Confucio

Dizionario di filosofia (2009)

Confucio Filosofo cinese (n. 551 - m. 479 a.C.).

Il Maestro Kong.

Sebbene le fonti di maggior credito per ricostruire la vita e l’opera di C. siano unanimamente considerate i Dialoghi (Lunyu ), il Mencio (Mengzi ) e lo Zuozhuan («Commentario di Zuo Qiuming»), uno dei tre commentari degli Annali delle Primavere e Autunni (Chunqiu), la biografia accolta e consolidata dalla tradizione è quella composta da Sima Qian (forse 145-86 a.C.) nel suo Shiji («Memorie di uno storico»). In cinese il filosofo si chiamava Kong Qiu o Kong Zhongni o più diffusamente Kongzi («Maestro Kong»). Il nome di C. non è quindi altro che la latinizzazione di Kong Fuzi, denominazione che però non ricorre mai in questa forma nelle fonti cinesi, essendo stata coniata verso la fine del 16° sec. dai gesuiti missionari in Cina.

In Europa ne diffuse il nome e la dottrina specialmente il Confucius Sinarum philosophus, sive Scientia Sinica, opera monumentale composta dai quattro gesuiti P. Intorcetta, C. Herdtrich, F. Rougemont, Ph. Couplet e pubblicata a Parigi nel 1687, nella quale per la prima volta eruditi e filosofi europei poterono leggere in traduzione latina alcuni classici della tradizione testuale confuciana.

La vita.

Nativo del regno di Lu (nell’odierna provincia dello Shandong) e rampollo di una famiglia aristocratica decaduta, C. visse in una delle epoche più caotiche della storia cinese, quando la dinastia Zhou (secc. 11°-3°), oramai esausta e vacillante, subiva quotidianamente la tracotanza militare di alcuni regni belligeranti. Sin da giovane età si dedicò allo studio, privilegiando soprattutto gli antichi riti, la musica e la poesia. Ricoprì varie cariche minori nel regno di Lu, che poi abbandonò per attriti a corte; fu quindi costretto a un lungo periodo di peregrinazioni da un regno all’altro in compagnia di alcuni fedeli discepoli. Mai tuttavia cessò di professare la sua dottrina, richiamando presso di sé un gran numero di giovani, di origine sia nobile sia umilissima.

La dottrina.

Nei Dialoghi (Lunyu), opera composta dai discepoli di C. e considerata una raccolta di conversazioni, aforismi e aneddoti, l’entità divina per antonomasia, il «Cielo» (tian), ricorre sommessamente e solo due sole volte viene menzionato il tianming («mandato celeste»); questo però non deve indurre a credere che C., dal momento che non parla «mai di eventi straordinari [...] e di divinità» (Lunyu VII, 21), negasse il soprannaturale. È invece la profonda crisi politico-sociale dell’epoca che lo induce a riservare esclusiva attenzione e premura all’uomo e al suo agire nella società. Non è dunque il rifiuto del soprannaturale, ma solo lo sforzo di esortare continuamente l’uomo a migliorare la propria natura e ad agire per il bene dei propri simili: «Se non sai onorare gli uomini, come puoi pensare di onorare divinità e spiriti?» (Lunyu XI, 12).

Questa è la «via» (dao), una via già esperita dai virtuosi e saggi sovrani della remota antichità, che diffuse ovunque armonia e giustizia e, tra gli uomini, anche il metodo del buon governo. Tale via si rivela autenticamente all’uomo quando egli si addentra nella ricerca interiore, sorretto dallo studio, dalla disciplina e dalla osservanza di antiche norme. In ciò l’uomo è agevolato dalla condotta di un sovrano virtuoso o di un maestro esemplare: «Se viaggiassimo in tre – disse il maestro – certamente avrei sempre un maestro accanto: dell’uno coglierei i pregi per trarne esempio, dell’altro coglierei i difetti per emendarmi» (Lunyu VII, 22).

Solo l’uomo che agisce lealmente (zhong) e che non impone agli altri ciò che non desidera per sé (shu) è sulla retta via. Costui è l’uomo nobile (junzi), che con l’azione del pensiero (si), lo studio (xue) e il controllo del proprio impulso egoistico (keji) ottiene la virtù per eccellenza: l’umana benevolenza (ren). La grafia stessa del carattere cinese ren – il radicale significante «uomo» (ren) unito al carattere per esprimere «due» (er) – afferma il senso profondo della condizione dell’umana benevolenza: condizione che si dà solo nella relazione con l’altro e che l’uomo realizza prima nel seno della propria famiglia e poi, forte di questa esperienza, nella vita sociale: «L’uomo dotato di benevolenza – disse il maestro –, desiderando essere saldo, fa sì che lo siano gli altri, desiderando progredire, fa sì che gli altri progrediscano. Assumi come esempio quel che puoi fare per chi ti è vicino: è la strada verso la benevolenza» (Lunyu VI, 30).

Così l’uomo nobile di animo si distingue radicalmente da tutti e soprattutto da chi è mediocre e dappoco, perché questi bada solo al profitto e al proprio vantaggio: «L’uomo nobile di animo tiene alla benevolenza, l’uomo dappoco agli agi; l’uomo nobile di animo tiene all’imparzialità, l’uomo dappoco al favore» (Lunyu IV, 11). Nella condotta quotidiana l’uomo nobile di animo è orientato dai «riti» (li), tramandati dagli uomini dell’antichità, e la loro osservanza è in definitiva la vera esperienza religiosa, tutta umana e volta a stabilire una permanente armonia col mondo e col cosmo.

La diffusione del pensiero confuciano.

La dottrina di C., diffusamente tramandata dai suoi discepoli, divenne ortodossia di Stato durante la dinastia Han (secc. 3° a.C. - 3° d.C.) e successivamente fu sempre più espressione della Cina imperiale sino alla caduta della dinastia Qing nel 1911. I Dialoghi (Lunyu), che la tradizione attribuisce a C., sono invece opera probabilmente composta dai suoi discepoli: una parte – i primi quindici libri – appena dopo la morte del maestro e il resto – cinque libri – in età posteriore.

Confucianesimo

Enciclopedia delle Scienze Sociali (1992)

di Helwig Schmidt-Glintzer

Sommario: 1. Introduzione. 2. Confucio: vita e insegnamento. 3. Il costituirsi delle scuole e la loro tradizione. 4. Riconoscimento ufficiale e culto di Stato. 5. Il confucianesimo come filosofia e metafisica. 6. Il confucianesimo e l'etica dei funzionari colti. 7. Etica e teoria sociale. 8. Confucianizzazione della società. 9. Identità, rivalità e movimenti di rinnovamento. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Si designa come confucianesimo l'ideologia, ovvero la filosofia e la teoria politico-sociale del ceto colto dell'Impero cinese. Fondato sui valori degli antichi cinesi, il confucianesimo si presentò sempre, di conseguenza, anche come il legittimo rappresentante delle tradizioni antiche idealizzate, e nel corso del tempo influenzò in modo determinante la politica e la morale in Cina. Soprattutto nel secondo millennio d.C. il confucianesimo improntò largamente anche la cultura politica e il mondo spirituale della Corea e del Giappone, dove esercitò un ruolo importante sia come filosofia che come dottrina sociale, adattandosi peraltro anche a situazioni diverse rispetto a quella originaria. Tuttavia, per quanto significative siano state le ripercussioni del confucianesimo in questi paesi, la Cina è pur sempre rimasta il suo luogo storico, cosicché a volte il termine 'confucianesimo' è stato persino adoperato come sinonimo di cultura cinese.Il confucianesimo, che risale a Confucio e alla dottrina da lui elaborata, ha subito continue trasformazioni nel corso del tempo. Tutte le sue forme, comunque, presentano alcuni tratti in comune: il rilievo dato ai rapporti sociali, soprattutto alle gerarchie sociali; il rigetto di ogni egualitarismo; il privilegiamento dell'interiorità rispetto alle relazioni di carattere esterno; la convinzione della fondamentale educabilità di ogni uomo. Come teoria dello Stato il confucianesimo era utile all'Impero per la sua legittimazione, ma nello stesso tempo rispondeva all'esigenza dei funzionari colti di limitare, circoscrivere e controllare il potere del sovrano e dei militari in favore di un equilibrio di interessi orientato al bene comune.

Per il suo carattere originario fondamentalmente agnostico, tuttavia, il culto confuciano dello Stato si trovò nella necessità di accogliere altri elementi filosofici e di culto. Il confucianesimo divenne pertanto una dottrina della società e dello Stato assai ampia, che aspirava a regolare ogni ambito. Ma data la sostanziale sobrietà dei suoi contenuti, che non consentiva di soddisfare i bisogni magico-religiosi delle masse, rimase spazio sufficiente per gli apporti di altre dottrine, da cui in seguito lo stesso confucianesimo fu influenzato. L'orientamento verso il benessere di tutti i sudditi portò a teorizzare l'assistenza ai deboli e una limitazione del potere dei singoli o dei gruppi; ciò peraltro non impedì che nella pratica i funzionari confuciani si legassero a particolari interessi economici, soprattutto nel periodo del tardo Impero. In questo modo il confucianesimo finì per essere equiparato al vecchio sistema, cadendo in discredito.

2. Confucio: vita e insegnamento

Confucio, il fondatore della dottrina, visse tra il 551 e il 479 a.C. Con tutta probabilità apparteneva alle file della piccola nobiltà impoverita, assai folte all'epoca, e come tutti costoro era convinto della superiorità della propria condizione. Si sa poco di certo sulla sua vita e sulle sue origini; le informazioni dettagliate in proposito sono, senza eccezioni, invenzioni delle generazioni successive.Le dottrine di Confucio si possono spiegare solo se si tiene presente lo scenario costituito dai rapporti di potere politico nella Cina del VI e del V secolo. Le idee fondamentali, tuttavia, risalgono a concezioni considerevolmente più antiche, quali quelle del bene pubblico e della funzione esercitata come unica via legittima per conseguire gloria, considerazione e una posizione più elevata. Confucio dava molta importanza alle capacità necessarie per ricoprire una carica. In particolare riteneva necessaria una conoscenza precisa dei riti di corte e delle cronache, ossia delle antiche opere di storia. Nonostante l'esigenza di una formazione culturale così ampia dell'élite, già all'epoca di Confucio si delinea la tendenza a una certa specializzazione.

In un'epoca in cui si erano allentati i vincoli di sangue dell'aristocrazia e dei clan e si cercava una soluzione delle conflittualità, Confucio aspirava a una ricostruzione dell'ordine morale che si richiamasse agli ideali etici dell'antichità, ma personalmente non ebbe successo in politica. A quanto pare, aveva acquistato un tale grado di cultura, quale gli sarebbe stato impossibile conseguire rivestendo cariche più elevate. Cultura e successo nella carriera, del resto, saranno difficili da conciliare nella pratica anche nella Cina confuciana delle epoche successive, sebbene la loro compresenza in una sola persona restasse l'ideale, sia pure raggiunto da pochi. A prescindere dalla possibilità di applicare praticamente i propri principî, Confucio agì efficacemente su amici e allievi, alcuni dei quali entrarono al servizio dello Stato. Solo verso i cinquant'anni egli, sentendosi manifestamente chiamato a redimere il mondo e considerandosi nel solco della tradizione del 'mutamento del sovrano', cercò di agire al di fuori del regno di Lu in cui era nato (nell'attuale regione dello Shandong); dopo circa un decennio seguì però il richiamo dei suoi discepoli e fece ritorno nel regno di Lu, dove trascorse insegnando il resto della sua esistenza.Per tutta la vita Confucio rimase convinto di possedere una vocazione al potere di carattere interiore, quasi nascosto, giacché con la crisi dell'antico ordine si era spezzata l'unità tra 'vocazione' ed effettivo esercizio del potere, e il sovrano non era più considerato come colui che è 'chiamato' a regnare. Questa idea di sé di Confucio e dei suoi seguaci fece nascere in loro la convinzione di essere degli eletti e il senso di una certa indipendenza. Da questa tensione nei confronti del mondo e dal dubbio di fondo sul carisma del sovrano scaturì l'esigenza dei confuciani di partecipare attivamente all'organizzazione della vita pubblica, ma anche l'opposta tendenza a un sostanziale rifiuto del mondo della politica.

Al centro della dottrina di Confucio vi è il concetto di ren ('benevolenza' o 'amore per gli uomini'), e sia lui che i suoi seguaci perseguivano l'ideale del 'gentiluomo' (junzi). Tale concetto di junzi, che originariamente significava anche 'figlio di principi' e aveva ora assunto il significato di 'nobile' o di 'eminente', rispecchia la preoccupazione di Confucio di preservare l'ideale aristocratico anche dopo la dissoluzione dei vincoli fondati sul sangue. Tale individuo 'nobile' accresceva la propria forza interiore mediante 'l'amore per gli antichi', seguendo il modello di rapporti sociali propri dell'epoca delle prime dinastie Zhou, e conservando i culti e gli scritti antichi. Indicando le usanze e le prescrizioni degli antichi come norme vincolanti, Confucio identifica i costumi tradizionali con la moralità. Fine dichiarato di Confucio e dei suoi seguaci era il perseguimento del bene comune e l'abolizione del dominio arbitrario di alcune potenti famiglie nobiliari, che contrassegnava la sua epoca. La mancanza di un forte potere centrale lo spinse a non attendersi da questo la realizzazione dei suoi intendimenti. Confucio confidava piuttosto nell'osservanza di determinati principî morali all'interno della famiglia, ma richiedeva anche una basilare riforma amministrativa che contemplasse in primo luogo minori oneri fiscali, una riduzione delle pene e un atteggiamento possibilmente benevolo nei confronti dei sudditi. In un'epoca in cui si assisteva al progressivo allentarsi dei vincoli familiari, l'educazione e l'istruzione non si svolgevano più nell'ambito domestico, ma venivano affidate a una istituzione specifica rappresentata dal maestro; di questa figura Confucio fu in seguito considerato il prototipo.

L'etica teorizzata da Confucio è dunque completamente determinata dall'idea dello Stato o comunque della comunità bene ordinati. Anche al singolo, però, è prescritta una condotta improntata alla rettitudine, onde contribuire a che "la Via sia data sotto il Cielo" (Lunyu, 16.2). Richiamandosi agli ideali dei leggendari sovrani dell'antichità Yao e Shun, Confucio trasmise ai discepoli la propria concezione di un ordine migliore del mondo, esortandoli a coltivare la propria personalità. Perciò, accanto alla formazione letteraria nel senso più ampio, assumevano un posto di primo piano l'insegnamento del valore della moralità in politica e l'esortazione all'integrità personale. Sulla base di questi insegnamenti i discepoli di Confucio erano raccomandati per assumere cariche politiche, che in parte era lo stesso maestro a procurare. Questa forma della raccomandazione costituì per secoli il sistema usuale di reclutamento dei funzionari, e non fu mai del tutto sostituita dagli esami di Stato introdotti in seguito.

3. Il costituirsi delle scuole e la loro tradizione

Le correnti spirituali che nei secoli successivi si richiamarono a Confucio svilupparono la dottrina originaria apportandovi dei cambiamenti. Le molteplici divisioni e scissioni diedero origine a vere e proprie scuole, sulle cui prime vicende tuttavia si possono fare solo congetture. Successive opposizioni tra singole tradizioni e orientamenti interpretativi hanno portato - soprattutto sulla spinta del cosiddetto neoconfucianesimo, costituitosi a partire dall'VIII secolo - a spostare nel passato determinate linee della tradizione. Già dal V secolo a.C. dovettero essersi costituite due contrapposte scuole confuciane, una delle quali, orientata per lo più in senso politico e sociale, si basava sul Daxue ('Il grande studio') attribuito al discepolo di Confucio Zengzi (505-436 a.C.); l'altra, di carattere soprattutto metafisico e religioso, si basava con tutta probabilità sullo Zhongyong ('Il giusto mezzo') attribuito al nipote di Confucio Zisi (483-402 a.C.). Mentre l'indirizzo di tipo politicosociale acquistò rilevanza propriamente solo a partire dall'XI secolo, lo Zhongyong divenne già in epoca Tang uno dei testi più importanti della dottrina confuciana.Nella storia del confucianesimo si fronteggiarono spesso orientamenti contrapposti. Il conflitto dottrinale più famoso fu quello tra Mencio (372-289 a.C.) e Xunzi (?298-238 a.C.) sul carattere della natura umana, sul problema cioè se questa all'origine sia buona o malvagia. Comunque anche i confini rispetto ad altri orientamenti spirituali erano del tutto fluidi, e il confucianesimo si sviluppò non solo in contrasto con altre dottrine, ma anche mutuando da esse degli elementi.

La tradizione confuciana conobbe una rinascita dopo l'annullamento nel 191 a.C. del decreto emanato all'epoca della dinastia Qin (221-206 a.C.) che proibiva la diffusione dei libri. Tuttavia il confucianesimo ebbe un riconoscimento ufficiale e garanzie istituzionali solo nel 136 a.C., sotto l'imperatore Wu della dinastia Han, con la creazione di cattedre (boshi) per lo studio dei cinque libri canonici. La designazione stessa boshi per tali cattedre si riallaccia alla tradizione dei primi consiglieri dei principi, e dimostra come alla base dell'insediamento dei confuciani vi fossero intenti politici. Inoltre, a causa della lunga interruzione della tradizione e soprattutto a causa della politica legalista della dinastia Qin, era venuta meno l'usanza dell'interpretazione orale dei testi, i quali perciò non venivano più intesi correttamente. Ai detentori delle cattedre e alle loro scuole, la cui specializzazione si rivolgeva di volta in volta a un solo testo canonico, e che si sentivano impegnati nella pratica politica e nella conservazione dell'ordine costituito e aspiravano alla conoscenza del 'grande significato', si oppose un gruppo di dotti. La maggior parte di questi eruditi si basava su una versione dei testi canonici che per lungo tempo fu ritenuta dispersa e che ora è stata ritrovata. Poiché questi testi erano redatti nel tipo di scrittura antecedente la riforma della dinastia Qin, si parla di scuola della 'scrittura antica' (guwen).

La tradizione dell'interpretazione dei testi non si interruppe dopo la caduta della dinastia Han e la divisione dell'Impero, durata sino alla fine del VI secolo; rimase però sullo sfondo, mescolandosi con l'interesse nei confronti del buddhismo e di correnti taoistiche. Un secondo movimento della 'scrittura antica', cominciato in epoca Tang e culminato con Han Yu (768-824), stigmatizzò le raffinatezze stilistiche e i manierismi in particolare della tradizione del sud. Nonostante venisse rilevata una interruzione della tradizione da Mencio in poi, venivano seguite le stesse orme. Questa corrente, inizialmente d'opposizione, divenne una delle più importanti nell'XI secolo. Come molti loro contemporanei, gli appartenenti a questo gruppo erano stati fortemente influenzati dal buddhismo. Negli anni di apprendistato e in occasione dei numerosi soggiorni nei monasteri, avevano avuto modo di entrare in contatto con gli orientamenti spirituali del buddhismo, ma nella maturità si erano visti costretti in molti casi a nascondere tale influsso e ad appoggiare la tradizione della 'scrittura antica'. Da questa ripresa del movimento della 'scrittura antica' nel corso dell'epoca Song ebbe origine il cosiddetto neoconfucianesimo, che troverà la sua massima espressione nella dottrina di Zhu Xi (1130-1200). Contro l'indirizzo di Zhu Xi si levarono ben presto altri maestri: in generale, a partire dall'affermazione della burocrazia in Cina con l'avvento della dinastia Song (960-1279), comparvero sulla scena tanto singole personalità carismatiche di maestri, quanto gruppi di dotti che attorno a esse si raccoglievano o a esse si richiamavano. Ciò non sta solo a indicare nuove forme di responsabilità pubbliche dei confuciani, ma rispecchia anche il crescere d'importanza del loro ruolo come guide religiose e spirituali. Decisivi per il consolidamento di un'etica confuciana dell'élite culturale, furono senza dubbio i periodi della dominazione straniera in territorio cinese a partire dal IX secolo. Già all'epoca delle sei dinastie (220-589) il perdurare degli ideali confuciani anche in periodi di mancanza di sovrani o di cattivi sovrani aveva contribuito a conservarne le tradizioni. In una situazione di dissolvimento dei rapporti di obbligazione tra sovrani e ministri, da un lato si dovette rafforzare l'ideale della lealtà (zhong), dall'altro i funzionari colti (confuciani) considerarono il proprio agire come determinato da principî generali, indipendenti dalle dinastie che di volta in volta si succedevano al potere. A ciò si aggiunse il fatto che l'ideale dell'uomo eccellente (junzi), in base al quale l'isolamento era la condizione necessaria per raggiungere la perfezione, ostacolò l'unione di chi condivideva le stesse idee e la formazione di partiti o di fazioni.

4. Riconoscimento ufficiale e culto di Stato

L'istituzionalizzazione del culto di Confucio fu determinata dal fatto che il ceto dei letterati lo elesse come proprio patrono. Ma il riconoscimento ufficiale e la sacralizzazione di Confucio dipesero anche dal fatto che il superamento degli altri culti e delle altre forze religiose era possibile solo se la stessa dottrina confuciana si fosse servita di un culto. A differenza del buddhismo e del taoismo, tuttavia, il confucianesimo rimase contraddistinto dalla mancanza di un proprio corpo di sacerdoti. La scuola confuciana, designata complessivamente dalla storiografia come rujia sebbene in sé abbastanza articolata, era dapprima solo una tra le numerose scuole in concorrenza, e acquistò a poco a poco una sua propria identità nella contrapposizione con altre scuole, ponendosi alla fine in contrasto soprattutto con i legisti (fajia), che reclamavano un forte potere centrale.

Il confucianesimo dunque riuscì ad affermarsi anche e soprattutto grazie alla sua opzione per un'organizzazione dello Stato e dell'amministrazione in cui l'imperatore - almeno all'inizio - è considerato 'figlio del Cielo', ma che accanto ad elementi di centralismo ammette anche momenti di decentramento. La misura del successo che il movimento confuciano riuscì a conseguire nel nord della Cina già nel III secolo a.C. può essere dimostrata tra l'altro dalla politica anticonfuciana della dinastia Qin, che, pur avendo vita breve, riunificò l'Impero. Inattendibili comunque sono da considerarsi i resoconti della storiografia successiva, secondo i quali sotto il regno di Shihuangdi della dinastia Qin (259-210, imperatore dal 221 a.C.) venivano bruciati i libri e seppelliti vivi i letterati.Nonostante nel frattempo altri gruppi, soprattutto taoisti e buddhisti, avessero incontrato il favore dei regnanti, grazie alle imperatrici e ai membri delle loro famiglie, il confucianesimo riuscì ad acquistare peso e influenza all'epoca della dinastia Han, tanto che l'imperatore Wu (al potere dal 141 all'87 a.C.), già nel 136 proclamava le dottrine confuciane fondamento della politica. Di fatto, comunque, il confucianesimo aveva già assunto parecchi elementi del legalismo. Tale indirizzo ottenne espressione istituzionale mediante la creazione di un'Accademia nel 124 a.C., cui seguirà più tardi un numero sempre crescente di scuole e accademie, modello degli istituti di istruzione per la preparazione degli esami di Stato delle epoche successive.

Il riconoscimento dei confuciani durante il regno dell'imperatore Wu fu favorito dalla rinascita dell'erudizione classica, che era stata temporaneamente trascurata, ma fu determinato anche dalla necessità di motivare e controllare le regole del cerimoniale. Fu soprattutto il teorico e consigliere di corte Dong Zhongshu (179-104 a.C.) a dare al confucianesimo una configurazione tale da farlo corrispondere alle esigenze di dominio delle dinastie e ai rapporti di potere politici. Con l'integrazione della dottrina cosmologica Yin-Yang nell'edificio teorico del confucianesimo venne sistematizzato un modello del mondo dualistico che, se per un verso si richiamava alle antiche tradizioni dualistiche, per un altro verso, grazie all'opera di integrazione di Dong Zhongshu, era in grado di regolare tutti gli ambiti della società e dello Stato. Quando il confucianesimo venne innalzato a dottrina riconosciuta ufficialmente, gli istituti di istruzione - e di conseguenza anche le modalità di reclutamento del corpo dei funzionari - passarono nelle mani dei confuciani e degli eruditi specializzati nei singoli classici.

Questa confucianizzazione dell'amministrazione statale fu accompagnata da una crescente venerazione di Confucio. Già il fondatore della dinastia Han, Gaozu (al potere dal 206 al 188 a.C.) aveva fatto offerte sacrificali sulla tomba di Confucio a Qufu (nell'attuale provincia dello Shandong) e i sovrani successivi avevano conferito titoli nobiliari ai singoli rami della sua discendenza. Comunque, solo il decreto del 59 d.C. dell'imperatore Ming (al potere dal 57 al 75), degli Han posteriori, sancì il culto ufficiale di Confucio, assegnando alle scuole governative l'obbligo di offrirgli sacrifici. Vennero costruiti reliquiari speciali, ma nessun tempio. Sia pure con alterno destino, il culto di Confucio viene rispettato anche ai nostri giorni.Dall'inizio del XX secolo si è anche avuta una valutazione radicalmente nuova del confucianesimo, che ha determinato un mutamento nel culto ufficiale di Confucio. Segno del distacco da una lunga tradizione fu l'abolizione degli esami di Stato nel 1905. Nel 1911, insieme alla monarchia, furono eliminati le offerte e i rituali che spettavano ai sovrani. Nel 1928 fu interrotta la tradizione del sacrificio annuale sulla tomba di Confucio a Qufu, sua città natale. Tuttavia il confucianesimo rimase un tema di pubblico dibattito, sia perché alcuni tentarono di reintrodurlo come religione di Stato, o anche come dottrina sociale vincolante per tutti, sia perché altri vollero attribuirgli quasi l'intera responsabilità di ciò che vi era di negativo in Cina, e questo non solo tra le file del cosiddetto 'Movimento del 4 maggio' (1919), ma anche nella campagna anti-Lin Biao/anti-Confucio nel corso della 'rivoluzione culturale'.

A partire dalla metà degli anni ottanta c'è da segnalare nella Repubblica Popolare Cinese un mutamento di tendenza, che ha portato alla ripresa di una certa venerazione e del pubblico rispetto per Confucio, oltre che a una crescente attenzione nei confronti della sua dottrina.Sebbene la dottrina (jiao) confuciana non fosse una religione, sia nelle grandi città che in tutte le prefetture il culto ufficiale conteneva indubbiamente elementi religiosi, con la venerazione del Cielo e degli antenati e le preghiere per la buona sorte del governo. Dapprima teoria alquanto concreta e pragmatica della società e dello Stato, il confucianesimo aveva ben presto assorbito certe istanze religiose, perché solo in questo modo poteva soddisfare i bisogni irrazionali delle masse. Esistevano però altri culti e altre religioni che il più delle volte ebbero per il popolo un ruolo assai più importante e significativo del confucianesimo, tollerati dai confuciani nella misura in cui non intaccavano i loro privilegi. Con l'andar del tempo, tuttavia, le altre religioni praticate in Cina, soprattutto il buddhismo e il taoismo, vennero a tal punto 'confucianizzate', che la rivalità tra le diverse dottrine non si basava più tanto su differenze sostanziali, quanto piuttosto sugli interessi dei singoli gruppi. Una delle conseguenze fu la costituzione della dottrina 'tre in uno' (sanjiao heyi o sanjiao) in epoca Tang, in cui Buddha, Confucio e Laozi venivano venerati tutti e tre insieme. Restava tuttavia sempre oggetto di controversia a quale delle tre dottrine spettasse il ruolo centrale.

5. Il confucianesimo come filosofia e metafisica

A prescindere dalla teoria politica e sociale, l'antico confucianesimo non espresse una filosofia degna di rilievo. Solo sotto la spinta dell'integrazione con altri sistemi dottrinali e originariamente estranei alla tradizione confuciana - in parte speculazioni cosmologiche e di filosofia della natura - si poterono formare una filosofia e una metafisica confuciane. Decisive sono state, in particolare, l'influenza del buddhismo e quella del taoismo. Le correnti speculative - soprattutto del neoconfucianesimo - furono in parte, senza dubbio, un prodotto abbastanza autonomo e non ebbero ripercussioni sulle teorie sociali; d'altro canto, però, si possono stabilire evidenti connessioni e corrispondenze tra gli sviluppi filosofici e quelli storici.
Al centro della problematica filosofica del tardo confucianesimo troviamo il rapporto tra il principio cosmico (li), che pervade il tutto, e la forza materiale (qi) che organizza e dà forma. In relazione a esso si costituirono all'epoca della dinastia Song scuole con diverso orientamento: quelle facenti capo a Cheng Yi (1033-1107) e Zhu Xi (1130-1200) sono designate come razionalistiche, quelle guidate da Lu Xiangshan (1139-1193) e Wang Yangming (1472-1529) come idealistiche. Mentre per Zhu Xi li e qi sono principî differenziati, per Lu costituiscono un'unità. Per Zhu Xi lo spirito umano è una funzione del principio li, per Lu è il principio stesso. Mentre Zhu ricerca il principio nelle cose, per Lu lo si ritrova soltanto nello spirito umano. Contro un crescente irrigidimento e una dogmatizzazione del razionalismo della tradizione di Zhu Xi si costituì una corrente di opposizione, rappresentata soprattutto da Wang Yangming, che dominò i dibattiti filosofici dell'epoca Ming (1368-1644). In opposizione a questa scuola, incentrata sulla teoria della capacità innata dell'uomo di conoscere e di operare il bene, ma soprattutto contro le tendenze individualistiche dei seguaci di questa corrente, si posero i neoconfuciani all'inizio della dinastia Qing (1644-1911). Questi però non contrastavano solo l'idealismo di Wang Yangming, ma anche il razionalismo di Zhu Xi, sostenendo un orientamento pratico della dottrina, sotto l'influenza dei missionari gesuiti.

6. Il confucianesimo e l'etica dei funzionari colti

Il ceto colto in Cina fu confuciano a partire dall'epoca Han, e tale rimase sino al XIX secolo e in parte anche oltre. Sebbene il primo posto nell'istruzione e nell'esegesi spettasse ai testi della tradizione confuciana, tuttavia fu introdotto lo studio dei testi di altre tradizioni, particolarmente del buddhismo e del taoismo. Queste dottrine non influenzarono in modo sostanziale né la condotta di vita né l'agire politico o la prassi amministrativa, e tuttavia alcuni confuciani seguivano il regime vegetariano o praticavano esercizi spirituali come ad esempio la meditazione. Tali pratiche, originariamente, non avevano nulla a che vedere con la dottrina confuciana, a volte erano state persino in contrasto con essa, ma con l'andar del tempo per molti divennero un aspetto quasi naturale dello stile di vita confuciano, anche se la loro origine non fu mai del tutto obliata. Queste forme miste diedero luogo ad occasionali conflitti. Al primo posto tra i doveri sociali, per i confuciani, si trovava la pietas verso i genitori e gli avi, cui seguivano i doveri nei confronti dei parenti più prossimi. La socializzazione all'interno della famiglia, quale pietra angolare della società, serviva nel contempo all'ordine della comunità. Era pressoché impossibile per il singolo sottrarsi ai suoi obblighi sociali, e in ogni caso si trattava di eccezioni. Per tali eccezioni ci si poteva richiamare alle tradizioni del ritiro dal mondo, ma anche a quelle del ritiro nella propria interiorità. Quando il confuciano non si ritirava dal mondo per protesta, ambiva di regola a ricoprire una carica nell'amministrazione. Del resto, il ritiro per protesta nei confronti della corruzione del mondo era assai spesso la conseguenza di un precedente fallito tentativo di ottenere una carica.

Con il diffondersi dell'istruzione letteraria, specialmente tra la popolazione delle città - sviluppatasi soprattutto a partire dall'epoca della dinastia Song (960-1279), grazie alla diffusione della xilografia - formazione culturale e tradizione confuciana cominciarono gradatamente a separarsi; la formazione e l'etica confuciane divennero sempre più una faccenda dei singoli e dei loro discepoli. I funzionari, pur sempre tenuti a rispettare le tradizioni confuciane, il più delle volte nel comportamento pratico seguivano altre norme e altre concezioni. Questa evoluzione determinò da un lato il formarsi del cosiddetto neoconfucianesimo, che può essere inteso come espressione di una rinascita della tradizione di insegnamento confuciana, dall'altro il costituirsi di uno Stato autocratico confuciano come espressione della prassi politica e amministrativa.Dal funzionario colto - il che significa, soprattutto, formatosi nella tradizione confuciana - si continuava comunque a pretendere una condotta esemplare e un corrispondente rispetto per le forme, ossia un'osservanza precisa delle prescrizioni rituali del confucianesimo. Così il corpo dei funzionari costituiva la spina dorsale della Cina imperiale, anche in virtù dell'efficacia dei controlli esercitati sia reciprocamente che da parte dell'opinione pubblica, secondo una tradizione risalente all'epoca Han.

7. Etica e teoria sociale

La realizzazione della virtù della benevolenza (ren) appartiene all'uomo moralmente eccellente (junzi), che incarna anche la giustizia (yi) e la forza di volontà (zhi). Mencio ampliò il catalogo delle virtù comprendendovi le quattro virtù cardinali della 'benevolenza', della 'giustizia', del 'rispetto dei riti' (li) e della 'saggezza' (zhi). La pietas filiale e il riconoscimento della gerarchia sociale assunsero ben presto una posizione di primo piano. L'accento posto sulla moralità del singolo e la condanna del profitto personale non riuscirono però ad evitare che la condotta pratica fosse spesso in palese contraddizione con i valori proclamati. Tuttavia sul piano dei doveri sociali, soprattutto per quel che riguardava la regolazione dei processi sociali, le concezioni confuciane riuscirono ad affermarsi.

Contro la totale risoluzione della società nei singoli individui, sostenuta nel V e nel IV secolo a.C. da Mo Di e dai suoi seguaci, i moisti, la teoria confuciana della società considerava la famiglia come nucleo centrale della vita sociale. Essa infatti rappresentava anche un'unità economica e politica, e in generale dal suo esempio, come paradigma sociale per eccellenza, venivano desunti tutti i principî degli obblighi sociali. Così il rispetto filiale era il modello per la lealtà del suddito verso il suo principe. Questo grande risalto dato ai rapporti familiari ha fatto sì, da un lato, che l'operare dello Stato, il quale si sentiva vincolato anch'esso da questa etica, fosse contrassegnato da una spiccata attitudine assistenzialistica; dall'altro, però, ha impedito il formarsi di una concezione razionale dello Stato, in cui il singolo venga considerato solo come suddito o come cittadino.

Sebbene la posizione dell'individuo fosse determinata dalla nascita, questi poteva mantenerla solo a patto di legittimarla. Così come un padre era considerato tale solo se si dimostrava un vero padre, anche il sovrano dipendeva dal riconoscimento della legittimità del proprio potere. La forza dei confuciani risultò proprio da questa limitazione del potere e dalla subordinazione dei privilegi di nascita a criteri morali e al giudizio dell'opinione pubblica.

Nell'educazione dell'individuo era importante l'istruzione presso un maestro, ed egualmente importanti erano sin dall'inizio l'educazione letteraria e la conoscenza della tradizione classica. Lo scopo di ogni istruzione, così, era quello di 'educare' la natura umana e di garantire un ordinamento pacifico della società. L'educazione e la formazione culturale erano dirette a reperire funzionari idonei a ricoprire le cariche statali, il che avveniva in un primo tempo mediante il sistema della raccomandazione, in seguito mediante esami pubblici. Almeno in teoria, infatti, la rettitudine morale e soprattutto l'istruzione aprivano la strada alla carriera politica sino alle più alte cariche. L'interesse dell'amministrazione a un efficace reclutamento dei funzionari, e quello di ogni distretto ad avere rappresentanti del proprio gruppo nell'amministrazione, determinarono un fiorire di scuole e di istituti d'istruzione in tutto l'Impero. L'educazione morale della popolazione, comunque, non avveniva soltanto mediante l'istruzione del singolo, ma anche attraverso esortazioni pubbliche, rappresentazioni teatrali e, soprattutto dopo la diffusione della xilografia, mediante prescrizioni e regole destinate ai gruppi e alle associazioni.

8. Confucianizzazione della società

Le prescrizioni dei confuciani riguardo alla condotta sociale del singolo e dei membri di un gruppo solo nel corso del tempo divennero normative per cerchie sociali più vaste. L'impiego di massime confuciane nelle sentenze giudiziarie, la diffusione delle dottrine attraverso l'esempio e le scuole, e non da ultimo la prassi amministrativa, condussero a una progressiva 'confucianizzazione' della società, onde a partire dal X secolo si può propriamente parlare di una società confuciana in Cina. Questo però vale sostanzialmente solo per le regole dei rapporti sociali, e non investe in alcun modo le intime convinzioni e le credenze della maggior parte della popolazione.

Il vero e proprio fondamento di tale confucianizzazione, comunque, era costituito dalla convinzione, profondamente radicata in quasi tutti coloro che possedevano una cultura letteraria, della giustezza del modello confuciano dello Stato in cima al quale sta il sovrano, che, in quanto figlio del Cielo, con il suo potere orientato al bene di tutti i sudditi - e da ciò soltanto legittimato - rappresenta l'ordine fondato cosmicamente. Con l'istituzione degli esami di Stato (che, a partire dall'XI secolo, divennero l'unica via - con poche eccezioni - per accedere alle cariche pubbliche e per godere dunque di considerazione e potere) e con l'allargamento dell'istruzione a strati più vasti della popolazione, il confucianesimo divenne per la prima volta una forza in grado di influenzare anche chi viveva lontano dai centri amministrativi e dalle sedi del potere statale. In questo, comunque, ebbero un ruolo importante anche le norme confuciane sulla pietas e i rapporti familiari.

La tradizione e la formazione culturale confuciane improntarono in tal misura le concezioni di tutti gli strati sociali, da rendere impossibile un rovesciamento del sistema di potere dall'interno. Questo cominciò a sfaldarsi solo con il rapido aumento della popolazione nel XVIII secolo e, nel XIX secolo, in seguito allo scontro con le potenze imperialiste (guerra dell'oppio, trattati ineguali), e a una serie di rivolte interne e di guerre civili (rivolta dei Taiping, 1851-1864).

Una delle conseguenze del diffondersi dell'istruzione, sul finire della dinastia Tang e, in seguito, con la dinastia Song, fu che il gran numero di aspiranti alle cariche pubbliche, che avevano acquisito la formazione culturale necessaria ma erano rimasti senza impiego, avevano ripreso in considerazione quegli aspetti della tradizione confuciana che potrebbero essere definiti fondamentalisti, e che richiedevano o una più stretta osservanza delle prescrizioni, o una riforma dello stato delle cose, o entrambe.

La tensione tra l'ideale e la realtà improntò sin dall'inizio anche la storiografia cinese, strettamente connessa al nome di Confucio, considerato il compilatore degli annali di Lu, i Chunqiu. La storiografia, che doveva essere sostanzialmente indipendente dal potere politico e a cui spettava il compito di ripartire lodi e biasimo, rimase dominio dei confuciani. Se gli storici erano coinvolti in modo decisivo nella legittimazione delle dinastie che di volta in volta regnavano, essi costituivano però pur sempre un continuo pericolo per il potere stabilito, a causa della loro funzione critica. La loro attività diede un'impronta confuciana alla valutazione della storia e del suo processo.

La tradizione dottrinale confuciana ha dato luogo a una pluralità di concezioni della storia. Accanto a una visione ciclica che vede l'alternarsi di caos e ordine, vi è anche l'idea che sia possibile raggiungere una pacificazione paradisiaca. Tutte le interpretazioni confuciane della storia, comunque, sono concordi nel porre nell'al di qua la sua realizzazione e nel negare l'esistenza di paradisi ultraterreni. Ciò non impedì però che alcuni confuciani facessero proprie le escatologie ultraterrene di altre dottrine, aspirando a trovarne la realizzazione su questa terra.

9. Identità, rivalità e movimenti di rinnovamento

Il confucianesimo non fu mai una dottrina unitaria, bensì accolse continuamente una molteplicità di teorie spesso quasi contrapposte. La forza del confucianesimo fu proprio la capacità di inglobare le correnti spirituali più diverse, accettando gli stimoli di altre dottrine e dando spazio anche a correnti riformatrici e innovative. Per questa sua attitudine sincretistica è difficile stabilire linee di confine precise tra il confucianesimo e altre dottrine.Vi sono sempre state, d'altro canto, determinate teorie contro le quali i confuciani manifestarono un'opposizione inequivocabile e senza compromessi. Tale fu in primo luogo il moismo, fondato da Mo Di (IV secolo a.C.), che nei rapporti tra gli uomini prescriveva di non tenere in alcun conto le relazioni familiari per amare in egual misura tutti gli uomini; tale fu anche l'estremo egoismo ed edonismo propugnato da Yang Zhu. In seguito i confuciani contrastarono anche determinate dottrine salvifiche dei buddhisti, ma soprattutto il celibato e altre forme di condotta sociale dei monaci. Queste delimitazioni rispetto ad altre dottrine ritenute 'false', 'estranee', o semplicemente 'immorali', avevano innanzitutto lo scopo di stabilire quei confini che pur nell'estrema apertura e liberalità non potevano essere oltrepassati a nessun costo, e nel cui rispetto soltanto era possibile e pensabile operare dei rinnovamenti all'interno del confucianesimo conservandone l'identità, sia pure solo nominale.

Tali rinnovamenti furono ogni volta possibili grazie a spinte sia esterne che interne. A metà del XVII secolo, allorché l'ideale confuciano di un collegamento tra educazione di se stessi e ordine del mondo era diventato irraggiungibile a causa della convergenza tra una monarchia autoritaria, che non teneva in alcun conto gli ideali morali, e la corruzione dei singoli, la caduta della dinastia Ming (1368-1644) venne vista come il naufragio del confucianesimo, sia nella sfera pubblica che in quella privata. Nei primi decenni della dominazione Manchu, che si insediò nel 1644 come dinastia Qing e durò sino alla fine dell'Impero nel 1911, si avvertì il bisogno di un nuovo orientamento per gli intellettuali, ritenendo che non ci si potesse più appellare all'ideale dell'educazione di sé, come nel XVI secolo: donde la ricerca di un nuovo, immediato accesso alle fonti della dottrina confuciana, soprattutto ai classici. L'applicazione coerente e rigorosa della filologia e di altre discipline, quale ad esempio l'astronomia per stabilire le esatte datazioni, diede risultati insperati e imprevisti, quali non si erano mai avuti in precedenza in Cina. È proprio a quegli eruditi, che vivevano soprattutto nelle ricche regioni lungo il corso inferiore dello Yangzi o nella capitale Pechino, che dobbiamo le nostre attuali conoscenze sull'antichità cinese e sui classici. Il movimento chiamato 'Scuola degli Han' (Hanxue), all'epoca della dinastia Qing, portò con la rivalutazione del confucianesimo la disponibilità non solo ad accettare radicali riforme politiche e sociali, ma a intraprenderle attivamente, richiamandosi ai valori propri di quest'ultimo. Tra gli eruditi Qing, peraltro, non esisteva affatto unanimità di vedute, ma un fervore di dibattiti e contrapposizioni tra i rappresentanti della scuola degli 'antichi testi' e quelli della scuola dei 'nuovi testi', tra gli eruditi della 'Scuola degli Han' e quelli della 'Scuola dei Song' (Songxue); mutamenti avvenivano infine anche all'interno delle singole tradizioni erudite, tanto che si può parlare di un pluralismo di vedute e di opinioni, di un dinamismo intellettuale che da allora in Cina non è più stato raggiunto. Uno sguardo d'insieme sull'erudizione classica del XVII e del XVIII secolo lo dà lo Huang Qing jingjie ('Commento ai classici dei sublimi Qing'), apparso a Canton nel 1829, contenente 180 opere di 75 autori in 1.400 rotoli. Con quest'opera dovette essere proseguita, in forma peraltro diversa, la collezione Shisanjing zhushu ('Commentari e osservazioni ai tredici classici'), diventata nel frattempo l'edizione standard dei classici, ristampata dallo stesso editore.

La spinta verso la specializzazione erudita sotto la dominazione Manchu rappresentò anche, nello stesso tempo, un divorzio crescente tra la prassi politica e quella letteraria, favorito dal diminuire delle probabilità di accedere alle cariche pubbliche attraverso gli esami di Stato. Erudizione e istruzione letteraria furono incoraggiate in più modi già nel primo periodo della dominazione Manchu, sia con iniziative editoriali promosse dai regnanti, sia grazie a generosi contributi e finanziamenti da parte di alti funzionari.
Già dall'epoca Song era sempre sussistita una certa rivalità tra l'istruzione impartita dalle accademie, impostata sull'etica neoconfuciana, e quella impartita dagli istituti di istruzione statali. Le accademie del periodo Song e del periodo Ming avevano perseguito soprattutto lo scopo di creare, mediante l'educazione morale della personalità, una classe dirigente politicamente capace. Al primo posto nell'educazione venivano pertanto la formazione morale e lo studio dei 'Quattro libri' (Sishu), dei classici e delle opere storiche. Nella tarda epoca Ming il numero delle accademie era talmente cresciuto che queste non costituivano più solo centri di istruzione e discussione intellettuale, ma anche sedi di formazioni partitiche. I raggruppamenti più importanti che perseguivano scopi spiccatamente politici erano l'Accademia Donglin e la 'Società per il ritorno all'antichità' (Fu she). Quando però i Manchu fecero di tutto per ostacolare e impedire la formazione di società con orientamenti politici, numerosi eruditi si raccolsero in società per la poesia, come ad esempio Gu Yanwu, che fece parte della società letteraria Jingyin (Jingyin shishe), fondata nel 1650. I membri di questa società si trovarono presto in difficoltà, allorché uno di loro si vide perseguito dallo Stato per un'opera sulla dinastia Ming. Tra le altre società figuravano la 'Società dell'attesa' (Wang she), fondata da Yan Xiuling (1617-1687) per l'educazione del figlio; la 'Società per la discussione dei classici' (Jangjing hui), facente capo a Huang Zongxi (1610-1695), Wan Sida (1633-1683) e Wan Sitong (1638-1702), che si occupava intensamente del problema dell'autenticità del 'Libro dei documenti' (Shujing), uno dei temi favoriti nell'ambito della discussione sui classici dell'epoca Qing.

Il regime Manchu manifestò dapprima una grande diffidenza nei confronti delle accademie private e delle associazioni, proibendone il proliferare a partire dal 1652. In ciò la nuova dinastia seguiva l'esempio di quella precedente, che già alla fine del XVI secolo aveva creato difficoltà alle accademie private. Il governo, tuttavia, doveva fare i conti con un crescente interesse culturale, cosicché con i due decreti del 1713 e del 1715 rese possibili le cosiddette 'istituzioni scolastiche' (yixue), e nel 1733 il sovrano Yongzheng dovette approvare la costituzione di accademie provinciali sotto il controllo statale. Con questa forma di unione tra finanziamento locale e controllo statale si cercava di scongiurare il pericolo di sviluppi quali quelli della tarda dinastia Ming, che avevano creato notevoli difficoltà. In queste nuove accademie di Stato, che dovevano preparare agli esami pubblici, veniva curato soprattutto l'esercizio del cosiddetto 'saggio in otto parti' (baguwen, allora anche detto shiwen). Rispetto al rapido proliferare di queste accademie statali, le accademie private dell'epoca Ming che ancora sussistevano, nelle quali ci si dedicava soprattutto alle dottrine neoconfuciane dell'epoca Ming e Song, perdettero man mano d'importanza. Nella seconda metà del XVIII secolo vi fu un movimento di reazione nei confronti dell'attenzione esclusiva, considerata 'scolastica', data al 'saggio in otto parti' (baguwen) e alla preparazione degli esami di Stato, movimento che portò alla creazione di nuove accademie destinate allo studio dei classici e delle opere storiche.

Una tarda manifestazione del confucianesimo, che ha avuto ripercussioni anche nelle mutate condizioni della Cina repubblicana e di quella comunista, fu costituita dalla graduale identificazione del popolo con la forza che avrebbe portato avanti l'ideale della civilizzazione. Si sentì quindi come un obbligo la sua educazione morale, e ciò condusse alla ideologizzazione delle masse.