Bacone, Francesco

Dizionario di filosofia (2009)

 Forma italianizzata del nome del filosofo inglese Francis Bacon (Londra 1561- ivi 1626).

La vita pubblica. B. trovò già nell’ambiente familiare importanti modelli culturali e politici (il padre, sir Nicola, era lord guardasigilli; lo zio, lord Burghley, il maggiore statista dell’epoca). Dopo gli studi a Cambridge, acquistò fama di scrittore nel 1597, pubblicando con grande successo gli Essays (Saggi). La sua vita pubblica, sotto i regni di Elisabetta e di Giacomo I, fu intensissima: nel 1584 entrò nella Camera dei comuni; successivamente, protetto da Giacomo I e dal duca di Buckingham, conseguì gli onori più elevati (Solicitor general, 1607; Attorney general, 1613; membro del Consiglio privato della corona, 1616; lord guardasigilli, 1617; lord cancelliere, 1618); fu quindi ammesso tra i pari come barone di Verulamio (1618) ed ebbe il titolo di visconte di Sant’Albano (1621). Nel 1621 fu processato per peculato e imprigionato; liberato dopo pochi giorni, per un atto di clemenza, si ritirò a vita privata. Dopo la condanna poté realizzare il suo sogno giovanile e dedicarsi interamente agli studi filosofici e scientifici, con particolare riferimento alle ricerche naturalistiche.

La riforma del sapere.

B. partecipò vivamente alla critica, tipica dell’Inghilterra elisabettiana, della cultura tradizionale di impianto aristotelico-scolastico: a un sapere astratto e sterile veniva contrapposto l’ideale di una scienza che fosse utile all’uomo, così come all’ammirazione per gli antichi si veniva sostituendo quella per i grandi contemporanei che in quegli anni fondavano la potenza marinara e commerciale dell’Inghilterra moderna. Tra i temi che s’intrecciano nell’opera di B. torna, infatti, con insistenza il richiamo alla finalità pratica e operativa del sapere, affinché le ricerche di filosofia naturale siano volte non a una disinteressata speculazione di realtà immobili, ma a un diretto e utile dominio sulla natura (un tema, questo, che ha connessioni con la tradizione astrologico-magica rinascimentale). Il pensiero di B. trova infatti i suoi antecedenti nella filosofia del Rinascimento, di cui costituisce in parte la continuazione, in parte la negazione. Del pensiero del Rinascimento B. coglie i caratteri della ribellione al dominio della tradizione, e del naturalismo, che spinge i sapientes a conoscere a fondo la natura, in contrapposizione al Medioevo, che invece l’aveva disprezzata o troppo poco apprezzata. Su questa base B. prende posizione contro la tradizione peripatetico-scolastica e il suo caposcuola, Aristotele, che aveva elaborato un complesso di «ragnatele» presentate «come cause mentre sono prive di consistenza e di valore».

A tale impostazione B. contrappone l’esigenza di una conoscenza certa della realtà naturale e il grandioso progetto di una riforma delle scienze, da esporre in un’opera monumentale, una nuova enciclopedia di tutto il sapere (Instauratio magna) che avrebbe dovuto articolarsi, secondo il suo piano, in sei parti: (1) Partitiones scientiarum (suddivisione e descrizione di tutte le scienze e arti, indicando le lacune ancora esistenti nel sapere); (2) Novum Organum sive indicia de interpretatione naturae (la logica della scienza, o la teoria del nuovo metodo); (3) Phaenomena Universi sive historia naturalis et experimentalis ad condendam philosophiam (la storia sperimentale e naturale, considerata il fondamento necessario della filosofia della natura); (4) Scala intellectus sive filum labyrinthi (scala che insegna a salire dai fatti particolari a proposizioni universali e poi a ridiscendere a nuove applicazioni, cioè il «filo» che guida lo studioso, inoltrato nella selva intricata, o «labirinto», dei fenomeni naturali, a trovare la strada sicura; si tratta dunque del metodo induttivo e deduttivo); (5) Prodromi sive anticipationes philosophiae secundae (anticipazioni e scoperte acquisite con l’antico metodo e perciò accettate soltanto provvisoriamente); (6) Philosophia secunda sive scientia activa (sintesi di proposizioni generali riguardanti gruppi di fatti, destinata a dirigere l’attività pratica con l’applicazione dei principi scoperti col nuovo metodo scientifico).

Questo ambizioso disegno fu attuato in misura assai ristretta, perché veramente completa è solo la prima parte, rappresentata dal De dignitate et augmentis scientiarum (1623), in nove libri, traduzione latina ampliata di un precedente scritto inglese in due libri (Of proficience and advancement of learning, 1603-05; trad. it. Sul progresso del sapere umano e divino).

La seconda parte è costituita dal Novum Organum* (1620, in cui è rifusa l’opera Cogitata et visa, 1607, edita post. nel 1653); il materiale di osservazioni scientifiche che doveva servire per la terza parte è compreso nella Sylva sylvarum (una miscellanea di inediti raccolta dal segretario e pubblicata post. nel 1627 insieme all’opera utopica New Atlantis in appendice); delle altre tre parti non rimane che il disegno generale. Il movente della ricerca di B. è sempre costituito dall’esigenza dell’applicazione pratica della scienza: questa non deve essere passiva contemplazione, ma guida dell’azione, e deve servire alla vita concreta. L’uomo, secondo B., può tanto quanto sa: il regnum hominis consiste nella scienza, perché, dal momento che non si può infrangere la catena delle cause naturali, si può comandare alla natura soltanto se le si obbedisce.

Il metodo induttivo.

Strettamente connesso a questo concetto di scienza è il problema del metodo: la crisi del sistema peripatetico della natura aveva messo in evidenza la fallacia della concezione aristotelica di una scienza fondata su procedimenti sillogistico-deduttivi. All’inutilità di questo metodo, che sostituisce parole a cose, processi verbali a processi reali, e non fa progredire il sapere, B. contrappone un metodo che sappia ritrovare il significato dell’esperienza, e assuma quest’ultima come fondamento di un nuovo sapere. Tale metodo è quello induttivo, che viene distinto da una conoscenza meramente descrittiva della natura quale risulterebbe da un’indagine che si fermasse agli immediati dati empirici (per simplicem enumerationem). Il Novum Organum costituisce la nuova logica della scienza della natura. A differenza della logica «volgare» o dialettica, quella nuova deve insegnare a trovare non ragionamenti probabili, ma res et opera (cioè invenzioni, applicazioni pratiche), perciò non adopera il sillogismo, che serve soltanto nelle discussioni per ottenere il consenso, ma l’induzione.

La parte positiva del Novum Organum (pars construens), cioè la vera e propria teoria metodologica, è preceduta da quella negativa o polemica (pars destruens), la critica degli «idoli» (ossia delle cause di errore), sia innati sia provenienti dall’esterno, da cui bisogna purificare la mente. Sono innati gli idola tribus («idoli della tribù», i pregiudizi della specie umana), fondati sulla natura stessa dell’uomo, che nascono dal fatto che l’uomo pretende di porsi come misura di tutte le cose, mentre nelle sue percezioni, sensibili o intellettuali, ha delle cose rappresentazioni non oggettive, ma soggettive. Poi vengono gli idola specus («idoli della spelonca», con riferimento al mito platonico della caverna, ossia quelli propri dell’individuo singolo), dei quali fa parte l’eccessivo ossequio per l’antichità; per B. veritas temporis filia dicitur e i veri antichi sono i moderni perché posseggono maggiore ricchezza di esperienza e più matura riflessione: «La scienza si deve derivare dalla luce della natura, non dall’oscurità dell’antichità». Vi sono poi gli errori che vengono dall’esterno: gli idola fori («idoli del mercato»), provenienti dalle relazioni sociali, e gli idola theatri («idoli del teatro»), prodotti dalle dottrine filosofiche e dai processi dimostrativi difettosi; le filosofie finora elaborate sono tante rappresentazioni teatrali che hanno creato mondi fantastici.

Alla parte polemica del nuovo metodo segue quella positiva, l’arte d’interpretare la natura, divisa in due sezioni: la contemplativa o teorica, che insegna a salire dall’esperienza a proposizioni generali (o assiomi), e l’operativa o pratica, che insegna a discendere da esse a nuove applicazioni. La prima comprende la trattazione degli aiuti (ministrationes) che si debbono dare al senso, alla memoria e all’intelletto. Punto di partenza è l’osservazione della natura, che deve essere accurata e circospetta («non di ali ha bisogno il nostro spirito, ma di suole di piombo»); vengono poi gli ausili della memoria, che risiedono nella scrittura, ma soprattutto nelle tavole di scoperta in cui il materiale empirico deve essere organizzato, e cioè la tabula presentiae (in cui sono raccolti i casi in cui il fenomeno studiato si presenta), la tabula absentiae (che include i casi in cui, pur in presenza di condizioni simili, è assente) e la tabula graduum (che registra l’aumento o diminuzione di intensità del fenomeno). Si procede quindi alla vendemmia: raccolti i dati, si formula un’ipotesi interpretativa. Per giungere a conclusioni necessarie il procedimento induttivo non può limitarsi a considerare solo i casi positivi (come si fa di solito), ma deve avvalersi anche dei negativi per scartare le possibili soluzioni errate. Spesso, a questo proposito, B. insiste sulla necessità di fare uso di un procedimento sperimentale attivo con cui lo scienziato, per verificare un’ipotesi, modifica il corso abituale della realtà: i sensi si limitano a constatare i fatti, mentre l’esperimento predeterminato dall’intelletto, ossia l’intelletto stesso che lo ha concepito per raggiungere i suoi fini scientifici, dà un giudizio sulla natura e sulle cause dei fatti stessi.

Il progresso delle scienze e la Nuova Atlantide.

Nella piena consapevolezza di vivere in un’epoca di svolta e di riforma del sapere, B. non solo attacca la cultura antica (la filosofia di Aristotele è sofistica e quella di Platone è mista a teologia e poesia), ma soprattutto si richiama alle arti meccaniche: i grandi cambiamenti in questo campo dimostrano che il sapere è suscettibile di crescita. Per B. il progresso del sapere ha come immediata conseguenza l’aumento del potere dell’uomo sulla natura al fine di realizzare migliori condizioni di vita. Egli è quindi portatore di una visione ottimistica della crescita delle conoscenze positive e dell’avvento di un nuovo mondo, caratterizzato dallo studio della natura e dalla collaborazione tra gli scienziati. Questi temi trovano una loro esposizione programmatica nella New Atlantis (composta forse nel 1621, edita post. nel 1627; trad. it. Nuova Atlantide), utopia pansofica in cui la descrizione dell’ideale «Casa di Salomone» si presenta come raffigurazione di quella nuova organizzazione dei saperi e del mondo della cultura che B. andava proponendo ai suoi contemporanei.


Storia della Scienza (2012)

di Marta Fattori

Capitolo XVI

FRANCIS BACON

Francis Bacon nacque a Londra il 22 gennaio 1561 da Sir Nicholas e Lady Ann Cook, due alti rappresentanti, per rango e per cultura, della classe politica Tudor. Dal 1573 studiò al Trinity College di Cambridge e nel 1576 fu ammesso al Gray's Inn, uno dei cinque Inns of Court di Londra. Dal 1576 al 1579 seguì a Parigi Sir Amias Paulet, ambasciatore in Francia. Costretto a rientrare a Londra in seguito alla morte del padre, continuò gli studi giuridici e si avviò alla carriera politica. Nel 1581 fu eletto alla Camera dei Comuni, nel 1603 fu insignito del titolo di cavaliere da Giacomo I, cui seguirono le nomine di General Solicitor nel 1607, di procuratore generale nel 1613 e di consigliere privato della Corona nel 1616. Nel 1617 divenne guardasigilli, carica che l'anno seguente fu trasformata in quella di lord cancelliere. Accusato nel 1621 di corruzione, fu costretto ad abbandonare la vita politica. Negli ultimi cinque anni prima della morte (avvenuta il 9 aprile 1626) approfittò della involontaria libertà dagli incarichi politici e si dedicò interamente a una vasta produzione di opere filosofiche.

La filosofia di Bacon fu totalmente originale, nella sua articolazione e nella coerenza degli intenti. Il grande progetto della Instauratio magna era il filo conduttore di una totale rifondazione delle scienze, della filosofia (intesa come filosofia naturale), del diritto, e quindi delle istituzioni in generale. Il suo imponente disegno era basato sulla conoscenza: la conoscenza, afferma Bacon fin dal 1597 in una famosa metafora, è potere ("nam et ipsa scientia potestas est") e abbraccia l'intero campo dello scibile umano: la storia, la filosofia, la politica, la giurisprudenza e la scienza. Lungi dall'essere un elemento accessorio, il metodo riveste subito un ruolo centrale per il filosofo inglese. Il nuovo metodo, quello dell''interpretazione della Natura', che si svolge a partire 'dalle cose stesse' e 'nei debiti modi', dovrà sostituire quello vecchio, prematuro e temerario (res temeraria et praematura), che portava ad 'anticipazioni della Natura'. Questo nuovo metodo, basato sulla critica di quelli precedenti (la pura empiria, la 'mano nuda', o viceversa l'astrazione e il dogmatismo, l'intelletto abbandonato a sé stesso) e sull'interpretatio naturae, con i dovuti aiuti e strumenti, permetterà all'uomo di farsi 'ministro' e 'interprete della Natura'.

Bacon ha in comune con i più autorevoli rappresentanti della tradizione razionalistica l'esigenza dell'expurgatio di tutte le acquisizioni precedenti del sapere, come momento primo e necessario del processo della ricerca. Della Natura, sostiene, si sono occupati gli empirici (il meccanico, il matematico, il medico, l'alchimista, il mago) non i filosofi, e hanno ottenuto scarni risultati perché lo hanno fatto per scopi pratici e non in vista della conoscenza. Il senso è per sua natura aberrans, cioè da solo porta agli errori; le scienze non hanno prodotto opere e le scoperte che sono state fatte sono dovute al caso e all'empiria, ed è per questo che le scienze non sono altro che riordinamenti di cognizioni precedenti, non modi di ricercare e indicazioni di nuove opere. Senso e intelletto sono ugualmente impari davanti alle infinite sottigliezze (subtilitates) della Natura, ma la logica tradizionale è inutile per la ricerca scientifica. Inutile, anzi dannoso, è soprattutto il sillogismo. Nel Novum organum (1620), sottoponendo il caposaldo della logica aristotelica a una critica definitiva, Bacon afferma: "Il sillogismo non si applica ai principî della scienza e si applica inutilmente agli assiomi medi: è uno strumento incapace di penetrare nelle profondità della Natura. Esso costringe il nostro assenso, non la realtà" (Opere filosofiche, I, p. 51).

La critica al sillogismo aristotelico ha il suo fondamento nella critica al consensus gentium: Bacon sviluppa in tutta l'opera l'argomento della critica all'Antichità, fino a giungere al ribaltamento del rapporto tra Antichi e Moderni (giovani e puerili i primi, maturi e più sapienti i secondi), dal momento che il solo grande autore di tutti gli autori è il tempo. Questa riflessione baconiana, assai nota, sarà spesso ripetuta nei secoli successivi, senza alcun riferimento all'autore, a cominciare da Descartes. Tale rapporto ribaltato tra Antichità e Modernità si ritrova anche nella New Atlantis, l'opera pubblicata nel 1626, pochi mesi dopo la morte dell'autore, insieme alla Sylva sylvarum, in cui, parlando dell'America, Bacon giustifica e spiega l'incultura del popolo americano ("popolo semplice e selvaggio"), con il fatto che esso sarebbe 'nuovo e recente'. Vittima prima della violenta e ironica distruzione dell'ipse dixit è, nella Redargutio philosophiarum, proprio Aristotele: "Anche se Aristotele fosse veramente quel grand'uomo che si crede, io non potrei certo consigliarvi di accogliere come oracoli i pensieri e le opinioni [cogitata et placita] di un sol uomo. Che cos'è mai, o figli, questa volontaria servitù? Siete di tanto inferiori ai seguaci di quel monaco pagano? Quelli cessarono di affermare ipse dixit dopo sette anni, e voi continuate a farlo dopo duemila anni?" (Scritti filosofici, p. 417).

Come avverrà poi per Descartes, Bacon identifica quindi in una radicale expurgatio di tutto il sapere, individuale e collettivo, il momento prioritario, ineludibile e necessario per iniziare la ricerca della verità ab imis fundamentis. Non fu facile proporre una nuova riforma generale degli studi, delle scienze e della filosofia, senza alcun riguardo per la vetustà, per l'antichità e per l'autorità: nei Cogitata et visa, lo scritto redatto verso il 1607 e mai pubblicato in vita, la disperazione di Bacon appare totale sicché le colonne d'Ercole, che nel frontespizio dell'Instauratio magna sigillano la metafora del progresso delle scienze, sono sentite come fisse e quasi fatali, in contrapposizione al versetto biblico di quello stesso frontespizio "Multi pertransibunt et augebitur scientia" (Daniele, XII, 4). Il filosofo, nel porsi il fine di costruire un 'nuovo' organo, coglie quanto sia faticosa e solitaria la missione che si è assegnata. L'osservazione costante dei fenomeni della Natura e il fare l''autopsia' e l''anatomia' degli stessi ‒ per usare due termini che, risultato del grande progresso della medicina, indicano contemporaneamente gli aspetti centrali del nuovo metodo ‒ divengono un abito mentale che porta alla costruzione di un nuovo statuto epistemologico. Nel costituirsi della scienza moderna in Europa il ruolo svolto dalla medicina e dalle scienze chimiche è fondamentale e impropriamente subordinato alla rivoluzione astronomica e matematica, spesso assunta a unico parametro della Rivoluzione scientifica. La expurgatio del sapere precedente avviene attraverso la confutazione delle dottrine antiche e moderne, quella dei pregiudizi individuali attraverso la dottrina degli idoli. La confutazione delle dottrine e dei metodi si conclude con il famosissimo paragone delle api, delle formiche e dei ragni, che costituisce, nel proporre la ratio media delle api, la metafora della nuova logica baconiana.

Tutta la filosofia è suddivisa da Bacon in tre grandi filoni, che costituiscono le radici stesse della causa dell'arresto delle scienze e della speculazione: filosofia sofistica, superstiziosa ed empirica. Esempio del primo tipo è Aristotele che ha corrotto con la sua dialettica la filosofia naturale, del secondo Platone, del terzo i filosofi empirici che hanno prodotto 'mostruose' dottrine ricavate in modo superficiale da una base angusta di dati e da pochi e oscuri esperimenti. Bacon non concede possibilità di appello a quegli empiristi che, nel Temporis partus masculus, operetta non finita degli anni 1602-1603 e pubblicata postuma, aveva definito 'corifei dell'esperienza', ancor più colpevoli per averla oltretutto distorta. L'esempio più insigne è rappresentato dagli alchimisti, in particolare da Paracelso e, fra i contemporanei, da William Gilbert che nel 1600 aveva pubblicato il De magnete. La confutazione delle filosofie antiche e moderne ‒ Patrizi, Telesio e Campanella sono accusati di aver fondato una filosofia 'pastorale' ‒ con lievi sfumature e accentuazioni di tono, appare costante in tutta l'opera baconiana e priva di significativi mutamenti, se non nella forma, a partire dal primo attacco presente in The praise of knowledge, uno dei cinque discorsi pronunciati nel 1592 in occasione delle celebrazioni per il compleanno della regina Elisabetta I, fino al Novum organum e al De dignitate et augmentis scientiarum.

Nei primi anni del XVII sec., Bacon redasse alcuni scritti brevi e spesso incompleti di filosofia naturale, che prepararono la via per l'esposizione su larga scala delle idee più tardi esposte nella Instauratio magna, il colossale progetto mai finito (e impossibile da portare a termine) descritto nel prospetto premesso alla prima edizione del Novum organum che ne costituiva la seconda parte. Il progetto dell'Instauratio magna era ripartito in sei sezioni: la prima avrebbe dovuto offrire una descrizione universale del sapere, la seconda l'interpretazione della Natura, cioè la nuova logica o novum organum, la terza tutti i fenomeni dell'Universo, la quarta i precetti della seconda resi operativi, la quinta un provvisorio deposito di anticipazioni, risolte le quali si sarebbe potuto passare alla sesta parte e cioè alla vera filosofia della Natura. Impegnandosi in un lavoro così faticoso, Bacon riconosce che il tempo e le forze sono inadeguati e prevede che molte di quelle discipline e arti da lui considerate lacunose (desiderata) saranno oggetto di tre tipi di critiche: per alcuni tali discipline non sarebbero carenti, ma viceversa già giunte alla perfezione; ad altri sembreranno mere curiosità e promesse di esilissimi frutti; per altri, infine, esse appariranno 'impossibili' da realizzare rispetto alle possibilità umane. Il filosofo, nel Libro II del De dignitate et augmentis scientiarum, risponde soltanto a quest'ultima critica, con parole che diventeranno il simbolo del sistema baconiano, riprese e citate nei secoli successivi (fino al Prospectus dell'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert): "Per l'ultima [critica], quella dell'impossibilità, dico questo, che si devono ritenere possibili a compiersi quelle imprese che possono essere condotte a compimento da qualcuno, se non da ciascuno; da molti congiuntamente, se non da uno solo; nella successione dei secoli, se non in uno stesso periodo; e infine per pubblica cura e ufficio, se non per l'opera e l'attività dei privati" (Opere filosofiche, II, p. 86).

La prima parte doveva consistere in una panoramica della conoscenza esistente (una Descriptio globi intellectualis, dal titolo di una sua opera postuma). Il fine di Bacon era quello di individuare le carenze di ogni parte della conoscenza, sia indicando le direzioni che altri avrebbero seguito, sia scrivendo egli stesso opere che dovevano colmare tali desiderata. Le finalità della prima parte furono indicate nel De dignitate et augmentis scientiarum (1623), versione latina rivista e ampliata della perorazione sulla dignità delle scienze presentata nell'Advancement of learning (1605). Bacon non voleva costruire una summa enciclopedica del sapere (progetto condiviso da molti eruditi del Rinascimento), viceversa intendeva fornire un'antienciclopedia dedicata all'idea che la conoscenza fosse un organismo in continua crescita. Per Bacon l'assunto che la conoscenza potesse e dovesse incrementarsi era assolutamente fondamentale. La classificazione del sapere che egli stabilisce dà un peso fino ad allora mai conferito alla storia in generale, alla storia naturale in particolare e, all'interno di questa, alla storia delle arti meccaniche. Centrale è l'idea che i dati derivati dalle arti meccaniche possano aiutare sia a garantire la solidità della scienza sia a costruire un'idea di progresso. Nessuno aveva espresso questa idea con maggior forza: non erano la guerra, l'influenza delle stelle, la nascita e la caduta dei regni e delle religioni a costruire la storia, ma i mutamenti tecnologici. La non contrapposizione fra arti liberali e arti meccaniche, e l'inserimento di queste ultime a pieno titolo nella classificazione proposta nascono dal superamento della tradizionale dottrina secondo la quale le cose artificiali e le cose naturali sono diverse per la loro essenza e, inoltre, dalla consapevolezza che l'esperienza, sia essa literata (arti liberali) o erratica (arti meccaniche), può assolvere al suo unico compito di essere la base per una nuova rinascita del sapere naturale e sperimentale soltanto se potrà essere classificata, schedata, ricondotta a tabulae che siano di aiuto ai sensi, all'intelletto e alla memoria. Il Libro II, presenta nel secondo capitolo, in forma ampliata, la tripartizione delle scienze basata sulla tripartizione dell'anima umana ‒ senso, fantasia, ragione ‒ già proposta nell'Advancement of learning, ma analizza anche la funzione delle tre facoltà. Il ricorso alla facoltà dell'intellectus come momento unificante della classificazione del sapere permette inoltre a Bacon di porre anche la teologia (che è storia divina) sullo stesso piano delle altre scienze, giacché l'intelletto umano è unico e identici sono i suoi circuiti. Per questo la poesia parabolica, una delle tre classificazioni in cui è suddivisa la poesia, è anche strumento della teologia rivelata (per es., attraverso le parabole) in quanto permette al divino di essere decodificato dall'uomo. Si amplia qui il discorso sulla poesia parabolica già sviluppato nel De sapientia veterum: mentre però nella fortunata opera del 1609 il filosofo aveva scelto le favole per rendere pubbliche (sotto il velum del genere mitografico) le sue concezioni di filosofia naturale, nel De dignitate et augmentis scientiarum, ampliando e sviluppando gli aspetti dottrinali e teorici, la poesia parabolica acquista un valore fortemente conoscitivo e dunque uno statuto definitivo nella classificazione delle scienze.

I mezzi attraverso i quali è possibile realizzare queste ambiziose speranze costituiscono la seconda parte della Instauratio, cioè il Novum organum, opera incompleta, pubblicata in due libri nel 1620, che procede per aforismi. Il fine principale della logica, che si qualifica come nuova rispetto all'Organon aristotelico anche nel titolo, è allargare il dominio dell'uomo per fondare il regnum hominis, del quale l'uomo possa diventare 'ministro e interprete' (minister et interpres). Nel Libro I si trovano: una serrata critica alla logica tradizionale, alle cattive dimostrazioni e alle dottrine; l'elencazione dei segni o prove degli errori, delle loro cause e dell'arresto del sapere; le ragioni di speranza per ridare dignità e possibilità di progresso alle scienze e, soprattutto, la dottrina degli idola (illusioni, fallacies nelle opere inglesi) che esamina in quale modo operano e si acquisiscono i vizi della mente. Bacon ne descrive quattro: idoli della tribù (idola tribus), idoli della spelonca (idola specus), idoli del foro (idola fori), idoli del teatro (idola theatri). Gli idoli, innati o avventizi, sono fondati sulla natura stessa dell'uomo come genere e come individuo, oppure si insinuano dall'esterno.

Tavola 1

Del primo tipo sono gli idoli della tribù, tutte le illusioni generate dalla innata debolezza del senso e della mente. Con evidente riferimento al mito della caverna di Platone, gli idola della spelonca sono quelli propri dell'individuo singolo, che derivano dall'indole, dall'educazione e dalla vita sociale. Fra i pregiudizi acquisiti, quelli del teatro provengono dall'esterno (immigrarunt), dai dogmi dei filosofi e delle dottrine; sono più facili da emendare e Bacon si propone di estirparli radicalmente. I più tenaci e pericolosi (molestissima) sono quelli del foro, insinuatisi nell'intelletto attraverso un patto tra le parole e i nomi (ex foedere verborum et nominum); l'uomo presume di poterli dominare con l'intelletto, viceversa le parole ritorcono e riflettono sull'intelletto la loro forza, e vincono. L'attenzione al problema del linguaggio è costante nel filosofo inglese: la purificazione del linguaggio non appartiene alla retorica, ma trova il suo fondamento nella vera induzione ed è, contemporaneamente, il fondamento di questa. Per tale motivo anche parole equivoche ‒ come metafisica, forma, magia, alchimia ‒ quando il loro nome sarà stato purificato (perpurgato nomine) indicheranno con un termine antico realtà nuove (e vere). La liberazione dagli idoli, che diventa un procedimento prioritario per poter accedere al metodo, è ciò che distingue l'induzione 'fino allora in uso', che procede per 'semplice enumerazione', una semplice raccolta di fenomeni, da quella legitima e vera proposta da Bacon. Gli ultimi aforismi della prima parte del Novum organum capovolgono tutte le critiche fino ad allora rigorosamente condotte: agli esperimenti meccanici, portatori di frutto (fructifera), cioè utili, ma di un'utilità rapsodica e incapace di costruire la vera scala degli assiomi, saranno contrapposti gli esperimenti lucifera, cioè apportatori di luce, che hanno la meravigliosa virtù di non ingannare e di non deludere mai, poiché, essendo stati eseguiti con metodo, possono essere ripetuti e tramandati.

Il Libro II del Novum organum è un esempio della nuova via per generare le nuove scienze ‒ Bacon indica il metodo con il termine via o con il sintagma di origine ciceroniana via ac ratio ‒ e procede dall'applicazione del procedimento induttivo ai dati della storia naturale per raggiungere gradualmente e progressivamente gli assiomi più generali.

Nel Libro I Bacon aveva delimitato il regnum hominis entro il quale l'uomo agisce e conosce, naturalmente se ottempera ai necessari graduali momenti del processo metodologico: liberazione dai pregiudizi, necessità di dare aiuti al senso e all'intelletto, realizzazione di un commercium tra il campo operativo e quello conoscitivo. Nel primo aforisma del Libro II è precisato che cosa l'uomo 'può' e che cosa 'sa': introdurre (superinducere) nature nuove sopra un dato corpo, operazione resa possibile dalla 'scoperta delle forme' (inventio formarum). La filosofia naturale procede dalla fisica alla metafisica, e queste due scienze si differenziano per le 'cause' delle quali si occupano. La fisica tratta la causa materiale e quella efficiente; la metafisica la causa formale e quella finale. Qui Bacon, ancora una volta, si appropria della terminologia aristotelica usandola in funzione antiaristotelica; in relazione alla metafisica, si occupa solo della causa formale, avendo bandito quella finale dalla filosofia della Natura.

Nel Libro II Bacon presenta il metodo induttivo, la scansione dei momenti scalari dell'induzione 'vera e legittima' e un esempio del suo uso attraverso la discussione della forma del caldo. La dottrina della forma proposta occupa una posizione intermedia tra la tradizione aristotelica e la dottrina corpuscolare atomistica, rifiutate entrambe, la prima perché fondata sull'assioma di una materia inerte dalla quale 'scaturisce' una forma in modo, secondo Bacon, misterioso, la seconda perché la materia non è riducibile e scomponibile fino agli atomi, o ai minima, o alle particelle ultime. La teoria della forma presuppone la concezione baconiana della materia, con l'opposizione tra corpi tangibili e pneumatici e la teoria della plica materiae, che prevede un cambiamento continuo ‒ di aumento, diminuzione, spostamento e contrazione ‒ degli 'spiriti'. Per comprendere la dottrina della forma, e per coglierne la specificità ‒ rispetto sia alle precedenti concezioni aristotelico-scolastiche, sia a quelle atomistiche ‒ è necessario presupporre un pari statuto di dignità tra cose naturali e cose artificiali. Nel De dignitate et augmentis scientiarum Bacon afferma: "Gli uomini dovrebbero sempre tener presente questo, che le cose artificiali non differiscono da quelle naturali secondo la forma o l'essenza, ma solo secondo la causa efficiente; e poiché all'uomo non è dato alcun potere sulla Natura eccetto quello di valersi del movimento per avvicinare e allontanare i corpi naturali; quando si tratta di avvicinare e allontanare i corpi naturali, congiungendo le cose attive con quelle passive (come si dice), l'uomo può tutto; in caso contrario non può nulla. E non importa, quando le cose sono disposte a produrre qualche effetto se ciò avviene per opera dell'uomo o senza l'uomo" (Opere filosofiche, II, p. 90).

La prima parte del Libro II si conclude con la celebre ricerca della forma del caldo, attraverso l'applicazione delle tre tavole della presenza, dell'assenza e dei gradi. Il testo restante è dedicato a una minuziosa analisi delle 'istanze prerogative', una discussione che mette in atto implicitamente una riserva di materiali di filosofia della Natura accumulati da Bacon ed esplicitamente procede a un'analisi di classificazione di dati che hanno valore nella ricerca di filosofia naturale. Questa analisi è importante da un punto di vista storico soprattutto per la sua originale trattazione della teoria dell'esperimento e, in particolare, della teoria dell'esperimento cruciale (experimentum crucis). Il metodo s'interrompe dopo la descrizione delle istanze prerogative.

La terza parte dell'Instauratio è riservata alla storia naturale, non intesa secondo la tradizione rinascimentale di una storia naturale letteraria ed erudita. Secondo Bacon, la historia naturalis costituiva la base su cui costruire le nuove scienze e doveva essere pensata e realizzata in termini funzionali, cioè come una raccolta ragionata. Secondo la classificazione baconiana delle facoltà conoscitive dell'uomo, essa corrispondeva, all'interno del progetto dell'Instauratio, alla facoltà della memoria. In questa funzione prioritaria per la filosofia prima, Bacon individua tutto il distacco dalle storie naturali tramandate dall'Antichità, da Aristotele, Teofrasto, Dioscuride, Plinio, e a maggior ragione dai Moderni, che mai si sono posti nemmeno larvatamente il problema teorico di attribuire alla storia naturale questo fine primario.

Convinto che l'idea della storia naturale sarebbe stata sottovalutata dai successori, Bacon decise di preparare sei rappresentazioni imperfette di un modello che sperava sarebbe stato raggiunto dalle generazioni future. Se il Novum organum si confrontava, rifondandolo, con l'Organon aristotelico, la Historia naturalis et experimentalis, nell'aggiungere nel titolo e nel progetto l'aggettivo experimentalis, voleva confrontarsi con la Naturalis historia di Plinio e rifondarla. Nel 1622 Bacon pubblicò un volume intitolato Historia naturalis et experimentalis ad condendam philosophiam sive phaenomena universi, preceduto dall'elenco dei titoli delle sei historiae.

Tavola 2

Egli infatti prevedeva la storia dei venti; la storia del denso e del raro, della contrazione e dell'espansione, della materia nello spazio; la storia del pesante e del leggero; la storia della simpatia e dell'antipatia delle cose; la storia dello zolfo, del mercurio e del sale; la storia della vita e della morte. La prima ad essere pubblicata fu la Historia ventorum, nel 1622; la seconda, la Historia vitae et mortis, nel 1623; la terza, l'incompiuta Historia densi et rari, fu pubblicata postuma dal suo segretario William Rawley nel 1658. Significativamente, il filosofo precisa che propone anche le 'opere' e le 'cose impossibili', o almeno non ancora scoperte, e che spesso sarà costretto a fermarsi alla sola indicazione degli esperimenti e delle storie, dato che "seguiamo questa via per la prima volta".

La Sylva sylvarum (1626, talora per errore datata 1627), pubblicata postuma da William Rawley, non faceva parte del progetto delle storie naturali. Oltre a essere scritta in inglese, infatti, non è una storia individuale: in essa il filosofo aveva accumulato una miscellanea di mille esperimenti, tratti da libri o da esperienze personali, suddivisi talora in modo arbitrario in dieci centurie. Nell'opera il termine experiment ha significati polivalenti, secondo l'uso rinascimentale; la Sylva ebbe una fortuna incredibile ‒ dovuta forse anche all'uso del volgare ‒ perché insieme a essa fu pubblicata l'incompiuta New Atlantis, l'operetta considerata il modello della Royal Society.

La quarta parte dell'Instauratio avrebbe dovuto presentare una varietà di esempi dei suoi precetti (exempla inquirendi et inveniendi), proposti con il metodo nuovo, e mostrare al lettore come si dovesse realizzare la ricerca condotta secondo le linee indicate nella seconda e terza parte. Ma Bacon, salvo alcuni schizzi preliminari, scrisse solo l'introduzione.

La quinta parte, provvisoria, doveva essere costituita da quanto scoperto o verificato o aggiunto, anche al di fuori dei metodi e delle regole dell'interpretazione: le esecrate anticipazioni aristoteliche diventano qui le congetture probabili e verosimili, da sottoporre a verifica. La sesta e ultima parte dell'opera avrebbe dovuto contenere quella filosofia desunta da un metodo di ricerca puro e severo (inquisitio legitima et casta). Entrambe queste parti ebbero lo stesso destino: il filosofo infatti era consapevole che non sarebbe mai vissuto abbastanza per vederne la realizzazione.

Tra le numerose opere di Bacon pubblicate postume sono da ricordare i Cogitata et visa de interpretatione naturae, sive de scientia operativa, un testo costituito da diciannove aforismi, espressi in terza persona, sulla filosofia naturale.

La datazione dell'opera, pubblicata anch'essa postuma da Rawley nel 1653, si può ricavare dalla risposta di Thomas Bodley (19 febbraio 1607) alla lettera con cui Bacon aveva accompagnato il manoscritto inviato. Tale risposta è articolata e complessa e può spiegare anche la prudenza del filosofo inglese nel dare alle stampe i suoi progetti sulla filosofia naturale. Bodley si mostra ammirato, ma percepisce come pericoloso il violento e intemperante atteggiamento critico del filosofo, il rifiuto totale (e ironico) di tutto il sapere fino ad allora acquisito. La lettera si chiude con un giudizio che fu sentito da Bacon come una condanna. Forse la mancanza dell'appoggio accademico e istituzionale convinse il filosofo inglese a stringere i tempi per la pubblicazione del De sapientia veterum (1609), un'opera meno 'nuova' nella forma, ma altrettanto precisa nel contenuto.

Volutamente, in una storia della scienza, sono stati omessi i riferimenti alla, pur importante qualitativamente e quantitativamente, produzione letteraria e giuridica, a cominciare dalle tre edizioni degli Essayes (1597, 1612, 1625) fino alle opere storiche. Eppure vi si troverebbero non pochi riferimenti alle teorie filosofiche e scientifiche. Il filo conduttore di tutta l'opera di Bacon, e anche la sua indubbia modernità, è l'attenzione agli aspetti psicologici del ricercatore. La conoscenza di sé stessi, l'esplorazione delle proprie passioni, l'individuazione degli errori insiti nella natura umana, la conoscenza dell'uomo, insomma, appaiono prioritarie per affrontare i confini posti dalle 'colonne d'Ercole'. Per vincere la paura e affrontare l'ignoto è importante acquisire il senso dei propri limiti (terminus), conoscere le fondamenta sulle quali, e non oltre le quali (ultra has bases), appoggiare e costruire gli strumenti della conoscenza, per evitare infruttuosi scambi della realtà con le parole (res cum verbis), della ragione con la follia (rationem cum insania), infine del mondo (reale) con la favola (mundum cum fabula). In questa prospettiva i vari e vasti interessi baconiani appaiono tra loro intrecciati, intersecantisi, sovrapponibili, rispetto al fine intravisto di abbattere per ricostruire ogni falsa distinzione presente nelle cose umane e naturali, risultato dannoso e inquietante di un secolare e volgare scambio di piani attraverso la confusione nell'uso e nel significato delle parole.

L'impatto del progetto baconiano sulla cultura europea del XVII sec. fu notevole. All'inizio la sua fortuna raggiunse livelli più alti in Europa che in Inghilterra: in Francia e nei Paesi Bassi, Bacon fu molto conosciuto fin dai primi anni Venti, e non solo per il Novum organum e il De dignitate et augmentis scientiarum, ma anche per le opere di filosofia naturale come la Historia ventorum e la Historia vitae et mortis: né è da sottovalutare la diffusione degli Essayes (quasi subito tradotti nelle differenti lingue vernacolari) e del De sapientia veterum. In Francia non solo Pierre Gassendi, Nicolas-Claude Fabri de Peiresc e Marin Mersenne, ma tutto l'ambiente libertino che convergeva intorno ai fratelli Dupuy aveva una conoscenza delle opere edite e perfino manoscritte di Bacon: gli ultimi studi permettono di sottolineare anche un'influenza del filosofo inglese su Descartes. In Olanda Constantijn Huygens e Isaac Beeckman sono stati fra i suoi primi lettori, come aveva già indicato nel 1984 Paul Dibon, aprendo la strada ad approfondimenti più recenti. Tuttavia intorno alla metà del XVII sec., in Inghilterra, il baconismo, legato al progetto della Instauratio magna, influenzò filosoficamente e scientificamente i singoli studiosi e divenne il filo conduttore dei nuovi progetti istituzionali e scientifici, tanto che l'istruzione, nel 1662, della più importante accademia scientifica non solo inglese, ma europea, la Royal Society, fu compiuta nel nome di Bacon. Fra i propagatori della fama di Bacon vanno annoverati Comenio (Jan Amos Komenský), John Dury e Samuel Hartlib.

Negli ultimi decenni gli studi di Graham Rees ‒ che hanno portato alla pubblicazione dei primi volumi della nuova edizione critica di tutte le opere di Bacon a sostituzione della classica edizione vittoriana, attraverso un'impostazione storica e filologica ‒ hanno profondamente mutato sia le prospettive interpretative sul filosofo (quella che in inglese è chiamata la speculative philosophy) sia lo studio delle fonti, anche attraverso l'edizione di importanti opere inedite.