Pluralismo

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Dizionario di Filosofia (2009)


Termine coniato da Wolff per indicare l’atteggiamento mentale di chi, superato il naturale «egoismo», inteso nel senso di «solipsismo», riconosce intorno a sé l’esistenza degli altri. In seguito ampliò il suo significato, riferendosi non più alla sola pluralità dei soggetti conoscenti, ma a quella di ogni realtà considerata come costitutiva dell’Universo: il termine passò quindi a indicare quella dottrina che, in opposizione al monismo e al dualismo, afferma la pluralità delle sostanze o elementi che costituiscono la realtà. In questa accezione dottrine pluralistiche sono rintracciabili già nell’età presocratica, per l’esigenza di conciliare il principio eracliteo con quello eleatico: il divenire viene infatti derivato (Empedocle, Anassagora, Democrito) dalla diversa combinazione di una pluralità di particelle primordiali (rizomi, omeomerie, atomi) in sé immutabili. Lo stesso p. può d’altronde presentarsi come p. monistico, se le particelle sono della stessa specie (atomi di Democrito, monadi di Leibniz), e come p. dualistico, se quelle parti sono di due diverse specie (materiale e ideale, come nel sistema platonico). In senso più specifico, p. è, secondo il neorealismo americano e secondo il pragmatismo, la concezione secondo cui la realtà non può essere ricondotta a una descrizione unitaria a causa della sempre crescente molteplicità e pluralità dei suoi fenomeni. Particolare rilievo all’opposizione tra filosofie pluralistiche e filosofie monistiche, anche in relazione al tema della libertà, è stato conferito nel 20° sec. da Berlin .

Enciclopedia Italiana (1935)

di Guido Calogero

Termine filosofico, designante in generale ogni concezione che consideri la realtà come costituita da una pluralità di principî, non riducibile a una più profonda unità. Il termine fu coniato da Cristiano Wolff, che lo riferì particolarmente all'asserzione della pluralità degli esseri senzienti e lo contrappose perciò a quello di "egoismo", inteso nel senso odierno di "solipsismo" (cioè di opinione, affermata dal soggetto pensante, di essere l'unica realtà vera). Questo uso terminologico fu ripreso dal Kant, che si schierò quindi anch'esso fra i difensori del "pluralismo". In seguito il termine ampliò invece il suo significato, riferendosi non più alla sola pluralità dei senzienti ma a quella d'ogni realtà considerata come costitutiva dell'universo: il pluralismo si oppose così tanto al "monismo" (dottrina dell'unica essenza del tutto) quanto al "dualismo" (dottrina della duplice natura - divina e terrena, mortale e immortale, ideale e materiale - dei principî costitutivi della realtà). In questo senso, il pluralismo classico è quello che si costituisce già nell'età presocratica per l'esigenza di conciliare il principio eracliteo del divenire con quello eleatico dell'immobile identità di ciò che veramente è: il divenire viene infatti derivato (p. es., da Empedocle, Anassagora, Democrito) dalla diversa combinazione di una pluralità di particelle primordiali (rizomi, omeomerie, atomi) in sé immutabili. Lo stesso pluralismo può d'altronde presentarsi come "pluralismo monistico", se le realtà elementari di cui esso afferma la pluralità sono tutte della stessa specie (p. es., gli atomi, nel pluralismo materialistico di Democrito, riducente tutto a realtà corporee; o le monadi, nel pluralismo spiritualistico del Leibniz, risolvente ogni realtà nelle singole esperienze senzienti); e come "pluralismo dualistico" se quelle realtà sono di due diverse specie (p. es., materiale e ideale come nel sistema platonico, asserente insieme la molteplicità delle cose e la molteplicità delle idee). Ma s'intende che, in tal senso, il pluralismo può assumere gli aspetti più varî: né c'è sistema filosofico che, per certi suoi lati, non possa essere sussunto sotto la sua generica categoria. In forma più specifica il pluralismo è professato, tra le filosofie contemporanee, dal neorealismo americano e dal pragmatismo. Pluralismo è per essi la concezione della realtà come tale che non possa a priori essere compresa in uno schema o legge, superando essa, nel suo eterno progresso, ogni precedente posizione, e quindi svalutando qualsiasi costruzione unitaria con la sempre crescente molteplicità e pluralità dei suoi fenomeni.