Per tutti
gli storici, la storiografia è stata e rimane ancorata a una realtà oggettiva,
ovvero la realtà di ciò che è accaduto nel passato. Tuttavia essa non parte dai
fatti, ma dai problemi ed esige che si indaghi per comprendere perché e come
questi problemi - paradigmi e concetti - siano stati formulati così all’interno
di tradizioni storiche e ambienti socio-culturali differenti.
D’altra
parte, questo movimento tentava di avvicinare le scienze sociali alla storia e
di inglobarle, di conseguenza, in una disciplina generale in grado di spiegare
le trasformazioni della società umana.Per usare
la formula di Lawrence Stone (4),
l’oggetto della storia doveva consistere nel «porre le grandi questioni
del”perché”». Questo «tornante sociale» non è derivato dalla storiografia ma
dalle scienze sociali, alcune germinanti in quanto tali, che si affermavano
all’epoca come discipline evoluzioniste, ovvero storiche.
Se Marx
si può considerare il padre della sociologia della conoscenza, il marxismo -
benché sia stato accusato, a torto, di un presunto oggettivismo cieco - ha
contribuito, senza dubbio, al primo aspetto di questo movimento. Inoltre,
l’impatto più noto delle idee marxiste - l’importanza attribuita ai fattori
economici e sociali - non era specificamente marxista, benché l’analisi
marxista abbia avuto un peso considerevolmente in questo orientamento. Tale
impostazione si inscriveva in un movimento storiografico generale, evidente
dagli anni 1890 e al culmine tra il 1950 e il 1960, a tutto vantaggio della mia
generazione di storici, che ha avuto la fortuna di trasformare questa
disciplina.
La
suddetta corrente socio-economica travalicava il marxismo. La creazione di
riviste e di istituzioni della storia economico-sociale è stata a volte, come
in Germania, opera di socialdemocratici marxisti, come nel caso della rivista
Vierteljahrschrift, nel 1893. Casi analoghi non si verificarono però in Gran
Bretagna, in Francia o negli Stati Uniti. Persino in Germania, la scuola di
economia d’impronta fortemente storica, non aveva niente di marxista. Soltanto
nel terzo mondo del XIX secolo (Russia e Balcani) e in quello del XX secolo, la
storia economica ha assunto un orientamento prima di tutto
socialrivoluzionario, al pari di ogni «scienza sociale».
Di
conseguenza, tale disciplina è stata attratta fortemente da Marx.
In ogni
caso l’interesse storico degli storici marxisti non è tanto rivolto alla «base»
(l’infrastruttura economica), quanto al rapporto fra base e sovrastruttura. Gli
storici dichiaratamente marxisti sono sempre stati relativamente poco numerosi.
Marx ha influenzato principalmente la storia, mediante lo stratagemma degli
storici e dei ricercatori in scienza sociale, che hanno ripreso le questioni
che egli aveva posto - indipendentemente dal fatto che abbiano apportato loro
altre risposte o meno. Da parte sua la storiografia marxista è notevolmente
progredita, rispetto a ciò che era all’epoca di Kautsky e Georgy Plekanov(5), grazie
al fertile innesto di altre discipline (in particolare l’antropologia sociale),
e al contributo scientifico di pensatori influenzati da Marx, come Max Weber,
che sono giunti a completarne il pensiero (6)
La svolta
sociale Se qui sottolineo il carattere generale di questa corrente storiografica
non è certo per minimizzare le divergenze latenti o dichiarate all’interno
delle sue componenti. I modernizzatori della storia si sono posti le stesse
domande e hanno voluto impegnarsi nelle stesse battaglie intellettuali: sia che
traessero ispirazione dalla geografia umana, o dalla sociologia di Durkheim
(7)
, o dalla
statistica - utilizzate, in Francia, vuoi dagli Annali, vuoi da Labrousse - ,
sia che facessero riferimento alla sociologia weberiana, alla «Historische
Sozialwissenschaft» della Germania federale, oppure al marxismo degli storici
del Partito comunista, vettori della modernizzazione storica in Gran Bretagna
o, quanto meno, fondatori della sua principale rivista. Gli uni e gli altri si
considerano alleati contro il conservatorismo in campo storico, anche quando le
loro posizioni politiche e ideologiche sono state antagoniste come nel caso di
Michel Postan
(8) e dei
suoi allievi marxisti britannici. Tale coalizione progressista trovò la sua
espressione esemplare nella rivista Past and Present, fondata nel 1952, che
divenne riferimento autorevole nel mondo degli storici. La rivista ebbe
successo perché i giovani marxisti che la fondarono rifiutarono deliberatamente
l’esclusività ideologica, e così i giovani modernizzatori, provenienti da altri
orizzonti ideologici, furono pronti a raggiungerli, consapevoli che le
differenze ideologiche e politiche non avrebbero rappresentato un ostacolo alla
reciproca collaborazione. Il fronte del progresso avanzò in modo spettacolare
fra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni 1970, in quello che Lawrence
Stone definisce «un vasto insieme di sconvolgimenti nella natura del discorso
storico». Il processo continuò fino alla crisi del 1985, che vide il passaggio
dagli studi quantitativi agli studi qualitativi: dalla macro alla microstoria,
dalle analisi strutturali ai racconti; dal sociale alle tematiche culturali...
Da
allora, la coalizione modernizzatrice è sulla difensiva, persino nelle sue
componenti non marxiste come la storia economica e sociale.
Negli
anni ‘70, la corrente dominante in campo storico aveva subito un tale mutamento
- per l’influenza, in particolare, delle «grandi questioni» poste alla maniera
di Marx - , che io scrissi: «È spesso impossibile dire se un’opera è stata
scritta da un marxista o da un non-marxista, a meno che l’autore non dichiari
la sua posizione ideologica... Attendo con impazienza il giorno in cui più
nessuno domanderà se gli autori sono o non sono marxisti!» Ma, come al contempo
evidenziavo, eravamo lontani da una tale utopia. Da allora, l’esigenza di
sottolineare l’apporto concreto del marxismo alla storiografia è diventata anzi
più forte. Non avveniva così da molto tempo: sia perché la storia ha bisogno di
essere difesa dagli attacchi di quanti negano la sua capacità di aiutarci a
comprendere il mondo, e poi per via dei nuovi sviluppi scientifici che hanno
scompigliato il calendario storiografico. Sul piano metodologico, il fenomeno
negativo più rilevante è stato costruire un insieme di barriere tra ciò che è
successo - o che accade - , nella storia, e la nostra capacità di osservare
questi fatti e comprenderli. Questi blocchi derivano dal rifiuto di ammettere
che esista una realtà oggettiva, che essa non è costruita dall’osservatore in
rapporto a fini differenti e mutevoli né dovuta alla convinzione che non si
possano oltrepassare i limiti del linguaggio, ovvero dei concetti che
rappresentano il solo modo con cui possiamo parlare del mondo e del passato.
Una
visione simile elimina la domanda se esistano schemi e regolarità nel passato,
utili allo storico per formulare proposte significative.
Tuttavia,
alcune ragioni meno teoriche spingono comunque a un tale rifiuto: si concluderà
così che il corso del passato è troppo contingente, e cioè che le
generalizzazioni sono escluse, poiché in pratica potrebbe succedere, o sarebbe
potuto accadere, qualsiasi avvenimento. Questi argomenti riguardano
implicitamente tutte le scienze.Tralasciamo i tentativi più futili di
recuperare vecchie concezioni: attribuire il corso della storia a decisionisti
politici o a militari di alto grado, all’onnipotenza delle idee o ai «valori»;
oppure ridurre la dottrina storica alla ricerca, importante ma in sé
insufficiente, di un’empatia con il passato... Il maggior pericolo politico
immediato, che minaccia la storiografia attuale è costituito dall’«anti-universalismo»
per cui «la mia verità è valida quanto la tua, quali che siano i fatti».
L’anti-universalismo seduce naturalmente la storia dei gruppi identitari, nelle
loro differenti forme, per cui oggetto essenziale della storia non è ciò che è
accaduto, ma in che cosa ciò che è successo riguarda i membri di un gruppo
particolare. In generale, ciò che conta per questo genere di storia, non è la
spiegazione razionale, ma «il significato»; non quindi l’avvenimento che si è
prodotto, ma il modo in cui i membri di una collettività, che si definisce in
contrapposizione alle altre - in termini di religione, etnia, nazione, sesso,
modo di vita, o altro - percepiscono quello che è avvenuto...
Il
fascino del relativismo fa presa sulla storia dei gruppi identitari.
Per
motivi diversi l’invenzione di massa delle controverità storiche e dei miti
-che sono altrettante deformazioni dettate dall’emozione - ha conosciuto una
vera e propria età dell’oro nel corso degli ultimi trent’anni. Alcuni di questi
miti costituiscono un pericolo pubblico.
Si vedano
paesi come l’India all’epoca del governo induista (9)
, gli
Stati Uniti e l’Italia di Silvio Berlusconi, per non parlare dei nuovi
nazionalismi - spinti o meno dall’integralismo religioso.
Darwin e
Marx In ogni caso, benché questo fenomeno, nei margini più lontani dalla
storia, abbia generato abbagli e stupidaggini in certi gruppi particolari -
nazionalisti, femministi, gay, neri ed altri - ha parimenti dato origine a
sviluppi storici inediti e molto interessanti nell’ambito degli studi
culturali, quali «il boom della memoria negli studi storici contemporanei»,
come lo definisce Jay Winter
(10). La ricerca Les Lieux de mémoire («I luoghi della memoria»), coordinata
da Pierre Nora(11)
ne è un buon esempio.Di fronte
a simili derive, è tempo di ripristinare l’alleanza tra coloro che vogliono
vedere nella storia una modalità razionale di indagine sulle trasformazioni
umane: sia per contrastare chi la manipola a fini politici che, più in
generale, per opporsi a relativisti e postmodernisti, ciechi a questa
possibilità offerta dalla storia.Fra i
sunnominati relativisti, alcuni si considerano di sinistra e altri postmoderni.
Sfaldature politiche inattese rischiano dunque di dividere gli storici attuali.
L’approccio marxista si rivela perciò un elemento necessario per ricostruire il
fronte della ragione, come già lo fu durante gli anni 1950 e 1960. Il
contributo marxista risulta, infatti, ancora più pertinente oggi che altre
componenti della coalizione di allora hanno abdicato. Fra queste la scuola
delle Annales, con Fernand Braudel, e l’«antropologia sociale
struttural-funzionale», la cui influenza è stata molto grande fra gli storici.
Questa disciplina è stata particolarmente scossa dalla corsa verso la
soggettività postmoderna.Nel
frattempo, mentre i postmodernisti negavano la possibilità di una comprensione
storica, i progressi ottenuti nell’ambito delle scienze naturali, restituivano
a una storia evoluzionista dell’umanità la piena attualità. Senza che gli
storici se ne accorgessero veramente.Ciò è
avvenuto in due modi.
In primo
luogo, l’analisi del Dna ha stabilito una cronologia più solida e precisa dello
sviluppo, dall’apparizione dell’homo sapiens in quanto specie, in particolare
per quanto riguarda la cronologia dell’espansione, nel resto del mondo, di
questa specie originaria dell’Africa, e degli sviluppi che ne sono seguiti,
prima che comparissero fonti scritte. Nello stesso tempo, questa scoperta ha
rivelato la stupefacente brevità della storia umana - in base ai criteri
geologici e paleontologici - e ha eliminato la soluzione riduzionista della
sociobiologia darwiniana (12)
Le trasformazioni della vita umana, sia collettiva che individuale,
nel corso degli ultimi diecimila anni, e particolarmente nel corso delle ultime
dieci generazioni, sono troppo rilevanti per spiegarsi, tramite i geni, secondo
un meccanismo integralmente darwiniano. Le trasformazioni registrate
corrispondono a un’accelerazione della trasmissione di caratteristiche
acquisite, mediante meccanismi non genetici ma culturali. Si potrebbe affermare
che si tratta della rivincita di
Lamarck
(13) su Darwin, per il tramite della storia umana! Non serve a granché
travestire il fenomeno con metafore biologiche, parlando di «memi» (14)
, piuttosto che di «geni». I patrimoni culturali e biologici non
funzionano nello stesso modo.
Per
riassumere, la rivoluzione del Dna richiede un metodo particolare, storico, per
studiare l’evoluzione della specie umana. E, per inciso, essa fornisce anche un
quadro razionale per una storia del mondo.Una
storia che considera il pianeta in tutta la sua complessità, come unità di
studi storici, non come un contesto particolare o una regione circoscritta. In
altri termini la storia è il proseguimento dell’evoluzione biologica dell’homo
sapiens con altri mezzi...In
secondo luogo, la nuova biologia evoluzionista elimina la distinzione rigorosa
fra storia e scienze naturali, già in gran parte cancellata dalla
«storicizzazione « sistematica di queste scienze, negli ultimi decenni. Luigi
Luca Cavalli-Sforza, uno dei pionieri multidisciplinari della rivoluzione del
Dna, parla del «piacere intellettuale che si prova nel trovare tante analogie
fra ambiti di studio disparati, alcuni dei quali appartengono tradizionalmente
ai due poli opposti della cultura: la scienza e l’umanistica». In breve: la
nuova biologia ci libera dal falso dibattito circa la questione della storia in
quanto scienza o non scienza. In terzo luogo, questa disciplina ci riporta
inevitabilmente all’approccio di base della evoluzione umana, adottata da
archeologi e studiosi della preistoria, che consiste nello studio delle
modalità di interazione (e controllo crescente) fra la nostra specie e
l’ambiente. Riecco quindi le questioni poste da Karl Marx. I «modi di
produzione» (comunque si vogliano definire), fondati su maggiori innovazioni
della tecnologia produttiva, della comunicazione e dell’organizzazione sociale
- ma anche sulla potenza militare - sono al centro dell’evoluzione umana.Tali
innovazioni, di cui Marx era consapevole, non sono sopraggiunte e non
arriveranno certo da sole. Le forze materiali e culturali, e i rapporti di
produzione, non sono scindibili. Rappresentano, infatti, le attività di uomini
e donne artefici della propria storia, ma non nel vuoto, non al di fuori della
vita materiale né del loro passato storico. Di conseguenza, le nuove
prospettive per la storia, devono anche ricondurci a questo obiettivo essenziale
- per quanto non sia mai completamente realizzabile - per chi studia il
passato: «La storia totale» - non la «storia di tutto» ma la storia intesa come
una tela indivisibile, nella quale tutte le attività umane sono interconnesse -
è lo scopo della ricerca. I marxisti non sono i soli che hanno puntato a questo
obiettivo. Anche Fernand Braudel si è posto questo scopo, ma sono i marxisti
che l’hanno perseguito con maggiore tenacia, come ha precisato uno di loro,
Pierre Vilar
Fra le
questioni importanti sollevate da queste nuove prospettive, quella che ci
riconduce all’evoluzione storica dell’uomo è fondamentale.
Si tratta
del conflitto che vede da una parte le forze responsabili della trasformazione
dell’homo sapiens, a partire dall’umanità del neolitico fino all’umanità
dell’epoca nucleare, dall’altra le forze che mantengono immutabili la
riproduzione e la stabilità delle collettività umane, o dei contesti sociali, e
che nella maggior parte del corso storico le hanno efficacemente neutralizzate.
È un problema teorico è centrale. L’equilibrio delle forze pende in modo
decisivo verso una direzione determinata.Lo
squilibrio, che forse va al di là dell’umana comprensione, supera certamente la
capacità di controllo delle istituzioni sociali e politiche degli esseri umani.
Gli storici marxisti, che non avevano compreso le conseguenze involontarie e
indesiderabili dei progetti collettivi umani propri del XX secolo, questa
volta, forti della loro esperienza pratica, potranno forse aiutarci a
comprendere come siamo arrivati a questo punto.
note:
(1) Marx-Engels, Opere, V vol.,
Editori Riuniti
(2) Teleologia: dottrina che si
fonda sull’idea di finalità.
(3) Reazione contro Leopold von
Ranke (1795-1886), considerato il padre della principale scuola di storiografia
universitaria, prima del 1914. Autore in particolare dei volumi Storia del
popolo romano e germanico dal 1494 al 1535 (1824) e Histoire du monde
(Weltgeschichte) (1881-1888- testo incompiuto).
(4) Lawrence Stone (1920-1990)
una tra le più eminenti e influenti personalità della storia sociale. Fu
autore, segnatamente dei volumi The cause of the English Revolution 1529-1642
(1972) (trad. it. Le cause della rivoluzione inglese, Einaudi, 2001) e The
family, Sex and Marriage in England, 1500-1800 (1977).
(5) Furono dirigenti, l’uno della
socialdemocrazia tedesca, l’altro della socialdemocrazia russa, all’inizio del
XX secolo.
(6) Max Weber (1864-1920),
sociologo tedesco.
(7) Dal nome di Emile Durkheim
(1858-1917) che ha fondato Le regole del metodo sociologico (1895) Einaudi,
2001 e che è considerato, dunque, uno dei padri della sociologia moderna. Fu
autore in particolare del saggio La divisione del lavoro sociale (1893)
Einaudi, 1999 e della ricerca: Il suicidio (1897).
(8) Dal 1937 Michael Postan tiene
la cattedra di storia economica all’Università di Cambridge. È stato
ispiratore, insieme a Fernand Braudel, dell’Associazione internazionale di
storia economica.
(9) Il partito Bharatiya Janata
(Bjp) ha diretto il governo indiano dal 1999 fino a maggio del 2004.
(10) È professore all’Università
di Columbia (New York), considerato uno dei grandi specialisti della storia
delle guerre del XX secolo e soprattutto dei «luoghi della memoria».
(11) Cfr: Les Lieux de mémoire,
Gallimard, Paris, 3 voll., 1984, 1986, 1993
(12) Dal nome di Charles Darwin
(1809-1882), naturalista inglese che ha teorizzato l’evoluzione della specie
fondata sulla selezione naturale.
(13) Jean-Baptiste Lamark
(1744-1829), naturalista francese che, per primo, ha contestato l’idea della
permanenza della specie.
(14) I «memi» secondo Richard
Dawkins, uno dei capofila del neo-darwinismo, sono unità di base della memoria,
considerati vettori della trasmissione e sopravvivenza culturale, così come i
geni sono i vettori della sopravvivenza delle caratteristiche genetiche degli
individui.
(15) Si legga, in proposito, Une histoire en construction: approche marxiste
et problématique conjoncturelle, Gallimard-Seuil, Paris,1982.
(Traduzione
di E.G.)
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