La morte assurda

Una settimana fa a Roma è morta repentinamente, per una crisi cardiocircolatoria, una ragazza di 27 anni, Silvia Lolli, che ingeriva sei pillole al giorno di un prodotto "omeopatico" prescritto da un centro per dimagrire. L'autopsia effettuata ha dimostrato che non sussistevano nel suo organismo cause patologiche tali da giustificare il decesso.L'esame tossicologico è in corso, ma non si vede a cos'altro si possa attribuire la morte se non al farmaco dimagrante.

La testimonianza della madre, in cura essa stessa presso il centro, è preziosa. Silvia, come documenta peraltro una foto pubblicata sul giornale, non aveva in realtà alcun bisogno di dimagrire. All'inizio della cura pesava 55 Kg: un peso fisiologico data l'altezza (m. 1,64). La madre sostiene che l'esigenza della figlia, come peraltro la sua, era solo quella di liberarsi da qualche kilogrammo di troppo che appesantiva i fianchi e le cosce. Silvia di fatto, sia pure lentamente, aveva perso 4 Kg, e quindi il problema estetico si sarebbe potuto ritenere risolto. Continuava, però, come la madre, a prendere le pillole prescritte, spacciate dal medico come omeopatiche, cioè a base di prodotti naturali, ma che in realtà contenevano un derivato anfetaminico e un antidepressivo. Secondo la madre, ingerire quelle pillole era divenuta per entrambe una "mania".

Il caso, drammatico e patetico nello stesso tempo, che rientra a pieno titolo nella categoria delle morti assurde, richiede un commento, perché esso è sintomatico di un disagio femminile che si va diffondendo a macchia d'olio e che, sempre più spesso, porta le donne a rivolgersi, anche senza un motivo oggettivo, come nella circostanza in questione, ai centri per dimagrire. Il disagio in questione è motivato esteticamente, ma riesce abbastanza evidente che, laddove il peso è fisiologico, esso riconosce altre ragioni. Di queste due sono sufficientemente chiare.

La prima è la confusione intervenuta nella nostra società che identifica nella magrezza o comunque nell'assenza di depositi adiposi un indice univoco di bellezza. Tale confusione trascura il fatto che la bellezza e la capacità attrattiva sono un quid di misterioso, che fa riferimento essenzialmente all'armonia delle parti del corpo, al loro equilibrio, alla struttura scheletrica, alla grazia e, da ultimo, alla personalità che si esprime attraverso il corpo. L'insegnamento di Fedro, riferito ad una maschera ("è bella ma non ha cervello") sembra essere caduto nel dimenticatoio. Molte persone avrebbero più vantaggio, nelle relazioni interpersonali, a coltivare la loro personalità e a realizzare un equilibrio psicofisico che non a puntare sull'esibizione di un corpo privo di pannicoli adiposi. La civiltà dell'immagine, o meglio dell'apparire, allontana da quest'obbiettivo primario.

La seconda ragione è più complessa. Essa si riconduce al fatto che l'universo femminile, che è in una crisi di transizione, continua ad essere gravato da un nodo di insoddisfazioni, frustrazioni, invidie, rivendicazioni che spesso determina una depressione latente. La depressione, di cui molti soggetti non hanno coscienza, porta spesso le donne a chiedersi che cos'è che non va nella loro vita. Dato il carattere epocale della crisi in atto, la risposta rimane inaccessibile, anche se non ci vorrebbe molto a capire che quella crisi concerne una tradizione che non muore e un rinnovamento che non si realizza. Nella misura in cui però, la domanda si pone, e talvolta ossessivamente, una risposta va comunque trovata. La si trova, di fatto, sempre più spesso nello specchio, laddove la nudità rivela i suoi inesorabili difetti, che vengono ingigantiti dalla necessità soggettiva di scoprire "qualcosa" su cui sia possibile intervenire concretamente.

E' questa percezione alienata di un problema che ha ben altro spessore a portare sempre più frequentemente le donne nei centri estetici e in quelli per dimagrire. Colà esse s'imbattono in specialisti, talora di formazione medica, che hanno intenti meramente speculativi, e per raggiungere qualche risultato che amplii la clientela non vanno tanto per il sottile.

Più volte mi è capitato negli ultimi anni di essere consultato da pazienti che esibivano il flacone di pillole prescritte per dimagrire (pagato a peso d'oro) chiedendomi un parere e, talora, la compatibilità con gli ansiolitici o con gli antidepressivi che assumevano. Ho sempre constatato, nella congerie di componenti vegetali scritti in latino, la presenza di un derivato anfetaminico e della fluoxetina (il famigerato Prozac), talora a dosaggi piuttosto bassi, talatra a dosaggi "terapeutici". Nessuna delle pazienti era stata avvertita della presenza di queste sostanze chimiche tutt'altro che naturali.

E' evidente che molti centri per dimagrire mascherano, con il ricorso alle erbe, che fanno ben poco, la prescrizione di sostanze anoressanti il cui effetto è certo. Il problema è che quest'effetto, che può indurre una diminuzione di peso, non è l'unico. In alcuni casi, di soggetti ansiosi, il derivato anfetaminico intensifica lo stato di allarme, interferisce sul sonno e rende nervose. In altri casi, congiuntamente all'antidepressivo, esso euforizza e risolve, almeno parzialmente, la valenza depressiva. In questi casi, i soggetti sono contenti, e scambiano il cambiamento del loro umore per una conseguenza della soddisfazione legata alla perdita di peso. In realtà, quel cambiamento è strettamente legato alla prosecuzione dell'assunzione delle pillole. In misura diversa, sia il derivato anfetaminico che l'antidepressivo inducono una dipendenza: più di ordine chimico il primo, più di ordine psicologico il secondo.La conseguenza è che, per mantenere l'effetto sul peso e sull'umore, i soggetti devono continuare ad assumere le pillole, in un numero non inferiore a tre, a tempo indeterminato, pena il rischio di vedere nuovamente aumentare il peso e declinare l'umore.

Per scongiurare situazioni del genere, che sono tanto abituali quanto illegali, occorrerebbe che tra le utenti dei centri si stabilisse un rapporto di solidarietà e uno scambio di informazioni, che potrebbero confluire nella denuncia di pratiche sedicenti mediche che pongono a rischio la salute dei cittadini.

Non si tratta ovviamente di criminalizzare il fenomeno, anche se esso, in alcuni casi come quello di Silvia Lolli, comporta di sicuro estremi che concernono il codice penale. E' difficile, infatti, dire, in quest'ambito particolare, in quale misura è la domanda a produrre l'offerta o viceversa. La domanda, come ho detto, fa capo ad un disagio che investe l'universo femminile quasi nella sua totalità. Sinceramente, non so se sarebbe meglio per le donne prenderne atto e affidare la soluzione dei loro problemi agli psichiatri o agli psicologi. La cosa migliore sarebbe una presa di coscienza del problema. Ma questo slogan, abusato negli anni '70, ha perduto credito. Adesso, purtroppo, le donne ritengono di sapere quali sono i loro problemi e di sapere anche quali sono le soluzioni.