Fatto

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Diritto

Qualunque avvenimento che il diritto prende in considerazione e al quale ricollega particolari effetti. Nel suo significato giuridico il f. non è l’evento naturale, individuabile e isolabile in un contesto naturalistico, ma l’evento che viene isolato e individuato dal diritto secondo criteri suoi propri. Solo la qualificazione giuridica, la determinazione normativa del f., conferisce al medesimo carattere unitario, secondo le finalità perseguite dal diritto positivo, carattere che può essere del tutto diverso da quello riconoscibile sul piano naturalistico: e allora il f. giuridico è detto fattispecie , ed è il rapporto tra l’evento fisico e i particolari effetti connessi all’evento in forza della volontà della legge. Tale fenomeno comunemente si esprime dicendo che il f. è la condizione degli effetti giuridici e che la norma è la causa. Questo procedimento di denaturalizzazione del f. fisico costituisce la tipizzazione normativa con la conseguente organizzazione di f. naturali, omogenei o ritenuti tali dal legislatore, in schemi astratti tipici, i quali vengono utilizzati come elementi delle proposizioni normative e termini di riferimento della corrispondente disciplina; così, il f. dell’uccidere è tipizzato nella categoria giuridica dell’omicidio, e quando la legge intende reprimere l’evento umano consistente nella soppressione fisica dell’uomo da parte dell’uomo si riferisce all’omicidio. Alla tipizzazione normativa corrisponde la tipizzazione giudiziaria o sussuntiva, cioè quel processo di accertamento e di analisi compiuto dal giudice in ordine al f. o ai f. che hanno dato luogo alla controversia offerta al suo giudizio: anche in tal caso il f. naturale, umano e sociale, dopo essere stato accertato e analizzato, viene tipizzato, cioè identificato con il f. tipico assunto dalla norma come f. previsto e regolato in astratto.

Descrittivamente, i f. si distinguono in o involontari , rappresentati cioè da eventi naturali (nascita, morte, alluvione, terremoto, ecc.), e in o volontari , rappresentati cioè dalle varie manifestazioni dell’attività dell’uomo. Questi ultimi danno luogo alla fondamentale categoria degli atti giuridici , che si dicono leciti , se la norma che li prende in considerazione attua un regolamento conservativo, di garanzia e tutela, degli intenti e degli effetti pratici immanenti nell’atto; ovvero illeciti , se la norma predispone un regolamento repressivo, di rimozione e sanzione, degli intenti e degli effetti pratici avuti presenti dalle parti interessate.

Nelle discipline civilistiche f. sono quegli eventi che determinano la nascita, la modificazione e l’estinzione di rapporti giuridici e situazioni giuridiche soggettive in genere. La qualificazione di un f. è di regola relativa, nel senso che quanto in una norma è previsto e tipizzato può diventare elemento di una diversa qualificazione: ciò è conseguenza della coordinazione e della subordinazione delle norme giuridiche nell’ordinamento positivo, con l’effetto che lo stesso f. può essere variamente considerato e disciplinato e può dar vita a diverse situazioni giuridiche.

Filosofia

Per ricostruire l’analisi della nozione di f. nella storia del pensiero filosofico, si deve risalire al 17° sec., alla distinzione tra ‘verità di ragione’ e ‘verità di f.’. T. Hobbes distingue due specie di conoscenza, la conoscenza di f. e la conoscenza della conseguenza di un’affermazione dall’altra. La prima non è altro che senso e memoria ed è conoscenza assoluta; l’altra è chiamata scienza ed è condizionale. Come Hobbes, anche G. Leibniz e D. Hume individuano la sfera delle verità di f. nell’esperienza. Le verità di f. sono per Leibniz contingenti, quelle di ragione necessarie e il loro contrario è impossibile. Per Hume della verità di f. è possibile sempre il contrario, poiché non implica mai contraddizione: essa è concepita dallo spirito con la stessa facilità e chiarezza che se fosse conforme alla realtà. La distinzione tra verità di f. (contingenti) e verità di ragione (necessarie) rimane valida anche per I. Kant.

La nozione di f. come dato oggettivo dell’esperienza, criterio di validità delle scienze sperimentali, caratterizza tanto il positivismo ottocentesco quanto le forme successive di empirismo, intrecciandosi spesso con la riflessione della filosofia della scienza sul ruolo dell’osservazione empirica nelle teorie scientifiche. Così, in una sostanziale ripresa della concezione di Hume, R. Carnap distinse tra proposizioni empiriche (o fattuali) e proposizioni analitiche (in cui sarebbero incluse anche le verità logiche). Le difficoltà interne a questa distinzione, poste originariamente in rilievo da W.V.O. Quine, e la storia successiva del neoempirismo condussero a una erosione della nozione di f. come dato oggettivo indipendente da assunzioni teoriche e puro risultato dell’osservazione empirica. Già P. Duhem all’inizio del 20° sec. aveva osservato che il f. è il risultato di un’interpretazione compiuta per il tramite degli strumenti e della terminologia propri di una teoria scientifica. Questa tesi, articolata soprattutto nella seconda metà del 20° sec. da filosofi quali N.R. Hanson, T. Kuhn, I. Lakatos, P.K. Feyerabend, ha condotto a riconoscere la implausibilità della distinzione, su cui per molti versi ancora si attardava il neoempirismo, tra asserzioni di fatto e asserzioni teoriche.